ESTRATTO DAL LIBRO
di
Pellegrino Artusi
La scienza in cucina e
L’ARTE DI MANGIAR BENE
Manuale pratico per le famiglie
(790 ricette)
e in appendice
“La cucina per gli stomachi deboli”
I Menù per tutte le feste
Traduzione di alcuni termini dialettali Toscani
LE RICETTE
BRODI, GELATINA E SUGHI
1. BRODO
Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono bisogna mettere la
carne ad acqua diaccia e far bollire la pentola adagino adagino e che non
trabocchi mai. Se poi, invece di un buon brodo preferiste un buon lesso, allora
mettete la carne ad acqua bollente senza tanti riguardi. È noto pur anche che le
ossa spugnose danno sapore e fragranza al brodo; ma il brodo di ossa non è
nutriente.
In Toscana è uso quasi generale di dare odore al brodo con un mazzettino di erbe
aromatiche. Lo si compone non con le foglie che si disfarebbero, ma coi gambi
del sedano, della carota, del prezzemolo e del basilico, il tutto in
piccolissime proporzioni. Alcuni aggiungono una sfoglia di cipolla arrostita
sulla brace; ma questa essendo ventosa non fa per tutti gli stomachi. Se poi vi
piacesse di colorire il brodo all'uso francese, non avete altro a fare che
mettere dello zucchero al fuoco, e quando esso avrà preso il color bruno,
diluirlo con acqua fresca. Si fa bollire per iscioglierlo completamente e si
conserva in bottiglia.
Per serbare il brodo da un giorno all'altro durante i calori estivi fategli
alzare il bollore sera e mattina.
La schiuma della pentola è il prodotto di due sostanze: dell'albumina
superficiale della carne che si coagula col calore e si unisce all'ematosina,
materia colorante del sangue.
Le pentole di terra essendo poco conduttrici del calorico sono da preferirsi a
quelle di ferro o di rame, perché meglio si possono regolare col fuoco, fatta
eccezione forse per le pentole in ghisa smaltata, di fabbrica inglese, con la
valvola in mezzo al coperchio.
Si è sempre creduto che il brodo fosse un ottimo ed omogeneo nutrimento atto a
dar vigore alle forze; ma ora i medici spacciano che il brodo non nutrisce e
serve più che ad altro a promuovere nello stomaco i sughi gastrici. Io, non
essendo giudice competente in tal materia, lascierò ad essi la responsabilità di
questa nuova teoria che ha tutta l'apparenza di ripugnare al buon senso.
2. BRODO PER GLI AMMALATI
Un professore di vaglia che curava una signora di mia conoscenza, gravemente
malata, le aveva ordinato un brodo fatto nella seguente maniera:
“Tagliate magro di vitella o di manzo in bracioline sottili e mettetele distese
una sopra l'altra in un largo tegame; salatele alquanto e versate sulle medesime
tanta acqua diaccia che vi stiano sommerse. Coprite il tegame con un piatto che
lo chiuda e sul quale sia mantenuta sempre dell'acqua e fate bollire la carne
per sei ore continue, ma in modo che il bollore appena apparisca. Per ultimo
fate bollire forte per dieci minuti e passate il brodo da un pannolino.”
Con due chilogrammi di carne si otteneva così due terzi o tre quarti di litro di
un brodo di bel colore e di molta sostanza.
3. GELATINA
Muscolo senz'osso (vedi n. 323), grammi 500.
Una zampa di vitella di latte, oppure grammi 150 di zampa di vitella.
Le zampe di due o tre polli.
Due teste di pollo coi colli.
Le zampe dei polli sbucciatele al fuoco e tagliatele a pezzi; poi mettete ogni
cosa al fuoco in due litri d'acqua diaccia; salatela a sufficienza e fatela
bollire, schiumandola, adagio adagio per sette od otto ore continue, talché il
liquido scemi della metà. Allora versate il brodo in una catinella, e quando
sarà rappreso levate il grasso della superficie; se non si rappiglia,
rimettetelo al fuoco per restringerlo di più, oppure aggiungete due fogli di
colla di pesce. Ora la gelatina è fatta, ma bisogna chiarificarla e darle colore
d'ambra. Per riuscire a questo tritate finissima col coltello e poi pestatela
nel mortaio, grammi 70 carne magra di vitella, mettetela in una cazzaruola con
un uovo e un dito (di bicchiere) d'acqua, mescolate il tutto ben bene e
versateci la gelatina diaccia. Non ismettete di batterla con la frusta sul fuoco
finché non avrà alzato il bollore, e poi fatela bollire adagio per circa venti
minuti, durante i quali assaggiate se sta bene a sale e datele il colore.
A questo scopo basta che poniate in un cucchiaio di metallo non stagnato due
prese di zucchero e un gocciolo d'acqua, lo teniate sul fuoco finché lo zucchero
sia divenuto quasi nero, versandolo poi a pochino per volta, onde avere la
giusta gradazione del colore, nella gelatina bollente. Alcuni ci versano anche
un bicchierino di marsala.
Ora, prendete un asciugamano, bagnatelo nell’acqua, strizzatelo bene e pel
medesimo passate la detta gelatina, ancora ben calda senza spremere e versatela
subito negli stampi; d'estate, qualora non si rappigli bene, ponete questi sul
ghiaccio. Quando la vorrete sformare, passate leggermente intorno agli stampi un
cencio bagnato nell'acqua bollente. Il bello della gelatina è che riesca chiara,
non dura, trasparente e del colore del topazio. Essa ordinariamente si serve col
cappone in galantina o con qualunque altro rifreddo. È poi un ottimo alimento
per gli ammalati. Se prendesse l'agro, per non averla consumata presto,
rimettetela al fuoco e fatele spiccare il bollore. Anche il brodo comune si
rende limpido nella stessa maniera od anche colla carne soltanto.
4. SUGO DI CARNE
La Romagna, che è a due passi dalla Toscana, avendo in tasca la Crusca, chiama
il sugo di carne brodo scuro, forse dal colore, che tira al marrone.
Questo sugo bisognerebbe vederlo fare da un bravo cuoco; ma spero vi riuscirà,
se non squisito, discreto almeno, con queste mie indicazioni.
Coprite il fondo di una cazzaruola con fettine sottili di lardone o di
carnesecca (quest'ultima è da preferirsi) e sopra alle medesime trinciate una
grossa cipolla, una carota e una costola di sedano. Aggiungete qua e là qualche
pezzetto di burro, e sopra questi ingredienti distendete carne magra di manzo a
pezzetti o a bracioline. Qualunque carne di manzo è buona; anzi per meno spesa
si suoi prendere quella insanguinata del collo o altra più scadente che i
macellari in Firenze chiamano parature. Aggiungere ritagli di carne di cucina,
se ne avete, cotenne o altro, che tutto serve, purché sia roba sana. Condite con
solo sale e due chiodi di garofani e ponete la cazzaruola al fuoco senza mai
toccarla.
Quando vi giungerà al naso l'odore della cipolla bruciata rivoltate la carne, e
quando la vedrete tutta rosolata per bene, anzi quasi nera, versate acqua fredda
quanta ne sta in un piccolo ramaiuolo, replicando per tre volte l'operazione di
mano in mano che l'acqua va prosciugandosi. Per ultimo, se la quantità della
carne fosse di grammi 500 circa, versate nella cazzaruola un litro e mezzo di
acqua calda, o, ciò che meglio sarebbe, un brodo di ossa spugnose, e fatelo
bollire adagino per cinque o sei ore di seguito onde ristringere il sugo ed
estrarre dalla carne tutta la sua sostanza. Passatelo poi per istaccio, e quando
il suo grasso sarà rappreso, formando un grosso velo al disopra, levatelo tutto
per rendere il sugo meno grave allo stomaco. Questo sugo, conservandosi per
diversi giorni, può servire a molti usi e con esso si possono fare dei buoni
pasticci di maccheroni.
I colli e le teste di pollo spezzate, uniti alla carne di manzo, daranno al sugo
un sapore più grato.
I resti della carne, benché dissugati, si possono utilizzare in famiglia facendo
delle polpette.
5. SUGO DI CARNE CHE I FRANCESI CHIAMANO SALSA SPAGNUOLA
Questo trovato culinario dal quale si ottiene il lesso, un umido ed un buon
sugo, mi sembra bene indovinato ed economico, imperocché si utilizza ogni cosa e
il sugo può servire in tutti quei piatti in cui fa d'uopo.
Prendete un chilogrammo, compreso l'osso o la giunta, di carne magra di manzo e
da questa levatene grammi 400 tagliata in bracioline; col resto fate, come di
consueto, il brodo con litri 1 1/2, a buona misura, di acqua.
Coprite il fondo di una cazzaruola con fettine di lardone e prosciutto e di
alcuni pezzetti di burro, trinciateci sopra una cipolla e su questa collocate
distese le bracioline. Quando la carne avrà preso colore, a fuoco vivo, dalla
parte sottostante, bagnatela con un ramaiuolo del detto brodo, poi voltatela
onde colorisca anche dall'altra parte, e dopo versate un altro ramaiuolo di
brodo, indi condite con sale, un chiodo di garofano oppure nove o dieci chicchi
di pepe contuso e un cucchiaino di zucchero. Versate ora tutto il resto del
brodo, aggiungete una carota tagliata a fette e un mazzetto guarnito che può
essere composto di prezzemolo, sedano e di qualche altra erba odorosa. Fate
bollire adagio per circa due ore, poi levate le bracioline, passate il sugo e
digrassatelo. Con questo potete bagnare la zuppa del n. 38 e servirvene per dar
sapore ad erbaggi oppure, condensandolo con un intriso di farina di patate e
burro, condire minestre asciutte.
La farina di patate si presta meglio di quella di grano per legare qualunque
sugo.
6. SUGO DI POMODORO
Vi parlerò più avanti della salsa di pomodoro che bisogna distinguere dal sugo
il quale dev'essere semplice e cioè di soli pomodori cotti e passati. Tutt'al
più potrete unire ai medesimi qualche pezzetto di sedano e qualche foglia di
prezzemolo e di basilico quando crediate questi odori confacenti al bisogno.
MINESTRE
Una volta si diceva che la minestra era la biada dell'uomo; oggi i medici
consigliano di mangiarne poca per non dilatare troppo lo stomaco e per lasciare
la prevalenza al nutrimento carneo, il quale rinforza la fibra, mentre i
farinacei, di cui le minestre ordinariamente si compongono, risolvendosi in
tessuto adiposo, la rilassano. A questa teoria non contraddico: ma se mi fosse
permessa un'osservazione, direi: Poca minestra a chi non trovandosi nella
pienezza delle sue forze, né in perfetta salute, ha bisogno di un trattamento
speciale; poca minestra a coloro che avendo tendenza alla pinguedine ne vogliono
rattener lo sviluppo; poca minestra, e leggiera, ne’ pranzi di parata se i
commensali devono far onore alle varie pietanze che le vengono appresso; ma
all'infuori di questi casi una buona e generosa minestra per chi ha uno scarso
desinare sarà sempre la benvenuta, e però fatele festa. Penetrato da questa
ragione mi farò un dovere d'indicare tutte quelle minestre che via via
l'esperienza mi verrà suggerendo.
I piselli del n. 427 possono dar sapore e grazia, come tutti sanno, alle
minestre in brodo di riso, pastine e malfattini; ma si prestano ancora meglio
per improvvisare, se manca il brodo, il risotto del n. 75.
MINESTRE IN BRODO
7. CAPPELLETTI ALL’USO DI ROMAGNA
Sono così chiamati per la loro forma a cappello. Ecco il modo più semplice di
farli onde riescano meno gravi allo stomaco.
Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, grammi 180.
Mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe, e tritato fine
fine colla lunetta.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Uova, uno intero e un rosso.
Odore di noce moscata, poche spezie, scorza di limone a chi piace.
Un pizzico di sale.
Assaggiate il composto per poterlo al caso correggere, perché gl'ingredienti non
corrispondono sempre a un modo. Mancando il petto di cappone, supplite con
grammi 100 di magro di maiale nella lombata, cotto e condizionato nella stessa
maniera.
Se la ricotta o il raviggiolo fossero troppo morbidi, lasciate addietro la
chiara d'uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo
sodo. Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole
uova servendovi anche di qualche chiara rimasta, e tagliatela con un disco
rotondo della grandezza come quello segnato. Ponete il composto in mezzo ai
dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due
estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito.
Se la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito intinto nell'acqua,
gli orli dei dischi. Questa minestra per rendersi più grata al gusto richiede il
brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà si offre
nella solennità di Natale in olocausto agli uomini. Cuocete dunque i cappelletti
nel suo brodo come si usa in Romagna, ove trovereste nel citato giorno degli
eroi che si vantano di averne mangiati cento; ma c'è il caso però di crepare,
come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine.
A proposito di questa minestra vi narrerò un fatterello, se vogliamo di poca
importanza, ma che può dare argomento a riflettere.
Avete dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su' libri i signori di
Romagna non ne vogliono saper buccicata, forse perché fino dall'infanzia i figli
si avvezzano a vedere i genitori a tutt'altro intenti che a sfogliar libri e
fors’anche perché, essendo paese ove si può far vita gaudente con poco, non si
crede necessaria tanta istruzione; quindi il novanta per cento, a dir poco, dei
giovanetti, quando hanno fatto le ginnasiali, si buttano sull'imbraca, e avete
un bel tirare per la cavezza ché non si muovono. Fino a questo punto arrivarono
col figlio Carlino, marito e moglie, in un villaggio della bassa Romagna; ma il
padre che la pretendeva a progressista, benché potesse lasciare il figliuolo a
sufficienza provvisto avrebbe pur desiderato di farne un avvocato e, chi sa,
fors'anche un deputato, perché da quello a questo è breve il passo. Dopo molti
discorsi, consigli e contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per mandar
Carlino a proseguire gli studi in una grande città, e siccome Ferrara era la più
vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col cuore gonfio di
duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che lo bagnava di
pianto. Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori si erano messi
a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo silenzio e qualche
sospiro la buona madre proruppe:
- Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto! -
Erano appena proferite queste parole che si sente picchiare all'uscio di strada,
e dopo un momento, ecco Carlino slanciarsi tutto festevole in mezzo alla sala.
- Oh! cavallo di ritorno, esclama il babbo, cos'è stato? - È stato, risponde
Carlino, che il marcire sui libri non è affare per me e che mi farò tagliare a
pezzi piuttosto che ritornare in quella galera. - La buona mamma gongolante di
gioia corse ad abbracciare il figliuolo e rivolta al marito: - Lascialo fare,
disse, meglio un asino vivo che un dottore morto; avrà abbastanza di che
occuparsi co' suoi interessi. - Infatti, d'allora in poi gl'interessi di Carlino
furono un fucile e un cane da caccia, un focoso cavallo attaccato a un bel
baroccino e continui assalti alle giovani contadine.
8. TORTELLINI ALL’ITALIANA (AGNELLOTTI)
Braciuole di maiale nella lombata, circa grammi 300.
Un cervello di agnello o mezzo di bestia più grossa.
Midollo di bue, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Rossi d'uovo n. 3 e, al bisogno, aggiungete una chiara.
Odore di noce moscata.
Disossate e digrassate le braciuole di maiale, e poi tiratele a cottura in una
cazzaruola con burro, sale e una presina di pepe. In mancanza del maiale può
servire il magro del petto di tacchino nella proporzione di grammi 200, cotto
nella stessa maniera. Pestate o tritate finissima la carne con la lunetta; poi
unite alla medesima il cervello lessato e spellato, il midollo crudo e tutti gli
altri ingredienti, mescolandoli bene insieme. Quindi i tortellini si chiudono in
una sfoglia come i cappelletti e si ripiegano nella stessa guisa, se non che
questi si fanno assai più piccoli. Ecco, per norma, il loro disco.
9. TORTELLINI ALLA BOLOGNESE
Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, ché se la
merita. È un modo di cucinare un po’ grave, se vogliamo, perché il clima così
richiede; ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le
longevità di ottanta e novant’anni sono più comuni che altrove. I seguenti
tortellini, benché più semplici e meno dispendiosi degli antecedenti, non sono
per bontà inferiori, e ve ne convincerete alla prova.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Mortadella di Bologna, grammi 20.
Midollo di bue, grammi 60.
Parmigiano grattato, grammi 60.
Uova, n. 1.
Odore di noce moscata.
Sale e pepe, niente.
Tritate ben fini colla lunetta il prosciutto e la mortadella, tritate egualmente
il midollo senza disfarlo al fuoco, aggiungetelo agli altri ingredienti ed
intridete il tutto coll'uovo mescolando bene. Si chiudono nella sfoglia d'uovo
come gli altri, tagliandola col piccolo stampo del n. 8. Non patiscono
conservandoli per giorni ed anche per qualche settimana e se desiderate che
conservino un bel color giallo metteteli, appena fatti, ad asciugare nella
caldana. Con questa dose ne farete poco meno di 300, e ci vorrà una sfoglia di
tre uova.
Bologna è un gran castellazzo dove si fanno continue magnazze, diceva un tale
che a quando a quando colà si recava a banchettare cogli amici. Nell'iperbole di
questa sentenza c'è un fondo di vero, del quale, un filantropo che vagheggiasse
di legare il suo nome a un'opera di beneficenza nuova in Italia, potrebbe
giovarsi. Parlo di un Istituto culinario, ossia scuola di cucina a cui Bologna
si presterebbe più di qualunque altra città pei suo grande consumo, per
l'eccellenza dei cibi e pel modo di cucinarli. Nessuno apparentemente vuol dare
importanza al mangiare, e la ragione è facile a comprendersi: ma poi, messa da
parte l'ipocrisia, tutti si lagnano di un desinare cattivo o di una indigestione
per cibi mal preparati. La nutrizione essendo il primo bisogno della vita, è
cosa ragionevole l'occuparsene per soddisfarlo meno peggio che sia possibile.
Uno scrittore straniero dice: “La salute, la morale, le gioie della famiglia si
collegano colla cucina, quindi sarebbe ottima cosa che ogni donna, popolana o
signora, conoscesse un'arte che è feconda di benessere, di salute, di ricchezza
e di pace alla famiglia”; e il nostro Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini) in
una conferenza tenuta all'Esposizione di Torino il 21 giugno 1884 diceva: “È
necessario che cessi il pregiudizio che accusa di volgarità la cucina, poiché
non è volgare quel che serve ad una voluttà intelligente ed elegante. Un
produttore di vini che manipola l'uva e qualche volta il campeggio per cavarne
una bevanda grata, è accarezzato, invidiato e fatto commendatore. Un cuoco che
manipola anch'esso la materia prima per ottenerne un cibo piacevole, nonché
onorato e stimato, non è nemmeno ammesso in anticamera. Bacco è figlio di Giove,
Como (il Dio delle mense) di ignoti genitori. Eppure il savio dice: Dimmi quel
che tu mangi e ti dirò chi sei. Eppure i popoli stessi hanno una indole loro,
forte o vile, grande o miserabile, in gran parte dagli alimenti che usano. Non
c'è dunque giustizia distributiva. Bisogna riabilitare la cucina”.
Dico dunque che il mio Istituto dovrebbe servire per allevare delle giovani
cuoche le quali, naturalmente più economiche degli uomini e di minore dispendio,
troverebbero facile impiego e possederebbero un'arte, che portata nelle case
borghesi, sarebbe un farmaco alle tante arrabbiature che spesso avvengono nelle
famiglie a cagione di un pessimo desinare; e perché ciò non accada sento che una
giudiziosa signora, di una città toscana, ha fatto ingrandire la sua troppo
piccola cucina per aver più agio a divertirsi col mio libro alla mano.
Ho lasciato cader questa idea così in embrione ed informe; la raccatti altri, la
svolga e ne faccia suo pro qualora creda l'opera meritoria. Io sono d'avviso che
una simile istituzione ben diretta, accettante le ordinazioni dei privati e
vendendo le pietanze già cucinate, si potrebbe impiantare, condurre e far
prosperare con un capitale e con una spesa relativamente piccoli.
Se vorrete i tortellini anche più gentili aggiungete alla presente ricetta un
mezzo petto di cappone cotto nel burro, un rosso d'uovo e la buona misura di
tutto il resto.
10. TORTELLINI DI CARNE DI PICCIONE
Questi tortellini merita il conto ve li descriva, perché riescono eccellenti
nella loro semplicità.
Prendete un piccione giovane e, dato che sia bell'e pelato del peso di mezzo
chilogrammo all'incirca, corredatelo con
Parmigiano grattato, grammi 80.
Prosciutto grasso e magro, grammi 70.
Odore di noce moscata.
Vuotate il piccione dalle interiora, ché il fegatino e il ventriglio non servono
in questo caso, e lessatelo. Per lessarlo gettatelo nell'acqua quando bolle e
salatela; mezz’ora di bollitura è sufficiente, perché dev'essere poco cotto.
Tolto dal fuoco disossatelo, poi tanto questa carne che il prosciutto tritateli
finissimi prima col coltello indi colla lunetta, e per ultimo, aggiuntovi il
parmigiano e la noce moscata, lavorate il composto con la lama del coltello per
ridurlo tutto omogeneo.
Per chiuderli servitevi del disco n. 8, e con tre uova di sfoglia ne otterrete
260 circa. Potete servirli in brodo, per minestra, oppure asciutti conditi con
cacio e burro, o meglio con sugo e rigaglie.
11. PANATA
Questa minestra, con cui si solennizza in Romagna la Pasqua d'uovo, è colà
chiamata tridura, parola della quale si è perduto in Toscana il significato, ma
che era in uso al principio del secolo XIV, come apparisce da un'antica
pergamena in cui si accenna a una funzione di riconoscimento di patronato, che
consisteva nell'inviare ogni anno alla casa de' frati di Settimo posta in
Cafaggiolo (Firenze) un catino nuovo di legno pieno di tridura e sopra al
medesimo alcune verghe di legno per sostenere dieci libbre di carne di porco
guarnita d'alloro. Tutto s'invecchia e si trasforma nel mondo, anche le lingue e
le parole; non però gli elementi di cui le cose si compongono, i quali, per
questa minestra sono:
Pane del giorno avanti, grattato, non pestato, gr. 130.
Uova, n. 4.
Cacio parmigiano, grammi 50.
Odore di noce moscata.
Sale, un pizzico.
Prendete una cazzaruola larga e formate in essa un composto non tanto sodo con
gl'ingredienti suddetti, aggiungendo del pangrattato se occorre. Stemperatelo
con brodo caldo, ma non bollente, e lasciatene addietro alquanto per aggiungerlo
dopo.
Cuocetelo con brace all'ingiro, poco o punto fuoco sotto e con un mestolo,
mentre entra in bollore, cercate di radunarlo nel mezzo scostandolo dalle pareti
del vaso senza scomporlo. Quando lo vedrete assodato, versatelo nella zuppiera e
servitelo.
Questa dose può bastare per sei persone.
Se la panata è venuta bene la vedrete tutta in grappoli col suo brodo chiaro
all'intorno. Piacendovi mista con erbe o con piselli cuocerete queste cose a
parte, e le mescolerete nel composto prima di scioglierlo col brodo.
12. MINESTRA DI PANGRATTATO
I pezzetti di pane avanzato, divenuti secchi, in Toscana si chiamano
seccherelli; pestati e stacciati, servono in cucina da pangrattato e si possono
anche adoperare per una minestra. Versate questo pangrattato nel brodo, quando
bolle, nella stessa proporzione di un semolino. A seconda della quantità,
disfate due o più uova nella zuppiera, uniteci una cucchiaiata colma di
parmigiano per ogni uovo e versateci la minestra bollente a poco per volta.
13. TAGLIERINI DI SEMOLINO
Non sono molto dissimili da quelli fatti di farina, ma reggono di più alla
cottura, essendo la sodezza un pregio di questa minestra. Oltre a ciò lasciano
il brodo chiaro e pare che lo stomaco rimanga più leggiero.
Occorre semolino di grana fine; ed ha bisogno di essere intriso colle uova
qualche ora prima di tirare la sfoglia. Se quando siete per tirarla, vi
riuscisse troppo morbida, aggiungete qualche pizzico di semolino asciutto per
ridurre l'impasto alla durezza necessaria, onde non si attacchi al matterello.
Non occorre né sale, né altri ingredienti.
14. GNOCCHI
È una minestra da farsene onore; ma se non volete consumare appositamente per
lei un petto di pollastra o di cappone, aspettate che vi capiti d'occasione.
Cuocete nell'acqua, o meglio a vapore, grammi 200 di patate grosse e farinacee e
passatele per istaccio, A queste unite il petto di pollo lesso tritato finissimo
colla lunetta, grammi 40 di parmigiano grattato, due rossi d'uovo, sale quanto
basta e odore di noce moscata. Mescolate e versate il composto sulla spianatoia
sopra a grammi 30 o 40 (che tanti devono bastare) di farina per legarlo, e
poterlo tirare a bastoncini grossi quanto il dito mignolo. Tagliate questi a
tocchetti e gettateli nel brodo bollente ove una cottura di cinque o sei minuti
sarà sufficiente.
Questa dose potrà bastare per sette od otto persone.
Se il petto di pollo è grosso, due soli rossi non saranno sufficienti.
15. MINESTRA DI SEMOLINO COMPOSTA (I)
Cuocete semolino di grana fine nel latte e gettatene tanto che riesca ben sodo.
Quando lo ritirate dal fuoco conditelo con sale, parmigiano grattato, un
pezzetto di burro e odore di noce moscata e lasciatelo diacciare. Allora
stemperate il composto con uova fino a ridurlo come una liquida crema. Prendete
una forma liscia di latta, ungetene bene il fondo col burro, aderitegli un
foglio ugualmente unto e versate il detto composto nella medesima per assodarlo
a bagnomaria con fuoco sopra. Cotto e diaccio che sia, una lama di coltello
passata all'intorno e la carta del fondo vi daranno aiuto a sformarlo.
Tagliatelo a mattoncini o a mostaccioli della grossezza di uno scudo e della
larghezza di un centimetro o due e gettateli nel brodo facendoli bollire qualche
minuto.
Basta un bicchiere di latte e due uova a fare una minestra per quattro o cinque
persone. Con un bicchiere e due dita di latte e tre uova ho fatto una minestra
che è bastata per otto persone.
16. MINESTRA DI SEMOLINO COMPOSTA (II)
La minestra di semolino fatta nella seguente maniera mi piace più
dell'antecedente, ma è questione di gusto.
Per ogni uovo:
Semolino, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Burro, grammi 20.
Sale, una presa.
Odore di noce moscata.
Il burro scioglietelo al fuoco e, tolto via dal fuoco, versateci sopra il
semolino e il parmigiano, sciogliendo bene il composto colle uova. Poi versatelo
in una cazzaruola con un foglio imburrato sotto per assodarlo fra due fuochi,
badando che non rosoli. Sformato e diaccio che sia, tagliatelo a piccoli dadi o
in altro modo, facendolo bollire nel brodo per dieci minuti.
Tre uova basteranno per cinque persone.
17. MINESTRA DI KRAPFEN
Meno lo zucchero è la stessa composizione del n. 182. Ecco le dosi di una
minestra per sette od otto persone.
Farina d'Ungheria, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Lievito di birra, quanto una noce.
Uova, n. 1
Sale, una presa.
Tirato il pastone a stiacciata della grossezza alquanto meno di mezzo dito,
tagliatelo con un cannello di latta del diametro segnato per farne come tante
pasticche che porrete a lievitare. Le vedrete crescere in forma di pallottole e
allora friggetele nell'olio, se lo avete eccellente, altrimenti nel lardo o nel
burro. Quando siete per mandare in tavola collocatele nella zuppiera e versate
sulle medesime il brodo bollente.
18. MINESTRA DEL PARADISO
È una minestra sostanziosa e delicata; ma il Paradiso, fosse pur quello di
Maometto, non ci ha nulla che fare.
Montate sode quattro chiare d'uovo, incorporateci dentro i rossi, poi versateci
quattro cucchiaiate non tanto colme di pangrattato fine di pane duro,
altrettanto di parmigiano grattato e l'odore della noce moscata.
Mescolate adagino onde il composto resti soffice e gettatelo nel brodo bollente
a cucchiaini. Fatelo bollire per sette od otto minuti e servitelo.
Questa dose potrà bastare per sei persone.
19. MINESTRA DI CARNE PASSATA
Vitella di latte magra, grammi 150.
Prosciutto grasso, grammi 25.
Parmigiano grattato, grammi 25.
Pappa fatta con midolla di pane, acqua e un pezzetto di burro due cucchiaiate.
Uova n. 1
Odore di noce moscata
Sale quanto basta.
Tritate prima la carne e il prosciutto con un coltello a colpo, dopo colla
lunetta, poi pestateli nel mortaio e passateli per istaccio. Fatene quindi tutto
un impasto coll'uovo e gli altri ingredienti: quando bolle il brodo gettatelo a
cucchiaini o passatelo da una siringa per dargli forma graziosa, e dopo una
bollitura sufficiente a cuocerlo, servite la minestra.
Questa quantità basta per quattro o cinque persone, ma potete farla servire
anche per dodici mescolandola in una zuppa. Prendete allora pane finissimo del
giorno avanti, tagliatelo a piccoli dadi e rosolatelo in padella alla svelta con
molto unto. Quando siete per mandare in tavola ponete il detto pane nella
zuppiera e versate sul medesimo la sopra descritta minestra di carne passata.
20. MINESTRA DI PASSATELLI
Eccovi due ricette che, ad eccezione della quantità, poco differiscono l'una
dall'altra.
Prima:
Pangrattato, grammi 100.
Midollo di bue, grammi 20.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Uova, n. 2.
Odore di noce moscata o di scorza di limone, oppure dell'una e dell'altra
insieme.
Questa dose può bastare per quattro persone.
Seconda:
Pangrattato, grammi 170.
Midollo di bue, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 70.
Uova n. 3 e un rosso.
Odore come sopra.
Può bastare per sette od otto persone.
Il midollo serve per renderli più teneri, e non è necessario scioglierlo al
fuoco; basta stiacciarlo e disfarlo colla lama di un coltello. Impastate ogni
cosa insieme per formare un pane piuttosto sodo; ma lasciate addietro alquanto
pangrattato per aggiungerlo dopo, se occorre.
Si chiamano passatelli perché prendono la forma loro speciale passando a forza
dai buchi di un ferro fatto appositamente, poche essendo le famiglie in Romagna
che non l'abbiano, per la ragione che questa minestra vi è tenuta in buon conto
come, in generale, a cagione del clima, sono colà apprezzate tutte le minestre
intrise colle uova delle quali si fa uso quasi quotidiano. Si possono passare
anche dalla siringa.
21. MINESTRA DI PASSATELLI DI CARNE
Filetto di manzo, grammi 150.
Pangrattato, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Midollo di bue, grammi 15.
Burro, grammi 15.
Rossi d'uovo, n. 2.
Sale, quanto basta.
Odore di noce moscata.
Il filetto pestatelo nel mortaio e passatelo dallo staccio.
Il midollo e il burro stiacciateli insieme con la lama di un coltello e uniteli
alla carne. Aggiungere il resto per fare un pastone che riescirà sodo da poterci
premere sopra il ferro come ai passatelli del numero precedente.
Fateli bollire nel brodo per dieci minuti e serviteli per sei persone.
Anche un petto di pollo o un pezzo di petto di tacchino lessati o crudi, possono
servire a quest'uso invece del filetto.
22. MINESTRA A BASE DI RICOTTA
Prendete il composto dei cappelletti n. 7, ma invece di chiuderlo nella sfoglia
gettatelo a cucchiaini nel brodo quando bolle, e appena assodato versatelo nella
zuppiera e servitelo.
23. MINESTRA DI NOCCIUOLE DI SEMOLINO
Latte, decilitri 3.
Semolino, grammi 100.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Uova, uno intero e un torlo.
Burro, quanto una noce.
Sale, quanto basta.
Farina, idem.
Odore di noce moscata.
Mettete il latte al fuoco col burro e quando bolle versate il semolino a poco a
poco. Salatelo; quando è cotto e caldo ancora, ma non bollente, scocciategli
dentro le uova, aggiungete il parmigiano e l’odore e mescolate. Lasciatelo
diacciar bene e poi versatelo sulla spianatoia sopra a uno strato di farina.
Avvoltolatelo leggermente sulla medesima tirandone un bastoncino che taglierete
a pezzetti uguali per fame tante pallottole della grandezza di una nocciuola.
Gettatele nel brodo quando bolle e, poco dopo, versatele nella zuppiera e
mandatele in tavola. A vostra norma, vedrete che assorbiranno da 25 a 30 grammi
soltanto di farina; ma poi dipenderà il più e il meno dai come riesce il
composto.
Questa dose potrà bastare per cinque o sei persone.
24. MINESTRA DI BOMBOLINE DI FARINA
Sono le bombe composte del n. 184 meno la mortadella; per eseguirle guardate
quindi quella ricetta, la cui quantità può bastare per otto o dieci persone,
tanto rigonfiano per uso di minestra, anche se le terrete piccole quanto una
nocciuola. Per gettarle in padella prendete su il composto col mestolo, e colla
punta di un coltello da tavola, intinto nell'unto a bollore, distaccatelo a
pezzettini rotondeggianti. Friggetele nel lardo vergine o nel burro, ponetele
nella zuppiera, versateci sopra il brodo bollente e mandatele subito in tavola.
Per avvantaggiarvi, se avete un pranzo, potete fare il composto il giorno
innanzi e friggere le bomboline la mattina dipoi; ma d'inverno non patiscono
anche se stanno fritte per qualche giorno.
25. MINESTRA DI MATTONCINI DI RICOTTA
Ricotta, grammi 200.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Uova, n. 2.
Sale, quanto basta.
Odori di scorza di limone e di noce moscata,
Disfate la ricotta passandola per istaccio, aggiungere il resto e le uova uno
alla volta. Mescolate bene e versate il composto in uno stampo liscio per
cuocerlo a bagnomaria. Sformatelo diaccio, levategli la carta colla quale avrete
coperto il fondo dello stampo e tagliatelo a dadini della dimensione di un
centimetro circa. Collocateli poi nella zuppiera, versate sui medesimi il brodo
bollente e mandateli in tavola.
Questa dose basterà per cinque o sei persone.
26. MINESTRA DI MILLE FANTI
Mezzo uovo per persona è più che sufficiente per questa minestra, quando si è in
parecchi.
Prendete un pentolo e in fondo al medesimo ponete tanti cucchiaini colmi di
farina quante sono le uova; aggiungete parmigiano grattato, odore di noce
moscata, una presa di sale e per ultimo le uova. Frullate ogni cosa insieme ben
bene e versate il composto nel brodo quando bolle, facendolo passare da un
colino di latta a buchi larghi, rimestando in pari tempo il brodo. Lasciate
bollire alquanto e servite.
27. MINESTRA DI LATTE COMPOSTA
Farina, grammi 60.
Burro, grammi 40.
Parmigiano, grammi 30.
Latte, decilitri 4.
Uova, n. 4.
Sale, quanto basta.
Odore di noce moscata, se piace.
Mettete il burro al fuoco e appena squagliato versate la farina; mescolate, e
quando comincia a prendere colore versate il latte a poco per volta. Fate
bollire alquanto, poi ritirate il composto dal fuoco e conditelo aggiungendo le
uova per ultimo quando sarà diaccio. cuocetelo a bagnomaria come la minestra di
semolino n. 15 e regolatevi come per la medesima.
Questa dose potrà servire per otto o dieci persone.
28. MINESTRA DI PANE ANGELICO
Midolla di pane fine, grammi 150.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Midollo di bue, grammi 40.
Parmigiano, grammi 40.
Farina, quanto basta.
Uova, n. 2, meno una chiara.
Odore di noce moscata.
La midolla di pane bagnatela col brodo bollente tanto che s'inzuppi appena
appena e spremetela forte entro a un canovaccio. Il prosciutto tritatelo
finissimo; il midollo di bue stiacciatelo colla lama piatta di un coltello, e
con essa rimestatelo tanto da ridurlo come un unguento. Mescolate queste tre
cose insieme col parmigiano ed aggiungete le uova.
Distendete un velo di farina sulla spianatoia, versategli sopra il composto,
copritelo con altra farina e fategliene prender tanta (qualcosa meno di 100
grammi possono bastare) per formare delle pallottole, piuttosto morbide, e
grosse come le nocciuole. Gettatele nel brodo bollente e dopo 10 minuti di
cottura servitele.
Questa dose potrà bastare per dieci o dodici persone.
29. MINESTRA DI BOMBOLINE DI PATATE
Patate, grammi 500.
Burro, grammi 40.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Rossi d'uovo, n. 3.
Odore di noce moscata.
Cuocete le patate nell'acqua o, meglio, a vapore, sbucciatele, passatele calde
dallo staccio e salatele. Aggiungete gl’ingredienti suddetti e lavoratele
alquanto. Distendete un velo di farina sulla spianatoia e sopra la medesima
versate il composto per poterlo tirare a bastoncini senza che la farina penetri
nell'interno, e con questi formate delle palline grosse come le nocciuole.
Friggetele nell'olio o nel lardo ove sguazzino e mettetele nella zuppiera
versandovi il brodo bollente.
Questa dose potrà bastare per otto o dieci persone.
30. MINESTRA DI BOMBOLINE DI RISO
Riso, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Un rosso d'uovo.
Odore di noce moscata.
Sale, quanto basta.
Cuocete molto e ben sodo il riso nel latte (mezzo litro potrà bastare); prima di
levarlo dal fuoco aggiungete il burro e il sale e quando non è più a bollore
metteteci il rimanente; pel resto regolatevi come alla ricetta antecedente.
Queste bomboline riescono al gusto migliori di quelle di patate.
Questa dose basterà per sei persone.
31. MINESTRA DI DUE COLORI
Questa è una minestra delicata e leggiera che può piacere in Toscana
specialmente alle signore; ma non sarebbe da presentarsi a un pranzo in Romagna
ove il morbidume sotto ai denti non è punto del gusto di quel paese delle
tagliatelle per eccellenza; meno poi lo sarebbe quella moccicaglia di minestra
di tapioca, la quale, salvo pochissime eccezioni, al solo vederla promuoverebbe
colà il mal di stomaco.
Farina, grammi 180.
Burro, grammi 60.
Parmigiano, grammi 40.
Latte, decilitri 4.
Uova, due intere e due rossi.
Sale, quanto basta.
Odore di noce moscata.
Un pugno di spinaci.
Lessate gli spinaci, strizzateli bene dall'acqua e passateli dallo staccio.
Mettete il burro al fuoco e quando è sciolto gettateci la farina mescolando
bene; poi versateci il latte caldo a poco per volta, salatela e mentre cuoce
lavoratela col mestolo per farne una pasta omogenea.
Levatela e quando sarà tiepida stemperatela colle uova aggiungendo il parmigiano
e la noce moscata. Poi questo composto dividetelo in due parti uguali, in una
delle quali mescolerete i detti spinaci in quantità sufficiente a farle prendere
il color verde e non di più.
Ponete il composto nella siringa con lo stampino a buchi rotondi e spingetelo
nel brodo bollente come i passatelli del n. 48; ma questa operazione occorre
farla in due volte, prima col composto giallo e dopo col verde.
Questa dose sarà sufficiente per otto o dieci persone.
32. ZUPPA RIPIENA
Prendete mezzo petto di cappone o di un pollo grosso, una fettina di prosciutto
grasso e magro, un pezzetto di midollo; fatene un battuto, conditelo con
parmigiano grattato, dategli l'odore della noce moscata e legatelo con un uovo.
Il sale, essendovi il prosciutto, non occorre.
Prendete un filoncino di pane raffermo, affettatelo in tondo alla grossezza di
mezzo dito, levate alle fette la corteccia e sulla metà del numero delle
medesime spalmate il composto suddetto; ad ognuna di queste fette spalmate,
sovrapponete una fetta senza battuto e pigiatele insieme onde si attacchino. Poi
queste fette così appaiate, tagliatele a piccoli dadi, e friggeteli nel lardo
vergine o nell'olio o nel burro, conforme al gusto del paese o vostro.
Quando è ora di servir la zuppa in tavola, ponete i dadi fritti nella zuppiera e
versateci sopra il brodo bollente.
33. ZUPPA DI OVOLI
Al tempo dei funghi potete servire questa minestra in un pranzo anche signorile
che non vi farà sfigurare.
Gli ovoli sono que' funghi di colore arancione descritti al n. 396. Prendetene
grammi 600, che quando saranno nettati e spellati rimarranno grammi 500 circa.
Lavateli interi e tagliateli a fette piccole e sottili o a pezzetti.
Fate un battuto con 50 grammi di lardone e un pizzico di prezzemolo e mettetelo
al fuoco con 50 grammi di burro e tre cucchiaiate d'olio. Quando avrà soffritto
versate i funghi e salateli alquanto per dar loro mezza cottura, poi versateli
nel brodo con tutto il soffritto per farli bollire altri dieci minuti. Prima di
levarli, disfate nella zuppiera un uovo intero e un rosso con un pugno di
parmigiano grattato e versateci sopra la minestra poca per volta rimestando,
indi uniteci dadini di pane arrostito; ma avvertite che la zuppa resti molto
brodosa.
Questa dose potrà bastare per sei o sette persone.
Se ne fate la metà, può bastare soltanto l'uovo intero.
34. ZUPPA DI ZUCCA GIALLA
Zucca gialla, sbucciata e tagliata a fette sottili, un chilogrammo. Mettetela a
cuocere con due ramaiuoli di brodo e poi passatela dallo staccio.
Fate al fuoco un intriso con grammi 60 di burro e due cucchiaiate rase di
farina, e quando avrà preso il colore biondo fermatelo col brodo; aggiungete la
zucca passata e il resto del brodo che basti per sei persone. Poi versatelo
bollente sopra a dadini di pane fritto e mandate la zuppa in tavola con
parmigiano grattato a parte.
Se farete questa zuppa a dovere e con brodo buono, potrà comparire su qualunque
tavola ed avrà anche il merito di essere rinfrescante.
35. ZUPPA DI PURÈ DI PISELLI, DI GRASSO
Trattandosi qui di piselli da passare non occorre sieno de' più teneri. Grammi
400 di piselli sgranati possono bastare per sei persone che pranzino alla moda,
cioè con poca minestra. Cuoceteli nel brodo con un mazzetto, che poi getterete
via, composto di prezzemolo, sedano, carota e qualche foglia di basilico. Quando
i piselli saranno cotti gettate fra i medesimi, per inzupparle, due fette di
pane fritto nel burro e passate per istaccio ogni cosa. Diluite questo composto
col brodo occorrente, aggiungete un po’ di sugo di carne se ne avete e bagnate
la zuppa, la quale dovrà essere di pane sopraffine raffermo, tagliato a dadini e
fritto nel burro.
36. ZUPPA SANTÉ
Questa zuppa si fa con diverse qualità di ortaggio qualunque. Dato che vi
serviate, per esempio, di carote, acetosa, sedano e cavolo bianco, tagliate
questo a mo’ di taglierini e fategli far l'acqua sopra al fuoco, strizzandolo
bene. Le carote e il sedano tagliateli a filetti lunghi tre centimetri circa, e
insieme col cavolo e con l'acetosa nettata dai gambi, poneteli al fuoco con poco
sale, una presa di pepe e un pezzetto di burro. Quando l'erbaggio avrà tirato
l'unto, finite di cuocerlo col brodo. Frattanto preparate il pane, il quale è
bene sia di qualità fine e raffermo di un giorno almeno; tagliatelo a piccoli
dadi e friggetelo nel burro o anche nell'olio vergine o nel lardo; ma perché
assorba poco unto tenete quest'ultimo abbondante e gettateci il pane quando è
bene a bollore altrimenti arrostitelo soltanto a fette grosse mezzo dito e
tagliatelo dopo a dadi. Ponete il pane nella zuppiera, versategli sopra il brodo
a bollore insieme coll'erbaggio, e mandate la zuppa subito in tavola.
Usando i ferri del mestiere si possono dare agli ortaggi forme graziose ed
eleganti.
37. ZUPPA DI ACETOSA
Acetosa, grammi 200.
Un cesto (cespo) di lattuga.
Dopo aver tenuto in molle questi erbaggi, sgrondateli ben bene, tagliateli a
striscioline e metteteli al fuoco. Quando saranno cotti, date loro sapore con
una presa di sale e grammi 30 di burro. Mettete nella zuppiera due rossi d'uovo
con un po' di brodo tiepido, unitevi i detti erbaggi e quindi, a poco per volta
e mescolando, aggiungetevi tutto il brodo bollente necessario per la zuppa;
gettate poi il pane tagliato a dadini e fritto, e mandate in tavola con
parmigiano a parte. Così preparata, questa minestra potrà servire per cinque
persone.
38. ZUPPA SUL SUGO DI CARNE
Certi cuochi, per darsi aria, strapazzano il frasario dei nostri poco benevoli
vicini con nomi che rimbombano e che non dicono nulla, quindi, secondo loro,
questa che sto descrivendo, avrei dovuto chiamarla zuppa mitonnée. Se per dar
nel gusto a costoro e a quei tanti che si mostrano servili alle usanze
straniere, avessi infarcito il mio libro di tali esotiche e scorbutiche voci,
chi sa di qual prestigio maggiore avrebbe goduto! Ma io, per la dignità di noi
stessi, sforzandomi a tutto potere di usare la nostra bella ed armoniosa lingua
paesana, mi è piaciuto di chiamarla col suo nome semplice e naturale.
La buona riuscita di questa zuppa dipende dal saper tirare un buon sugo (vedi n.
5), la qual cosa non è da tutti.
Per quattro persone crederei sufficienti grammi 500 circa di carne di manzo da
sugo, con qualche collo di pollo, e ritagli di cucina se ve ne sono. Oltre al
sugo, questa zuppa richiede ortaggi in buona misura e, a seconda della stagione,
un misto di sedano, carota, cavolo verzotto, acetosa, zucchini, piselli, ecc.,
non che una patata: questa e gli zucchini tagliati a tocchetti, tutti gli altri
a filetti. Lessateli tutti e soffriggeteli poscia nel burro bagnandoli col detto
sugo. Le fette del pane tenetele grosse mezzo dito, arrostitele e tagliatele a
dadi. Prendete un tegame o, meglio, un vaso consimile, ben decente perché
dev'essere portato in tavola, e in questo bagnate la zuppa nella seguente
maniera: un suolo di pane, uno di erbaggi e sopra una spolverizzata di
parmigiano, e così di seguito. Per ultimo versateci sopra il sugo e, senza
toccarla, copritela con un piatto e un tovagliuolo e tenetela per mezz'ora in
caldo presso al fuoco avanti di servirla.
Vi avverto che questa zuppa deve rimanere quasi asciutta, laonde è bene tener
addietro un po' di sugo per aggiungerlo quando la mandate in tavola, nel caso
riuscisse troppo asciutta.
39. ZUPPA REGINA
Dal nome si dovrebbe giudicare per la migliore di tutte le zuppe. Certamente si
può collocare fra le più signorili, ma c’è esagerazione nel titolo.
Si fa colle carni bianche del pollo arrosto nettate dalla pelle e dai tendini.
Tritatele bene colla lunetta, poi pestatele in un mortaio con cinque o sei
mandorle dolci sbucciate, e con una midolla di pane inzuppata nel brodo o nel
latte, in proporzione di un quinto o di un sesto della quantità della carne.
Quando il composto sarà pestato ben bene, passatelo dallo staccio, ponetelo
nella zuppiera e scioglietelo con un ramaiuolo di brodo caldo.
Tagliate il pane a dadini, friggetelo nel burro e gettate anche questo nella
zuppiera. Dopo versateci il brodo bollente, mescolate e mandate la zuppa in
tavola col parmigiano a parte.
Questa minestra può venire opportuna quando, dopo un pranzo, rimangono avanzi di
pollo arrosto, o lessi, benché sia migliore quando è fatta di tutto arrosto.
Le mandorle servono per dar maggiormente al brodo l'aspetto latteo, ma il
liquido non deve riuscir troppo denso. Alcuni aggiungono qualche rosso d'uovo
sodo stemperato nel brodo.
40. ZUPPA ALLA SPAGNUOLA
Prendete un petto di pollastra o di cappone, tagliatelo a pezzetti e mettetelo a
cuocere nel burro a fuoco lento; conditelo con sale e pepe. Se non basta il
burro bagnatelo col brodo. Levate il petto asciutto e nell'intinto che resta
gettate una midolla di pane, grande quanto un pugno, e con brodo fate un poco di
pappa soda. Questa col petto cotto versateli nel mortaio e, aggiuntivi due rossi
d'uovo e poco odore di noce moscata, pestate ogni cosa ben fine e il composto
lasciatelo in luogo fresco onde assodi. Al momento di adoperarlo, che può essere
anche il giorno appresso, fate cadere sulla spianatola un velo di farina e sopra
alla medesima tritate col composto un bastoncino grosso un dito o meno e con un
coltello infarinato tagliatelo in tanti pezzetti, tutti uguali, che
arrotonderete colle mani imbrattate di farina, per farne tante pallottole della
grandezza di una nocciuola o meno. Gettatele nel brodo bollente e dopo cinque o
sei minuti di bollitura versatele nella zuppiera dove avrete collocato avanti
del pane a dadini soffritto nel burro o nel lardo vergine; oppure, che sarà
anche meglio, se, per pane, vi servite della zuppa ripiena del numero 32.
Potrete così ottenere una minestra signorile bastevole per dieci o dodici
persone.
41. ZUPPA DI PANE D’UOVO
Questa minestra sa di poco, ma vedendola usata non di rado ne' pranzi di gusto
straniero, ve la descrivo.
Uova, n. 3.
Farina, grammi 30.
Burro, quanto una noce.
Lavorate prima i tre rossi con la farina e il burro, aggiungete le tre chiare
montate e cuocere il composto al forno o al forno da campagna entro a uno stampo
liscio il cui fondo sia coperto di una carta unta.
Quando questo pane sarà cotto e diacciato, tagliatelo a dadi o a piccole
mandorle, versategli il brodo bollente sopra e mandatelo in tavola con
parmigiano a parte.
Dose per sei o sette persone.
42. RISI E LUGANIGHE
Le popolazioni del Veneto, non conoscono, si può dire altra minestra che il
riso, e però lo cucinano bene e in tante svariate maniere. Una è il riso sul
brodo colla salsiccia; ma colà le salsicce le lasciano intere; io preferisco di
sminuzzarle nel brodo quando vi si mette a cuocere il riso, il quale non è bene
lavare, ma soltanto nettare e strofinare in un canovaccio per levargli la
polvere. A me piace di unire al riso colle salsicce, o rapa o cavolo cappuccio.
Sia l'una che l'altro vanno prima imbiancati, ossia mezzo lessati; tagliate la
rapa a dadi, il cavolo a fettuccine e metteteli a soffriggere nel burro. Poco
avanti di levare il riso dal fuoco aggiungete un buon pizzico di parmigiano per
legarlo meglio e dargli più grato sapore.
43. RISO ALLA CACCIATORA
Un negoziante di cavalli ed io, giovanotto allora, ci avviammo al lungo viaggio,
per que' tempi, di una fiera a Rovigo. Alla sera del secondo giorno, un sabato,
dopo molte ore di una lunga corsa con un cavallo, il quale sotto le abilissime
mani del mio compagno, divorava la via, giungemmo stanchi ed affamati alla
Polesella. Com'è naturale, le prime cure furono rivolte al valoroso nostro
animale; poi entrati nello stanzone terreno che in molte di simili locande serve
da cucina e da sala da pranzo: - Che c'è da mangiare? - domandò il mio amico
all'ostessa. - Non ci ho nulla, - rispose; poi pensandoci un poco soggiunse: -
Ho tirato il collo a diversi polli per domani e potrei fare i risi. - Fate i
risi e fateli subito - si rispose - che l'appetito non manca. - L'ostessa si
mise all'opera ed io lì fermo ed attento a vedere come faceva a improvvisar
questi risi.
Spezzettò un pollo escludendone la testa e le zampe, poi lo mise in padella
quando un soffritto di lardone, aglio e prezzemolo aveva preso colore. Vi
aggiunse di poi un pezzo di burro, lo condí con sale e pepe, e allorché il pollo
fu rosolato, lo versò in una pentola d'acqua a bollore, poi vi gettò il riso, e
prima di levarlo dal fuoco gli diede sapore con un buon pugno di parmigiano.
Bisognava vedere che immenso piatto di riso c'imbandí dinanzi; ma ne trovammo il
fondo, poiché esso doveva servire da minestra, da principii e da companatico.
Ora, per ricamo ai risi dell'ostessa di Polesella, è bene il dire che invece del
lardone, se non è squisito e di quello roseo, può servire la carnesecca tritata
fine, che il sugo di pomodoro, o la conserva, non ci sta male e perché il riso
leghi bene col pollo, non deve essere troppo cotto, né brodoso.
44. QUAGLIE COL RISO
Fate un battuto con prosciutto e un quarto di una cipolla comune: mettetelo al
fuoco con burro, e quando la cipolla avrà preso colore, collocateci le quaglie
pulite, sventrate ed intere. Conditele con sale e pepe e, rosolate che sieno,
tiratele a mezza cottura col brodo, indi versate il riso per cuocerlo con quel
tanto di brodo che occorre, insieme colle quaglie. Conditelo quando è cotto, col
parmigiano e servitelo, brodoso od asciutto, come più piace, frammisto alle
quaglie.
Quattro quaglie e grammi 400 di riso potranno bastare per quattro persone.
45. MALFATTINI
In que' paesi dove si fa uso quasi giornaliero di paste d'uova fatte in casa,
non vi è servuccia che non ne sia maestra; e molto più di questa che è
semplicissima. Non è quindi per loro che la noto, ma per gli abitanti di quelle
province ove non si conoscono, si può dire, altre minestre in brodo che di
zuppa, riso e paste comprate.
I malfattini più semplici sono di farina. Intridetela colle uova e lavoratela
colle mani sulla spianatoia per formarne un pane ben sodo: tagliatelo a fette
grosse mezzo dito e lasciatele esposte all'aria perché si rasciughino. Tritatele
colla lunetta fino a ridurle in minuzzoli minuti quanto la metà di un chicco di
riso, facendoli passare da un vagliettino onde ottenerli eguali, oppure
grattateli dal pane intero; ma non imitate coloro che li lasciano grossi come il
becco dei passerotti se non volete che vi riescano di difficile digestione;
anzi, per questo motivo, invece di farina si possono fare di pangrattato
semplice, oppure aggraziato con un pizzico di parmigiano e l'odore di spezie. In
tutte le maniere, al tempo dei piselli potete, piacendovi, unirli con quelli
della ricetta n. 427, oppure colla bietola tritata minuta o cogli uni e
coll'altra insieme. A proposito di quest'ortaggio ho notato che, in Firenze,
dove si fa grande uso di erbe aromatiche nella cucina, non si conosce l'aneto,
che mescolato alla bietola, come si fa in altri paesi, le dà molta grazia. Anzi
l'aneto, pel suo grato odore, tentai diverse volte d'introdurlo a Firenze, ma
non vi riuscii forse perché la bietola si vende a mazzetti mentre in Romagna si
porta sciolta al mercato e già frammista all'aneto.
46. CUSCUSSÙ
Il Cuscussù è un piatto di origine araba che i discendenti di Mosè e di Giacobbe
hanno, nelle loro peregrinazioni, portato in giro pei mondo, ma chi sa quante e
quali modificazioni avrà subite dal tempo e dal lungo cammino percorso. Ora è
usato in Italia per minestra dagli israeliti, due de' quali ebbero la gentilezza
di farmelo assaggiare e di farmi vedere come si manipola. Io poi l'ho rifatto
nella mia cucina per prova, quindi della sua legittimità garantisco; ma non
garantisco di farvelo ben capire:
Che non è impresa da pigliar a gabbo
Descriver bene questo grande intruglio,
Né da lingua che chiami mamma e babbo.
La dose seguente potrà bastare per sei o sette persone:
Spicchio di petto di vitella, grammi 750.
Vitella magra, senz'osso, grammi 150.
Semolino di grana grossa, grammi 300.
Un fegatino di pollo.
Un uovo sodo.
Un rosso d'uovo.
Erbaggi di qualità diverse come cipolla, cavolo verzotto, sedano, carota,
spinaci, bietola od altro.
Mettete il semolino in un vaso di terra piano e molto largo, oppure in una
teglia di rame stagnata, conditelo con un pizzico di sale e una presa di pepe e,
versandogli sopra a gocciolini per volta due dita (di bicchiere) scarse di
acqua, macinatelo colla palma della mano per farlo divenir gonfio, grandioso e
sciolto. Finita l'acqua versategli sopra, a poco per volta, una cucchiaiata
d'olio e seguitate a manipolarlo nella stessa maniera, durando fra la prima e la
seconda operazione più di mezz'ora. Condizionato il semolino in tal modo,
mettetelo in una scodella da minestra e copritelo con un pannolino, il
sopravanzo del quale, passandolo al disotto, legherete stretto con uno spago.
Mettete al fuoco lo spicchio di petto con tre litri d'acqua per fare il brodo e
dopo schiumata la pentola copritene la bocca colla scodella, già preparata, in
modo che il brodo resti a qualche distanza; ma badate che le bocche dei due vasi
combacino insieme e non lascino uscir fumo. Lasciato così il semolino per un'ora
e un quarto onde abbia il tempo di cuocere a vapore, aprite l'involto a mezza
cottura per mescolarlo e poi rimetterlo com’era prima.
Tritate col coltello i 150 grammi di carne magra, unite alla medesima un pezzo
di midolla di pane sminuzzata, conditela con sale e pepe, fatene tante
polpettine grosse poco più di una nocciuola e friggetele nell'olio.
Tritate alquanto gli erbaggi e mettete per prima la cipolla a soffriggere
nell'olio e quando questa avrà preso colore gettate giù gli altri, conditeli con
sale e pepe, rimestate spesso e lasciate che ritirino l'acqua che fanno. Ridotti
quasi all'asciutto, bagnateli con sugo di carne, oppure con brodo e sugo di
pomodoro o conserva, per tirarli a cottura insieme col fegatino di pollo
tagliato a pezzetti e colle polpettine.
Levate il semolino dall'involto, mettetelo al fuoco in una cazzaruola e senza
farlo bollire scioglietegli dentro il rosso d'uovo, versate nel medesimo una
parte del detto intingolo, mescolate e versatelo in un vassoio, ma quasi
asciutto onde presenti la colma, la quale fiorirete coll'uovo sodo tagliato a
piccoli spicchi. Il resto dell'intingolo mescolatelo nel brodo della pentola e
questo brodo mandatelo in tavola diviso in tante tazze quanti sono i commensali,
accompagnate, s'intende, dal vassoio del semolino; così ognuno tira giù nel suo
piatto una porzione di semolino e gli beve dietro il brodo a cuccchiaiate.
Lo spicchio di petto si serve dopo per lesso.
Fatta questa lunga descrizione, sembrami verrà spontaneo nel lettore il
desiderio di due domande:
l° Perché tutto quell’olio e sempre olio per condimento?
2° Il merito intrinseco di questo piatto merita poi l'impazzamento che esso
richiede?
La risposta alla prima domanda, trattandosi di una vivanda israelita, la dà il
Deuteronomio, cap. XIV, ver. 21: Tu non cuocerai il capretto nel latte di sua
madre; i meno scrupolosi però aggiungono un pizzico di parmigiano alle
polpettine per renderle più saporite. Alla seconda posso rispondere io e dire
che a parer mio, non è piatto da fargli grandi feste; ma può piacere anche a chi
non ha il palato avvezzo a tali vivande, massime se manipolato con attenzione.
47. MINESTRONE
Il minestrone mi richiama alla memoria un anno di pubbliche angoscie e un caso
mio singolare.
Mi trovavo a Livorno al tempo delle bagnature l'anno di grazia 1855, e il colera
che serpeggiava qua e là in qualche provincia d'Italia, teneva ognuno in timore
di un'invasione generale che poi non si fece aspettare a lungo. Un sabato sera
entro in una trattoria e dimando: - Che c'è di minestra? - Il minestrone, - mi
fu risposto. - Ben venga il minestrone, - diss'io. Pranzai e, fatta una
passeggiata, me ne andai a dormire. Avevo preso alloggio in Piazza del Voltone
in una palazzina tutta bianca e nuovissima tenuta da un certo Domenici; ma la
notte cominciai a sentirmi una rivoluzione in corpo da fare spavento; laonde
passeggiate continue a quel gabinetto che più propriamente in Italia si dovrebbe
chiamar luogo scomodo e non luogo comodo. - Maledetto minestrone, non mi
buscheri più! - andavo spesso esclamando pieno di mal animo contro di lui che
era forse del tutto innocente e senza colpa veruna.
Fatto giorno e sentendomi estenuato, presi la corsa del primo treno e scappai a
Firenze ove mi sentii subito riavere. Il lunedì giunge la triste notizia che il
colera è scoppiato a Livorno e per primo n'è stato colpito a morte il Domenici.
- Altro che minestrone! - Dopo tre prove, perfezionandolo sempre, ecco come lo
avrei composto a gusto mio: padronissimi di modificarlo a modo vostro a seconda
del gusto d'ogni paese e degli ortaggi che vi si trovano.
Mettete il solito lesso e per primo cuocete a parte nel brodo un pugnello di
fagiuoli sgranati ossia freschi: se sono secchi date loro mezza cottura
nell'acqua. Trinciate a striscie sottili cavolo verzotto, spinaci e poca
bietola, teneteli in molle nell'acqua fresca, poi metteteli in una cazzaruola
all'asciutto e fatta che abbiano l'acqua sul fuoco, scolateli bene strizzandoli
col mestolo. Se trattasi di una minestra per quattro o cinque persone, preparate
un battuto con grammi 40 di prosciutto grasso, uno spicchio d'aglio, un pizzico
di prezzemolo, fatelo soffriggere, poi versatelo nella detta cazzaruola insieme
con sedano, carota, una patata, uno zucchino e pochissima cipolla, il tutto
tagliato a sottili e corti filetti. Aggiungete i fagiuoli, e, se credete,
qualche cotenna di maiale come alcuni usano, un poco di sugo di pomodoro, o
conserva, condite con pepe e sale e fate cuocere il tutto con brodo. Per ultimo
versate riso in quantità sufficiente onde il minestrone riesca quasi asciutto e
prima di levarlo gettate nel medesimo un buon pizzico di parmigiano.
Vi avverto però che questa non è minestra per gli stomachi deboli.
48. PASSATELLI DI SEMOLINO
Semolino di grana fine, grammi 150.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Latte, decilitri 6.
Uova, due intere e due rossi.
Sale, odore di noce moscata e scorza di limone.
Cuocete il semolino nel latte, e se vedete che non riesca ben sodo, aggiungetene
un altro pizzico. Salatelo quando è cotto ed aspettate che abbia perduto il
calore per gettarvi le uova e il resto.
Ponete il composto nella siringa con uno stampino a buchi rotondi piuttosto
larghi, e spingetelo nel brodo bollente, tenendo la siringa perpendicolare e
fatelo bollire finché i passatelli siensi assodati.
Questa dose potrà bastare per sei o sette persone.
49. RISO CON ZUCCHINI
Prendete zucchini piccoli del peso del riso che avrete a cuocere e tagliateli a
tocchetti grossi quanto le nocciuole. Metteteli a soffriggere nel burro,
conditeli con sale e pepe, e rosolati appena gettateli così durettini nel riso
quando sarà arrivato a mezza cottura, onde finiscano di cuocere insieme.
Il riso è bene che resti poco brodoso e gli zucchini non si devono disfare.
Invece di brodo potete servirvi di acqua e farlo asciutto: ma allora dategli
grazia colla salsa di pomodoro n. 125, versatela anch'essa nel riso a mezza
cottura, e con parmigiano.
50. ZUPPA CON LE CIPOLLE ALLA FRANCESE
Questa zuppa si può fare col brodo o col latte, e le seguenti dosi sono
sufficienti per cinque persone.
Pane bianco, grammi 250.
Gruiera grattato, grammi 80.
Burro, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Uova frullate, n. 3.
Cipolle bianche grosse, n. 2.
Brodo o latte, circa litri 1 e mezzo.
Tagliate a fette sottilissime le cipolle e mettetele al fuoco col burro
suddetto; quando cominciano a prender colore tiratele a molta cottura col brodo,
o col latte se la fate con questo, per poterle passare bene dal setaccio, poi
mescolate il passato nel restante liquido per bagnare la zuppa. Il pane tagliato
a fette o a dadini, arrostitelo e, collocatolo a strati nella zuppiera,
conditelo via via colle uova, il gruiera e il parmigiano. Per ultimo versate
bollente il brodo od il latte e mandatela in tavola.
Se la fate col latte sarà bene salare abbondantemente le uova. A motivo della
cipolla, chi patisce di scioglimenti non farà male di astenersi da questa zuppa.
51. STRICHETTI ALLA BOLOGNESE
Intridete la farina con due uova, grammi 40 di parmigiano grattato fine e
l'odore della noce moscata. Tiratene una sfoglia non tanto sottile e tagliatela
con la rotella smerlata in tante striscie larghe un dito e mezzo. Poi, con la
stessa rotella, tagliate queste striscie in isbieco e alla medesima distanza di
un dito e mezzo per farne tanti pezzetti in forma di mandorla. Prendeteli uno
alla volta e stringete colle dita le quattro punte, due al disopra e due al
disotto per formarne come due anellini attaccati insieme. Cuoceteli nel brodo
con poca cottura. La dose di due uova potrà bastare per cinque persone.
Se questa minestra vi piace, siatene grati ad una giovane simpatica bolognese,
chiamata la Rondinella, che si compiacque di insegnarmela.
52. ZUPPA DI GAMBERI COL SUGO DI CARNE
Prendendo per norma una zuppa che dovesse servire a sole quattro persone,
bastano grammi 150 di gamberi. Lavateli e metteteli al fuoco con due ramaiuoli
di brodo; cotti che sieno, levateli asciutti e nel liquido che resta sciogliete
grammi 30 di midolla di pane soffritta nel burro, per bagnarli quando li
passerete dallo staccio, dopo averli pestati nel mortaio. Estrattane così tutta
la polpa, unitela a sugo di carne come quello della ricetta n. 4 e se non lo
avete in cucina potete farlo con soli centesimi 30 di carne adatta per
quell'uso. Mescolate ora questo composto al resto del brodo per bagnare la
zuppa, che può essere di pane semplicemente arrostito, o a dadini, fritto nel
lardo o nell'olio.
Servitela con parmigiano grattato.
53. ZUPPA ALLA STEFANI
L'illustre poeta dott. Olindo Guerrini, essendo bibliotecario dell'Università di
Bologna, ha modo di prendersi il gusto istruttivo, a quanto pare, di andare
scavando le ossa dei Paladini dell'arte culinaria antica per trarne forse delle
illazioni strabilianti a far ridere i cuochi moderni. Si è compiaciuto perciò di
favorirmi la seguente ricetta tolta da un libriccino a stampa, intitolato:
L’arte di ben cucinare, del signor Bartolomeo Stefani bolognese, cuoco del
Serenissimo Duca di Mantova alla metà del 1600, epoca nella quale si faceva in
cucina grande uso ed abuso di tutti gli odori e sapori, e lo zucchero e la
cannella si mettevano nel brodo, nel lesso e nell'arrosto. Derogando per questa
zuppa dai suoi precetti io mi limiterò, in quanto a odori, a un poco di
prezzemolo e di basilico; e se l'antico cuoco bolognese, incontrandomi all’altro
mondo, me ne facesse rimprovero, mi difenderò col dirgli che i gusti sono
cangiati in meglio; ma che, come avviene in tutte le cose, si passa da un
estremo all'altro e si comincia anche in questa ad esagerare fino al punto di
volere escludere gli aromi e gli odori anche dove sarebbero più opportuni e
necessari. E gli dirò altresì che delle signore alla mia tavola, per un poco di
odore di noce moscata, facevano boccacce da spaventare. Ecco la
RICETTA DI DETTA ZUPPA PER SEI PERSONE
Cervello di vitella, o di agnello, o di altra bestia consimile, grammi 120.
Fegatini di pollo, n. 3.
Uova, n. 3.
Un pizzico di prezzemolo ed uno di basilico.
Il sugo di un quarto di limone.
Scottate il cervello per poterlo spellare e, tanto questo che i fegatini,
soffriggeteli nel burro e tirateli a cottura col sugo di carne; sale e pepe per
condimento.
Ponete le uova in un pentolo, uniteci il prezzemolo e il basilico tritati,
l'agro di limone, un poco di sale e pepe e frullatele; poi col brodo diaccio,
che deve servire per bagnare la zuppa, diluite il composto poco per volta.
Versateci in ultimo il cervello e i fegatini tagliati a pezzetti, e mettetelo a
condensare a fuoco leggero, muovendolo continuamente col mestolo, ma senza farlo
bollire. Condensato che sia, versatelo nella zuppiera sopra il pane, che già
avrete tagliato a dadi e soffritto nel burro o nell'olio, ma prima spargete sul
pane stesso un pugno di parmigiano grattato.
Questa minestra riesce delicata e sostanziosa; ma io che coi morbidumi non me la
dico punto, invece del cervello, in questo caso, supplirei con le animelle e in
proposito vi dirò che in certe città, e m'intend'io, dove per ragione del clima
non si può scherzare troppo coi cibi, a forza di mangiar leggero e
preferibilmente cose morbide e liquide, si sono gli abitanti di esse snervato lo
stomaco in modo che questo viscere non può più sopportare alcun nutrimento un
po' grave.
54. ANOLINI ALLA PARMIGIANA
Una signora di Parma, che non ho il bene di conoscere, andata sposa a Milano, mi
scrive: “Mi prendo la libertà d’inviarle la ricetta di una minestra che a Parma,
mia amata città natale, è di rito nelle solennità famigliari; e non c'è casa, io
credo, ove nei giorni di Natale e Pasqua non si facciano i tradizionali
Anolini”. Mi dichiaro obbligato alla prefata signora perché avendo messo in
prova la detta minestra è riuscita di tale mia soddisfazione da poter rendermi
grato al pubblico e all'inclita guarnigione. Dosi per una minestra sufficiente a
quattro o cinque persone:
Magro di manzo nella coscia, senz'osso, grammi 500
Lardone, circa grammi 20.
Burro, grammi 50.
Un quarto di una cipolla mezzana.
Il pezzo della carne steccatelo col lardone, legatelo e conditelo con sale, pepe
e l'odore di spezie, poi mettetelo al fuoco in un vaso di terra o in una
cazzaruola col burro e la cipolla tritata all'ingrosso per rosolarlo col detto
burro. Fatto questo, versare due ramaiuoli di brodo nel vaso e chiudetelo con
diversi fogli di carta tenuta ferma da una scodella contenente alquanto vino
rosso; e perché poi vino e non acqua non lo sa spiegare neanche la detta
signora. Ora fate bollire dolcemente la carne così preparata per otto o nove
ore, onde ottenere quattro o cinque cucchiaiate di un sugo ristretto e saporito
che passerete dal setaccio strizzando bene e che serberete per il giorno
appresso. Allora formate il composto per riempire gli Anolini con:
Pangrattato di pane di un giorno, tostato leggermente, grammi 100.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Odore di noce moscata
Un uovo e il sugo della carne.
Fate tutto un impasto omogeneo e tirando tre uova di sfoglia tenuta alquanto
tenera riempite il disco smerlato del n. 162 che ripiegherete in due per
ottenere la forma di una piccola mezza luna. Con questa dose ne otterrete un
centinaio che saranno buoni in brodo o asciutti come i tortellini e riescono
leggeri allo stomaco più di questi. La carne rimasta poi la mangerete sola o con
un contorno d'erbaggi e figurerà come uno stracotto.
MINESTRE ASCIUTTE E DI MAGRO
55. TORTELLI
Ricotta o raviggiuolo, oppure l'una e l'altro uniti, grammi200.
Parmigiano, grammi 40.
Uova intere n.1 e un rosso.
Odore di noce moscata e di spezie.
Un pizzico di sale.
Un po’ di prezzemolo tritato.
Si chiudono in una sfoglia fatta come quella dei cappelletti e tagliata con un
disco rotondo alquanto più grande. Io mi servo del disco n. 195. Si possono
lasciare colla prima piegatura a mezza luna, ma è da preferirsi la forma dei
cappelletti. Si cuociono nell'acqua salata a sufficienza, si levano asciutti e
si condiscono a cacio e burro.
Con questa dose ne otterrete 24 o 25 e possono bastare, essendo grandi, per tre
persone.
56. ZUPPA DI PURÈ DI PISELLI DI MAGRO
Piselli freschi sgranati, grammi 400.
Prosciutto grasso e magro, grammi 40.
Burro, grammi 40.
Una cipolla novellina non più grossa di un uovo.
Una piccola carota.
Un pizzico tra prezzemolo, sedano e qualche foglia di basilico.
Tritate fine il prosciutto con un coltello e fate un battuto con questo e con
gli altri ingredienti. Mettetelo al fuoco col burro, poco sale e una presa di
pepe. Allorché sarà rosolato versate l'acqua che giudicherete sufficiente per
bagnare la zuppa e quando essa avrà alzato il bollore gettate giù i piselli per
cuocerli insieme con due fette di pane fritte nel burro; poi passate ogni cosa
per istaccio.
Ottenuto in questo modo un purè per sei persone, bagnate col medesimo il pane
che avrete già messo in pronto come nei purè di grasso.
57. ZUPPA DI FAGIUOLI
Si dice, e a ragione, che i fagiuoli sono la carne del povero, e infatti quando
l'operaio frugandosi in tasca, vede con occhio malinconico che non arriva a
comprare un pezzo di carne bastante per fare una buona minestra alla
famigliuola, trova nei fagiuoli un alimento sano, nutriente e di poca spesa. C'è
di più; i fagiuoli restano molto in corpo, quetano per un pezzo gli stimoli
della fame; ma... anche qui c'è un ma, come ce ne sono tanti nelle cose del
mondo, e già mi avete capito. Per ripararvi, in parte, scegliete fagiuoli di
buccia fine o passateli; quelli dall'occhio hanno meno degli altri questo
peccato.
Per rendere poi la zuppa di fagiuoli più grata al gusto e più saporita, dato che
debba essere una quantità sufficiente a quattro o cinque persone, fatele un
soffritto in questa proporzione: prendete un quarto di cipolla, uno spicchio
d'aglio, un pizzico di prezzemolo e un bel pezzo di sedano bianco. Tritate
finissimi questi odori colla lunetta e metteteli al fuoco con olio a buona
misura; siate generosi a pepe. Quando il soffritto avrà preso colore, unitevi
due ramaiuoli della broda dei fagiuoli, aggiungete un poco di sugo di pomodoro o
di conserva, fateli alzare il bollore e versatelo nella pentola de' fagiuoli.
Per chi aggradisce nella zuppa un poco d'erbaggio può mettete in questa il
cavolo nero, prima lessato e fatto bollire alquanto nel liquido del soffritto
suddetto. Ora non resta che bagnare il pane, già preparato avanti con fette
arrostite, grosse un dito e poi tagliate a dadi.
58. ZUPPA TOSCANA DI MAGRO ALLA CONTADINA
Questa zuppa che, per modestia, si fa dare l'epiteto di contadina, sono persuaso
che sarà gradita da tutti, anche dai signori, se fatta con la dovuta attenzione.
Pane bruno raffermo, di pasta molle, grammi 400.
Fagiuoli bianchi, grammi 300.
Olio, grammi 150.
Acqua, litri due.
Cavolo cappuccio o verzotto, mezza palla di mezzana grandezza.
Cavolo nero, altrettante in volume ed anche più.
Un mazzo di bietola e un poco di pepolino.
Una patata.
Alcune cotenne di carnesecca o di prosciutto tagliate a striscie.
Mettete i fagiuoli al fuoco con l'acqua suddetta unendovi le cotenne. Già
saprete che i fagiuoli vanno messi ad acqua diaccia e se restano in secco vi si
aggiunge acqua calda. Mentre bollono fate un battuto con un quarto di una grossa
cipolla e due spicchi d'aglio, due pezzi di sedano lunghi un palmo e un buon
pizzico di prezzemolo. Tritatelo fine, mettetelo al fuoco con l'olio
soprindicato e quando avrà preso colore versate nel medesimo gli erbaggi
tagliati all'ingrosso, prima i cavoli, poi la bietola e la patata tagliata a
tocchetti. Conditeli con sale e pepe e poi aggiungete sugo di pomodoro o
conserva, e se nel bollire restassero alquanto asciutti bagnateli con la broda
dei fagiuoli. Quando questi saranno cotti gettatene una quarta parte, lasciati
interi, fra gli erbaggi unendovi le cotenne; gli altri passateli dallo staccio e
scioglieteli nella broda, versando anche questa nel vaso dove sono gli erbaggi.
Mescolate, fate bollire ancora un poco e versate ogni cosa nella zuppiera ove
avrete già collocato il pane tagliato a fette sottili e copritela per servirla
dopo una ventina di minuti.
Questa quantità può bastare per sei persone; è buona calda e meglio diaccia.
59. FARINATA GIALLA DI MAGRO
Come minestra ordinaria, si può collocare fra le buone. Mettete al fuoco con
acqua proporzionata quattro decilitri di fagiuoli bianchi, che tanti bastano per
quattro persone. Dopo cotti passateli dallo staccio e il passato mescolatelo
nella broda degli stessi fagiuoli e nella medesima mettete a bollire, per due
ore circa, mezza palla tritata di cavolo bianco o verzotto che condirete con
sale, pepe e foglie di pepolino, detto altrimenti timo.
Ponete un tegame al fuoco con olio a buona misura e due spicchi d'aglio interi
sbucciati; quando questi saranno ben rosolati gettateli via e aggiungete
all'olio sugo di pomodoro, o conserva sciolta nell'acqua e anche qui un altro
poco di sale e pepe; bollito che abbia alquanto, versate anche questo condimento
nella pentola ov'è la broda e il cavolo. Per ultimo, quando questo sarà cotto,
versate con una mano, a poco per volta, la farina di granturco; coll'altra
mescolate bene, onde non si formino bozzoli, e giunta che sia a una certa
consistenza, cioè alquanto liquida, fatela bollire ancora un poco e servitela.
60. SEMOLINO DI MAGRO
Questa minestra non si può, a tutto rigore, dirsi di magro se c'entrano le uova,
il burro, e il parmigiano; ma può venire opportuna quando manca il brodo.
Cuocere il semolino nell'acqua e prima di levarlo dal fuoco salatelo,
scioglietevi dentro un pezzo di burro proporzionato alla quantità del semolino
ed aggraziatelo con un poco di sugo di pomodoro o conserva. Disfate nella
zuppiera due o tre uova miste a parmigiano grattato e versateci il semolino. Se
trattasi di minestra per una persona soltanto può bastare un solo rosso d'uovo
con due cucchiaiate di parmigiano.
61. ZUPPA DI LENTICCHIE
Se Esaù vendé la primogenitura per un piatto di lenticchie, bisogna dire che il
loro uso, come alimento, è antichissimo, e che egli o n'era ghiotto all'eccesso
o soffriva di bulimia. A me sembra che il sapore delle lenticchie sia più
delicato di quello de' fagiuoli in genere, e che, quanto a minaccia di
bombardite, esse sieno meno pericolose dei fagiuoli comuni ed eguali a quelli
dall'occhio.
Questa zuppa potete farla nella stessa guisa della zuppa di fagiuoli; però la
broda delle lenticchie e dei fagiuoli dall'occhio si presta bene anche per una
minestra di riso, che si prepara e si condisce nello stesso modo; soltanto
bisogna tener la broda più sciolta perché il riso ne tira molta. Per regolarvi
meglio circa alla densità, aspettate che il riso sia cotto per aggiungere nella
broda la quantità che occorre di lenticchie passate.
62. ZUPPA DI MAGRO COLLE TELLINE
Regolatevi come per il risotto colle telline n. 72.
Due spicchi d'aglio e il quarto di una cipolla potranno bastare se trattasi di
una quantità sufficiente a sette od otto persone, e senza bisogno di ricorrere a
burro e parmigiano sentirete una zuppa eccellente, se saprete tirar bene il
soffritto. Il pane arrostitelo a fette che taglierete a dadi. Anche qui ci sta
bene qualche pezzetto di funghi secchi.
63. SPAGHETTI CON LE TELLINE
Poiché si sentono ricordare spesso, come minestra asciutta di magro, anche gli
spaghetti con le telline, mi converrà indicarveli, sebbene, a gusto mio, sia da
preferirsi il riso. Se vi piace provarli, tritateli minuti per poterli portare
alla bocca col cucchiaio e servitevi della ricetta n. 72 cuocendoli nell'acqua
dove sono state schiuse le telline. Scolate l'acqua superflua, conditeli con
quell'intingolo unito ad alquanto burro e parmigiano.
64. ZUPPA DI RANOCCHI
Certi usi del mercato di Firenze non mi vanno. Quando vi nettano i ranocchi, se
non ci badate, gettano via le uova che sono le migliori. Le anguille si
spellano. Le coscie e le lombate di castrato si vogliono vendere intere. Delle
interiora del maiale si serba il fegato e la rete; di quelle della vitella di
latte, il fegato e le animelle; il resto, compreso il polmone che, essendo
tenero potrebbe servire, come in altri paesi, a fritto misto, si cede ai
frattagliai che ordinariamente vendono queste frattaglie ai brodai. Forse in
mano loro cascherà anche la così detta trippa di vitella di latte non avendola
mai vista su quel mercato; ma essa in Romagna si dà per giunta, e al tempo dei
piselli, messa arrosto morto con un pezzo di lombata, riesce tanto buona da
preferirsi a questa.
Avanti di descrivervi la zuppa di ranocchi voglio dirvi qualche cosa di questo
anfibio dell'ordine de' batraci (rana esculenta), perché, veramente, merita di
essere notata la metamorfosi ch'esso subisce. Nel primo periodo della loro
esistenza si vedono i ranocchi guizzare nelle acque in figura di un pesciolino
tutto testa e coda che gli zoologi chiamano girino. Come i pesci, respira per
branchie prima esterne, in forma di due pennacchietti, poscia interne, e
nutrendosi in questo stato di vegetali ha l'intestino come quello di tutti gli
erbivori, comparativamente ai carnivori, assai più lungo. A un certo punto del
suo sviluppo, circa a due mesi dalla nascita, perde, per riassorbimento, la
coda, sostituisce alle branchie i polmoni e mandando fuori gli arti, cioè le
quattro zampe che prima non apparivano, si trasforma completamente e diventa una
rana. Nutrendosi allora di sostanze animali, ossia di insetti, l'intestino si
accorcia per adattarsi a questa sorta di cibo. È dunque erronea l'opinione
volgare che i ranocchi siano più grassi nel mese di maggio perché mangiano il
grano.
Gli anfibi tutti, i rospi compresi, sono a torto perseguitati dal volgo essendo
essi di grande utilità all'agricoltura, agli orti e ai giardini in ispecie, per
la distruzione de' vermi, delle lumache e de' tanti insetti di cui si cibano. La
pelle del rospo e della salamandra trasuda, è vero, un umore acre e velenoso; ma
in sì piccola dose rispetto alla mucosità a cui si unisce, che non può recare
nessun nocumento. Ed è appunto per questa mucosità, che la salamandra secerne in
gran copia, che la medesima, potendo reggere per qualche istante all'ardore del
fuoco, diede origine alla favola che tale anfibio sia dotato della virtù di
restare incolume in mezzo alle fiamme.
Il brodo dei ranocchi essendo rinfrescante e dolcificante viene raccomandato
nelle malattie di petto, nelle infiammazioni lente degl'intestini ed è
opportunamente usato sul finire delle malattie infiammatorie e in tutti quei
casi in cui l'infermo ha bisogno di un nutrimento non stimolante.
Le carni bianche, come quelle dei ranocchi, agnelli, capretti, pollastri,
fagiani, ecc., essendo povere di fibrina e ricche di albumina, convengono alle
persone di apparecchio digestivo delicato e molto impressionabili e a chi non
affatica i muscoli col lavoro materiale.
Ma veniamo alla zuppa di ranocchi: due dozzine di ranocchi, se sono grossi,
potrebbero forse bastare per quattro o cinque persone, ma meglio è abbondare.
Levate loro le coscie e mettetele da parte. Fate un battuto abbondante con due
spicchi d'aglio, prezzemolo, carota, sedano e basilico se vi piace: se avete in
orrore l'aglio, servitevi di cipolla. Mettetelo al fuoco con sale, pepe e olio a
buona misura e quando l'aglio comincia a prender colore gettate giù i ranocchi.
Rimoveteli di quando in quando onde non s'attacchino, e, tirato che abbiano
buona parte dell'umido, buttate dentro pomodori a pezzi o, mancando questi,
conserva allungata coll'acqua. Fate bollire ancora, e per ultima versate l'acqua
occorrente per bagnare la zuppa, tenendo il tutto sul fuoco fin tanto che i
ranocchi sieno cotti e disfatti. Allora passate ogni cosa dal lo staccio,
premendo bene onde non restino che le ossicine. Mettete a bollire le coscie,
lasciate addietro, in un poco di questo brodo passato e disossatele quando
saranno cotte per mescolarle nella zuppa insieme con pezzetti di funghi secchi
fatti rammollire. Il pane arrostitelo a fette che taglierete a dadi piuttosto
grossi.
65. ZUPPA COL BRODO DI MUGGINE
Uno dei pesci che meglio si presta per ottenere un buon brodo è il muggine che
nell'Adriatico comincia ad essere bello e grasso nell'agosto e raggiunge colà il
peso di oltre due chilogrammi. In mancanza di questo può servire l'ombrina, il
ragno ed il rospo le cui carni, se non daranno il brodo saporito del muggine,
saranno in compenso di qualità più fine e più digeribile.
Se trattasi di una zuppa per sette od otto persone prendete un muggine, ossia
una baldigara (come chiamasi in alcuni paesi di mare), del peso di un
chilogrammo almeno, raschiategli via le squame, vuotatelo e lessatelo con acqua
in proporzione.
Fate un battuto alquanto generoso con cipolla, aglio, prezzemolo, carota, sedano
e mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe. Quando avrà preso colore fermatelo
con sugo di pomodoro e fatelo bollire col brodo del pesce.
Poi questo brodo colatelo e con un po’ del medesimo cuocete una piccola quantità
di sedano, carota e funghi secchi, che servono per dare odore, il tutto tagliato
a pezzetti.
Il pane per la zuppa arrostitelo e tagliatelo a dadi, poi mettetelo nella
zuppiera e versateci sopra il brodo bollente insieme coi detti odori, servendola
in tavola con parmigiano a parte.
La famiglia delle mugginidee ha lo stomaco a forti pareti muscolari a
simiglianza del ventriglio degli uccelli, e il rospo di mare, Lofus pescatorius,
della famiglia delle lofidee, con una pinna inargentata e movibile del capo
attira i piccoli pesci per divorarli. Chiamasi in alcuni luoghi volgarmente
grattale ed è anch'esso in pregio pel brodo da bagnare la zuppa.
66. ZUPPA ALLA CERTOSINA
Grammi 500 di pesce minuto di diverse specie potranno bastare per una zuppa da
servirsi a quattro o cinque persone.
Fate un battuto con un quarto di cipolla, prezzemolo e sedano; mettetelo al
fuoco con olio, e colorito che sia, versateci il pesce, bagnandolo quando è
asciutto con acqua, sugo di pomodoro o conserva; sale e pepe per condimento.
Lasciatelo cuocer bene e poi versate l'acqua occorrente per la zuppa: un litro o
poco più fra prima e dopo potrà bastare. Passate il tutto dallo staccio o da un
colino, strizzando bene, e rimettetelo al fuoco per fargli alzare il bollore e
per versarlo adagio adagio nella zuppiera, ove avrete disfatte avanti due uova
con tre cucchiaiate di parmigiano. Prima di mandare la zuppa in tavola,
gettateci il pane, il quale, a piccoli dadi, può essere soltanto arrostito,
oppure fritto nell'unto che più vi aggrada: burro, olio o lardo. Le uova col
parmigiano, se non vi dispiace di vederle rapprese a stracci, si possono anche
frullare a parte e versarle nella pentola, mescolandole fortemente, quando il
brodo è a bollore.
Si dice che il Granduca di Toscana, avendo trovata eccellente questa zuppa in un
convento di frati, mandò colà il suo cuoco ad impararla; ma il cuoco, benché
molto abile fosse, non riusciva a farla buona come quella dei frati, perché
questi non volevano far sapere al Granduca che usavano il brodo di cappone
invece dell'acqua.
67. PASTINE O CAPELLINI SUL BRODO DI OMBRINA
L'ombrina, per essere un pesce de' più fini, lessata naturalmente, cioè senza
odori di sorta, vi somministra un brodo che, quasi come quello di carne, si
presta per una minestra leggiera di magro.
Le seguenti dosi saranno sufficienti per tre persone e forse anche per quattro.
Ombrina, grammi 500.
Pastine o capellini, grammi 120.
Burro, grammi 30.
Acqua, un litro.
Mettete al fuoco l'ombrina nella detta acqua diaccia, e salatela. Quando è cotta
passate il brodo dal colino ed in esso cuocete la minestra aggraziandola col
sugo di pomodoro per occultare il puzzo del pesce; indi versatela nella zuppiera
ove avrete collocato il pezzo del burro. Servitela con parmigiano a parte come
si usa per le minestre di grasso.
68. ZUPPA DI PURÈ DI PISELLI SECCHI
Dato che i piselli siano mezzo litro metteteli al fuoco in due litri d'acqua e
frattanto fate un soffritto con mezza cipolla, una carota, due pezzi di sedano
lunghi un dito e qualche gambo di aneto, se lo avete, e, tritato il tutto,
mettetelo al fuoco con un pezzo di burro e fategli prendere il rosso. Versate
allora i piselli mezzo cotti e scolati dall'acqua conditeli con sale e pepe e
fate loro suzzare tutto il soffritto, poi versate sugo di pomodoro e l'acqua
degli stessi piselli per tirarli a cottura. Passate ogni cosa per istaccio e, se
il purè riescisse troppo denso, aggiungete acqua calda; assaggiatelo per
aggiungere un altro pezzetto di burro che probabilmente occorre. Il pane
tagliatelo a quadrettini e friggetelo nel burro.
Se vi porrete attenzione sentirete una minestra che sembra fatta sul brodo.
Questa dose potrà servire per dieci o dodici persone.
69. TAGLIATELLE COL PROSCIUTTO
Le chiamo tagliatelle, perché dovendo esser cotte nell'acqua e condite asciutte,
va tirata la sfoglia alquanto più grossa e tagliata a striscie più larghe dei
taglierini. Si tratta sempre di un impasto d'uova e farina, senza punta acqua se
le desiderate ben sode e buone.
Tagliate a piccoli dadi una fetta grossa di prosciutto grasso e magro: tritate
bene sedano e carota in tal quantità che ambedue facciano il volume del
prosciutto all'incirca. Ponete al fuoco queste tre cose insieme, con un pezzo di
burro proporzionato al condimento delle tagliatelle. Quando il battuto avrà
preso colore, aggiungete sugo di pomodoro oppure conserva, ma con questa occorre
un ramaiolino di brodo o, mancando questo, di acqua.
Le tagliatelle cuocetele poco e salatele pochissimo a motivo del prosciutto:
levatele asciutte, conditele col detto intingolo e con parmigiano.
Al tempo delle salsicce potete sostituirle, bene sminuzzate al prosciutto,
trattandole nella stessa guisa.
Chi ama il gusto del burro crudo ne serbi la metà per metterlo nell'intingolo
quando lo ritira dal fuoco.
Anche gli spaghetti sono buoni conditi con le salsicce nella stessa maniera.
70. TAGLIATELLE VERDI
Si usano per minestra asciutta e sono più leggiere e più digeribili di quelle
intrise di tutte uova. Per dar loro il color verde cuocete spinaci lessi,
strizzateli bene e tritateli colla lunetta. Con due uova e un pugno di questi
spinaci intridete sulla spianatoia quanta farina potete per ottenere una pasta
ben soda che lavorerete molto colle mani. Poi, col matterello, tiratela a
sfoglia sottile e quando dà cenno d'appiccicarsi, a motivo dell'erba che produce
viscosità, spruzzatela leggermente di farina. Avvolgete la sfoglia in un
canovaccio, e quando sarà asciutta tagliatela alquanto più larga de' taglierini
da brodo, avvertendo che il bello di tali paste è la loro lunghezza il che
indica l'abilità di chi le fece. Appena alzato il bollore levatele asciutte e
conditele come gli spaghetti alla rustica n. 104, oppure come i maccheroni o le
tagliatelle dei n. 87 e 69; o semplicemente con cacio e burro.
Questa dose potrà bastare per quattro o cinque persone.
71. TAGLIATELLE ALL’USO DI ROMAGNA
Conti corti e tagliatelle lunghe, dicono i Bolognesi, e dicono bene, perché i
conti lunghi spaventano i poveri mariti e le tagliatelle corte attestano
l'imperizia di chi le fece e, servite in tal modo, sembrano un avanzo di cucina;
perciò non approvo l'uso invalso, per uniformarsi al gusto degli stranieri, di
triturare minutissimi nel brodo i capellini, i taglierini, e minestre consimili
le quali per essere speciali all'Italia, debbono serbare il carattere della
nazione.
Fate la sfoglia e tagliatela come quella del n. 69. Cuocetele poco, scolatele
bene dall'acqua e mettetele in una cazzaruola sopra al fuoco per un momento,
onde far loro prendere il condimento che è quello degli spaghetti alla rustica
n. 104; più un pezzo di burro proporzionato alla quantità della minestra.
Mescolate adagino e servitele. A parer mio questa è una minestra molto gustosa,
ma per ben digerirla ci vuole un'aria come quella di Romagna. Mi ricordo che
viaggiai una volta con certi Fiorentini (un vecchietto sdentato, un uomo di
mezza età e un giovine avvocato) che andavano a prender possesso di una eredità
a Modigliana. Smontammo a una locanda che si può immaginare qual fosse, in quel
luogo, quaranta e più anni sono. L'oste non ci dava per minestra che
tagliatelle, e per principio della coppa di maiale, la quale, benché dura assai
ed ingrata, bisognava vedere come il vecchietto si affaticava per roderla. Era
però tale l'appetito di lui e degli altri che quella e tutto il resto pareva
molto buono, anzi eccellente; e li sentii più volte esclamare: - Oh se potessimo
portarci con noi di quest'aria a Firenze! -
Poiché siamo in questi paraggi, permettetemi vi racconti che dimorava a Firenze,
al tempo che correvano i francesconi, un conte di Romagna, il quale, facendo il
paio col marchese di Forlimpopoli del Goldoni, aveva molta boria, pochi
quattrini e uno stomaco a prova di bomba. Eran tempi in cui si viveva con poco a
Firenze, che fra le città capitali, andava famosa per buon mercato. C'erano
parecchie trattorie coll'ordinario di minestra, tre piatti a scelta, frutta o
dolce, pane e vino per una lira toscana (84 centesimi). Quelle porzioni, benché
piccole, pure sfamavano chiunque non fosse allupato, e frequentavano tali
trattorie anche i signori; ma il conte in queste non si degnava. Che industria
credete ch'egli avesse trovato per figurare e spender poco? Andava un giorno sì
e un giorno no alla tavola rotonda di uno de' principali alberghi ove con mezzo
francescone (lire 2,80), il trattamento era lautissimo, e là, tirando giù a
strame, s'impinzava lo stomaco per due giorni facendo dieta in casa, il secondo,
con pane, cacio ed affettato. Siavi di esempio e di ricetta.
72. RISOTTO COLLE TELLINE
Noto questo risotto nelle proporzioni che è stato fatto più volte nella mia
cucina, e cioè:
Telline col guscio, chilogrammi 1,350.
Riso, grammi 500.
Per levare la sabbia che le telline racchiudono, lavatele prima, poi ponetele in
acqua fresca salata, o meglio, acqua di mare, in un catino con un piatto
rovesciato sotto alle medesime, e dopo due ore almeno, levatele asciutte e
mettetele al fuoco con acqua in proporzione del riso da cuocere. Quando saranno
aperte, levatene i gusci e serbate l'acqua, ma badate che in fondo alla medesima
si sarà formata una qualche posatura di sabbia che va gettata via.
Fate un soffritto con olio, aglio, poca cipolla, prezzemolo, carota e sedano, il
tutto tritato finissimo colla lunetta, e quando sarà rosolato bene, gettatevi le
telline tolte dal guscio, qualche pezzetto di funghi secchi rinvenuti, una presa
di pepe e un po' di quell'acqua serbata. Dopo qualche minuto gettate il riso in
questo intingolo e tiratelo a cottura soda col resto dell'acqua suddetta.
Assaggiatelo se sta bene di sapore col solo sale naturale delle telline e dei
condimenti datigli; se non fosse così, aggiungeteglielo con sugo di pomodoro o
conserva, ed anche con un pezzetto di burro e un pizzico di parmigiano.
Alle telline si possono sostituire le arselle o i peocci (cozze nere, muscoli)
come a Venezia, nelle cui trattorie se il riso co' peocci (specialità del paese)
fosse cucinato in questa maniera, sarebbe assai più gradito. Per conservare
alcun poco i molluschi a conchiglia bivalve, vanno tenuti in luogo fresco,
legati assai stretti in un sacchetto o in un canovaccio. D'inverno ho così
conservate fresche le telline fino a sei giorni, ma non è da azzardare perché i
molluschi riescono molto indigesti se non sono freschi.
73. RISOTTO COLLE TINCHE
Non vi spaventate nel sentire che le tinche possono prestarsi per una buona
minestra, la quale saprà naturalmente di pesce e riuscirà un po' grave agli
stomachi deboli; ma sarà grata al gusto, e fors'anche lodata, se avrete la
prudenza di non nominare la specie del pesce usato.
Ecco le dosi di una minestra per sei o sette persone:
Riso, grammi 500;
Tinche, circa grammi 400.
Fate un battuto con due spicchi d'aglio, un pizzico di prezzemolo, qualche
foglia di basilico, se vi piace il suo odore, una grossa carota e due pezzi di
sedano bianco lunghi un palmo. Mettetelo al fuoco in una cazzaruola con olio,
sale e pepe, aggiungendovi in pari tempo le tinche già sbuzzate e tagliate a
pezzi, le teste comprese. Voltatele spesso onde non si attacchino al fondo, e
quando saranno ben rosolate cominciate a bagnarle prima con sugo di pomodoro o
conserva, poi con acqua versata a poco per volta in principio e in ultimo, in
quantità tale da cuocere il riso, ma tenendovi piuttosto scarsi che abbondanti.
Fate bollire finché le tinche non sieno spappolate, e allora passate dallo
staccio ogni cosa, in modo che non restino se non le lische e gli ossicini.
Questo è il sugo che servirà per cuocere il riso, tirandolo asciutto e di giusta
cottura. Per aggraziarlo potete aggiungere qualche pezzetto di funghi secchi e
un pezzetto di burro e poi servirlo in tavola con parmigiano grattato per chi lo
vuole.
Al tempo dei piselli questi sono da preferirsi ai funghi; grammi 200, sgranati,
bastano. Cuoceteli a parte con un po' d'olio, un po' di burro e una cipolla
novellina intera. Versate i piselli quando la cipolla comincia a rosolare,
fateli soffriggere alquanto, conditeli con sale e pepe e tirateli a cottura con
poca acqua. La cipolla gettatela via e mescolate i piselli col riso quando
questo sarà quasi cotto.
74. RISOTTO NERO COLLE SEPPIE ALLA FIORENTINA
Questo invertebrato (Sepia officinalis) dell'ordine dei molluschi e della
famiglia dei cefalopodi è chiamato calamaio in Firenze, forse perché (formando
spesso la bella lingua toscana i sui vocaboli colle similitudini) esso racchiude
nel suo sacco una vescichetta, che la natura gli ha dato a difesa, contenente un
liquido nero che può servire da inchiostro.
I Toscani, i Fiorentini in ispecie, sono così vaghi degli ortaggi, che
vorrebbero cacciarli per tutto e per conseguenza in questo piatto mettono la
bietola che, mi pare, ci stia come il pancotto nel credo. Questo eccessivo uso
di vegetali non vorrei fosse una, e non ultima, delle cagioni della flaccida
costituzione di alcune classi di persone, che, durante l'influenza di qualche
malore, mal potendo reggerne l'urto, si vedono cadere fitte come le foglie nel
tardo autunno.
Spellate e sparate le seppie per nettarle delle parti inservibili che sono
l'osso, l'apparato della bocca, gli occhi e il tubo digerente; mettete da parte
la vescichetta dell'inchiostro, e dopo averle lavate bene tagliatele a
quadrettino e le code a pezzetti.
Tritate minutamente due cipolle non grandi, o meglio una sola e due spicchi
d'aglio, e ponetele al fuoco in una cazzaruola con olio finissimo e in
abbondanza. Quando il soffritto avrà preso il rosso buttateci le seppie ed
aspettate che queste, bollendo, comincino a divenir gialle per gettarvi grammi
600 circa di bietola, netta dalle costole più grosse e tritata alquanto.
Mescolate e lasciate bollire per circa mezz'ora; poi versate grammi 600 di riso
(che sarà il peso delle seppie in natura) e il loro inchiostro e, quando il riso
si sarà bene impregnato di quel sugo, tiratelo a cottura con acqua calda. Il
riso, per regola generale, dev'essere poco cotto, e quando si dice asciutto deve
far la colma sul vassoio in cui lo servite. Accompagnatelo sempre col parmigiano
grattato; ma se avete lo stomaco delicato astenetevi dal farne uso, quando è
cucinato con questi e simili ingredienti di non facile digestione.
Ora v'indicherò un'altra maniera di fare questo risotto per scegliere fra i due
quello che più vi aggrada. Niente bietola, niente inchiostro, e quando le
seppie, come si è detto, cominciano a prendere il giallo, versate il riso e
tiratelo a cottura con acqua calda e sugo di pomodoro o conserva, dandogli più
grazia e sapore con un pezzetto di burro; quando è quasi cotto unite del
parmigiano.
Se lo volete ancora migliore aggiungete a due terzi di cottura, i piselli
accennati nel risotto colle tinche.
75. RISOTTO COI PISELLI
Il riso! Ecco giusto un alimento ingrassante che i Turchi somministrano alle
loro donne onde facciano, come direbbe un illustre professore a tutti noto, i
cuscinetti adiposi.
Riso, grammi 500.
Burro, grammi 100.
Parmigiano, quanto basta.
Una cipolla di mediocre grossezza
Il riso, come già vi ho detto altra volta, non conviene lavarlo; basta nettarlo
e strofinarlo entro a un canovaccio. Trinciate la cipolla ben fine colla lunetta
e mettetela al fuoco colla metà del burro. Quando avrà preso il colore rosso
versate il riso e rimuovetelo continuamente col mestolo finché abbia succhiato
tutto il soffritto. Allora cominciate a versar acqua calda a un ramaiuolo per
volta, ma badate che se bolle troppo ristretto, resta duro nel centro e si
sfarina alla superficie; salatelo e tiratelo a cottura asciutta, aggiungendo il
resto del burro. Prima di levarlo dal fuoco, unitevi i piselli del n. 427 in
giusta proporzione e dategli sapore con un buon pugno di parmigiano.
Questa dose basterà per cinque persone.
76. RISOTTO COI FUNGHI
Per questo risotto io mi servo dei funghi porcini, i quali in alcuni paesi
chiamansi morecci.
Funghi in natura, perché vanno poi nettati e scattivati, metà peso del riso.
Fate un battuto con poca cipolla, prezzemolo, sedano, carota e mettetelo al
fuoco con tre cucchiaiate d'olio, se il riso fosse grammi 300, da servirsi cioè
a tre persone. Quando il battuto avrà preso colore, fermatelo con sugo di
pomodoro e acqua, conditelo con sale e pepe e fatevi bollir dentro uno spicchio
d'aglio intero, che poi getterete via prima di passare il soffritto, il quale
rimetterete al fuoco, per cuocervi i funghi, prima tritati alla grossezza poco
meno del granturco; cotti che sieno metteteli da parte. Il riso fatelo, così
crudo, soffriggere con un pezzo di burro, poi tirate a cuocerlo con acqua calda
versata a un ramaiuolo per volta; a mezza cottura mescolateci dentro i funghi e
prima di servirlo dategli sapore col parmigiano.
Sarà mangiato volentieri anche fatto con un pugno di funghi secchi invece di
quelli freschi.
77. RISOTTO COI POMODORI
Riso, grammi 500.
Burro, grammi 100.
Parmigiano, quanto basta.
Versate il riso sul burro strutto e quando l'avrà succhiato cominciate ad
aggiungere acqua calda, poca per volta; poi, giunto a mezza cottura, dategli
sapore colla salsa di pomodoro del n. 125 e prima di levarlo dal fuoco
aggiungete un buon pugno di parmigiano grattato. Nella detta salsa, per condire
il risotto, potete, piacendovi, sostituire all'olio la carnesecca, od anche
servirvi del sugo di pomodoro descritto al n. 6.
78. RISOTTO ALLA MILANESE I
Riso, grammi 500.
Burro, grammi 80.
Zafferano, quanto basta a renderlo ben giallo.
Mezza cipolla di mediocre grossezza.
Per la cottura regolatevi come al n. 75.
Per rendere questo risotto più sostanzioso e più grato al gusto occorre il
brodo.
Lo zafferano, se in casa avete un mortaio di bronzo, comperatelo in natura,
pestatelo fine e scioglietelo in un gocciolo di brodo caldo prima di gettarlo
nel riso, che servirete con parmigiano.
Lo zafferano ha un'azione eccitante, stimola l'appetito e promuove la
digestione. Questa quantità può bastare per cinque persone.
79. RISOTTO ALLA MILANESE II
Questo risotto è più complicato e più grave allo stomaco di quello precedente,
ma più saporito.
Eccovi la dose per cinque persone.
Riso, grammi 500.
Burro, grammi 80.
Midollo di bue, grammi 40
Mezza cipolla.
Vino bianco buono, due terzi di bicchiere.
Zafferano, quanto basta.
Parmigiano, idem.
Tritate la cipolla e mettetela al fuoco col midollo e con la metà del burro.
Quando sarà ben rosolata versate il riso e dopo qualche minuto aggiungete il
vino e tiratelo a cottura col brodo. Prima di ritirarlo dal fuoco aggraziatelo
con l'altra metà del burro e col parmigiano e mandatelo in tavola con altro
parmigiano a parte.
80. RISOTTO ALLA MILANESE III
Potete scegliere! Eccovi un altro risotto alla milanese; ma senza la pretensione
di prender la mano ai cuochi ambrosiani, dotti e ingegnosi in questa materia.
Riso, grammi 300.
Burro, grammi 50.
Un quarto di cipolla mezzana di grandezza.
Marsala, due dita di bicchiere comune.
Zafferano, quanto basta.
Rosolate la cipolla, tritata fine, con la metà del burro; versate il riso e dopo
qualche minuto la marsala. Tiratelo a cottura col brodo e quando sarà cotto
aggiungete il resto del burro e lo zafferano sciolto in un poco di brodo; per
ultimo il pugnello di parmigiano.
Basta per tre persone.
81. RISOTTO COI RANOCCHI
Dice un famoso cuoco che per render tenera la carne dei ranocchi bisogna
gettarli nell’acqua calda appena scorticati e dopo passarli in quella fresca: ma
badate, appena mezzo minuto, se no li cuocete. Se sono grossi, dodici ranocchi
ritengo che basteranno per grammi 300 di riso. Lasciate addietro le coscie; le
uova, in questo caso, direi fosse meglio non adoperarle. Fate un battuto con un
quarto di una grossa cipolla, uno spicchio d’aglio, carota, sedano, prezzemolo,
basilico e mettetelo al fuoco con olio, pepe e sale. Allorché avrà preso colore
buttate giù i ranocchi, rimestate a quando a quando e rosolati che sieno buttate
dentro pomodori a pezzi, che lascerete disfare; allora versate tanta acqua calda
quanta potrà occorrerne. Fate bollire adagio finché i ranocchi siano ben cotti e
poi passate ogni cosa strizzando bene. In un po’ di questo sugo cuocete le
coscie lasciate da parte, disossatele ed unitele al resto.
Mettete il riso al fuoco con un pezzetto di burro, rimestate, e quando il burro
sarà stato tutto suzzato, versate il sugo caldo dei ranocchi a un ramaiuolo per
volta fino a cottura completa. Prima di levare il riso gettategli dentro un
pugno di parmigiano e servitelo.
82. RISOTTO COI GAMBERI
Si racconta che una gamberessa, rimproverando un giorno la sua figliuola, le
diceva: - Mio Dio, come vai torta! Non puoi camminare diritta? - E voi, mamma,
come camminate? - rispose la figliuola; - posso andar diritta quando qui, tutti,
vedo che vanno storti? - La figliuola aveva ragione.
Grammi 300 circa di gamberi potranno bastare per grammi 700 di riso e servire
per otto persone.
Fate un battuto abbondante con mezza cipolla, tre spicchi d'aglio, carota,
sedano e prezzemolo e mettetelo al fuoco con olio in proporzione. Credo che
l'aglio, in questo caso, sia necessario per correggere il dolce dei gamberi.
Quando il soffritto avrà preso colore buttategli dentro i gamberi e conditeli
con sale e pepe. Rivoltateli spesso e quando tutti saranno divenuti rossi,
bagnateli con sugo di pomodoro o conserva e poco dopo versate tanta acqua calda
che possa bastare pel riso. Lasciate bollire non tanto, perocché i gamberi
cuociono presto, poi levateli asciutti e una quarta parte, scegliendo i più
grossi, sbucciateli e metteteli da parte. Gli altri pestateli nel mortaio,
passateli dallo staccio e la polpa passata mescolatela al brodo dove sono stati
cotti.
Mettete al fuoco un pezzetto di burro in una cazzaruola e versatevi il riso
nettato senza lavarlo; rimestate continuamente e quando il riso avrà preso il
lustro del burro versate il brodo caldo a poco per volta; a più di mezza cottura
uniteci i gamberi interi, già sbucciati, e prima di servirlo dategli grazia con
un pugno di parmigiano.
Se, quando fate questi risotti di magro, avete in serbo del brodo di carne,
servitevene ché con esso riusciranno più sostanziosi e più delicati.
83. RISOTTO COL BRODO DI PESCE
Quando avrete lessato un pesce di qualità fina od anche un grosso muggine nel
modo descritto al n. 459, potrete servirvi del brodo colato per ottenerne un
risotto, o una zuppa. Fate un battuto con un quarto di cipolla, uno o due
spicchi d'aglio, prezzemolo, carota e sedano e mettetelo al fuoco con olio, sale
e pepe. Quando avrà preso colore fermatelo con sugo di pomodoro o conserva
sciolta in un ramaiuolo del detto brodo. Lasciate bollire un poco e poi versate
il riso che tirerete a cottura con lo stesso brodo bollente, versato poco per
volta. A mezza cottura aggiungete un pezzo di burro, e quando il riso è cotto,
un pugnello di parmigiano. Nella zuppa potete unire un pizzico di funghi secchi
e il parmigiano servirlo a parte.
84. MACCHERONI ALLA FRANCESE
Li dico alla francese perché li trovai in un trattato culinario di quella
nazione; ma come pur troppo accade con certe ricette stampate, che non
corrispondono quasi mai alla pratica, ho dovuto modificare le dosi nelle
seguenti proporzioni:
Maccheroni lunghi alla napoletana, grammi 300.
Burro, grammi 70.
Gruiera, grammi 70.
Parmigiano, grammi 40.
Un pentolino di brodo.
Date due terzi di cottura ai maccheroni in acqua non troppo salata. Mettete il
brodo al fuoco e quando bolle gettateci il gruiera grattato e il burro per
scioglierli bene col mestolo; ciò ottenuto, versatelo subito sui maccheroni già
sgrondati dall'acqua e dico subito, perché altrimenti il gruiera cala a fondo e
si appasta. Tenete i maccheroni al fuoco fino a cottura completa procurando che
resti un po' di sugo. Quando li levate, conditeli col suddetto parmigiano e
serviteli con altro parmigiano a parte, per chi, non avendo il gusto al
delicato, ama il piccante.
Questa, come i maccheroni alla bolognese, è una minestra che fa molto comodo
nelle famiglie, perché risparmia il lesso, bastando un pentolino di brodo del
giorno avanti. Volendoli di magro, al brodo si sostituisca il latte.
Il gruiera, conosciuto in commercio anche col nome di emmenthal, è quel cacio a
forme grandissime, di pasta tenera, gialla e bucherellata. Alcuni non amano il
suo odore speciale che sa di ribollito; ma fo riflettere che questo odore nella
stagione fredda è poco sensibile e che nella minestra si avverte appena.
85. MACCHERONI ALLA NAPOLETANA
Ve li garantisco genuini e provati colla scorta di una ricetta che mi sono
procurato da una famiglia di Santa Maria Capua Vetere; vi dirò anche di essere
stato lungo tempo incerto avanti di metterla in esecuzione non persuadendomi
troppo quel guazzabuglio di condimenti. A dir vero questi maccheroni non riescon
cattivi, anzi possono incontrare il gusto di chi non è esclusivista del
semplice.
Prendete un pezzo di carne nel lucertolo e steccatelo con fettine di prosciutto
grasso e magro, zibibbo, pinoli e con un battutino di lardone, aglio,
prezzemolo, sale e pepe. Accomodata la carne in questa maniera, e legata collo
spago per tenerla più unita, ponetela al fuoco con un battuto di lardone e
cipolla finemente tritata; rivoltatela spesso e bucatela a quando a quando col
lardatoio. Rosolata che sia la carne e consumato il battuto, aggiungetevi tre o
quattro pezzi di pomodoro sbucciati e quando questi siano distrutti, unitevi, a
poco per volta, del sugo di pomodoro passato. Aspettate che questo siasi
alquanto ristretto, poi versate tanta acqua che copra il pezzo, condite con sale
e pepe e fate bollire a fuoco lento. in mancanza di pomodori freschi servitevi
di conserva. Col sugo e con formaggio piccante, come usano i Napoletani, si
condiscono i maccheroni, e la carne serve di companatico.
Quanto ai maccheroni, insegnano di farli bollire in un recipiente largo, con
molt'acqua, e di non cuocerli troppo.
86. MACCHERONI ALLA NAPOLETANA
Sono molto più semplici de' precedenti e buoni tanto che vi consiglio a
provarli.
Per grammi 300 di maccheroni lunghi, che sono sufficienti per tre persone,
mettete a soffriggere in un tegame o in una cazzaruola due grosse fette di
cipolla con grammi 30 di burro e due cucchiaiate d'olio. Quando la cipolla, che
bollendo naturalmente si sfalda, sarà ben rosolata, strizzatela col mestolo e
gettatela via. In quell'unto a bollore versate grammi 500 di pomodori e un buon
pizzico di basilico tritato all'ingrosso; condite con sale e pepe, ma i pomodori
preparateli avanti perché vanno sbucciati, tagliati a pezzi e nettati dai semi
più che si può, non facendo difetto se ve ne restano.
Col sugo condensato, con grammi 50 di burro crudo e parmigiano, condite i
maccheroni e mandateli in tavola, che saranno aggraditi specialmente da chi nel
sugo di pomodoro ci nuoterebbe dentro.
Invece dei maccheroni lunghi, possono servire le penne, anzi queste prenderanno
meglio il condimento.
87. MACCHERONI ALLA BOLOGNESE
I Bolognesi, per questa minestra, fanno uso dei così detti denti di cavallo di
mezzana grandezza, e questa pare anche a me la forma che meglio si presta, se
cucinati in tal modo; avvertite però che siano di sfoglia alquanto grossa, onde
nel bollire non si schiaccino; al qual difetto poco si bada in Toscana ove per
la predilezione che sempre si dà ai cibi leggeri vengono fabbricate certe
qualità di paste così dette gentili, a buco largo e a pareti tanto sottili che
non reggono punto alla cottura e si schiacciano bollendo, il che fa disgusto a
vederle non che a mangiarle.
Come ognuno sa, le migliori paste da minestra sono quelle di grano duro, che si
fanno distinguere pel colore naturale di cera. Diffidate di quelle gialle, di
cui si tenta mascherare l'origine ordinaria di grano comune, per mezzo di una
tinta artificiale, che una volta era data almeno con sostanze innocue, quali lo
zafferano o il croco.
Le seguenti proporzioni sono approssimative per condire grammi 500 e più di
minestra:
Carne magra di vitella (meglio se nel filetto), gr. 150.
Carnesecca, grammi 50.
Burro, grammi 40.
Un quarto di una cipolla comune.
Una mezza carota.
Due costole di sedano bianco lunghe un palmo, oppure l'odore del sedano verde.
Un pizzico di farina, ma scarso assai.
Un pentolino di brodo.
Sale pochissimo o punto, a motivo della carnesecca e del brodo che sono
saporiti.
Pepe e, a chi piace, l'odore della noce moscata.
Tagliate la carne a piccoli dadi, tritate fine colla lunetta la carnesecca, la
cipolla e gli odori, poi mettete al fuoco ogni cosa insieme, compreso il burro,
e quando la carne avrà preso colore aggiungete il pizzico della farina, bagnando
col brodo fino a cottura intera.
Scolate bene i maccheroni dall'acqua e conditeli col parmigiano e con questo
intingolo, il quale si può rendere anche più grato o con dei pezzetti di funghi
secchi o con qualche fettina di tartufi, o con un fegatino cotto fra la carne e
tagliato a pezzetti; unite, infine, quando è fatto l'intingolo, se volete
renderli anche più delicati, mezzo bicchiere di panna; in ogni modo è bene che i
maccheroni vengano in tavola non asciutti arrabbiati, ma diguazzanti in un poco
di sugo.
Trattandosi di paste asciutte, qui viene a proposito una osservazione, e cioè
che queste minestre è bene cuocerle poco; ma badiamo, modus in rebus. Se le
paste si sentono durettine, riescono più grate al gusto e si digeriscono meglio.
Sembra questo un paradosso, ma pure è così, perché la minestra troppo cotta,
masticandosi poco, scende compatta a pesar sullo stomaco e vi fa palla, mentre
se ha bisogno di essere triturata, la masticazione produce saliva e questa
contiene un fermento detto ptialina che serve a convertire l'amido o la fecola
in zucchero ed in destrina.
L'azione fisiologica della saliva è poi importantissima giacché oltre
all'effetto di ammollire e di sciogliere i cibi, facilitandone l'inghiottimento,
promuove per la sua natura alcalina la secrezione del succo gastrico allorché i
cibi scendono nello stomaco. Per questa ragione le bambinaie usano a fin di bene
un atto schifoso come quello di fare i bocconi e masticare la pappa ai bambini.
Si dice che i Napoletani, gran mangiatori di paste asciutte, vi bevano sopra un
bicchier d'acqua per digerirle meglio. Io non so se l'acqua, in questo caso,
agisca come dissolvente o piuttosto sia utile perché, prendendo il posto di un
bicchier di vino o di altro alimento, faccia, naturalmente, rimaner lo stomaco
più leggero. I denti di cavallo, quando sono più grossi e più lunghi, si
chiamano in Toscana cannelloni e in altri luoghi d'Italia buconotti o
strozzapreti.
88. MACCHERONI CON LE SARDE ALLA SICILIANA
Di questa minestra vo debitore a una vedova e spiritosa signora il cui marito,
siciliano, si divertiva a manipolare alcuni piatti del suo paese, fra i quali il
nasello alla palermitana e il pesce a taglio in umido.
Maccheroni lunghi alla napoletana, grammi 500.
Sarde fresche, grammi 500.
Acciughe salate, n. 6.
Finocchio selvatico, detto finocchio novellino, gr. 300. Olio, quanto basta.
Alle sarde levate la testa, la coda e la spina dividendole in due parti,
infarinatele, friggetele, salatele alquanto e mettetele da parte.
I finocchi lessateli, spremeteli dall'acqua, tritateli minuti e metteteli da
parte.
I maccheroni, dopo averli cotti così interi nell'acqua salata, scolateli bene e
mettete anche questi da parte. Ponete al fuoco in un tegame dell'olio in
abbondanza e in esso disfate le sei acciughe, ben inteso dopo averle nettate e
tolta la spina; versate in questa salsa i finocchi, conditeli con poco sale e
pepe e fateli bollire per dieci minuti con sugo di pomodoro o conserva sciolta
nell'acqua. Ora che avete tutto in pronto, prendete un piatto che regga al fuoco
o una teglia e condite i maccheroni a suolo a suolo con le sarde e con
l'acciugata di finocchi in modo che facciano la colma; metteteli a rosolare tra
due fuochi e serviteli caldi.
Crederei dovessero bastare per sei o sette persone.
89. GNOCCHI DI PATATE
La famiglia de' gnocchi è numerosa. Vi ho già descritto gli gnocchi in brodo del
n. 14: ora v'indicherò gli gnocchi di patate e di farina gialla per minestra e
più avanti quelli di semolino e alla romana per tramesso o per contorno, e
quelli di latte per dolce.
Patate grosse e gialle, grammi 400.
Farina di grano, grammi 150.
Vi noto la proporzione della farina per intriderli, onde non avesse ad accadervi
come ad una signora che, me presente, appena affondato il mestolo per muoverli
nella pentola non trovò più nulla; gli gnocchi erano spariti. - O dov'erano
andati? - mi domandò con premurosa curiosità un'altra signora, a cui per ridere
raccontai il fatto, credendo forse che il folletto li avesse portati via.
- Non inarchi le ciglia, signora - risposi io - ché lo strano fenomeno è
naturale: quelli gnocchi erano stati intrisi con poca farina e appena furono
nell'acqua bollente si liquefecero.
Cuocete le patate nell'acqua o, meglio, a vapore e, calde bollenti, spellatele e
passatele per istaccio. Poi intridetele colla detta farina e lavorate alquanto
l'impasto colle mani, tirandolo a cilindro sottile per poterlo tagliare a
tocchetti lunghi tre centimetri circa. Spolverizzateli leggermente di farina e,
prendendoli uno alla volta, scavateli col pollice sul rovescio di una grattugia.
Metteteli a cuocere nell'acqua salata per dieci minuti, levateli asciutti e
conditeli con cacio, burro e sugo di pomodoro, piacendovi.
Se li volete più delicati cuoceteli nel latte e serviteli senza scolarli; se il
latte è di buona qualità, all'infuori del sale, non è necessario condimento
alcuno o tutt'al più un pizzico di parmigiano.
90. GNOCCHI DI FARINA GIALLA
Quando vi sentite una certa ripienezza prodotta da esuberanza di nutrizione, se
ricorrete a una minestra di questi gnocchi potrete, per la loro leggerezza e
poca sostanza, neutralizzarla; e più ancora se farete seguire ad essa un piatto
di pesce di facile digestione.
La farina, per quest'uso, è bene sia macinata grossa; se no è meglio ricorrere
al semolino fine di granturco, che ora trovasi in commercio. Salate l'acqua e,
quando bolle, versate colla mano sinistra la farina un po' per volta e col
mestolo nella destra, mescolate continuamente. È necessario che questa farina
bolla molto, e quando essa è ristretta in modo da reggere bene sul mestolo,
gettatela, con un coltello da tavola, a tocchetti entro a un vassoio e ad ogni
strato conditela con cacio, burro, sugo di pomodoro o conserva sciolta
nell'acqua. Colmatene il vassoio e mandatela calda in tavola.
Se poi vi piacessero più conditi potete trattarli come la polenta con le
salsicce del n. 232 o come i maccheroni alla bolognese del n. 87.
91. PAPPARDELLE ALL’ARETINA
Non ve le do come piatto fine, ma per famiglia può andare.
Prendete un'anatra domestica, mettetela in cazzaruola con un pezzetto di burro,
conditela con sale e pepe e, quando avrà preso colore, aggiungete un battuto,
tritato ben fine, di prosciutto, cipolla, sedano e carota. Lasciatelo struggere
sotto l'anatra, rivoltandola spesso; poi levate via buona parte dell'unto come
cosa indigesta, e tiratela a cottura con brodo ed acqua versata poca per volta,
ma in quantità tale che vi resti il sugo per condire la minestra di pappardelle.
Procuratevi un pezzetto di milza di vitella o di manzo, apritela e raschiatene
col coltello la parte interna per metterla a bollire sotto l'anatra quando
questa sarà cotta e servirà per ingrediente al sugo a cui non sarà male
aggiungere anche pomodoro e odore di noce moscata. Tirate una sfoglia di tutte
uova, grossetta come quella delle tagliatelle e colla rotellina smerlata
tagliate le strisce più larghe di un dito. Cuocetele poco e conditele col detto
sugo, col fegatino dell'anatra a pezzetti, parmigiano e un poco di burro se
occorre. Queste pappardelle servono per minestra e l'anatra per secondo piatto.
92. PASTE ALLA CACCIATORA
Così chiamano in Toscana una minestra di paste asciutte, (nocette, paternostri,
penne e simili) condite con la carne delle arzavole. Le arzavole sono uccelli di
padule, dal piede palmato, dal becco a spatola, somigliantissimi alle anatre se
non che sono più piccole, da pesare in natura grammi 250 a 300. Due di queste
sono sufficienti per condire una minestra di grammi 400 di pasta da bastare per
quattro persone.
Gettate via la testa, le zampe, la stizza, e gli intestini per farle bollire con
un mazzetto guarnito di sedano, carota e gambi di prezzemolo in tanta acqua
salata che basti per cuocervi la minestra. Cotte che sieno disossatele e
tritatele con la lunetta insieme coi fegatini e i ventrigli vuotati che avrete
cotti con le arzavole. Cotta la pasta nel detto brodo scolatela bene e conditela
a suoli con questa carne tritata, burro e parmigiano a buona misura.
Riesce una minestra gustosa e, ciò che più conta, di non difficile digestione.
93. PASTE CON LE ARZAVOLE
La precedente minestra Paste alla cacciatora mi ha suggerito questa che non
riesce men buona. Prendete un'arzavola e, vuotata e pulita come le suddette,
mettetela a cuocere insieme con un battuto di cipolla (un quarto o mezza se è
piccola), un bel pezzo di sedano, mezza carota, grammi 40 di prosciutto grasso e
magro e un pezzetto di burro; sale e pepe per condimento. Rosolata che sia,
tiratela a cottura con del buon brodo e un po' di sugo di pomodoro o conserva.
Poi disossatela e tritatela insieme con qualche pezzetto di funghi secchi, se li
avete uniti all'arzavola mentre cuoceva. Rimettete al fuoco questo intingolo con
l'odore delle spezie o della noce moscata e un pezzo di burro impiastricciato di
farina per legarlo, e con esso e parmigiano condite grammi 350 di paste che
possono essere maccheroni, strisce, denti di cavallo od altre simili.
Questa quantità può bastare per cinque persone se non sono gran mangiatori.
Se unirete all'arzavola grammi 50 di filetto di manzo avrete l'intingolo più
sostanzioso.
94 PAPPARDELLE COL SUGO DI CONIGLIO
Dopo aver lavato il coniglio, tagliatelo a pezzi più grossi di quello da
friggere e mettetelo al fuoco in una cazzaruola per fargli far l'acqua che poi
scolerete; quando sarà bene asciutto gettateci un pezzetto di burro, un poco
d'olio e un battuto tritato fine e composto del fegato dell'animale, di un
pezzetto di carnesecca e di tutti gli odori, cioè: cipolla, sedano, carota e
prezzemolo. Conditelo con sale e pepe. Rimuovetelo spesso e quando sarà rosolato
bagnatelo con acqua e sugo di pomodoro, o conserva, per tirarlo a cottura,
aggiungendo per ultimo un altro poco di burro.
Servitevi del sugo per condire con questo e con parmigiano una minestra di
pappardelle o di strisce, e mandate in tavola per secondo piatto il coniglio con
alcun poco del suo intinto.
Se non volete condir la minestra non occorre nel battuto la carnesecca.
95. PAPPARDELLE COLLA LEPRE I
La carne della lepre, essendo arida e di poco sapore, ha bisogno in questo caso,
di venire sussidiata da un sugo di carne di molta sostanza per ottenere una
minestra signorile. Eccovi le dosi di una minestra per cinque persone che, per
tante, a mio avviso, deve bastare una sfoglia di tre uova, tagliata a forma di
pappardelle larghe un dito, con la rotella smerlata, oppure per grammi 500 o 600
di strisce di pasta comprata.
I due filetti di una lepre, che possono pesare in tutto grammi 180 a 200,
compreso i rognoni
Burro, grammi 50.
Carnesecca, grammi 40.
Mezza cipolla di mediocre grandezza.
Mezza carota.
Un pezzo di sedano lungo un palmo.
Odore di noce moscata.
Parmigiano, quanto basta.
Una cucchiaiata di farina.
Sugo di carne, decilitri 6.
I filetti spellateli da quella pellicola che li avvolge e tagliateli a piccoli
dadi, poi fate un battuto con la carnesecca, la cipolla, il sedano e la carota.
Tritatelo ben fine con la lunetta e mettetelo al fuoco con la terza parte del
detto burro e con la carne di lepre, condendola con sale e pepe. Quando la carne
sarà rosolata, spargeteci sopra la farina e poco dopo bagnatela e tiratela a
cottura coi detto sugo. Prima di servirvi di questo intingolo aggiungete il
resto del burro e la noce moscata.
Le pappardelle o strisce che siano, cotte nell'acqua salata, levatele bene
asciutte e conditele sul vassoio, senza rimetterle al fuoco, con parmigiano e
l'intingolo suddetto.
In mancanza dei filetti servitevi dei coscetti.
96. PAPPARDELLE COLLA LEPRE II
Eccovi un'altra ricetta più semplice per condire con la stessa quantità di carne
di lepre la medesima quantità di paste.
Fate un battuto con grammi 50 di prosciutto, più grasso che magro, un quarto di
cipolla, sedano, carota e pochissimo prezzemolo. Mettetelo al fuoco con grammi
40 di burro e quando avrà soffritto, buttateci i pezzi della carne interi e
conditeli con sale e pepe. Fatela rosolare e poi, per cuocerla, bagnatela a poco
a poco con brodo e sugo di pomodoro o conserva, in modo che vi resti abbondante
liquido; quando la carne è cotta levatela asciutta e tritatela non tanto minuta
con la lunetta.
Fate, come dicono i Francesi, un roux o, come io direi, un intriso con grammi 30
di burro e una cucchiaiata di farina e quando avrà preso sul fuoco il color
biondo, versate nel medesimo la carne tritata e il suo sugo, aggiungendo altri
30 grammi di burro e l'odore della noce moscata; poi con quest'intingolo e con
parmigiano condite la minestra. Non mi rimproverate se in queste minestre
v'indico spesso l'odore della noce moscata. A me pare che ci stia bene; se poi
non vi piace sapete quello che avete a fare.
97. RAVIOLI
Ricotta, grammi 300.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Uova, n. 2.
Bietola cotta, quanta ne sta in un pugno. Odore di noce moscata e spezie.
Sale, quanto basta.
La ricotta passatela, e se è sierosa strizzatela prima in un tovagliuolo. La
bietola nettatela dai gambi, lessatela senz'acqua, strizzatela bene e tritatela
fine colla lunetta Fate un impasto di tutto, prendete il composto a cucchiaiate
e mettendolo sopra a della farina, che avrete distesa sulla spianatoia,
avvolgetelo bene dandogli la forma tonda e bislunga delle crocchette. Con questa
dose farete circa due dozzine di ravioli. Per cuocerli gettateli in acqua, non
salata, che bolla forte e levateli colla mestola forata perché restino asciutti.
Conditeli o col sugo o a cacio e burro e serviteli per minestra o per contorno a
un umido di carne.
Siccome la cottura ne è sollecita, bastando che assodino, cuoceteli pochi alla
volta onde non si rompano.
98. RAVIOLI ALL’USO DI ROMAGNA
I Romagnoli, per ragione del clima che richiede un vitto di molta sostanza e un
poco fors'anche per lunga consuetudine a cibi gravi, hanno generalmente gli
ortaggi cotti in quella grazia che si avrebbe il fumo negli occhi, talché spesse
volte ho udito nelle trattorie: - Cameriere, una porzione di lesso; ma bada,
senza spinaci. - Oppure: - Di questi (indicando gli spinaci) ti puoi fare un
impiastro sul sedere. - Esclusa quindi la bietola o gli spinaci, eccovi la
ricetta dei ravioli all'uso di Romagna:
Ricotta, grammi 150.
Farina, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Uova, uno e un rosso.
Sale, quanto basta.
Fate tutto un impasto e versatelo sulla spianatoia sopra un velo di farina per
dargli la forma cilindrica che taglie rete in quattordici o quindici pezzi
eguali foggiandoli a modo. Lessateli poi per due o tre minuti in acqua non
salata e conditeli con cacio e sugo di carne, oppure serviteli per contorno a
uno stracotto o a un fricandò.
99. RAVIOLI ALLA GENOVESE
Questi, veramente, non si dovrebbero chiamar ravioli, perché i veri ravioli non
si fanno di carne e non si involgono nella sfoglia.
Mezzo petto di cappone o di pollastra.
Un cervello d'agnello con alcune animelle
Un fegatino di pollo.
Mettete queste cose al fuoco con un pezzetto di burro e quando cominciano a
prender colore tiratele a cottura col sugo di carne. Levatele asciutte e
tritatele finissime colla lunetta insieme con una fettina di prosciutto grasso e
magro; poi aggiungete pochi spinaci lessati e passati, parmigiano grattato, noce
moscata e due rossi d'uovo. Mescolate, e chiudeteli come i cappelletti all'uso
di Romagna n. 7, o in modo più semplice; con questa dose ne farete sessanta
circa.
Cuoceteli nel brodo per minestra, o asciutti con cacio e burro, oppure col sugo.
100. SPAGHETTI COLLE ACCIUGHE
Per minestra di magro è appetitosa. Prendete spaghetti mezzani che sono da
preferirsi a quelle corde da contrabbasso, eccellenti per gli stomachi degli
spaccalegne. Grammi 350 sono più che sufficienti per quattro persone di pasto
ordinario, e per questa quantità bastano cinque acciughe.
Lavatele, nettatele bene dalle spine e dalle lische, tritatele alquanto colla
lunetta e ponetele al fuoco con olio buono in abbondanza e una presa di pepe.
Non le fate bollire, ma quando cominciano a scaldarsi aggiungete grammi 50 di
burro, un poco di sugo di pomodoro o conserva e levatele. Condite con questo
intingolo gli spaghetti cotti in acqua poco salata, procurando che restino
durettini.
101. SPAGHETTI COI NASELLI
Spaghetti, grammi 500.
Naselli (merluzzi), grammi 300.
Burro, grammi 60.
Olio, cucchiaiate n. 4.
Marsala, cucchiaiate n. 4.
Odore di noce moscata.
Tritate una cipolla di mediocre grossezza e strizzatela fra le mani per
toglierle l'acredine. Mettetela al fuoco con l'olio suddetto e quando comincia a
rosolare gettateci i naselli tagliati a pezzi e conditeli con sale e pepe.
Rosolati che siano versate sugo di pomodoro, o conserva sciolta nell'acqua per
cuocerli, e poi passateli da uno staccio di fil di ferro, bagnandoli con un poco
di acqua calda se occorre, per estrarne tutta la polpa. Rimettete il passato al
fuoco col burro, la marsala, la noce moscata e quando avrà alzato il bollore, se
il sugo non avrà bisogno di essere ristretto per ridurlo a giusta consistenza,
condite con questo intingolo e parmigiano gli spaghetti cotti in acqua salata.
È questa una dose per cinque persone ed è minestra che piacerà perché non è un
intruglio come sembrerebbe alla descrizione.
102. SPAGHETTI COL SUGO DI SEPPIE
Eccovi le norme approssimative per fare questa minestra che basterà per cinque
persone.
Prendete tre seppie di media grandezza, che potranno pesare, in complesso, dai
650 ai 700 grammi. Spellatele e nettatele dall'osso, dall'apparato della bocca,
dagli occhi, dal tubo digerente e dall'inchiostro, che alcuni lasciano, ma che
io escludo perché mi sembra faccia bruttura. Fate un battuto con grammi 100 di
midolla di pane, un buon pizzico di prezzemolo e uno spicchio d'aglio, unitevi i
tentacoli, che sono due per ogni seppia, tritati ben fini, conditelo con olio,
sale e pepe a buona misura e con questo riempite il sacco delle seppie cucendone
la bocca. Tritate una cipolla di mediocre grandezza, strizzatela per toglierne
l'acredine e mettetela al fuoco con olio, non molto però, e quando avrà preso
colore gettateci le seppie e conditele con sale e pepe. Aspettate che
coloriscano per tirarle a cottura a fuoco lento con molto sugo di pomodoro o
conserva, aggiungendo acqua a poco per volta. Fatele bollir tre ore, ma
procurate che vi resti il sugo necessario per condire con esso e con parmigiano
grammi 500 di spaghetti i quali sentirete che riescono piacevoli al gusto.
Le seppie, che in questo modo rimangono tenere e perciò di non difficile
digestione, servitele dopo come piatto di pesce in umido.
103. SPAGHETTI DA QUARESIMA
Molti leggendo questa ricetta esclameranno: - Oh che minestra ridicola! - eppure
a me non dispiace; si usa in Romagna e, se la servirete a dei giovanotti, sarete
quasi certi del loro aggradimento.
Pestate delle noci framezzo a pangrattato, uniteci dello zucchero a velo e
l'odore delle spezie e, levati asciutti gli spaghetti dall'acqua, conditeli
prima con olio e pepe, poi con questo pesto a buona misura.
Per grammi 400 di spaghetti, che possono bastare per cinque persone:
Noci sgusciate, grammi 60.
Pangrattato, grammi 60.
Zucchero bianco a velo, grammi 30.
Spezie fini, un cucchiaino colmo.
104. SPAGHETTI ALLA RUSTICA
Gli antichi Romani lasciavano mangiare l'aglio all'infima gente, e Alfonso re di
Castiglia tanto l'odiava da infliggere una punizione a chi fosse comparso a
Corte col puzzo dell'aglio in bocca. Più saggi gli antichi Egizi lo adoravano in
forma di nume, forse perché ne avevano sperimentate le medicinali virtù, e
infatti si vuole che l'aglio sia di qualche giovamento agl'isterici, che
promuova la secrezione delle orine, rinforzi lo stomaco, aiuti la digestione e,
essendo anche vermifugo, serva di preservativo contro le malattie epidemiche e
pestilenziali. Però, ne' soffritti, state attenti che non si cuocia troppo, ché
allora prende assai di cattivo. Ci sono molte persone, le quali, ignare della
preparazione dei cibi, hanno in orrore l'aglio per la sola ragione che lo
sentono puzzare nel fiato di chi lo ha mangiato crudo o mal preparato; quindi,
quale condimento plebeo, lo bandiscono affatto dalla loro cucina; ma questa
fisima li priva di vivande igieniche e gustose, come la seguente minestra, la
quale spesso mi accomoda lo stomaco quando l'ho disturbato. Fate un battutino
con due spicchi d'aglio e un buon pizzico di prezzemolo e l'odore del basilico
se piace; mettetelo al fuoco con olio a buona misura e appena l'aglio comincia a
colorire gettate nel detto battuto sei o sette pomodori a pezzi condendoli con
sale e pepe. Quando saranno ben cotti passatene il sugo, che potrà servire per
quattro o cinque persone, e col medesimo unito a parmigiano grattato, condite
gli spaghetti, ossia i vermicelli, asciutti, ma abbiate l'avvertenza di cuocerli
poco, in molta acqua, e di mandarli subito in tavola, onde non avendo tempo di
succhiar l'umido, restino succosi.
Anche le tagliatelle sono buonissime così condite.
105. SPAGHETTI COI PISELLI
È una minestra da famiglia, ma buona e gustosa se preparata con attenzione; del
resto queste minestre asciutte vengono opportune per alternare con quell'eterno
e spesso tiglioso e insipido lesso.
Spaghetti, grammi 500.
Piselli sgranati, grammi 500.
Carnesecca, grammi 70.
Fate un battuto con la suddetta carnesecca, una cipolla novellina, un aglio
fresco e qualche costola di sedano e prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio e,
quando comincia a prender colore, versate i piselli insieme con qualche gambo di
aneto tritato, se lo avete; conditeli con sale e pepe e cuoceteli.
Gli spaghetti tritateli con le mani per ridurli corti meno di mezzo dito,
cuoceteli nell'acqua salata, scolateli bene, mescolateli coi piselli e serviteli
con parmigiano a parte.
Questa quantità potrà bastare per sei o sette persone.
106. SPAGHETTI CON LA BALSAMELLA
Tolti asciutti dall'acqua e conditi sul vassoio con parmigiano e burro, né più
né meno come siete soliti a fare, versateci sopra, se gli spaghetti fossero
grammi 300, una balsamella composta di
Latte molto buono decilitri n. 3.
Burro, grammi 20.
Farina, grammi 5 che corrispondono a una mezza cucchiaiata.
È una minestra che potrà bastare a quattro persone.
107. MINESTRA DI ERBE PASSATE
Prendete un mazzo di bietola, uno di spinaci, un cesto (cespo) di lattuga e uno
spicchio di cavolo cappuccio. Alla bietola togliete le costole più grosse,
trinciate tutte queste erbe all'ingrosso e tenetele per alcune ore nell'acqua
fresca.
Fate un battuto con un quarto di cipolla e tutti gli odori, cioè, prezzemolo,
sedano, carota e qualche foglia di basilico, oppure di aneto; mettetelo al fuoco
con un pezzetto di burro e quando sarà ben colorito, versate sul medesimo le
dette erbe alquanto grondanti, insieme con alcuni pomodori a pezzi e con una
patata tagliata a fette. Condite con sale e pepe e lasciate bollire rimescolando
spesso. Quando le erbe saranno ristrette, versate acqua calda e fatele cuocer
tanto che divengan disfatte. Allora passatele per istaccio, sul quale rimarrà lo
scarto di bucce e filamenti, e servitevi del sugo passato per cuocervi del riso
o per bagnare una zuppa; ma prima assaggiatelo, per aggiungere condimento, e
specialmente del burro, che sarà quasi sempre necessario.
Le dette minestre servitele con parmigiano a parte, ma vi prevengo di non
tenerle troppo dense onde non sembrino impiastri.
PRINCIPII
Principii o antipasto sono propriamente quelle cosette appetitose che
s'imbandiscono per mangiarle o dopo la minestra, come si usa in Toscana, cosa
che mi sembra più ragionevole, o prima, come si pratica in altre parti d'Italia.
Le ostriche, i salumi, tanto di grasso, come prosciutto, salame, mortadella,
lingua; quanto di magro: acciughe, sardine, caviale, mosciame (che è la schiena
salata del tonno), ecc., possono servire da principio tanto soli che
accompagnati col burro. Oltre a ciò i crostini, che vi descriverò qui appresso,
servono benissimo all'uopo.
108. CROSTINI DI CAPPERI
Capperi sotto aceto, grammi 50.
Zucchero in polvere, grammi 50.
Uva passolina, grammi 30.
Pinoli, grammi 20.
Candito, grammi 20.
I capperi tritateli all'ingrosso, l'uva passolina nettatela dai gambi e lavatela
bene, i pinoli tagliateli per traverso in tre parti, il prosciutto foggiatelo a
piccolissimi dadi e il candito riducetelo a pezzettini. Mettete al fuoco, in una
piccola cazzaruola, un cucchiaino colmo di farina e due del detto zucchero e
quando questa miscela avrà preso il color marrone, versate nella medesima mezzo
bicchier d'acqua mista a pochissimo aceto. Quando avrà bollito tanto che i grumi
siensi sciolti, gettate nella cazzaruola tutti gli ingredienti in una volta e
fateli bollire per dieci minuti, assaggiandoli nel frattempo, per sentire se il
sapore dolce e forte sta bene; non v'ho precisato la quantità di aceto
necessaria, perché tutte le qualità di aceto non hanno la stessa forza. Quando
il composto è ancora caldo distendetelo sopra fettine di pane fritte in olio
buono o semplicemente arrostite appena. Potete servire questi crostini diacci
anche a metà del pranzo, per eccitare l'appetito dei vostri commensali. Il
miglior pane per questi crostini è quello in forma all'uso inglese.
109. CROSTINI DI TARTUFI
Prendete a preferenza i bastoncini di pane e tagliateli a fette diagonali: in
mancanza di essi preparate fettine di pane a forma elegante, arrostitele appena
e così a bollore ungetele col burro. Sopra di esse distendete i tartufi
preparati nel modo descritto al n. 269 e bagnateli coll'intinto che resta.
110. CROSTINI DI FEGATINI DI POLLO
Sapete già che ai fegatini va levata la vescichetta del fiele senza romperla,
operazione questa che eseguirete meglio operando dentro a una catinella d'acqua.
Mettete i fegatini al fuoco insieme con un battutino composto di uno scalogno, e
in mancanza di questo di uno spicchio di cipollina bianca, un pezzetto di grasso
di prosciutto, alcune foglie di prezzemolo, sedano e carota, un poco d'olio e di
burro, sale e pepe; ma ogni cosa in poca quantità per non rendere il composto
piccante o nauseante. A mezza cottura levate i fegatini asciutti e, con due o
tre pezzi di funghi secchi rammolliti, tritateli fini colla lunetta. Rimetteteli
al fuoco nell'intinto rimasto della mezza cottura e con un poco di brodo finite
di cuocerli, ma prima di servirvene legateli con un pizzico di pangrattato fine
e uniteci un po' d'agro di limone.
Vi avverto che questi crostini devono esser teneri e però fate il composto
alquanto liquido, oppure intingete prima, appena appena, le fettine di pane nel
brodo.
111. CROSTINI DI FEGATINI DI POLLO CON LA SALVIA
Fate un battutino con pochissima cipolla e prosciutto grasso e magro. Mettetelo
al fuoco con un pezzetto di burro e quando sarà ben rosolato gettateci i
fegatini tritati fini insieme con delle foglie di salvia (quattro o cinque per
tre fegatini potranno bastare). Conditeli con sale e pepe e, tirato che abbiano
l'umido, aggiungete un altro poco di burro e legateli con un cucchiaino di
farina; poi bagnateli col brodo per cuocerli, ma prima di ritirarli dal fuoco
versateci tre o quattro cucchiaini di parmigiano grattato e assaggiateli se
stanno bene di condimento.
I crostini formateli di midolla di pane raffermo, grossi poco meno di un
centimetro e spalmateli generosamente da una sola parte col composto quando non
sarà più a bollore. Dopo diverse ore, allorché sarete per servirli, o soli o per
contorno all'arrosto, frullate un uovo misto a un gocciolo d'acqua e, prendendo
i crostini a uno a uno, fate loro toccar la farina dalla sola parte del
composto, poi immergeteli nell'uovo e buttateli in padella dalla parte del
composto medesimo.
112. CROSTINI DI BECCACCIA
Sbuzzate le beccacce e levatene le interiora gettando via soltanto la estremità
del budello che confina coll'ano. Unite alle medesime i ventrigli, senza
vuotarli; qualche foglia di prezzemolo e la polpa di due acciughe per ogni tre
interiora. Sale non occorre. Tritate il tutto ben fine colla lunetta, poi
mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro e una presa di pepe, bagnandolo con
sugo di carne.
Spalmate con questo composto fettine di pane a forma gentile, arrostite appena,
e mandate questi crostini in tavola accompagnati dalle beccacce che avrete cotto
arrosto con qualche ciocchettina di salvia e fasciate con una fetta sottile di
lardone.
113. CROSTINI DIVERSI
Il pane che meglio si presta per questi crostini è quello bianco fine, in forma,
all'uso inglese. Non avendone, prendete pane di un giorno, con molta midolla, e
riducetelo a fette quadre, grosse un centimetro, che spalmerete co' seguenti
composti ridotti come ad unguento:
CROSTINI DI CAVIALE. Tanto caviale e tanto burro mescolati insieme; e se il
caviale è duro lavorateli un poco al fuoco, con un mestolo, a moderato calore.
Se invece del burro vorrete servirvi di olio, aggiungete qualche goccia d'agro
di limone e immedesimate bene i tre ingredienti.
CROSTINI DI ACCIUGHE. Lavate le acciughe e togliete loro la spina e le lische;
poi tritatele colla lunetta, aggiungete burro in proporzione, e stiacciate il
composto con la lama di un coltello da tavola per ridurlo una pasta omogenea.
CROSTINI DI CAVIALE, ACCIUGHE E BURRO. Mi servirei delle seguenti proporzioni,
salvo a modificarle secondo il gusto:
Burro, grammi 60.
Caviale, grammi 40.
Acciughe, grammi 20.
Fate un miscuglio di tutto e lavoratelo per ridurlo fine e liscio.
114. SANDWICHS
Possono servir di principio alla colazione o di accompagnamento a una tazza di
the. Prendete pane finissimo di un giorno, o pane di segale, levategli la
corteccia e tagliatelo a fettine grosse mezzo centimetro e all'incirca lunghe 6
e larghe 4. Spalmatele di burro fresco da una sola parte e appiccicatele insieme
mettendovi framezzo una fetta sottile o di prosciutto cotto grasso e magro, o di
lingua salata.
115. CROSTINI DI FEGATINI E ACCIUGHE
Fegatini di pollo, n. 2.
Acciughe, n. 1.
Cuocete i fegatini nel burro e quando l'avranno tirato bagnateli con brodo;
unite una presa di pepe, ma punto sale. Quando sono cotti tritateli fini insieme
coll'acciuga lavata e nettata; poi rimettete il battuto nel tegamino dove sono
stati cotti i fegatini, aggiungete un altro po' di burro, scaldate il composto
al fuoco senza farlo bollire, e spalmate con esso delle fettine di midolla di
pane fresco.
116. CROSTINI DI MILZA
Milza di castrato, grammi 120.
Acciughe, n. 2.
Levate la pelle alla milza e cuocetela col burro e sugo di carne. In mancanza di
questo, servitevi di un battutino di poca cipolla, olio, burro, sale, pepe e
spezie per condimento. Tritate poi ben fine questi ingredienti insieme colle
acciughe, rimetteteli al fuoco nell'intinto che resta, unendovi un cucchiaino di
pangrattato per legarli insieme, e, senza farli più bollire, spalmate con essi
delle fettine di pane, fatte prima asciugare al fuoco senz'arrostire ed unte col
burro.
117. CROSTINI FIORITI
Questi crostini sono di facile fattura, belli a vedersi e discretamente buoni.
Tagliate della midolla di pane finissimo alla grossezza di un centimetro,
dandole la forma di mandorle o di quadretti. Spalmateli di burro fresco e
distendeteci sopra due o tre foglie di prezzemolo, contornandole con filetti di
acciuga, in forma di biscioline.
118. BACCALÀ MONTEBIANCO
Com'è bizzarra la nomenclatura della cucina! Perché montebianco e non
montegiallo, come apparisce dal suo colore quando questo piatto è formato? E i
Francesi come hanno potuto, facendosi belli di un traslato de' più arditi,
stiracchiare il vocabolo corrispondente in Brandade de morue? Brandade, dicono
essi, deriva da brandir, muovere, scuotere, vibrare una spada, un'alabarda, una
lancia ed armi simili, e infatti qui si brandisce; ma che cosa? Un povero
mestolo di legno. Non si può negare che i Francesi non sieno ingegnosi in tutto!
Comunque sia, è un piatto che merita tutta la vostra attenzione, perché il
baccalà così trattato perde la sua natura triviale e diventa gentile in modo da
poter figurare, come principio o tramesso, in una tavola signorile.
Baccalà polputo, ammollito, grammi 500.
Olio sopraffino, grammi 200.
Panna o latte eccellente, decilitri l.
La detta quantità nettata dalla spina, dalle lische, dalla pelle e dai nerbetti,
che si presentano come fili, rimarrà al pulito grammi 340 circa.
Dopo averlo così curato, pestatelo nel mortaio e poi ponetelo in una cazzaruola,
insieme con la panna, sopra a un fuoco non troppo ardente, rimestando
continuamente. Quando avrà assorbito la panna, o latte che sia, cominciate a
versar l'olio a centellini per volta, come fareste per la maionese, sempre
lavorandolo molto con l'arma brandita, cioè col mestolo, onde si affini e non
impazzisca. Levatelo quando vi parrà cotto al punto e servitelo freddo con un
contorno di tartufi crudi tagliati a fette sottilissime, oppure con crostini di
pane fritto, o crostini di caviale. Se è venuto bene non deve ributtar l'olio
quando è nel piatto.
Questa quantità potrà bastare per otto persone.
SALSE
La migliore salsa che possiate offrire ai vostri invitati è un buon viso e una
schietta cordialità. Brillat Savarin diceva: “Invitare qualcuno è lo stesso che
incaricarsi della sua felicità per tutto il tempo che dimora sotto il vostro
tetto”.
Le poche ore che vorreste rendere piacevoli all'amico ospitato, vengono
oggigiorno preventivamente turbate da certe cattive usanze che cominciano ad
introdursi e minacciano di generalizzarsi; intendo della così detta visita di
digestione entro gli otto giorni e della mancia ai servitori della casa per un
pranzo ricevuto. Quando si abbia a spendere per un pranzo, meglio è di pagarlo
al trattore, che così non si contraggono obblighi con nessuno; di più, quella
seccatura di una visita a termine fisso e a rima obbligata, che non parte
spontanea dal cuore, è una vera balordaggine.
119. SALSA VERDE
Per fare la salsa verde, tritate tutto insieme colla lunetta, capperi spremuti
dall'aceto, un'acciuga, poca cipolla e pochissimo aglio. Stiacciate il composto
colla lama di un coltello per renderlo fine e ponetelo in una salsiera.
Aggiungete una buona dose di prezzemolo, tritato con qualche foglia di basilico,
e sciogliete il tutto, con olio fine e agro di limone. Questa salsa si presta
bene coi lessi di pollo o di pesce freddi, e colle uova sode o affogate.
Mancando i capperi, possono servire i peperoni.
120. SALSA VERDE, CHE I FRANCESI CHIAMANO “SAUCE RAVIGOTE”
Questa salsa merita di far parte della cucina italiana perché si presta bene a
condire il pesce lesso, le uova affogate ed altre simili cose.
Si compone di prezzemolo, basilico, cerfoglio, pimpinella, detta anche
salvestrella, di qualche foglia di sedano, di due o tre scalogni e, in mancanza
di questi, una cipollina. Poi un'acciuga o due se sono piccole, e capperi
indolciti. Tritate ogni cosa ben fine, oppure pestatela e passatela dallo
staccio, indi mettetela in una salsiera con un rosso d'uovo crudo, conditela con
olio, aceto, sale e pepe; mescolatela bene e servitela. Io la compongo con
grammi 20 di capperi, il rosso dell'uovo e tutto il resto a discrezione.
121. SALSA DI CAPPERI E ACCIUGHE
Questa salsa, alquanto ribelle agli stomachi deboli, si usa ordinariamente colla
bistecca. Prendete un pizzico di capperi indolciti, spremeteli dall'aceto e
tritateli colla lunetta insieme con un'acciuga che avrete prima nettata dalle
scaglie e dalla spina. Mettete questo battuto a scaldare al fuoco con dell'olio,
e versatelo sulla bistecca che appena levata dalla gratella, avrete condita con
sale e pepe ed unta col burro; in questo caso, però, ungetela poco, perché
altrimenti il burro farebbe, nello stomaco, a’ pugni coll'aceto dei capperi.
122. SALSA DI MAGRO PER PASTE ASCIUTTE
Questa salsa, se mi fosse lecito fare un paragone tra i due sensi della vista e
del palato, la rassomiglierei ad una di quelle giovani donne la cui fisionomia
non avventa, né vi colpisce; ma che, osservata bene, può entrarvi in grazia pe'
suoi lineamenti delicati e modesti.
Spaghetti, grammi 500.
Funghi freschi, grammi 100.
Burro, grammi 70.
Pinoli, grammi 60.
Acciughe salate, n. 6.
Pomodori, n. 7 o 8
Un quarto di una grossa cipolla.
Farina, un cucchiaino.
Ponete in una cazzaruola la metà del burro e con esso rosolate i pinoli:
levateli asciutti e pestateli in un mortaio coll'indicata farina. Trinciate la
cipolla ben fine, mettetela nell'intinto rimasto e quando avrà preso molto
colore buttateci i pomodori a pezzi, conditeli con pepe e poco sale, e quando
saranno cotti passateli. Rimettete il sugo al fuoco coi funghi tagliati a
fettine, sottili non più grandi di un seme di zucca, la pasta dei pinoli che
prima potete sciogliere con un po' d'acqua, e il resto del burro. Fate bollire
per mezz'ora aggiungendo acqua per render la salsa più liquida, e per ultimo
sciogliete le acciughe al fuoco con un poco di questa salsa, senza farle
bollire, ed unitele alla medesima.
Levate gli spaghetti asciutti, conditeli con questa salsa e se li volete
migliori aggiungete del parmigiano.
Bastano per cinque persone.
123. SALSA ALLA MAÎTRE D’HÔTEL
Sentite che nome ampolloso per una briccica da nulla!
Ma pure i Francesi si sono arrogati il diritto in questo e in altre cose di
dettar legge; l'uso ha prevalso, ed è giocoforza subirlo. Anche questa è una
salsa che serve per la bistecca. Tritate un pizzico di prezzemolo e per levargli
l'acredine (come suggerisce qualcuno) mettetelo entro la punta di un tovagliuolo
e spremetelo leggermente nell'acqua fresca. Poi formatene un impasto con burro,
sale, pepe e agro di limone; mettetelo sopra al fuoco in una teglia o in un
piatto e, senza farlo bollire, intingetevi la bistecca quando la levate dalla
gratella, oppure delle cotolette fritte.
124. SALSA BIANCA
È una salsa da servire cogli sparagi lessati, o col cavolfiore.
Burro, grammi 100.
Farina, una cucchiaiata.
Aceto, una cucchiaiata.
Un rosso d'uovo.
Sale e pepe.
Brodo o acqua, quanto basta
Mettete prima al fuoco la farina colla metà del burro e quando avrà preso il
color nocciuola versate il brodo o l'acqua a poco per volta girando il mestolo
e, senza farla troppo bollire, aggiungete il resto del burro e l'aceto. Tolta
dal fuoco, scioglieteci il rosso d'uovo e servitela. La sua consistenza
dev'essere eguale a quella della crema fatta senza farina. Per un mazzo comune
di sparagi possono bastare grammi 70 di burro colla farina e l'aceto in
proporzione.
125. SALSA DI POMODORO
C'era un prete in una città di Romagna che cacciava il naso per tutto e,
introducendosi nelle famiglie, in ogni affare domestico voleva metter lo
zampino. Era, d'altra parte, un onest'uomo e poiché dal suo zelo scaturiva del
bene più che del male, lo lasciavano fare; ma il popolo arguto lo aveva
battezzato Don Pomodoro, per indicare che i pomodori entrano per tutto; quindi
una buona salsa di questo frutto sarà nella cucina un aiuto pregevole.
Fate un battuto con un quarto di cipolla, uno spicchio d'aglio, un pezzo di
sedano lungo un dito, alcune foglie di basilico e prezzemolo a sufficienza.
Conditelo con un poco d'olio, sale e pepe, spezzate sette o otto pomodori, e
mettete al fuoco ogni cosa insieme. Mescolate di quando in quando e allorché
vedrete il sugo condensato come una crema liquida, passatelo dallo staccio e
servitevene.
Questa salsa si presta a moltissimi usi, come v'indicherò a suo luogo; è buona
col lesso, è ottima per aggraziare le paste asciutte condite a cacio e burro,
come anche per fare il risotto n. 77.
126. SALSA MAIONESE
Questa è una delle migliori salse, specialmente per condire il pesce lesso.
Ponete in una ciotola due torli d'uovo crudi e freschi e, dopo averli frullati
alquanto, lasciate cadere sui medesimi a poco per volta e quasi a goccia a
goccia, specialmente da principio, sei o sette cucchiaiate od anche più, se lo
assorbono, d'olio d'oliva; quindi fate loro assorbire il sugo di un limone. Se
la salsa riesce bene deve avere l'apparenza di una densa crema; ma occorre
lavorarla per più di 20 minuti.
Per ultimo conditela con sale e pepe bianco a buona misura.
Per essere più sicuri dell'esito, ai due rossi d'uovo crudi si usa aggiungerne
un altro assodato.
127. SALSA PICCANTE I
Prendete due cucchiaiate di capperi sotto aceto, due acciughe e un pizzico di
prezzemolo. Tritate finissimo ogni cosa insieme e ponete questo battuto in una
salsiera con un'abbondante presa di pepe e molto olio. Se non riuscisse acida
abbastanza, aggiungete aceto o agro di limone, e servitela col pesce lesso.
128. SALSA PICCANTE II
Fate un battutino trinciato ben fine con poca cipolla, prezzemolo, qualche
foglia di basilico, prosciutto tutto magro e capperi spremuti dall'aceto.
Mettetelo al fuoco con olio buono, fatelo bollire adagio e quando la cipolla
sarà rosolata fermatelo con un poco di brodo. Lasciatelo dare ancora qualche
bollore, poi levatelo aggiungendovi una o due acciughe tritate e agro di limone.
Questa salsa può servire per le uova affogate, per le bistecche, le quali in
questo caso non occorre salare, ed anche per le cotolette.
129. SALSA GIALLA PER PESCE LESSO
La seguente dose potrà bastare per un pezzo di pesce a taglio o per un pesce
intero del peso di grammi 300 a 400.
Mettete al fuoco in una piccola cazzaruola grammi 20 di burro con un cucchiaino
colmo di farina e dopo che questa avrà preso il color nocciuola, versatele sopra
a poco per volta due ramaiuoli di brodo del pesce medesimo. Quando vedrete che
la farina, nel bollire, non ricresce più, ritirate la salsa dal fuoco e
versateci due cucchiaiate d'olio e un rosso d'uovo, mescolando bene. Per ultimo
aggiungete l'agro di mezzo limone, sale e pepe a buona misura. Lasciatela
diacciare e poi versatela sopra il pesce che manderete in tavola contornato di
prezzemolo naturale.
Questa salsa deve avere l'apparenza di una crema non tanto liquida per restare
attaccata al pesce. Sentirete che è buona e delicata. Per chi non ama il pesce
diaccio servitela calda.
130. SALSA OLANDESE
Burro, grammi 70.
Rossi d'uovo, n. 2.
Agro di limone, una cucchiaiata.
Acqua, un mezzo guscio d'uovo.
Sale e pepe.
Sciogliete il burro a parte senza scaldarlo troppo.
Mettete i rossi coll'acqua in una bacinella, e sopra a un fuoco leggiero o
sull'orlo del fornello cominciate a batterli con la frusta e a un po' per volta
versate il burro; quando il composto si sarà condensato aggiungete il limone e
per ultimo il sale e il pepe.
Va preparata al momento di servirla; è una salsa delicata per pesce lesso o per
altra cosa consimile, e sarà sufficiente per un quantitativo di grammi 500
circa.
131. SALSA PER PESCE IN GRATELLA
Questa salsa, semplice, ma buona e sana, si compone di rossi d'uovo, acciughe
salate, olio fine e agro di limone. Fate bollire le uova col guscio per 10
minuti e per ogni rosso d'uovo così assodato prendete un'acciuga grossa o due
piccole. Levate loro la spina e passatele dallo staccio insieme coi rossi, poi
diluite il composto coll'olio e il limone per ridurlo come una crema. Coprite
con questa salsa il pesce già cotto in gratella, prima di mandarlo in tavola,
oppure servitela a parte in una salsiera.
132. SALSA CON CAPPERI PER PESCE LESSO
Burro, grammi 50.
Capperi spremuti dall'aceto, grammi 50.
Farina, un cucchiaino colmo.
Sale, pepe e aceto.
Questa dose basta per un pesce di circa grammi 500. Il burro come sostanza
grassa, è già per sé stesso un condimento non confacente a tutti gli stomachi,
specialmente quando è soffritto; quando poi si unisce agli acidi, come in questo
e in altri casi consimili, si rende spesso ribelle agli stomachi che non sieno a
tutta prova.
Cuocete il pesce e, mentre lo lasciate in caldo nel suo brodo, preparate la
salsa. Ponete al fuoco la farina colla metà del burro, mescolate, e quando
comincia a prender colore aggiungete il burro rimasto.
Lasciate bollire un poco e poi versate un ramaiuolo di brodo del pesce; condite
abbondantemente con sale e pepe e ritirate la cazzaruola dal fuoco. Gettateci
allora i capperi metà interi e metà tritati, più un gocciolo d'aceto; ma
assaggiate per dosare la salsa in modo che riesca di buon gusto e della densità
di una crema liquida.
Collocate il pesce asciutto e caldo entro a un vassoio, versategli sopra la
salsa, calda anch'essa, contornatelo di prezzemolo intero e servitelo.
133. SALSA TONNATA
È una salsa da potersi servire coi lessi tanto di carne che di pesce.
Tonno sott'olio, grammi 50.
Capperi spremuti dall'aceto, grammi 50.
Acciughe, n. 2.
Rossi d'uova sode, n. 2.
Un buon pizzico di prezzemolo.
L'agro di mezzo limone.
Una presa di pepe. olio, quanto basta.
Nettate le acciughe e poi tritatele con la lunetta insieme col tonno, i capperi
e il prezzemolo; pestateli dopo nel mortaio coi rossi d'uovo e qualche poco
d'olio per rammorbidire il composto e poterlo passar meglio dallo staccio. Indi
diluitelo con molt'olio e il sugo di limone, per ridurlo come una crema liquida.
134. SALSA GENOVESE PER PESCE LESSO
Pinoli, grammi 40.
Capperi spremuti dall'aceto, grammi 15.
Un'acciuga salata.
Un rosso d'uovo sodo.
La polpa di tre olive in salamoia.
Mezzo spicchio d'aglio.
Un buon pizzico di prezzemolo, non esclusi i gambi.
Una midolla di pane grossa quanto un uovo, inzuppata nell'aceto.
Una presa di sale ed una di pepe.
Tritate finissimo con la lunetta il prezzemolo e l'aglio e poi mettete questi e
tutto il resto in un mortaio e dopo aver ridotto il composto finissimo passatelo
dallo staccio e diluitelo con grammi 60 d'olio e un gocciolo d'aceto; ma
assaggiatelo prima per dosarlo giusto. È una salsa eccellente e bastante a
grammi 600 di pesce.
135. SALSA DEL PAPA
Non crediate che questa salsa prenda il nome dal Papa del Vaticano, ritenendola
perciò una delizia in ghiottoneria; nonostante è discretamente buona per condire
le cotolette fritte.
Prendete un pugnello di capperi e spremeteli dall'aceto; prendete tante olive
indolcite che levando loro il nocciolo riescano in quantità eguale ai capperi e
tritate gli uni e le altre minutamente colla lunetta. Mettete al fuoco un
battutino di cipolla tritata fine con un pezzetto di burro e quando avrà preso
colore, bagnatelo a poco per volta con acqua perché si disfaccia. Versateci
dentro il miscuglio di capperi e olive e fate bollire alquanto; unite infine un
gocciolo d'aceto, una presa di farina e un altro pezzetto di burro. Per ultimo
aggiungete un'acciuga tritata, e senza più far bollire la salsa, servitela.
136. SALSA TARTUFATA
Fate un battutino ben trito con un pezzetto di cipolla grosso quanto una noce,
mezzo spicchio d'aglio e un poco di prezzemolo. Mettetelo al fuoco con grammi 20
di burro e quando avrà preso colore versateci due dita di marsala o di vino
bianco nel quale avrete prima stemperato un cucchiaino colmo di farina. Condite
la salsa con una presa di sale, una di pepe e una di spezie e rimuovetela sempre
col mestolo.
Quando la farina avrà legato, aggiungete un poco di brodo e poi gettate in
questa salsa fettine sottilissime di tartufi. Lasciatela ancora un momento sul
fuoco e servitevene per guarnire cotolette di vitella di latte fritte, bistecche
o altra carne arrostita.
Vi avverto, che il vino, come condimento, non si confà a tutti gli stomachi.
137. BALSAMELLA
Questa salsa equivale alla béchamel dei Francesi, se non che quella è più
complicata.
Ponete al fuoco in una cazzaruola una cucchiaiata di farina e un pezzo di burro
del volume di un uovo. Servitevi di un mestolo per isciogliere il burro e la
farina insieme e quando questa comincia a prendere il colore nocciuola,
versateci a poco per volta mezzo litro di latte del migliore, girando
continuamente il mestolo finché non vedrete il liquido condensato come una crema
di color latteo. Questa è la balsamella. Se verrà troppo soda aggiungete del
latte, se troppo liquida rimettetela al fuoco con un altro pezzetto di burro
intriso di farina. La dose è abbondante, ma potete proporzionarla secondo i
casi.
Una buona balsamella e un sugo di carne tirato a dovere, sono la base, il
segreto principale della cucina fine.
138. SALSA DI PEPERONI
Prendete peperoni grossi e verdi, apriteli, nettateli dai semi e tagliateli per
il lungo in quattro o cinque strisce. Date loro una piccola scottatura in
padella con poco olio per poterli sbucciare. Dopo sbucciati, mettete al fuoco
uno spicchio d'aglio tritato fine con olio e burro e quando sarà rosolato
gettatevi i peperoni, salateli, lasciateli tirare un poco il sapore ed
aggiungete sugo di pomodoro.
Non cuoceteli troppo perché perderebbero il loro piccante, che è quello che dà
grazia, e serviteli col lesso.
UOVA
Le uova, dopo la carne, tengono il primo posto fra le sostanze nutritive.
L'illustre fisiologo Maurizio Schiff, quando teneva cattedra a Firenze,
dimostrava che la chiara è più nutriente del torlo, il quale è composto di
sostanze grasse e che le uova crude o pochissimo cotte sono meno facili a
digerirsi delle altre, perché lo stomaco deve fare due operazioni invece di una:
la prima di coagularle, la seconda di elaborarle per disporle all'assimilazione.
Meglio è dunque attenersi alla via di mezzo, e cioè: né poco, né troppo cotte.
La primavera è la stagione in cui le uova sono di più grato sapore. Le uova
fresche si danno a bere alle puerpere e il popolo giudica sia cibo conveniente
anche agli sposi novelli.
Ci fu una volta il figlio di un locandiere da me conosciuto, un giovinastro
grande, grosso e minchione, il quale essendosi sciupata la salute nel vizio,
ricorse al medico che gli ordinò due uova fresche a bere ogni mattina. Datosi il
caso favorevole e sfavorevole, insieme, che nella locanda v'era un grande
pollaio, ivi si recava e beveva le uova appena uscite dalla gallina; ma, come
accade, il tempo dando consiglio, dopo qualche giorno di questa cura il
baccellone cominciò a ragionare: “Se due uova fanno bene, quattro faranno
meglio” e giù quattro uova. Poi: “Se quattro fanno bene, sei faranno meglio che
mai” e giù sei uova per mattina; e con questo crescendo arrivò fino al numero di
dodici o quattordici al giorno; ma finalmente gli fecero fogo, e un forte
gastricismo lo tenne in letto non so quanto tempo a covar le uova bevute.
139. UOVA A BERE E SODE
Le uova a bere fatele bollire due minuti, le uova sode dieci, cominciando a
contare dal momento che le gettate nell'acqua bollente; se vi piacciono
bazzotte, bastano sei o sette minuti, e in ambedue i casi, appena tolte dal
fuoco, le metterete nell'acqua fredda.
140. UOVA AFFOGATE
Scocciatele quando l'acqua bolle e fatele cadere da poca altezza. Quando la
chiara è ben rappresa e il torlo non è più tremolante, levatele con la mestola
forata e conditele con sale, pepe, cacio e burro. Se ci volete una salsa può
servire quella di pomodoro, la salsa verde del n. 119, quella del n. 127, oppure
una appositamente fatta che comporrete disfacendo un'acciuga nel burro caldo e
aggiungendovi capperi spremuti dall'aceto e alquanto tritati; ma questa salsa
non è per tutti gli stomachi.
Ho veduto servirle anche sopra uno strato, alto un dito, di purè di patate,
oppure sopra spinaci rifatti al burro.
141. UOVA STRACCIATE
Questo è un piatto di compenso o da servirsi per principio a una colazione, ed è
dose bastevole per tre persone.
Uova, n. 4.
Burro, grammi 40.
Panna, un decilitro.
Mettete il burro al fuoco e quando soffrigge versate le uova frullate, conditele
con sale e pepe e girando sempre il mestolo, unite la panna a poco per volta.
Assodato che sia il composto, coprite con esso tre fette di pane arrostito,
grosse quasi un dito e senza corteccia, che avrete disposte prima sopra un
vassoio, dopo averle unte calde col burro.
Spolverizzatele sopra di cacio parmigiano e mandatele in tavola.
142. ROSSI D’UOVO AL CANAPÈ
Come mi ripugna di dare alle pietanze questi titoli stupidi e spesso ridicoli!
Ma è giuocoforza seguire l'uso comune per farsi intendere.
È un piatto da servire per principio a una colazione, se prendete norma da
questa ricetta, che fu servita a cinque persone. Formate cinque fette di midolla
di pane quadrate, grosse un dito abbondante, larghe quasi quanto la palma di una
mano e fate ad ognuna una buca nel mezzo, ma che non isfondi; soffriggetele nel
burro e collocatele in un vassoio che regga al fuoco. Ponete nella buca di
ognuna un rosso d'uovo crudo ed intero e poi fate una balsamella con decilitri
tre scarsi di latte, grammi 40 di farina e grammi 40 di burro. Tolta dal fuoco
aggiungeteci tre cucchiaiate colme di parmigiano, l'odore della cannella o della
noce moscata e salatela. Lasciatela freddare e poi versatela sul vassoio per
coprire i rossi d'uovo e i crostoni. Rosolatela alquanto sotto il coperchio del
forno da campagna in modo che non induriscano troppo le uova, e mandatela calda
in tavola.
Dove si trova il pane inglese, cotto in forma, meglio è servirsi di questo.
143. UOVA RIPIENE I
Dopo avere assodate le uova come quelle del n. 139 tagliatele a metà per il
lungo ed estraetene i rossi. Prendete un'acciuga per ogni due uova, lavatele,
nettatele dalla spina, e tritatele con poco prezzemolo e pochissima cipolla;
uniteci poi i rossi e tanto burro da potere, con la lama di un coltello,
impastare ogni cosa insieme. Con questo composto colmate i vuoti lasciati dai
rossi, e le mezze uova così ripiene ponetele pari pari sopra un vassoio e
copritele con la salsa maionese n. 126.
Si possono mangiare anche semplicemente condite con sale, pepe, olio e aceto,
ché non sono da disprezzarsi; ed anche pare che lo stomaco non se ne mostri
offeso.
144. UOVA RIPIENE II
Per principio a una colazione possono bastare a sei persone:
Uova, n. 6.
Burro, grammi 30.
Midolla di pane, grammi 20.
Parmigiano, due cucchiaiate colme.
Funghi secchi, un pizzico.
Prezzemolo, alcune foglie.
Sale, quanto basta.
Le uova assodatele, tagliatele per il lungo e mettete i rossi da parte.
La midolla di pane inzuppatela bene nel latte e spremetela.
I funghi rammolliteli nell'acqua tiepida.
Pestate il tutto finissimo per riempire, anzi colmare i vuoti delle chiare, e
queste 12 mezze uova ricolme collocatele in un vassoio, dalla parte convessa,
sopra a uno strato di patate passate come alla ricetta del n. 443, ma nella
quantità di grammi 350 da crude. Invece di patate potete posarle sopra uno
strato di spinaci, di piselli o di altri legumi. Prima di mandarle in tavola
scaldatele col fuoco, che porrete sul coperchio del forno da campagna.
145. FRITTATE DIVERSE
Chi è che non sappia far le frittate? E chi è nel mondo che in vita sua non
abbia fatta una qualche frittata? Pure non sarà del tutto superfluo il dirne due
parole.
Le uova per le frittate non è bene frullarle troppo: disfatele in una scodella
colla forchetta e quando vedrete le chiare sciolte e immedesimate col torlo,
smettete. Le frittate si fanno semplici e composte; semplice, per esempio, è
quella in foglio alla fiorentina che quando un tale l'ebbe attorcigliata tutta
sulla forchetta e fattone un boccone, si dice ne chiedesse una risma. Però
riesce molto buona nell'eccellente olio toscano, anche perché non si cuoce che
da una sola parte, il qual uso è sempre da preferirsi in quasi tutte. Quando è
assodata la parte disotto, si rovescia la padella sopra un piatto sostenuto
colla mano e si manda in tavola.
Ogni erbaggio o semplicemente lessato o tirato a sapore col burro, serve per le
frittate, come può servire un pizzico di parmigiano solo o mescolato con
prezzemolo. Se non fosse indigesta, grata è la frittata colle cipolle. Due delle
più delicate, a gusto mio, sono quelle di sparagi e di zucchini. Se di sparagi,
lessateli e tirate a sapore la parte verde con un poco di burro, mescolando un
pizzico di parmigiano nelle uova; se di zucchini, servitevi di quelli piccoli e
lunghi, tagliateli a fette rotonde, salateli alquanto e quando avranno buttato
l'acqua infarinateli e friggeteli nel lardo o nell'olio, aspettando che sieno
rosolati per versare le uova. Anche i piselli del n. 427, mescolati tra le uova,
si prestano per un'eccellente frittata.
Si fanno anche frittate alla confettura, spargendovi sopra della conserva di
frutta qualsiasi, ridotta liquida, quando la frittata è cotta. Esse saranno
buone, ma non mi garbano; e vi dirò che quando le vedo segnate sole fra i piatti
dolci di una trattoria, comincio a prendere cattivo concetto della medesima.
146. FRITTATA IN ZOCCOLI
Questa frittata merita una menzione speciale perché richiede un trattamento
alquanto diverso. Prendete fette di prosciutto sottili, grasse e magre,
tagliatele a pezzi larghi quanto una moneta di 10 centesimi, mettetele in
padella col burro, e quando avranno soffritto un poco versateci le uova
pochissimo salate. Quando la frittata ha cominciato ad assodare, ripiegatela per
metà, onde prenda più propriamente il nome di pesce d'uova, ed aggiungete altro
burro per finire di cuocerla.
147. FRITTATA DI CIPOLLE
Preferite cipolle bianche e grosse, tagliatele a costole larghe mezzo dito e
gettatele nell'acqua fresca per lasciarvele almeno un'ora. Prima di buttarle in
padella con lardo od olio, asciugatele bene in un canovaccio e quando cominciano
a prendere colore salatele alquanto, come salerete le uova prima di versarle
sopra la cipolla che avvertirete non prenda il nero per troppa cottura.
148. FRITTATA DI SPINACI
Gli spinaci, tolti dall'acqua, lessateli, grondanti, e appena levati dal fuoco
rimetteteli nell'acqua fresca. Spremeteli bene, tritateli all'ingrosso,
gettateli in padella con un pezzo di burro e conditeli con sale e pepe.
Rivoltateli spesso e quando avranno tirato l'unto versate le uova sbattute e
salate alquanto. Rosolata da una parte, rivoltatela con un piatto per rimetterla
in padella con un altro pezzetto di burro. Alle uova, piacendovi, potete unire
un pizzico di parmigiano.
Grammi 200 di spinaci crudi,
Grammi 40 di burro, tra prima e dopo, e
Quattro uova, mi sembra la proporzione più giusta.
149. FRITTATA DI FAGIOLINI IN ERBA
Lessate i fagiolini in acqua salata e tagliateli in due o tre parti. Poi
trascinateli in padella con burro e olio condendoli con sale e pepe. Sbattete le
uova con un pizzico di parmigiano e una presa di sale per versarle sui fagiolini
quando li vedrete aggrinziti.
150. FRITTATA DI CAVOLFIORE
Per fare questa frittata di un erbaggio de' più insipidi, com'è il cavolfiore, è
necessario, onde renderla grata al gusto, ve ne indichi le dosi.
Cavolfiore lessato, privo delle foglie e del gambo, grammi 300.
Burro, grammi 60.
Parmigiano grattato, due cucchiaiate ben colme.
Olio, una cucchiaiata.
Uova, n. 6.
Tritate minuto il cavolfiore e mettetelo in padella col burro e l'olio,
condendolo con sale e pepe. Sbattete le uova col parmigiano, salatele e
versatele sopra il cavolo quando avrà ritirato l'unto.
Tenete sottile la frittata, per non rivoltarla, e se la padella è piccola fatene
piuttosto due.
151. FRITTATA IN RICCIOLI PER CONTORNO
Lessate un mazzetto di spinaci e passateli dallo staccio.
Sbattete due uova, conditele con sale e pepe e mescolate fra le medesime i detti
spinaci in tal quantità da renderle soltanto verdi. Mettete la padella al fuoco
con un gocciolo d'olio, tanto per ungerla, e quando è ben calda versate porzione
delle dette uova, girando la padella per ogni verso onde la frittata riesca
sottile come la carta. Quando sarà bene assodata ed asciutta, voltandola se
occorre, levatela, e col resto delle uova ripetete o triplicate l'operazione.
Ora queste due o tre frittate arrocchiatele insieme, tagliatele fini a forma di
taglierini, che metterete a soffriggere un poco nel burro, dando loro sapore con
parmigiano, servendovi poi di questi taglierini per contorno al fricandò o ad
altro piatto consimile. oltre a fare bella mostra di sé, questo contorno, che
riesce bene anche senza gli spinaci, farà strologare qualcuno dei commensali per
sapere di che sia composto.
152. FRITTATA COLLA PIETRA DI VITELLA DI LATTE
Prendete una pietra (rognone) di vitella di latte, apritela dal lato della sua
lunghezza e lasciatele tutto il suo grasso. Conditela con olio, pepe e sale,
cuocetela in gratella e tagliatela a fettine sottili per traverso. Sbattete
delle uova in proporzione della pietra, condite anche queste con sale e pepe e
mescolate fra le medesime un pizzico di prezzemolo tritato e un poco di
parmigiano.
Gettate la pietra nelle uova, mescolate e fatene una frittata cotta nel burro,
che, quando la parte disotto è assodata, ripiegherete per metà onde resti
tenera.
PASTE E PASTELLE
153. PASTA MATTA
Si chiama matta non perché sia capace di qualche pazzia, ma per la semplicità
colla quale si presta a far la parte di stival che manca in diversi piatti, come
vedrete. Spegnete farina con acqua e sale in proporzione e formate un pane da
potersi tirare a sfoglia col matterello.
154. PASTA SFOGLIA
La bellezza di questa pasta è che, gonfiando, sfogli bene e riesca leggiera,
quindi è di difficile fattura per chi non vi ha molta pratica. Bisognerebbe
vederla fare da un maestro capace; ma nonostante mi proverò di insegnarvela alla
meglio, se mi riesce.
Farina fine o d'Ungheria, grammi 200.
Burro, grammi 150.
Oppure:
Farina, grammi 300.
Burro, grammi 200.
Spegnete d'inverno la farina con acqua calda, ma non bollente; sale quanto
basta, una cucchiaiata di acquavite e burro quanto una noce, levandolo dai
suddetti 150 o 200 grammi.
Formato che ne avrete un pane non troppo sodo né troppo tenero, lavoratelo
moltissimo, mezz'ora almeno, prima colle mani, poi gettandolo con forza contro
la spianatoia. Fatene un pane rettangolare, involtatelo in un canovaccio e
lasciatelo un poco in riposo. Frattanto lavorate il burro, se è sodo, con una
mano bagnata nell'acqua, sopra la spianatoia per renderlo pastoso e tenero tutto
ugualmente; poi formatene un pane come quello della farina e gettatelo in una
catinella d'acqua fresca. Quando la pasta sarà riposata, levate il burro
dall'acqua, asciugatelo con un pannolino e infarinatelo tutto per bene.
Spianate la pasta col matterello soltanto quanto è necessario per rinchiudervi
dentro il pane di burro. Questo si pone nel mezzo e gli si tirano sopra i lembi
della pasta unendoli insieme colle dita e procurando che aderisca al burro in
tutte le parti onde non resti aria framezzo. Cominciate ora a spianarla prima
colle mani, poi col matterello assottigliandola la prima volta più che potete,
avvertendo che il burro non isbuzzi. Se questo avviene gettate subito, dove il
burro apparisce, un po' di farina, e di farina spolverizzare pure spesso la
spianatoia e il matterello a ciò che la pasta scorra e si distenda sotto al
medesimo. Eseguita la prima spianatura, ripiegate la pasta in tre, come
sarebbero tre sfoglie soprammesse e di nuovo spianatela a una discreta
grossezza. Questa operazione ripetetela per sei volte in tutto, lasciando di
tratto in tratto riposare la pasta per dieci minuti. All'ultima, che sarebbe la
settima, ripiegatela in due e riducetela alla grossezza che occorre, cioè
qualcosa meno di un centimetro. Eccettuata quest'ultima piegatura, procurate di
dare alla pasta, ogni volta che la tirate, la forma rettangolare, tre volte più
lunga che larga, e se apparissero delle gallozze, per aria rimasta, bucatele con
uno spillo.
Meglio della spianatoia comune, servirebbe una tavola di marmo che è più fredda
e più levigata. Nell'estate è necessario il ghiaccio, tanto per assodare il
burro prima di adoperarlo, quanto per tirar meglio la pasta, il che si ottiene
passando il ghiaccio, quando occorra, sopra la pasta stessa entro a un
canovaccio ben fitto o, meglio, messa fra due piatti coperti di ghiaccio.
Con la pasta sfoglia si fanno, come sapete, i vol-au-vent, i pasticcini con
marmellata o conserve, e torte ripiene di marzapane. Se volete servirvi dei
pasticcini per tramesso, allora riempiteli con un battuto delicato di carne,
fegatini e animelle; ma in tutte le maniere queste paste vanno dorate col rosso
d'uovo alla superficie ma non sugli orli per non impedire il rigonfiamento.
Se servono per dolce, spolverizzatele calde con zucchero a velo.
155. PASTA SFOGLIA A METÀ
Metà burro del peso della farina e di più un pezzetto dentro la pasta. Pel resto
vedi il numero precedente.
156. PASTELLA PER LE FRITTURE
Farina, grammi 100.
Olio fine, una cucchiaiata.
Acquavite, una cucchiaiata.
Uova, n. l.
Sale, quanto occorre.
Acqua diaccia, quanto basta.
Spegnete la farina col rosso d'uovo e cogli altri ingredienti, versando l'acqua
a poco per volta per farne una pasta non troppo liquida. Lavoratela bene col
mestolo, per intriderla, e lasciatela in riposo per diverse ore. Quando siete
per adoperarla aggiungete la chiara montata. Questa pastella può servire per
molti fritti e specialmente per quelli di frutta ed erbaggio.
157. PASTELLA PER FRITTI DI CARNE
Stemperate tre cucchiaini colmi di farina con due cucchiaini d'olio, aggiungete
due uova, una presa di sale e mescolate bene.
Questo composto prenderà l'aspetto di una crema scorrevole e servirà per dorare
i fritti di cervello, schienali, animelle, granelli, testicciuole d'agnello,
testa di vitella di latte e simili. Queste cose, quali più, quali meno, secondo
la natura loro, scottatele tutte, compresi il cervello e gli schienali che
bollendo assodano; salate l'acqua e aggiungete un pizzico di sale e una presa di
pepe quando le ritirate dall'acqua. I granelli tagliateli a filetti nella loro
lunghezza; gli schienali teneteli lunghi mezzo dito all'incirca; le animelle, se
sono d'agnello, lasciatele intere; i cervelli fateli a tocchetti grossi quanto
una noce, e tenetevi per le teste a un volume alquanto maggiore. Gettate i pezzi
nella pastella dopo averli infarinati e friggeteli nello strutto vergine o
nell'olio.
Questi fritti bianchi si uniscono spesso a fegato o a cotolette di vitella di
latte. Il fegato tagliatelo a fette sottilissime, le cotolette battetele colla
costola del coltello o tritate la carne con la lunetta per riunirla dopo a forma
elegante; tanto l'uno che le altre li condirete con sale e pepe, li metterete in
infusione nell'uovo frullato e dopo qualche ora, prima di friggerli, li
involterete nel pangrattato fine, ripetendo l'operazione anche due volte se
occorre. Accompagnate sempre questi fritti con spicchi di limone.
158. PASTA PER PASTICCI DIACCI DI CARNE
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 70.
Sale, un pizzico generoso.
Latte, quanto basta per intriderla e ridurla di giusta consistenza.
Non occorre lavorarla soverchiamente: formatene un pane e lasciatelo in riposo
per circa mezz'ora involtato in un panno umido e infarinato.
Questa dose potrà bastare per un pasticcio anche più grande di quello di
cacciagione descritto alla ricetta n. 370.
159. PASTA PER PASTICCI DI CACCIAGIONE
Per questa pasta vedi il Pasticcio di lepre descritto al n. 372.
RIPIENI
160. RIPIENO PEI POLLI
Magro di vitella di latte, grammi 100 all'incirca, un pezzetto di poppa di
vitella e le rigaglie dello stesso pollo. Alla vitella di latte e alla poppa si
può sostituire magro di maiale, petto di tacchino o semplicemente vitella.
Cuocete questa carne insieme con un piccolo battuto di scalogno o cipolla,
prezzemolo, sedano, carota e burro; conditela con sale, pepe e spezie,
bagnandola con brodo. Levatela asciutta dal fuoco, togliete al ventriglio il
tenerume, aggiungete alcuni pezzetti di funghi secchi rammolliti, una fettina di
prosciutto grasso e magro e tritate ogni cosa ben fine colla lunetta.
Nell'intinto rimasto della cottura della carne gettate una midolla di pane per
fare una cucchiaiata di pappa soda
Mescolatela al composto, aggiungete un buon pizzico di parmigiano e due uova, e
con tutto questo riempite il pollo e cucitelo. Potrete cuocerlo a lesso o in
umido. Se lo cuocete lesso sentirete un brodo eccellente; ma ponete attenzione a
scalcarlo per estrarre il ripieno tutto in un pezzo che poi taglierete a fette.
Un altro ripieno pei polli è quello del pollo arrosto n. 539.
161. RIPIENO DI CARNE PER PASTICCINI DI PASTA SFOGLIA
Si può fare questo ripieno o con vitella di latte stracottata, o con fegatini di
pollo, o con animelle. Io preferirei le animelle come cosa più delicata d'ogni
altra; ma comunque sia non mancherei di dare a questo ripieno l'odore de'
tartufi alla loro stagione. Se trattasi di animelle mettetele al fuoco con un
pezzetto di burro, conditele con sale e pepe, e quando avran preso colore finite
di cuocerle col sugo n. 4, poi tagliatele alla grossezza di un cece o meno. Alle
medesime unite un cucchiaio o due di balsamella n. 137, un po' di lingua salata,
oppure un poco di prosciutto grasso e magro tagliato a piccoli dadi, un pizzico
di parmigiano e una presa di noce moscata, procurando che gli ingredienti sieno
in dose tale da rendere il composto di grato e delicato sapore. Lasciatelo
ghiacciare bene che così assoda e si adopra meglio.
Per chiuderlo nella pasta sfoglia n. 154 ci sono due modi, potendovi servire in
ambedue dello stampo delle offelle di marmellata n. 614, od anche di uno stampo
ovale. Il primo sarebbe di cuocere la pasta col composto framezzo, il secondo di
riempirla dopo cotta. Nel primo caso ponete il composto in mezzo al disco,
inumiditene l'orlo con un dito bagnato, copritelo con altro disco simile e
cuoceteli. Nel secondo caso, che riesce più comodo per chi, avendo un pranzo da
allestire, può cuocere la pasta sfoglia un giorno avanti, si uniscono i due
dischi insieme senza il composto; ma nel disco di sopra, prima di sovrapporlo,
s'incide con un cerchietto di latta un tondo della grandezza di una moneta da 10
centesimi. Il pasticcino cuocendo rigonfia naturalmente e lascia un vuoto
nell'interno; sollevando poi colla punta di un coltello il cerchietto inciso di
sopra, che ha la forma di un piccolo coperchio, potete alquanto ampliare,
volendo, il vuoto stesso, riempirlo e riporvi il suo coperchio. In tal modo, per
mandarli in tavola, basta scaldarli; ma la pasta sfoglia prima di esser cotta va
sempre dorata coi rosso d'uovo, solo alla superficie.
Se si trattasse di riempire un vol-au-vent va tirato invece un intingolo con
rigaglie di pollo ed animelle, il tutto tagliato a pezzi grossi.
FRITTI
162. FRITTO DI PASTA RIPIENA
Prendete la pasta n. 212 oppure la pasta sfoglia n. 154, distendetela alla
grossezza di uno scudo, tagliatela a dischi smerlati della grandezza all'incirca
di quello qui segnato, ponete nei medesimi il ripieno del numero antecedente,
copriteli con altrettanti dischi della stessa pasta, bagnandoli all'ingiro
affinché si attacchino insieme, friggeteli e serviteli caldi.
163. FRITTO DI RICOTTA
Ricotta, grammi 200.
Farina, grammi 40.
Uova, n. 2.
Zucchero, due cucchiaini scarsi.
Odore di scorza di limone.
Sale, un pizzico e due cucchiaiate d'acquavite.
Ogni qualità di ricotta è buona purché non abbia preso il forte; ma adoperando
quelle di Roma e di Maremma, che sono eccellenti, sarete sicuri di farvene
onore.
Lasciate il composto in riposo per parecchie ore prima di friggerlo. Colle dosi
suddette il composto riescirà sodettino e questo è bene onde il fritto prenda la
forma di bombe della grandezza di una noce all'incirca. Spolverizzatele di
zucchero a velo e servitele calde per contorno a un fritto di carne. Dello
zucchero dentro, come vedete, ce ne va poco, perché esso brucia e il fritto non
prenderebbe allora un bel giallo dorato.
Per dare a queste e simili bombe la forma possibilmente rotonda, va preso su il
composto con un cucchiaio unto col liquido bollente della padella, dandogli la
forma coll'estremità di un coltello da tavola, intinto esso pure nell'unto
medesimo.
164. FRITTO RIPIENO DI MOSTARDA
Questo fritto si può fare in Romagna ove d'inverno è messa in commercio la
mostarda di Savignano o fatta all'uso di quel paese, che una volta era molto
apprezzata; ma non saprei dirvi se siasi mantenuta in credito.
Mancandovi questa, potete servirvi di quella fatta in casa, descritta al n. 788.
Formate una pasta piuttosto tenera coi seguenti ingredienti, lavorandola molto
colle mani sulla spianatoia.
Farina, grammi 220.
Burro, grammi 30.
Sale, un pizzico.
Latte, quanto basta per intriderla.
Lasciatela in riposo mezz'ora, poi tiratela col matterello alla grossezza di uno
scudo scarso.
Tagliatene tanti dischi con lo stampino del n. 162, ed ammesso che ne
riuscissero 80, ponete sopra a 40 un po' di mostarda e cogli altri 40 copriteli
bagnandone prima gli orli con un dito intinto nell'acqua per appiccicarli
insieme.
Friggeteli e spolverizzateli di zucchero avanti di mandarli in tavola.
165. FRITTO DI MELE
Prendete mele grosse, di buona qualità, non troppo mature; levatene il torsolo
col cannello di latta fatto a quest'uso, che lascia il buco in mezzo,
sbucciatele e tagliatele a fette grosse poco meno di un centimetro. Mettetele
nella pastella n. 156 quando siete per friggerle e se non vi dispiace l'odor
degli anaci, che qui sta bene, mettetene un pizzico.
Spolverizzatele di zucchero a velo e servitele calde.
166. FRITTO DI CARDONI
Dopo aver tolto i filamenti ai cardoni, lessateli in acqua salata, tagliateli a
pezzetti e fateli soffriggere nel burro salandoli ancora un poco. Poi
infarinateli, poneteli nella pastella n. 156 e friggeteli. Possono far comodo
per contorno a un fritto di carne o a un umido.
167. FRITTO DI FINOCCHI
Tagliateli a spicchi, nettateli dalle foglie più dure e lessateli in acqua
salata. Prima di metterli nella pastella n.156 asciugateli e infarinateli.
168. CAROTE FRITTE
Queste carote possono servire di contorno a un fritto, quando non ci sono più
gli zucchini.
Senza sbucciarle tagliatele a filetti sottili lunghi un dito, salatele e dopo
qualche ora, prese su così umide, passatele nella farina e, scosse da questa,
mettetele nell'uovo, rivoltatele nel medesimo e, presi con le dita i filetti a
uno a uno, gettateli in padella.
169. FRITTO DI PESCHE
Prendete pesche burrone non tanto mature, tagliatele a spicchi non troppo grossi
e, come le mele e i finocchi, avvolgetele nella pastella n. 156 e
spolverizzatele di zucchero dopo cotte. Non è necessario sbucciarle.
170. FRITTO DI SEMOLINO
Semolino di grana fine, grammi 70 a 80.
Latte, decilitri 3.
Uova, n. l.
Zucchero, tre cucchiaini.
Burro, quanto una noce.
Sale, un pizzico.
Odore di scorza di limone.
Ponete il latte al fuoco col burro e lo zucchero e quando comincia a bollire
versate il semolino a poco a poco, girando in pari tempo il mestolo. Salatelo e
scocciategli dentro l'uovo; mescolate e quando l'uovo si è incorporato levate il
semolino dal fuoco e distendetelo sopra a un vassoio unto col burro o sulla
spianatoia infarinata, all'altezza di un dito. Tagliatelo a mandorle e mettetelo
prima nell'uovo sbattuto poi nel pangrattato fine e friggetelo. Spolverizzatelo
di zucchero a velo, se lo desiderate più dolce, e servitelo solo o, meglio, per
contorno a un fritto di carne.
171. PALLOTTOLE DI SEMOLINO
A me sembra che questo fritto riesca assai bene e che compensi la fatica che si
fa a pestarlo.
Semolino, grammi 120.
Burro, grammi 15.
Farina di patate, una cucchiaiata colma, pari a gr. 25.
Uova, uno intero e due rossi.
Zucchero, un cucchiaino colmo.
Odore di scorza di limone.
Latte, decilitri 4.
Cuocete bene il semolino nel latte col detto zucchero, aggiungendo il burro,
l'odore e una presa di sale, quando lo ritirate dal fuoco. Quando sarà ben
diaccio pestatelo nel mortaio con le uova, prima i rossi uno alla volta poi
l'uovo intero. Versate per ultima la farina di patate, lavorando molto col
pestello il composto. Versatelo poi in un piatto e gettatelo in padella a
cucchiaini per ottener le pallottole alquanto più grosse delle noci, che
servirete spolverizzate di zucchero a velo quando avranno perduto il forte
calore.
È un fritto leggiero, delicato e di bell'aspetto.
172. FRITTELLE DI POLENTA ALLA LODIGIANA
Latte, mezzo litro.
Farina gialla, grammi 100.
Fatene una polenta e, prima di ritirarla dal fuoco, salatela; così a bollore
versatela sulla spianatoia e con un coltello da tavola intinto nell'acqua
distendetela alla grossezza di mezzo dito scarso. Diaccia che sia, servendovi
dello stampino della ricetta n. 182, o di altro consimile, tagliatene tanti
dischi che riusciranno 30 o 32 se vi aggiungete i ritagli impastandoli e
stiacciandoli con le mani. Questi dischi appaiateli, mettendovi in mezzo una
fettina di gruiera, per ottenere così da 15 a 16 frittelle.
Frullate ora due uova, ché tante occorrono per poterle dorare con queste e col
pangrattato, e friggetele nello strutto o nell'olio.
Servitele calde per contorno a un arrosto.
173. FEGATO DI MAIALE FRITTO
Gli animali superiori sono forniti di una glandola biancastra (il pancreas) che,
collocata fra il fegato e la milza, sbocca col suo condotto escretore nel
duodeno. L'umor pancreatico, di natura alcalina, vischioso come l'albumina,
contribuisce con la bile, a sciogliere le sostanze alimentari; ma la sua azione
è più specialmente rivolta a convertire le sostanze grasse in una emulsione che
le rende più digeribili. Codeste secrezioni, i succhi gastrici e la saliva
contribuiscono poi tutti insieme a compiere una digestione perfetta. Per la sua
somiglianza alle glandole salivari (le comuni animelle) e pel suo delicato
sapore, il pancreas è conosciuto da molti col nome di animella del fegato; in
Toscana, quello del maiale, vien chiamato stomachino.
A mio parere, per sentire il vero gusto del fegato di maiale bisogna friggerlo
naturale, a fette sottili, nel lardo vergine e mescolato collo stomachino a
pezzetti. In questa maniera va levato dalla padella con un poco del suo unto,
condito con sale e pepe e mentre è ancora bollente gli va strizzato sopra un
limone, il cui agro serve a smorzare il grassume. Le fette sottili di fegato si
possono anche infarinare prima di friggerle.
174. GRANELLI FRITTI
Ho sentito dire che quando nella Maremma toscana viene il giorno della
castratura dei puledri, s'invitano gli amici ad un pranzo ove il piatto che fa i
primi onori è un magnifico fritto di granelli. Del sapore di quelli non posso
dir nulla non avendoli assaggiati, benché del cavallo, ed anche dell'asino, chi
sa quante volte, senza saperlo, voi ed io ne avremo mangiato.
Vi parlerò bensì di quelli di montone che per bontà non devono valer di meno,
perché offrono un gusto come di animelle, ma più gentile ancora.
Lessateli in acqua salata, poi fate loro un'incisione superficiale per il lungo
onde togliere l'involucro esteriore che è composto, come dicono i fisiologi,
della tunica e dell'epididimo.
Tagliateli a filetti sottili, salateli ancora un poco, infarinateli bene,
passateli nell'uovo sbattuto e friggeteli.
175. FRITTO COMPOSTO ALLA BOLOGNESE
A questo fritto si potrebbe più propriamente dare il nome di crocchette fini.
Prendete un pezzo di magro di vitella di latte stracottata, un piccolo cervello
lessato o cotto nel sugo, e una fettina di prosciutto grasso e magro. Tritate
ogni cosa colla lunetta e poi pestatela ben fine nel mortaio. Dopo aggiungete un
rosso d'uovo o un uovo intero, secondo la quantità, e un poco di balsamella n.
137. Mettete il composto al fuoco e rimestando sempre lasciate che l'uovo si
cuocia.
Aggiungete per ultimo parmigiano grattato, l'odore della noce moscata, dei
tartufi tritati finissimi e versatelo in un piatto. Quando sarà ben diaccio
fatene tante pallottole rotonde della grossezza di una piccola noce e
infarinatele. Poi mettetele nell'uovo e dopo nel pangrattato finissimo,
ripetendo per due volte l'operazione e friggetele.
176. FRITTO ALLA ROMANA I
Mettete al fuoco un battutino di cipolla e burro, e quando sarà ben colorito
cuoceteci un pezzo di magro di vitella di latte condendolo con sale e pepe.
Allorché la carne sarà rosolata bagnatela con marsala per tirarla a cottura.
Pestatela nel mortaio e per rammorbidirla alquanto servitevi dell'intinto
rimasto, e se questo non basta aggiungete un gocciolo di brodo e per ultimo un
rosso d'uovo; ma badate che il composto deve rimaner sodettino.
Ora prendete delle cialde, ossia ostie, non troppo sottili, e tagliatele a
quadretti consimili a quelli che usano i farmacisti per le presine.
Frullate un uovo e la chiara rimasta; poi prendete su con le dita un'ostia,
intingetela nell'uovo e posatela sopra uno strato di pangrattato; sulla medesima
ponete tanto composto quanto una piccola noce, intingete nell'uovo un'altra
ostia, fatela toccare il pangrattato da una sola parte, cioè da quella che deve
rimanere all'esterno, e con essa coprite il composto appiccicandola all'ostia
sottostante, panatela ancora, se occorre, e mettete il pezzo da parte, ripetendo
l'operazione fino a roba finita.
Friggetelo nell'olio o nel lardo e servite questo fritto come piatto di
tramesso. Con grammi 200 di carne senz'osso, otterrete una ventina di questi
bocconi.
177. FRITTO ALLA ROMANA II
Questo fritto potrete farlo quando avrete d'occasione un petto di pollo
arrostito e, per una quantità all'incirca eguale all'antecedente, eccovi le
proporzioni:
Petto di pollo, grammi 50.
Lingua salata, grammi 40.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Parmigiano, una cucchiaiata.
Un piccolo tartufo o, mancando questo, odore di noce moscata.
Al pollo levate la pelle e tagliatelo a piccolissimi dadi e così pure la lingua
e il prosciutto; il tartufo a fettine.
Fate una balsamella con:
Latte, decilitri 2;
Burro, grammi 30;
Farina, grammi 30.
Quando questa sarà cotta versateci gl'ingredienti suddetti e lasciatela diacciar
bene per servirvene usando le ostie come nel precedente.
178. FRITTELLE DI RISO I
Latte, mezzo litro.
Riso, grammi 100.
Farina, grammi 100.
Uva sultanina, grammi 50.
Pinoli tritati alla grossezza del riso, grammi 15.
Uova, tre rossi e una chiara.
Burro, quanto una noce.
Zucchero, due piccoli cucchiaini.
Rhum, una cucchiaiata.
Odore di scorza di limone.
Lievito di birra, grammi 30.
Un pizzico di sale.
Preparate il lievito di birra come pei Krapfen n. 182, intridendolo con grammi
40 della detta farina.
Cuocete il riso nel latte in modo che riesca sodo e però lasciate da parte
alquanto latte per aggiungerlo se occorre; ma per evitare che si attacchi,
rimestate spesso e ritirate la cazzaruola sopra un angolo del fornello.
Tolto dal fuoco e tiepido che sia versateci il lievito già rigonfiato, le uova,
il resto della farina, cioè i 60 grammi rimasti, i pinoli, il rhum, e un altro
po' di latte se occorre; dopo averlo lavorato alquanto, uniteci l'uva e
rimettete la cazzaruola vicino al fuoco onde lieviti a moderatissimo calore
tutto il composto. Quando avrà rigonfiato, gettatelo in padella a cucchiaiate
per formar frittelle che riusciranno grosse e leggiere. Spolverizzatele di
zucchero a velo quando avranno perduto il primo bollore e servitele calde.
179. FRITTELLE DI RISO II
Queste sono più semplici delle descritte al numero precedente e riescono
anch'esse buone e leggiere.
Cuocete molto, o meglio moltissimo, in mezzo litro circa di latte, grammi 100 di
riso dandogli sapore e grazia con burro quanto una noce, poco sale, un
cucchiaino scarso di zucchero e l'odore della scorza di limone. Diaccio che sia
aggiungete una cucchiaiata di rhum, tre rossi d'uovo e grammi 50 di farina.
Mescolate bene e lasciate riposare il composto per diverse ore. Allorché sarete
per friggerlo montate le chiare quanto più potete, aggiungetele mescolando
adagio e gettatelo in padella a cucchiaiate. Spolverizzatele al solito di
zucchero a velo e servitele calde.
180. FRITTELLE DI SEMOLINO
Latte, mezzo litro.
Semolino, grammi 130.
Burro, quanto una noce.
Rhum, una cucchiaiata.
Odore di scorza di limone.
Sale, quanto basta.
Uova, n. 3.
Cuocete il semolino nel latte, salatelo quando è cotto e, diaccio che sia,
aggiungete le uova e il rhum. Friggetele nell'olio o nel lardo e mandatele in
tavola spolverizzate di zucchero a velo.
Questa quantità può bastare per quattro o cinque persone.
181. FRITTELLE DI TONDONE
Se non sapete cosa sia un tondone, chiedetelo a Stenterello che ne mangia spesso
perché gli piace.
Farina, grammi 250.
Uova, n. 6.
Acqua, decilitri 3.
Un pizzico di sale.
Odore di scorza di limone.
Stemperate la farina con la detta acqua versata a poco per volta e salatela.
Gettate questo intriso in padella per cuocerlo in bianco con burro, olio o lardo
e quando è assodato da una parte voltatelo con un piatto dall'altra, ed eccovi
il tondone.
Ora pestatelo nel mortaio con l'odore suddetto e rammorbiditelo con le uova: due
a un tratto, le altre quattro una alla volta con le chiare montate, lavorando
molto il composto. Friggetelo a cucchiaiate per ottener le frittelle che,
gonfiando molto, prendono l'aspetto di bombe. Spolverizzatele di zucchero a
velo.
Al composto potete unire, piacendovi, grammi 100 di uva malaga, ma allora questa
tenetela prima in molle per ventiquattr'ore nell'acqua fresca e dopo toglietele
i semi. Potranno bastare per sei persone, o per quattro se fate la metà della
dose.
182. KRAPFEN I
Proviamoci di descrivere il piatto che porta questo nome di tedescheria ed
andiamo pure in cerca del buono e del bello in qualunque luogo si trovino; ma
per decoro di noi stessi e della patria nostra non imitiamo mai ciecamente le
altre nazioni per solo spirito di stranieromania.
Farina d'Ungheria, grammi 150.
Burro, grammi 40.
Lievito di birra, quanto una grossa noce.
Uova, uno intero e un rosso.
Zucchero, un cucchiaino.
Sale, una buona presa.
Prendete un pugno della detta farina, ponetela sulla spianatoia e, fattale una
buca in mezzo, stemperateci dentro il lievito di birra con latte tiepido e
formatene un pane di giusta sodezza, sul quale inciderete un taglio in croce per
poi conoscer meglio se ha rigonfiato. Ponete questo pane in un tegamino o in una
cazzarolina nel cui fondo sia un sottilissimo strato di latte, copritela e
lasciatela vicino al fuoco onde il pane lieviti a moderatissimo calore: vedrete
che basterà una ventina di minuti. Lievitato che sia mettetelo in mezzo alla
farina rimasta ed intridetela colle uova, col burro liquefatto, collo zucchero e
col sale. Se questo pastone riesce troppo morbido, aggiungete tanta farina da
ridurlo in modo che si possa distendere col matterello alla grossezza di mezzo
dito. Così avrete una stiacciata dalla quale con un cerchio di latta taglierete
tanti dischi della grandezza di quello soprassegnato.
Ammesso che ne facciate 24, prendete un uovo o altro arnese di forma consimile e
colla punta del medesimo pigiate nel mezzo di ognuno dei dischi per imprimergli
una buca. In 12 di detti dischi ponete un cucchiaino di un battutino tirato col
sugo e la balsamella, composto di fegatini, animelle, prosciutto, lingua salata,
odore di tartufi o di funghi, il tutto tagliato a piccoli dadi.
Bagnate i dischi all'intorno con un dito intinto nell'acqua e sopra ciascuno
sovrapponete un altro disco dei 12 rimasti vuoti; quando saranno tutti coperti
premete sopra ai medesimi un altro cerchio di latta di dimensione eguale a
quello qui delineato, onde si formi un'incisione tutto all'ingiro.
Ora che avete questi 12 pasticcini ripieni bisogna lievitarli, ma a lieve
calore, e ciò otterrete facilmente ponendoli vicino al fuoco, o dentro a una
stufa. Quando saranno rigonfiati bene friggeteli nel lardo o nell'olio in modo
che sieno ricoperti dall'unto e serviteli caldi come fritto o piatto di
tramesso, il quale, per la sua apparenza e bontà sarà giudicato piatto di cucina
fine.
Se volete che servano per dolce non avrete altro a fare che riempirli di una
crema alquanto soda o di conserva di frutta, spolverizzandoli, dopo cotti, di
zucchero a velo.
Per un'altra ricetta di questi Krapfen, vedi il n. 562.
183. BOMBE E PASTA SIRINGA
Questa ricetta che può servire ugualmente bene per le bombe e per la pasta
siringa, è un po' faticosa, ma non è di difficile esecuzione.
Acqua, grammi 150.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 100.
Burro, quanto una noce.
Sale, una presa.
Odore di scorza di limone.
Uova, n. 2 e un rosso.
Mettete al fuoco l'acqua col burro e il sale e quando bolle versate la farina
tutta a un tratto e rimestatela forte. Tenete la pasta sul fuoco fino a che la
farina sia ben cotta (10 minuti) rimovendola sempre; poi levatela dalla
cazzaruola e stiacciatela alla grossezza di un dito perché si diacci bene.
Cominciate a lavorarla per tempo da prima con un rosso d'uovo e quando l'ha
incorporato aggiungete una chiara ben montata, poi un altro rosso e, lavorandola
sempre col mestolo, un'altra chiara montata e così di seguito se la dose fosse
doppia o tripla della presente. A forza di lavorarlo il composto deve riuscire
in ultimo fine come un unguento. Se si tratta di bombe gettatelo in padella a
cucchiaini dandogli la forma rotonda; se desiderate la pasta siringa fatelo
passare per la canna a traverso a un disco stellato, come la figura riportata
qui sopra, e tagliatelo via via alla lunghezza di 9 a 10 centimetri. Quando avrà
perduto il primo bollore spolverizzatela di zucchero a velo. Il doppio di questa
dose potrà bastare per otto o dieci persone.
Queste bombe possono anche servire come fritto composto praticandovi una piccola
incisione quando son cotte per introdur nell'interno un poco di battuto delicato
di carne; ma allora non vanno spolverizzare di zucchero.
184. BOMBE COMPOSTE
Queste bombe devono essere scoppiate la prima volta a Bologna. La carica che
contengono di cacio e mortadella me lo fanno supporre. Comunque sia, aggraditele
perché fanno onore all'inventore.
Acqua, grammi 180.
Farina, grammi 120.
Formaggio gruiera, grammi 30.
Burro, quanto una noce.
Mortadella di Bologna, grammi 30.
Uova, n. 3.
Un pizzico di sale.
Mettete l'acqua al fuoco col burro e col sale e quando comincia a bollire
gettate in essa il formaggio a pezzettini e subito la farina tutta in un tratto
rimestando forte. Tenete la pasta al fuoco 10 minuti circa rimuovendola sempre,
poi lasciatela diacciare. Lavoratela moltissimo ed a riprese col mestolo
gettandovi un uovo per volta, prima il rosso poi la chiara montata, e quando
sarete per friggerla aggiungete la mortadella a dadi larghi un centimetro e
grossettini. Qualora l'impasto riuscisse un po' troppo sodo per la qualità della
farina, o perché le uova erano piccole, aggiungetene un altro e ne otterrete
tante che basteranno per sei persone. Se queste bombe sono venute bene, le
vedrete gonfiare e rimaner vuote dentro, ma ci vuol forza in chi le lavora.
Servitele calde per contorno a un fritto di carne o di fegato, oppure miste a
qualunque altro fritto.
185. BOMBE DI SEMOLINO
Latte, 3 decilitri, pari a grammi 300.
Semolino di grana fine, grammi 130.
Burro, quanto una noce.
Zucchero, un cucchiaino.
Sale, quanto basta.
Odore di scorza di limone.
Uova, n. 3.
Mettete al fuoco il latte col burro e lo zucchero e quando comincia a bollire
versate il semolino a poco a poco onde non abbia a far bozzoli. Tenetelo sul
fuoco fino a che non sia ben sodo, agitandolo sempre col mestolo perché non si
attacchi al fondo. Ritiratelo dal fuoco, salatelo e subito scocciategli dentro
il primo uovo, poi quando sarete per friggerlo, gli altri due, uno alla volta,
montando le chiare e lavorandolo sempre molto col mestolo. Quando lo gettate in
padella dategli la forma di pallottole le quali rigonfieranno per divenir bombe
leggerissime che vanno spolverizzare di zucchero a velo, perduto che abbiano il
forte calore. Usate fuoco leggiero e dimenate la padella.
186. CARCIOFI FRITTI
Questo è un fritto molto semplice; ma pure, pare incredibile, non tutti lo
sanno. fare. In alcuni paesi lessano i carciofi prima di friggerli, il che non
va bene: in altri li avvolgono in una pastella la quale non solo non è
necessaria, ma leva al frutto il suo gusto naturale. Eccovi il metodo usato in
Toscana che è il migliore. Colà, facendosi grande uso ed abuso di legumi ed
erbaggi, si cucinano meglio che altrove.
Prendete, per esempio, due carciofi, nettateli dalle foglie coriacee,
spuntateli, mondatene il gambo e tagliateli in due parti; poi questi mezzi
carciofi tagliateli a spicchi o per meglio dire a fette da cavarne 8 o 10 per
carciofo anche se non è molto grosso. Di mano in mano che li tagliate, gettateli
nell'acqua fresca e quando si saranno ben rinfrescati, levateli ed asciugateli
così all'ingrosso o spremeteli soltanto, gettandoli subito nella farina perché
vi resti bene attaccata.
Montate a mezzo la chiara di un uovo, ché uno solo basta per due carciofi, poi
nella chiara mescolate il torlo e salatelo. Mettete i carciofi in un vagliettino
per scuoterne la farina superflua e dopo passateli nell'uovo, mescolate e
lasciateceli qualche poco onde l'uovo s'incorpori. Gettate i pezzi a uno a uno
in padella con l'unto a bollore e quando avranno preso un bel colore dorato
levateli e mandateli in tavola con spicchi di limone perché, come ognun sa,
l'agro sui fritti che non sono dolci dà sempre grazia ed eccitamento al buon
bere.
Se desiderate che i carciofi restino bianchi, è meglio friggerli nell'olio e
strizzare mezzo limone nell'acqua quando li mettete in molle.
187. COTOLETTE DI CARCIOFI
Certe signore si dolevano di non trovare nel mio libro questo fritto, ed eccole
appagate.
Prendete due carciofi grossi, nettateli dalle foglie dure e raschiatene il
gambo, poi lessateli, ma non troppo, e così bollenti tagliateli per il lungo in
cinque fette ciascuno, lasciandoci un po' di gambo, e conditeli con sale e pepe.
Fate una balsamella così:
Farina, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Latte, decilitri 2.
Tolta dal fuoco mescolateci un rosso d'uovo, il parmigiano e una presa di sale,
e prese su ad una ad una pel gambo le fette dei carciofi immergetele nella
balsamella, distendetele su un vassoio e, con un cucchiaio, ricopritele con la
balsamella rimasta. Dopo diverse ore, quando saranno ben diacce, doratele con un
uovo frullato, impanatele e friggetele nell'olio o nello strutto.
188. ZUCCHINI FRITTI I
Gli zucchini fritti bene piacciono generalmente a tutti e si prestano a
meraviglia per rifiorire o contornare un altro fritto qualunque.
Prendete zucchini di forma allungata della dimensione di un dito e più; lavateli
e tagliateli a filetti larghi un centimetro o meno, levate loro una parte del
midollo e salateli non troppo. Dopo un'ora o due da questa preparazione
scolateli dall'acquosità che hanno gettata e, senza asciugarli punto, buttateli
nella farina e da questa nel vagliettino, scuotendoli bene dalla farina
superflua; subito dopo gettateli in padella ove l'unto, olio o lardo che sia, si
trovi in abbondanza e bollente. Da principio non li toccate per non romperli e
solo quando si sono assodati rimuoveteli colla mestola forata e levateli quando
cominciano a prendere colore.
Si possono anche cucinare come i carciofi in teglia del n. 246, ma allora
bisogna tagliarli a fette rotonde e prepararli come quelli da friggere.
189. ZUCCHINI FRITTI II
Questi riusciranno migliori e più appariscenti di quelli della ricetta
antecedente. Prendete zucchini grandi e grossi da non potersi abbrancare con una
mano. Sbucciateli per rendere il fritto più bello, apriteli in due parti per il
lungo e levate loro il midollo in quella parte che mostrano i semi. Poi
tagliateli a strisce lunghe e sottili, larghe un dito buono e poneteli col sale
a far l'acqua lasciandoveli per qualche ora. Quando sarete per friggerli
prendeteli su con ambedue le mani e stringeteli forte per ispremerne l'acqua che
ancora contengono, poi gettateli nella farina sciogliendoli colle dita, indi nel
vagliettino e buttateli subito in padella con molto unto.
190. CIAMBELLINE
Anche questo piatto, se non si vede manipolare, è difficile che riesca bene; mi
proverò a descriverlo, ma non garantisco di farmi capire. A me queste
ciambelline furono insegnate col nome di beignets; ma la loro forma mi
suggerisce quello più proprio di ciambellíne, e per tali ve le offro.
Mettete al fuoco in una cazzaruola grammi 180 di acqua, un pezzetto di burro
quanto una grossa noce, due cucchiaini di zucchero e un pizzico di sale. Quando
il liquido bolle, stemperateci grammi 120 di farina gettandola tutta a un tratto
onde non si formino bozzoli e dimenate subito col mestolo. Levatela presto dal
fuoco e mentre è così a bollore scocciate nella medesima un uovo e mescolate
forte finché sia bene incorporato; poi ad intervalli, quando il composto è
diaccio, aggiungete altre due uova lavorando sempre e molto col mestolo finché
sia ben mantecato; e ciò si conosce dall'azione del mestolo stesso, il quale,
nei vuoti che lascia, si tira dietro un sottil velo di pasta. Datele l'odore di
vainiglia e preparate sulla spianatoia una certa quantità di farina sulla quale
verserete la detta pasta. Allora cominciate a palparla colle mani imbrattate
nella stessa farina e avvoltolatevela entro in modo che della farina se ne
appropri tanta da rendersi maneggevole, ma però morbida alquanto.
Dividete questo pastone in 16 o 18 parti, formando tante pallottole che
riusciranno grosse poco più di una noce: ad ognuna di queste pallottole fate un
buco in mezzo premendole colla punta di un dito contro la spianatoia e girandole
sopra sé stesse; rivoltatele e fate altrettanto dalla parte opposta onde il buco
diventi largo ed aggraziato; così queste pallottole prenderanno la forma di
ciambelline. Ora mettete al fuoco un vaso d'acqua di bocca larga, e quando
l'acqua sarà ben calda, ma non bollente, gettatevi le ciambelline a tre o
quattro per volta. Se si attaccano al fondo sollevatele leggermente colla
mestola forata, voltatele ed allorché vengono a galla levatele asciutte e
ponetele sopra un pannolino, poi colla punta di un coltello, fate ad ognuna giro
giro, tanto dalla parte esterna che interna, un'incisione od anche due a una
certa distanza, perché possan rigonfiar meglio.
In questo stato potrete lasciarle anche per delle ore se vi fa comodo.
Friggetele con molto unto, lardo od olio che sia, a fuoco lento, dimenando
spesso la padella; se saranno venute bene le vedrete crescere a un volume
straordinario, restando asciutte. Calde ancora, ma non bollenti, spolverizzatele
di zucchero a velo e servitele, augurandosi lo scrivente che esse, per la loro
bontà ed eleganza di forma, siano gustate da bocche gentili e da belle e giovani
signore; e così sia.
191. DONZELLINE
Farina, grammi 100.
Burro, quanto una noce.
Latte, quanto basta.
Un pizzico di sale.
Formatene un intriso né troppo sodo, né troppo morbido, lavoratelo molto colle
mani sulla spianatoia e tiratene una sfoglia della grossezza di uno scudo.
Tagliatela a piccole mandorle, friggetela nel lardo o nell'olio, e la vedrete
gonfiare, riuscendo tenera e delicata al gusto.
Così avrete le donzelline, che vanno spolverizzare con zucchero a velo quando
non saranno più bollenti.
192. FRITTO DI CHIFELS
È un fritto di poco conto, ma per contorno a un fritto di carne può servire da
pane.
Chifels, n. 2.
Latte, decilitri 2.
Zucchero, grammi 20.
Levate le punte ai chifels e tagliateli a rotelline grosse un centimetro che
collocherete sopra un vassoio. Ponete il latte al fuoco col detto zucchero e
quando sarà a bollore versatelo sulle medesime per inzupparle non molto. Diacce
che sieno bagnatele in due uova frullate, panatele e friggetele. Per signore
facili a contentarsi possono servire come piatto dolce, se date loro l'odore
della vainiglia spolverizzandole, dopo cotte, di zucchero a velo.
193. AMARETTI FRITTI
Prendete 20 amaretti piccoli, bagnateli leggermente, onde non rammolliscano
troppo, di rhum o di cognac, involtateli nella pastella del n. 156, che è dose
bastante, e friggeteli nello strutto, nel burro o nell'olio. Spolverizzateli
leggermente di zucchero a velo e serviteli caldi.
Non è fritto da fargli le furie e da andarlo a cercare; ma può servir di
compenso quando capiti il caso.
194. CRESCENTE
Che linguaggio strano si parla nella dotta Bologna!
I tappeti (da terra) li chiamano i panni; i fiaschi, i fiaschetti (di vino),
zucche, zucchette; le animelle, i latti. Dicono zigàre per piangere, e ad una
donna malsana, brutta ed uggiosa, che si direbbe una calía o una scamonea, danno
il nome di sagoma. Nelle trattorie poi trovate la trifola, la costata alla
fiorentina ed altre siffatte cose da spiritare i cani. Fu là, io credo, che
s'inventarono le batterie per significare le corse di gara a baroccino o a
sediolo e dove si era trovato il vocabolo zona per indicare una corsa in
tranvai. Quando sentii la prima volta nominare la crescente, credei si parlasse
della luna; si trattava invece della schiacciata, o focaccia, o pasta fritta
comune che tutti conoscono e tutti sanno fare, con la sola differenza che i
Bolognesi, per renderla più tenera e digeribile, nell'intridere la farina
coll'acqua diaccia e il sale, aggiungono un poco di lardo.
Pare che la stiacciata gonfi meglio se la gettate in padella coll'unto a
bollore, fuori del fuoco.
Sono per altro i Bolognesi gente attiva, industriosa, affabile e cordiale e
però, tanto con gli uomini che con le donne, si parla volentieri, perché piace
la loro franca conversazione. Codesta, se io avessi a giudicare, è la vera
educazione e civiltà di un popolo, non quella di certe città i cui abitanti son
di un carattere del tutto diverso.
Il Boccaccio in una delle sue novelle, parlando delle donne bolognesi, esclama:
“O singolar dolcezza del sangue bolognese! quanto se' tu sempre stata da
commendare in così fatti casi! (casi d'amore) mai di lagrime né di sospir fosti
vaga; e continuamente a' prieghi pieghevole e agli amorosi desiderio arrendevol
fosti; se io avesse degne lodi da commendarti, mai sazia non se ne vedrebbe la
voce mia”.
195. CRESCIONI
Perché si chiamino crescioni e non tortelli di spinaci vattel'a pesca. So che si
lessano degli spinaci secondo l'uso comune, cioè senz'acqua e, spremuti bene, si
mettono, tagliati all'ingrosso, in umido con un soffritto di olio, aglio,
prezzemolo, sale e pepe; poi si aggraziano con un po' di sapa e con uva secca, a
cui siano stati levati gli acini. In mancanza della sapa e dell'uva secca si
supplisce con lo zucchero e l'uva passolina.
Poi questi spinaci, così conditi, si chiudono nella pasta matta n. 153 intrisa
con qualche goccia d'olio, tirata a sfoglia sottile e tagliata con un disco
all'incirca di quello segnato in questa pagina. Questi dischi si piegano in due
per far prender loro la forma di mezza luna, si stringe bene la piegatura e si
friggono nell'olio. Servono come piatto di tramesso.
196. CROCCHETTE
Si possono fare con ogni sorta di carne avanzata e si preparano come le polpette
del n. 314, senza però l'uva passolina e i pinoli. Invece si può dar loro,
piacendo, l'odore dell'aglio unendovi anche qualche foglia di prezzemolo. A
queste crocchette convien meglio dare la forma a rocchetti e generalmente si
mangiano soltanto fritte.
197. CROCCHETTE DI ANIMELLE
Prendete grammi 150 di animelle, cuocetele nel sugo oppure con un battutino di
cipolla e burro, e conditele con sale, pepe e l'odore della noce moscata. Poi
tagliatele a piccoli dadi e mescolatele a due cucchiaiate di balsamella
piuttosto soda aggiungendo un rosso d'uovo e un buon pizzico di parmigiano.
Prendete su il composto a piccole cucchiaiate, versatelo nel pangrattato
dandogli la forma bislunga ad uso rocchetto. Dopo immergetele nell'uovo
sbattuto, poi un'altra volta nel pangrattato e friggetele. Potrete renderle di
gusto più grato se nel composto aggiungete prosciutto grasso e magro, lingua
salata a piccoli dadi e se, invece della noce moscata, date loro l'odore dei
tartufi a pezzettini.
Col suddetto quantitativo di animelle otterrete dieci o dodici crocchette le
quali potete unire ad altra qualità di fritto per fare un piatto di fritto
misto.
198. CROCCHETTE DI RISO SEMPLICI
Latte, mezzo litro.
Riso, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Uova, n. 2.
Cuocete molto sodo il riso nel latte, e a mezza cottura aggiungete il burro e
salatelo.
Levatelo dal fuoco, versateci il parmigiano e così a bollore scocciateci dentro
un uovo mescolando subito per incorporarlo. Quando sarà ben diaccio prendetelo
su a cucchiaiate ed involtatelo nel pangrattato dandogli forma cilindrica; con
questa dose otterrete dodici crocchette. Frullate l'uovo rimasto, gettateci
dentro le crocchette a una a una, involtatele di nuovo nel pangrattato e
friggetele.
Si possono servir sole; ma meglio accompagnate con altra qualità di fritto.
199. CROCCHETTE DI RISO COMPOSTE
Servitevi della ricetta antecedente e mescolate framezzo al riso, quando sarà
cotto e dosato, le rigaglie di un pollo tirate a cottura con burro e sugo, e se
questo vi manca, supplite con un battutino di cipolla.
Le rigaglie tagliatele dopo cotte alla grossezza di un cece.
200. CROCCHETTE DI PATATE
Patate, grammi 300.
Burro, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Rossi d'uovo, n. 2.
Zucchero, un cucchiaino.
Odore di noce moscata.
Le patate sbucciatele e se sono grosse tagliatele in quattro parti e mettetele a
bollire in acqua salata per passarle dallo staccio asciutte quando saranno cotte
ed ancora bollenti. Al passato aggiungete il burro, sciolto d'inverno, e tutto
il resto, mescolando.
Lasciate che il composto diacci bene, dividetelo in dieci o dodici parti e,
sopra uno strato leggiero di farina, date loro la forma di rocchetto per ottener
le crocchette. Frullate un uovo e nel medesimo immergetele ad una ad una,
panatele e friggetele in olio o lardo onde servirle per contorno a un fritto di
carne o ad un arrosto.
201. PALLOTTOLE DI PATATE RIPIENE
Patate, grammi 300.
Parmigiano, due cucchiaiate ben colme.
Uova, n. 2.
Odore di noce moscata.
Farina, quanto basta.
Lessate le patate, sbucciatele e passatele calde dallo staccio sopra a un velo
di farina. Fate una buca sul monte delle patate, salatele, date loro l'odore
della noce moscata e versateci le uova e il parmigiano. Poi, con meno farina che
potete, formatene un pastone morbido e lungo che dividerete in 18 parti e ad
ognuna di queste, con le dita infarinate, fate una piccola buca per riempirla
con un battuto di carne. Tirateci sopra i lembi per coprirlo e, con le mani
infarinate, formate palle rotonde che friggerete nello strutto o nell'olio,
mandandole in tavola per contorno a un fritto di carne.
È un piatto appariscente, buono e di poca spesa perché il ripieno potete
formarlo anche con le rigaglie di una sola gallina, quando vi capita, se vi
comprenderete la cresta, il ventriglio lessato prima e le uova non nate tirate a
cottura con un piccolo battutino di cipolla e burro, unendovi dopo una fettina
di prosciutto grasso e magro tagliato a dadini e tutto il resto tritato.
Se non avete la gallina formate il ripieno in altra maniera.
202. PERINE DI RISO
Riso, grammi 100.
Latte, mezzo litro.
Burro, poco più di una noce.
Parmigiano, un buon pizzico.
Uova, n. l.
Cuocete il riso ben sodo nel latte aggiungendovi il burro e, quando è cotto,
salatelo ed aspettate che abbia perduto il forte calore per scocciarvi l'uovo e
mettervi il parmigiano. Tirate poi a cottura due fegatini di pollo e due
animelle di agnello, facendone un umidino delicato, e dategli l'odore della noce
moscata; tagliatelo a pezzetti grossi meno di una nocciuola e uniteci dei
pezzetti di prosciutto, di tartufi o di funghi che gli donano molta grazia.
Per dare a questo riso ripieno la forma di perette fatevi fare un imbutino di
latta del quale vi disegnerei la forma e la grandezza, se ne fossi capace, ma
non conoscendo il disegno contentatevi del cerchio già delineato che ne
rappresenta la bocca, la parte opposta della quale termina col suo cannoncino
che ha due centimetri di lunghezza. Ungetelo col burro liquido e spolverizzatelo
di pangrattato fine, poi riempitelo per metà di riso, poneteci due o tre
pezzetti dell'umido descritto e finite di riempirlo con altro riso. Formata la
pera, per estrarla soffiate dal cannoncino, ripetendo l'operazione finché avrete
roba. Già s'intende che per friggerle queste perette bisogna dorarle con uova e
pangrattato.
203. FRITTO NEGLI STECCHINI
Fegatini grossi di pollo, n. 2.
Lingua salata, grammi 40.
Gruiera, grammi 40.
I fegatini cuoceteli nel burro e conditeli con sale e pepe. Dopo cotti
tagliateli in 12 pezzetti e lo stesso fate del gruiera e della lingua. Prendete
12 stecchini da denti ed infilate nei medesimi i suddetti 36 pezzi; prima la
lingua, in mezzo il gruiera e in cima il fegatino a una certa distanza tra loro.
Poi, servendovi della balsamella del n. 220 intonacate con la medesima i tre
pezzetti in modo che restino ben coperti; indi passateli nell'uovo frullato,
panateli e friggeteli.
Potete ai detti ingredienti aggiungere, volendo, pezzetti di animelle cotte come
i fegatini e pezzetti di tartufi crudi.
204. AGNELLO IN FRITTATA
Spezzettate una lombata d'agnello, che è la parte che meglio si presta per
questo piatto, e friggetela nel lardo vergine; poco basta, perché in quel posto
la carne è piuttosto grassa. A mezza cottura condite l'agnello con sale e pepe e
quando sarà totalmente cotto versateci quattro o cinque uova frullate e
leggermente condite anch'esse con sale e pepe. Mescolate, badando che le uova
assodino poco.
205. POLLO DORATO I
Prendete un pollastro giovane, vuotatelo, levategli la testa e le zampe,
lavatelo bene e tenetelo nell'acqua bollente per un minuto. Poi tagliatelo a
pezzi nelle sue giunture, infarinatelo, conditelo con sale e pepe e versategli
sopra due uova frullate. Dopo mezz'ora almeno di infusione involtate i pezzi nel
pangrattato, ripetendo per due volte l'operazione se occorre e cuoceteli a brace
in questa maniera: prendete una sauté o una teglia di rame stagnata, ponete in
essa olio, o meglio lardo vergine, e quando comincia a grillettare buttate giù i
pezzi del pollo facendoli rosolare da ambedue le parti a moderato calore onde la
cottura penetri nell'interno. Serviteli bollenti con spicchi di limone. L'ala di
tacchino, che lessa è la parte più delicata, si presta egualmente bene per
essere tagliata a pezzetti e così cucinata.
La punta del petto e le zampe dei polli, compreso il tacchino, possono darvi una
norma della tenerezza delle loro carni perché, quando invecchiano, la punta del
petto indurisce e non cede alla pressione delle dita, e le zampe, da nere che
erano, si fanno giallastre.
206. POLLO DORATO II
Dopo averlo trattato come il precedente, tagliatelo a pezzi più piccoli,
infarinatelo, immergetelo in due uova frullate e salate a buona misura;
friggetelo in padella, conditelo ancora un poco con sale e pepe, e servitelo con
spicchi di limone.
207. PETTI DI POLLO ALLA SCARLATTA
Da un petto di cappone o di una grossa pollastra potrete cavare sei fette
sottili, che in un pranzo basteranno per quattro o cinque persone. Cuocetele col
burro e conditele con sale e pepe.
Fate una balsamella con: burro, grammi 20; farina, grammi 40; latte, decilitri
2.
Quando è cotta uniteci grammi 50 di lingua salata tritata fine con la lunetta e,
diaccia che sia, spalmate con la medesima i petti di pollo da tutte le parti.
Tuffateli poi nell'uovo frullato, un solo uovo sarà sufficiente, panateli e
rosolateli nel burro o nel lardo alla sauté, e serviteli con spicchi di limone
208. POLLO ALLA CACCIATORA
Trinciate una grossa cipolla e tenetela per più di mezz'ora nell'acqua fresca,
indi asciugatela e gettatela in padella con olio o lardo. Quando è cotta
mettetela da parte. Spezzettate un pollastro, friggetelo nell'unto che resta e,
rosolato che sia, uniteci la detta cipolla, conditelo con sale e pepe e
annaffiatelo con mezzo bicchiere di San Giovese od altro vino rosso del migliore
e alquanto sugo di pomodoro e, dopo cinque minuti di bollitura, servitelo. Vi
avverto che non è piatto per gli stomachi deboli.
209. POLLO FRITTO COI POMODORI
Ogni popolo usa per friggere quell'unto che si produce migliore nel proprio
paese. In Toscana si dà la preferenza all'olio, in Lombardia al burro, e
nell'Emilia al lardo che vi si prepara eccellente, cioè bianchissimo, sodo e con
un odorino di alloro che consola annusandolo. Da ciò la strage inaudita, in
quella regione, di giovani pollastri fritti nel lardo, coi pomodori.
Nelle fritture di grasso io preferisco il lardo perché mi sembra dia un gusto
più grato e più saporito dell'olio. Il pollo si taglia a piccoli pezzi, si mette
in padella così naturale con sufficiente quantità di lardo, condendolo con sale
e pepe. Quando è cotto si scola dall'unto superfluo e vi si gettano i pomodori a
pezzetti dopo averne tolti i semi. Si rimesta continuamente finché i pomodori
siensi quasi strutti e si manda in tavola.
210. FEGATO COL VINO BIANCO
Il vino, come condimento, non è molto nelle mie grazie, ammenoché non si tratti
di vino da bottiglia e di certi piatti in cui è necessario pel carattere loro
speciale. Ma poiché i gusti sono tanti diversi, che quel che non piace ad uno
potrebbe piacere ad altri, eccovi un piatto col vino.
Tagliate il fegato a fette sottili e così naturale friggetelo in padella con
olio e burro. Frullate in un pentolino un cucchiaio di farina con vino bianco
ottimo ed asciutto, per formare un intriso molto liquido; quando il fegato sarà
a due terzi di cottura versateglielo sopra. Finite di cuocerlo e conditelo con
sale e pepe.
211. FEGATO ALLA CACCIATORA
Se il fegato fosse grammi 300 circa, trinciate tre grosse cipolle e tenetele in
molle nell'acqua fresca per un'ora o due. Sgrondata dall'acqua, gettate la
cipolla in padella per asciugarla; asciutta che sia versateci il lardo per
friggerla, e quando avrà preso il color marrone uniteci il fegato tagliato a
fette sottili. Lasciatelo soffriggere alquanto, frammisto alla cipolla; versate
poi nella padella poco meno di mezzo bicchiere di vino rosso buono e dopo cinque
minuti, movendolo sempre, servitelo condito con sale e pepe. Non è piatto per
gli stomachi delicati.
212. CASTAGNOLE I
Questo piatto particolare alle Romagne, specialmente di carnevale, è, a dir
vero, di genere non troppo fine, ma può piacere.
Intridete sulla spianatoia una pasta soda con farina, due uova, una cucchiaiata
di fumetto, odore di scorza di limone e sale quanto basta. Lavoratela molto e
con forza colle mani come fareste del pane comune, facendole a poco per volta
assorbire una cucchiaiata di olio fine. Per ultimo tiratela a bastoncini,
tagliateli a pezzetti del volume di una noce e gettateli subito in padella a
lento fuoco dimenandola continuamente. Cotte che sieno le castagnole,
spolverizzatele di zucchero a velo e servitele diaccie; ché sono migliori che
calde.
Se invece di fumetto vi servirete di cognac o di acquavite, il che sembra lo
stesso, vi prevengo che non otterrete il medesimo effetto e che rigonfieranno
poco.
213. CASTAGNOLE II
Eccovi una seconda ricetta di castagnole. Provatele tutt'e due ed attenetevi a
quella che più vi garba.
Uova, n. 2.
Acqua, due cucchiaiate.
Fumetto, due cucchiaiate.
Burro, grammi 20.
Zucchero, grammi 20.
Un pizzico di sale.
Mettete in un vaso i rossi d'uovo, lo zucchero, il fumetto, l'acqua e il sale.
Mescolate, montate le chiare e con questi ingredienti e il burro intridete tanta
farina sulla spianatoia da formare un pastone che si possa lavorar colle mani.
Dimenatelo molto perché si affini, poi fatene delle pallottole grosse quanto una
piccola noce e friggetele come le antecedenti a fuoco lento e in molto unto.
214. CREMA FRITTA I
Amido, grammi 100.
Zucchero, grammi 30.
Burro, grammi 20.
Latte, decilitri 4.
Uova, due intere.
Odore di scorza di limone.
Sale, una presa.
Lavorate le uova collo zucchero, poi aggiungete l'amido ridotto in polvere, la
scorza di limone grattata, il latte versato a poco per volta e il burro. Mettete
il composto al fuoco rimestando continuamente come fareste per una crema comune
e quando sarà condensato da non crescer più, gettate la presa di sale e
versatelo in un vassoio o sopra un'asse, distendendolo alla grossezza di un
dito.
Tagliatelo a mandorle quando sarà ben diaccio, doratelo coll'uovo e pangrattato,
friggetelo nel lardo o nell'olio e servitelo caldo per contorno ad altro fritto.
215. CREMA FRITTA II
Farina, grammi 100.
Zucchero, grammi 20.
Uova intere, n. 2.
Latte, decilitri 5.
Odore di vainiglia o di scorza di limone.
Per la cottura tenetela sul fuoco finché la farina non abbia perduto il crudo.
In quanto al resto regolatevi come quella del numero precedente. Metà dose,
mista ad altro fritto, potrà bastare per quattro o cinque persone.
216. TESTICCIUOLA D’AGNELLO
La testicciuola d'agnello, quando non si voglia mangiar lessa, io non conosco
che due modi di cucinarla; fritta e in umido (vedi n. 321). Per friggerla tanto
sola che col cervello, vedi la Pastella per fritti di carne, n. 157.
217. CORATELLA D’AGNELLO ALLA BOLOGNESE
Tagliate il fegato a fettine e il pasto a pezzetti e così naturali buttateli in
padella con del lardo. Quando la coratella sarà quasi cotta scolatela da tutto
l'unto e gettatevi dentro un pezzetto di burro; continuate a friggere e poco
dopo versate in padella sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua o nel
brodo. Conditela con sale e pepe, mandatela in tavola con questa sua salsa, e
state sicuri che sarà lodata.
218. FRITTO D’AGNELLO ALLA BOLOGNESE
Il meglio posto dell'agnello per friggere è la lombata: ma può servire benissimo
anche la spalla, compreso il collo. Spezzettatelo e friggetelo come la coratella
del numero precedente.
219. CONIGLIO FRITTO
La ripugnanza che molti in Italia sentono pel coniglio (Lepus cuniculus) non mi
sembra giustificata. È una carne di non molta sostanza e di poco sapore al che
si può supplire coi condimenti; ma è tutt'altro che cattiva e non ha odore
disgustoso, anzi è sana e non indigesta come quella d'agnello. Si offre poi
opportuna per chi non avendo mezzi sufficienti a procurarsi carne di manzo, è
costretto a cibarsi di legumi ed erbaggi. Il miglior modo è di friggerlo come la
coratella del n. 217.
Dicono poi che il coniglio lesso fa un brodo eccellente.
La domesticità del coniglio rimonta ad un'epoca assai antica, giacché Confucio,
500 anni avanti l'era cristiana, parla di questi animali, come degni di essere
immolati agli Dei, e della loro propagazione.
220. COTOLETTE IMBOTTITE
Formate delle cotolette di vitella di latte oppure di petti di pollo o di
tacchino, tagliate sottili e, se tenete a dar loro una forma elegante, tritatele
e riunitele dopo, schiacciandole. Se trattasi di vitella di latte basteranno
grammi 170 di magro senz'osso, per ottenerne 6 o 7. Soffriggetele, così a nudo,
nel burro, salatele e mettetele da parte.
Fate una balsamella con grammi 70 di farina, 20 di burro e 2 decilitri di latte
e appena tolta dal fuoco, salatela, gettateci una cucchiaiata di parmigiano e un
rosso d'uovo mescolando bene. Quando sarà diaccia spalmate con questa le
cotolette da ambedue le parti alla grossezza di uno scudo pareggiandola colla
lama di un coltello da tavola intinto nell'olio, poi immergetele nell'uovo
frullato, panatele e rosolatele friggendole nell'olio o nello strutto.
Servitele con spicchi di limone.
221. BRACIOLINE DI VITELLA DI LATTE ALL’UCCELLETTO
Prendete carne magra di vitella di latte, tagliatela a bracioline sottili e
battetele bene con la costola del coltello. Ponete al fuoco in una cazzaruola o
nella sauté olio e burro in proporzione con alcune foglie intere di salvia e
quando queste avranno soffritto un poco gettateci le bracioline, conditele con
sale e pepe e quando avranno bollito a fuoco vivo per cinque o sei minuti
spremeteci del limone e mandatele in tavola.
È un piatto da servire per colazione.
222. SALTIMBOCCA ALLA ROMANA
Li ho mangiati a Roma, alla trattoria Le Venete, e perciò posso descriverli con
esattezza.
Sono bracioline di vitella di latte, condite leggermente con sale e pepe, sopra
ognuna delle quali si pone mezza foglia di salvia (una intera sarebbe di troppo)
e sulla salvia una fettina di prosciutto grasso e magro. Per tenere unite
insieme queste tre cose s'infilzano con uno stecchino da denti e si cuociono col
burro alla sauté; ma vanno lasciate poco sul fuoco dalla parte del prosciutto
perché questo non indurisca. Come vedete è un piatto semplice e sano.
Con 300 grammi di magro ne otterrete 11 o 12 e potranno bastare per tre o
quattro persone.
Le bracioline tenetele alla grossezza di mezzo dito, e prima di prepararle
bagnatele e spianatele.
Potete servirle con un contorno qualunque.
223. BOCCONI DI PANE RIPIENI
Se scrivessi in francese, seguendo lo stile ampolloso di quella lingua, potrei
chiamare questi bocconi: bouchées de dames; e allora forse avrebbero maggior
pregio che col loro modesto nome.
Prendete un fegatino o due, di pollo, qualche animella e, se lo avete, un
ventriglio di pollo o di tacchino, che non guastano; ma quest'ultimi, che sono
duri, lessateli prima a metà e levatene il tenerume. Tritate il tutto colla
lunetta, mettetelo al fuoco con un battutino di cipolla, prosciutto, un pezzetto
di burro e conditelo con poco sale, pepe, e odore di noce moscata o di spezie.
Quando comincia a grillettare versate un cucchiaino scarso di farina, mescolate
perché s'incorpori e poi bagnatelo con sugo di carne o col brodo. Fate bollire e
quindi versateci dentro a poco per volta un uovo frullato e, rimestando sempre,
lasciate che il composto assodi. Ritiratelo dal fuoco, aggiungete un pizzico di
parmigiano e versatelo in un piatto.
Ora prendete una pagnotta di pane raffermo, tagliatela a fette grosse un
centimetro scarso, levatene la corteccia e fatene dei dadi larghi come un pezzo
da 10 centesimi o poco più. Mettete abbondantemente il composto sopra ai
medesimi da una sola parte, e questa, mezz'ora prima di friggere, infarinatela,
e distendete i pezzetti di pane sopra un vassoio. Versate loro sopra dell'uovo
frullato in abbondanza onde il pane s'inzuppi e il composto resti coperto e ben
dorato: gettateli in padella dalla parte del composto stesso.
Vi prevengo che questo fritto fa molta comparita, talché colle rigaglie di un
pollo, e due o tre animelle di agnello, potrete ottenere una ventina di bocconi
i quali misti a un fritto di cervello o d'altro piaceranno molto. Si può fare
anche a meno delle animelle; l'odore dei tartufi, se li avete, non potrà far che
bene.
224. FRITTO ALLA GARISENDA
Signore che vi dilettate alla cucina non mettete questo fritto nel
dimenticatoio, perché piacerà ai vostri sposi e, per gl'ingredienti che
contiene, forse sarete da essi rimeritate. Prendete pane raffermo, non troppo
spugnoso, levategli la corteccia e tagliatelo a mandorle o a quadretti di
quattro centimetri circa per ogni lato, tutti di un'eguale misura. Distendete
sopra ad ognuno prima una fetta di prosciutto grasso e magro, poi fettine di
tartufi e sopra a questi una fetta di cacio gruiera. Coprite il ripieno con
altrettanti pezzetti di pane che combacino premendoli insieme perché stieno
uniti; ma tagliate ogni cosa sottile onde i pezzi del fritto non riescano troppo
grossolani.
Ora che lo avete preparato, bagnatelo leggermente col latte diaccio e quando lo
avrà assorbito tuffate ogni pezzo nell'uovo frullato indi nel pangrattato
ripetendo due volte l'operazione onde anche gli orli restino dorati e chiusi.
Friggetelo nel lardo o nell'olio e servitelo solo o misto a qualche altro
fritto.
225. CERVELLO, ANIMELLE, SCHIENALI, TESTICCIUOLA, ECC.
Per questi fritti, vedi la Pastella per fritti di carne, n. 157.
LESSO
226. POLLO LESSO
Il pollame lesso, specialmente i capponi e le pollastre ingrassate, riusciranno
più bianchi e più puliti senza che la sostanza del brodo ne soffra, se li
cuocete entro a un pannolino sottile e legato.
Pei lessi rifatti vedi i numeri 355, 356 e 357.
TRAMESSI
Sono gli entremets dei Francesi; piatti di minor conto, che si servono tra una
portata e l'altra.
227. CRESCENTINE
Se l'aglio è un vermifugo, come si reputa generalmente, questo è un cibo
semplice e appetitoso pei bambini. Arrostite delle fette di pane da ambedue le
parti e così calde strofinatele con uno spicchio d'aglio. Poi conditele con
sale, olio, aceto e zucchero.
228. DONZELLINE RIPIENE DI ACCIUGHE SALATE
Farina, grammi 220.
Burro, grammi 30.
Latte, quanto basta.
Sale, un pizzico.
Acciughe salate, n. 4.
Intridete la farina col burro, il latte e il sale formandone un pane di giusta
consistenza, lavorandolo moltissimo se volete che la pasta rigonfi in padella.
Lasciatelo un poco in riposo, tagliatelo a metà ed allargate alquanto le due
parti.
Nettate le acciughe, dividetele a metà per il lungo, levate loro la spina e
tagliatele a pezzetti quadri e questi collocateli distesi sopra una delle dette
porzioni di pasta, copritela con quell'altra per appiccicarle insieme e così
unite tiratele col matterello a sfoglia sottile che taglierete a mandorle per
friggerle nell'olio. Questa dose basterà per sei persone e potrà servire per
principio in una colazione o per contorno a un fritto di pesce.
229. DONZELLINE AROMATICHE
Farina, grammi 180 circa.
Olio, due cucchiaiate.
Vino bianco o marsala, due cucchiaiate.
Salvia, cinque o sei foglie.
Un uovo.
Sale, quanto basta.
La salvia tritatela con la lunetta e poi intridete la farina con tutti
gl'ingredienti lavorandola bene e procurando che la pasta resti piuttosto
morbida. Poi tiratela col matterello alla grossezza di uno scudo
spolverizzandola con farina, se occorre, e tagliata a mandorle friggetela
nell'olio o nel lardo. Sento dire che qualcuno le mangia insieme ai fichi e al
prosciutto.
Ritengo questa quantità sufficiente per quattro persone.
230. GNOCCHI DI SEMOLINO
Latte, decilitri 4.
Semolino, grammi 120.
Burro, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Uova, n. 2.
Sale, quanto basta.
Cuocete il semolino nel latte e quando siete per ritirarlo dal fuoco salatelo e
versatevi metà del burro e metà del parmigiano. Poi, quando è ancora ben caldo,
aggiungete le uova e mescolate, indi versatelo sulla spianatoia, o sopra un
vassoio, distendetelo alla grossezza di un dito e mezzo e lasciate che diacci
per tagliarlo a mandorle. Eccovi gli gnocchi che collocherete uno sopra l'altro
in bella mostra entro un vassoio proporzionato, intramezzandoli col resto del
burro a pezzetti e spolverizzandoli, suolo per suolo, ma non alla superficie,
col resto del parmigiano. Per ultimo, rosolateli al forno da campagna e
serviteli caldi o soli o per contorno ad un piatto di carne stracottata o fatta
in altra maniera.
231. GNOCCHI ALLA ROMANA
Questi gnocchi, che io ho modificato e dosati nella seguente maniera, spero vi
piaceranno come sono piaciuti a quelli cui li ho imbanditi. Se ciò avviene fate
un brindisi alla mia salute se sarò vivo, o mandatemi un requiescat se sarò
andato a rincalzare i cavoli.
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 50.
Cacio gruiera, grammi 40.
Parmigiano, grammi 20.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 2.
Si dice che a tavola non si dovrebbe essere in meno del numero delle Grazie, né
in più del numero delle Muse. Se vi aggirate intorno al numero delle Muse,
raddoppiate la dose.
Intridete la farina colle uova e col latte versato a poco per volta entro una
cazzaruola, aggiungete il cacio gruiera a pezzettini e mettete l'intriso al
fuoco mescolando continuamente. Quando sarà assodato per la cottura della
farina, salatelo e aggiungete la metà del detto burro. Lasciate che il composto
diacci e poi, nella stessa guisa degli gnocchi di farina gialla, mettetelo a
tocchetti in un vassoio che regga al fuoco e conditeli via via col resto del
burro a pezzetti e col parmigiano suddetto grattato; ma non alla superficie,
perché il parmigiano col fuoco sopra prende l'amaro. Rosolateli sotto a un
coperchio di ferro o nel forno da campagna e serviteli caldi.
232. POLENTA DI FARINA GIALLA COLLE SALSICCE
Fate una polenta piuttosto tenera di farina di granturco, distendetela sulla
spianatoia alla grossezza di un dito e tagliatela a mandorle.
Ponete in un tegamino diverse salsicce intere con un gocciolo d'acqua e quando
saranno cotte spellatele, sbriciolatele ed aggiungete sugo o conserva di
pomodoro. Collocate la polenta in una teglia o in un vassoio che regga al fuoco,
conditela a suoli col parmigiano, queste salsicce e qualche pezzetto di burro
sparso qua e là, poi mettetela fra due fuochi e quando sarà ben calda servitela,
specialmente per primo piatto di una colazione alla forchetta. La detta polenta
si può fare anche dura per tagliarla a fette.
233. POLENTA PASTICCIATA
Fate una polenta soda di farina di granturco cotta nel latte. Salatela quando
siete per ritirarla dal fuoco e versatela sopra la spianatoia, alta due dita
circa. Diaccia che sia, tagliatela a mandorle grosse mezzo centimetro, che
disporrete nella seguente maniera in un vassoio di metallo o di porcellana che
regga al fuoco. Fate un intingolo come quello per condire i maccheroni alla
bolognese n. 87 o consimile, e fate un poco di balsamella n. 137, spolverizzare
il fondo del vassoio con parmigiano grattato e distendete un suolo di polenta;
conditela con parmigiano, l'intingolo e la balsamella; poi sopra a questo ponete
un altro suolo di polenta e conditela egualmente; e così di seguito finché
avrete roba. Anche qualche pezzettino di burro qua e là non ci farà male: però
mettetene poco se non volete che stucchi per soverchio condimento.
Preparato così il vassoio colla sua colma, ponetelo nel forno da campagna per
rosolare la polenta e servitela calda per tramesso in un pranzo durante
l'autunno e l'inverno. Se viene bene sarà lodata per la sua delicatezza. Nel
tempo della cacciagione un abile cuoco può metterla in forma riempiendola di
uccelletti cotti in umido.
234. MACCHERONI COLLA BALSAMELLA
Prendete maccheroni lunghi alla napoletana e cuoceteli per due terzi nell'acqua
salata. Levateli asciutti e rimetteteli al fuoco con un pezzetto di burro e
quando l'avranno assorbito aggiungete tanto latte che finisca di cuocerli a
moderato calore. Preparate intanto una balsamella come al n. 137 e quando non
sarà più a bollore legatela con un rosso d'uovo e poi versatela sui maccheroni
insieme con parmigiano grattato in proporzione. Maccheroni così preparati sono
molto opportuni per contorno a un pezzo di stracotto o a un pezzo di vitella di
latte in fricandò. Potete in questo caso prendere un vassoio che regga al fuoco,
collocarvi una forma di latta in mezzo e i maccheroni all'ingiro.
Ponete il vassoio nel forno da campagna o sotto a un coperchio di ferro col
fuoco sopra, e quando i maccheroni saranno leggermente rosolati, ritirateli dal
fuoco e, levata la forma di latta, ponete nel suo posto la carne e serviteli.
Potete anche mandarli in tavola separati, ma sempre leggermente rosolati al di
sopra per più bellezza; badate che restino sugosi.
235. MACCHERONI COL PANGRATTATO
Se è vero, come dice Alessandro Dumas padre, che gli Inglesi non vivono che di
roast-beef e di budino; gli olandesi di carne cotta in forno, di patate e di
formaggio; i Tedeschi di sauer-kraut e di lardone affumicato; gli Spagnuoli di
ceci, di cioccolata e di lardone rancido; gl'ltaliani di maccheroni, non ci sarà
da fare le meraviglie se io ritorno spesso e volentieri sopra ai medesimi, anche
perché mi sono sempre piaciuti; anzi poco mancò che per essi non mi acquistassi
il bel titolo di Mangia maccheroni, e vi dirò in che modo.
Mi trovavo nella trattoria dei Tre Re a Bologna, nel 1850 in compagnia di
diversi studenti e di Felice Orsini amico d'uno di loro. Erano tempi nei quali
in Romagna si discorreva sempre di politica e di cospirazioni; e l'Orsini, che
pareva proprio nato per queste, ne parlava da entusiasta e con calore si
affannava a dimostrarci come fosse prossima una sommossa, alla testa della
quale, egli e qualche altro capo che nominava, avrebbero corsa Bologna armata
mano. Io nel sentir trattare con sì poca prudenza e in un luogo pubblico di un
argomento tanto compromettente e di un'impresa che mi pareva da pazzi, rimasi
freddo a' suoi discorsi e tranquillamente badavo a mangiare un piatto di
maccheroni che avevo davanti. Questo contegno fu una puntura all'amor proprio
dell'Orsini, il quale, rimasto mortificato, ogni volta che poi si ricordava di
me, domandava agli amici: - Come sta Mangia maccheroni? -
Mi par di vederlo ora quel giovane simpatico, di statura mezzana, snello della
persona, viso pallido rotondo, lineamenti delicati, occhi nerissimi, capelli
crespi, un po' bleso nella pronunzia. Un'altra volta, molti anni dopo, lo
combinai in un caffè a Meldola nel momento che fremente d'ira contro un tale
che, abusando della sua fiducia, l'aveva offeso nell'onore, invitava un giovane
a seguirlo a Firenze, per aiutarlo, diceva egli, a compiere una vendetta
esemplare.
Una sequela di fatti e di vicende, una più strana dell'altra, lo trassero dopo a
quella tragica fine che tutti conoscono e tutti deplorano, ma che fu forse una
spinta a Napoleone III per calare in Italia.
Ritorniamo a bomba.
Maccheroni lunghi e che reggano bene alla cottura, grammi 300.
Farina, grammi 15.
Burro, grammi 60.
Formaggio gruiera, grammi 60.
Parmigiano, grammi 40.
Latte, decilitri 6.
Pangrattato, quanto basta.
Se vi piacessero più saporiti aumentate la dose del condimento.
Ai maccheroni date mezza cottura, salateli e versateli sullo staccio a scolare.
Mettete al fuoco in una cazzaruola metà del burro e la farina, mescolando
continuamente; quando questa comincia a prender colore versate il latte a poco
per volta e fatelo bollire per una diecina di minuti; indi gettate in questa
balsamella i maccheroni e il gruiera grattato o a pezzettini e ritirate la
cazzaruola sull'orlo del fornello onde, bollendo adagino, ritirino il latte.
Allora aggiungete il resto del burro e il parmigiano grattato; versateli poi in
un vassoio che regga al fuoco e su cui faccian la colma e copriteli tutti di
pangrattato.
Preparati in questa maniera metteteli nel forno da campagna o sotto un coperchio
di ferro col fuoco sopra e quando saranno rosolati serviteli caldi per tramesso
o, meglio, accompagnati da un piatto di carne.
236. COSTOLETTE D’AGNELLO VESTITE
Prendete costolette d'agnello di carne fina, denudate l'osso della costola,
stiacciatele, pareggiatele, cuocetele, così naturali, alla sauté col burro,
conditele calde con sale e pepe e mettetele da parte.
Fate una balsamella sodettina e nella medesima gettate prosciutto e lingua
salata a piccolissimi dadi, un pizzico di parmigiano, una presa di noce moscata
e un tartufo a fettine oppure funghi secchi rammolliti e tritati, e mettete
anche questo composto da parte perché diacci bene.
Fate una pasta sfoglia, n. 154, proporzionata alla quantità delle costolette e
colla medesima avvolgetele una per una, lasciando fuori l'osso della costola, ma
prima spalmatele da una parte e dall'altra abbondantemente col detto composto.
Quando le avrete chiuse doratele col rosso d'uovo, collocatele ritte intorno
all'orlo di una teglia, cuocetele nel forno da campagna e servitele calde.
Saranno generalmente aggradite e tenute in conto di piatto fine.
La pasta sfoglia potrete tagliarla con un modellino di carta, che così
l'involucro vi verrà più preciso; per più pulizia ed eleganza, prima di mandarle
in tavola, fasciate l'estremità di ogni costola con carta bianca smerlata.
237. COSTOLETTE NELLA CARTA
Queste costolette, che i Francesi chiamano côtelettes en papillote, si possono
condizionare nella seguente maniera che è la più semplice e da non disprezzarsi.
Prendete costolette di vitella di latte, denudate l'osso della costola,
levandone la carne, cuocetele nel burro alla sauté e conditele con sale e pepe.
Fate un composto proporzionato di prosciutto grasso e magro e prezzemolo,
tritatelo fine, aggiungete burro e midolla di pangrattato per tenerlo unito e
con questo spalmate da ambedue le parti le costolette, poi rifioritele con
fettine di tartufi crudi. Tagliate a modello della carta bianca grossettina per
quante sono le costolette, ungetela col burro o coll'olio da ambedue le parti e
con essa involtatele strette con l'osso della costola fuori. Ora ponetele in
gratella a fuoco leggero avvertendo che la carta non bruci e mandatele in
tavola, per più pulizia, con l'estremità della costola fasciata di carta bianca
smerlata. Possono servire a quest'uso anche le costolette d'agnello se sono
grandi.
238. SALAMI DAL SUGO DI FERRARA
I salami dal sugo di Ferrara sono una specialità di quel paese. Hanno la forma
di bondiole del peso di grammi 500 circa e sono di sapore piccante e appetitoso.
A differenza degli altri salumi della loro specie migliorano invecchiando ed
ordinariamente questi si mangiano quando quelli hanno fatto la loro stagione.
Allorché vorrete servirvene lavateli diverse volte con acqua tiepida per
nettarli da quella patina untuosa che li ricopre e metteteli al fuoco in acqua
diaccia abbondante per farli bollire lentamente un'ora e mezzo soltanto, chiusi
stretti in un pannolino onde evitare che la pelle schianti. Serviteli caldi con
contorno come i coteghini; ma il sugo di cui si vantano talvolta non apparisce,
o se pure, non è molto copioso.
239. PAGNOTTELLE RIPIENE
Nelle grandi città un bravo cuoco è, a male agguagliare, come un generale
d'armata in un vasto campo ben trincerato con numerose ed agguerrite legioni ove
può far valere tutte le sue prodezze. Le grandi città oltre all'esser sempre ben
provvedute d'ogni grazia di Dio, hanno chi pensa a fornirvi anche le più piccole
cose, le quali, benché di poca importanza, contribuiscono alla varietà,
all'eleganza e alla precisione de' vostri lavori. Così, come vi si trovano
bastoncini di pane che, tagliati a fette, s'infilano nello spiedo cogli uccelli,
vi si fabbricano pagnottelle della grandezza di una mela comune per farle
ripiene.
Raspatene leggermente la corteccia colla grattugia e fate in mezzo ad ognuna un
tassello rotondo della dimensione di una moneta da 10 centesimi. Vuotatele del
midollo lasciando le pareti all'intorno alquanto grossette. Bagnatele dentro e
fuori con latte bollente e quando saranno discretamente inzuppate chiudetele col
loro tassello, inzuppato anch'esso, immergetele nell'uovo per dorarle e
friggetele nel lardo o nell'olio, ma buttatele in padella dalla parte del
coperchio perché vi resti aderente. Distaccate dopo, colla punta di un
temperino, il tassello, riempitele di un battuto di carne delicato e ben caldo,
richiudetele e mandatele in tavola. Se le fate accuratamente possono benissimo
figurare in qualunque pranzo.
Il battuto di carne, a pezzetti grossi quanto i ceci, sarà bene farlo con
fegatini, petti di pollo, animelle e cose simili tirate col sugo di carne e
legate con una presa di farina; ma ciò che sarebbe indispensabile, per rendere
il composto più grato, sono i tartufi.
240. MIGLIACCIO DI FARINA DOLCE VOLGARMENTE DETTO CASTAGNACCIO
Anche qui non posso frenarmi dal declamare contro la poca inclinazione che
abbiamo noi Italiani all'industria. In alcune province d'Italia non si conosce
per nulla la farina di castagne e credo che nessuno abbia mai tentato
d'introdurne l'uso; eppure pel popolo, e per chi non ha paura della ventosità, è
un alimento poco costoso, sano e nutriente. Interrogai in proposito una
rivendugliola in Romagna descrivendole questo migliaccio e le dimandai perché
non tentava di guadagnare qualche soldo con questo commercio. - Che vuole, mi
rispose, è roba troppo dolce, non la mangerebbe nessuno. - o le cottarone che
voi vendete non sono dolci? eppure hanno dello smercio, diss' io. Provatevi,
almeno, soggiunsi; da principio volgetevi ai ragazzi, datene loro qualche pezzo
in regalo per vedere se cominciassero a gustarlo, e poi dietro ad essi è
probabile che a poco a poco si accostino i grandi. Ebbi un bel dire; fu lo
stesso che parlare al muro.
Le cottarone, per chi non lo sa, sono mele o pere, per lo più cascaticce, cotte
in forno entro una pentola nella quale si versa un gocciolo d'acqua, coprendone
la bocca con un cencio bagnato. Veniamo ora alla semplicissima fattura di questo
migliaccio.
Prendete grammi 500 di farina di castagne e siccome questa farina si appasta
facilmente passatela dal setaccio prima di adoperarla per renderla soffice; poi
mettetela in un recipiente e conditela con uno scarso pizzico di sale. Fatto
questo, intridetela con 8 decilitri di acqua diaccia versata a poco per volta
onde ridurla una liquida farinata, in cui getterete un pugno di pinoli interi.
Alcuni aggiungono ai pinoli delle noci a pezzetti, altri anche dell'uva secca e,
sopra, qualche fogliolina di ramerino.
Ora prendete una teglia ove il migliaccio venga grosso un dito e mezzo
all'incirca, copritene il fondo con un leggiero strato d'olio, ed altr' olio,
due cucchiaiate, spargetelo sulla farinata quando è nella teglia. Cuocetelo in
forno o anche in casa fra due fuochi e sformatelo caldo.
Con questa farinata si possono fare anche delle frittelle.
241. MIGLIACCIO DI FARINA GIALLA I
Questo è un piatto de' più ordinari, ma non è disgradevole a quelli cui la
farina di granturco piace, e non produce acidi allo stomaco. I bambini poi
salteranno dall'allegrezza se qualche volta la mamma lo darà loro caldo caldo
per colazione nell'inverno.
La farina gialla è sempre bene che sia macinata piuttosto grossa.
Ponete in un recipiente qualunque quella quantità di farina di cui volete
servirvi, salatela bene ed intridetela soda con acqua bollente; quando sarà
mescolata in modo che in fondo al vaso non resti farina asciutta, unitevi uva
secca o zibibbo in giusta dose; l'uva secca nostrale è preferibile, in certi
casi, allo zibibbo perché conserva un acidetto che le dà grazia. Prendete una
teglia di rame e mettetela al fuoco con lardo vergine in abbondanza e, quando
questo comincia a grillettare, versate l'impasto, il quale, per averlo intriso
consistente, fa d'uopo distendere e pareggiare col mestolo. Poi spalmatene la
superficie con un altro poco di lardo e rifioritelo con ciocchettine di ramerino
fresco. Cuocetelo al forno o tra due fuochi, fate che rosoli alquanto e
sformatelo. Col detto impasto potete anche far frittelle, ma senza ramerino. La
miglior farina gialla che io abbia sentito è quella d'Arezzo, ove il granturco
viene curato molto e seccato in forno.
242. MIGLIACCIO DI FARINA GIALLA II
Questo piatto è più signorile del precedente.
Farina di granturco, grammi 300.
Zibibbo o uva secca, grammi 100.
Strutto, grammi 40.
Pinoli, grammi 30.
Zucchero, tre cucchiaini.
All'uva levate i semi, i pinoli tagliateli in due parti per traverso. La teglia
ungetela collo strutto e infarinatela. Pel resto regolatevi come per
l'antecedente.
243. SALSICCIA COLLE UOVA
Le uova e la salsiccia messe insieme pare non si trovino in cattiva compagnia,
come non vi si trova la carnesecca tagliata a dadi; se le prime sono sciocche,
le seconde sono saporite e si forma una lega che piace a molti, benché si tratti
di piatti ordinari.
Se la salsiccia è fresca spaccatela in due parti per il lungo e mettetela a
cuocere in un tegame senz'unto né condimento, perché ne contiene di per sé
stessa; se è stagionata tagliatela a fette e levatene la pelle. Appena la
salsiccia sarà cotta, scocciate le uova e servitela quando queste saranno
rapprese. Per ogni rocchio comune di salsiccia, basta un solo uovo o al più due.
Se le salsicce fossero troppo magre sarà bene cuocerle con un po' di burro o di
lardo. Se invece di salsiccia si tratta di carnesecca, aggiungete un pezzettino
di burro e le uova versatele dopo averle frullate a parte.
244. SALSICCIA COLL’UVA
È un piatto triviale e comune, ma lo noto perché la salsiccia, con quel dolce
acidetto dell'uva, potrebbe dar nel gusto a qualcuno.
Bucate le salsicce colla punta di una forchetta e mettetele in tegame così
intere con un poco di lardo o burro. Quando saranno cotte unite l'uva, non in
quantità, a chicchi interi e fatela bollire finché si strugga a metà. La
salsiccia sola poi, oltreché in gratella, può cuocersi intera in un tegame, con
un gocciolo d'acqua.
245. RISO PER CONTORNO
Quando avrete per lesso una pollastra o un cappone mandateli in tavola con un
contorno di riso che vi sta bene. Per non consumar tanto brodo imbiancate il
riso nell'acqua e terminate di cuocerlo col brodo dei detti polli. Tiratelo sodo
e, quando è quasi cotto, dategli sapore con burro e parmigiano in poca quantità;
posto che il riso sia grammi 200, quando lo ritirate dal fuoco legatelo con un
uovo o, meglio, con due rossi.
Se il riso, invece che al lesso di pollo dovesse servire di contorno a uno
stracotto di vitella di latte o a bracioline, aggiungete agl'ingredienti sopra
indicati due o tre cucchiaiate di spinaci lessati e passati per istaccio. Avrete
allora un riso verde e più delicato.
Si può dare migliore aspetto a questi contorni restringendo il riso a
bagno-maria entro a uno stampo; ma badate non indurisca troppo, che sarebbe un
grave difetto.
246. CARCIOFI IN TEGLIA
Anche questo è un piatto di uso famigliare in Toscana, di poca spesa e
relativamente buono. Potendo servire da colazione, per principio o per tramesso
in un desinare di famiglia, non so comprendere come non sia conosciuto in altri
luoghi d'Italia.
Preparate i carciofi nel modo descritto al n. 186, e dopo averli scossi dalla
farina superflua, distendeteli in una teglia ove abbia cominciato a grillettare
olio buono e in quantità sufficiente. Quando le fette dei carciofi saranno
rosolate da ambe le parti, versate sulle medesime delle uova sbattute, ma
avvertite di non cuocerle troppo. Il condimento di sale e pepe spargetelo parte
sui carciofi e parte nelle uova prima di versarle.
Invece della teglia potete servirvi della padella; ma allora otterrete una
frittata il cui gusto riuscirà alquanto diverso e inferiore.
247. CACIMPERIO
Chi frequenta le trattorie può formarsi un'idea della grande varietà dei gusti
nelle persone. Astrazion fatta da quei divoratori, come lupi, che non sanno
distinguere, sto per dire, una torta di marzapane da un piatto di scardiccioni,
sentirete talvolta portare al cielo una vivanda da alcuni giudicata mediocre e
da altri perfino, come pessima, rigettata. Allora vi tornerà in mente la gran
verità di quella sentenza che dice: De gustibus non est dísputandum.
A questo proposito Giuseppe Averani, trattando Del vitto e delle cene degli
antichi, scrive: “Vario ed incostante sopra tutti gli altri sentimenti si è il
gusto. Imperocché gli organi della lingua, per cui gustiamo i sapori, non sono
d'una maniera in tutti gli uomini e in tutti i climi, e s'alterano sovente o per
mutazione d'età o per infermità o per altra più possente cagione. Per la qual
cosa molti di quei cibi che di soverchio appetiscono i fanciulli, non allettano
gli uomini; e quelle vivande e quelle bevande che gustevoli e delicate
solleticano con diletto e soavità il palato de' sani, non rade volte, come
spiacevoli e sazievoli, sono abbominate dagli infermi. Accade ancora bene
spesso, che una certa fantastica apprensione ci rende più o meno aggradevoli e
piacenti le vivande, secondoché la stravolta immaginazione ce le rappresenta. I
cibi e le vivande rare e strane sono più piacevoli al gusto che le comunali e
nostrali non sono. La carestia e l'abbondanza, il caro e la viltà dà e toglie il
sapore alle vivande: e la comune approvazione de' ghiotti le fa saporite e
dilettevoli. Quindi è avvenuto che tutti i tempi e tutte le nazioni gli stessi
cibi non pregiarono, né buoni e delicati medesimamente gli reputarono”.
Io, per esempio, non sono del parere di Brillat Savarin, che nella sua
Physiologie du goût fa gran caso della fondue (cacimperio) e ne dà la seguente
ricetta:
“Pesate, egli dice, le uova e prendete un terzo del loro peso di formaggio
gruiera e un sesto del loro peso di burro, sale ben poco e pepe a buona misura”.
Io, in opposizione a Savarin, di questo piatto ho poco conto, sembrandomi non
possa servire che come principio in una colazione o per ripiego quando manca di
meglio.
In Italia essendo questo un piatto speciale ai Torinesi, ritenuto perciò che
essi lo facciano alla perfezione, mi sono procurato da Torino la seguente
ricetta la quale, avendo corrisposto alla prova, ve la descrivo. Basta per sei
persone.
Fontina, netta dalla corteccia, grammi 400.
Burro, grammi 80.
Rossi d'uovo, n. 4.
Latte, quanto basta.
La fontina è un formaggio poco dissimile dal gruiera, ma alquanto più grasso.
Tagliatelo a piccoli dadi e tenetelo per due ore in infusione nel latte. Mettete
il burro al fuoco e quando avrà preso colore versateci la fontina, ma del latte,
ove è stata in molle, lasciatecene due sole cucchiaiate. Lavoratela molto col
mestolo senza farla bollire e quando il formaggio sarà tutto sciolto ritiratela
dal fuoco per aggiungervi i rossi. Rimettetela per un poco sul fuoco
rimestandola ancora e, d'inverno, versatela in un vassoio caldo.
Se è venuta bene non dev'essere né granulosa, né far le fila; ma aver
l'apparenza di una densa crema. A Torino ho visto servirla con uno strato
superficiale di tartufi bianchi crudi tagliati a fettine sottili come un velo.
248. TORTINO DI POMODORI
Fate bollire dei pomodori tagliati a pezzi in un soffritto di aglio, prezzemolo
e olio; sale e pepe per condimento.
Quando saranno cotti in maniera che il loro sugo si sia condensato, passatelo e
rimettetelo al fuoco con uova in proporzione, frullate avanti. Aggiungete un
pizzico di parmigiano, mescolate e quando le uova saranno assodate, versatele in
un vassoio e contornatele di crostini tagliati a mandorle e fritti nel burro o
nel lardo.
Qualche foglia di nepitella, o un pizzico di regamo, dopo passato il sugo, dà al
tortino un odore gradevole.
249. TORTINI DI RICOTTA
Ricotta, grammi 200.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Farina, grammi 30.
Uova, n. 2.
Prezzemolo tritato, un pizzico.
Odore di spezie.
Sale, quanto occorre.
Formate un impasto coi suddetti ingredienti, versatelo sulla spianatoia sopra a
un leggiero strato di farina e fategliene prender tanta, con le mani infarinate,
da poter formare dodici crocchette morbide che schiaccerete alquanto. Mettete
una sauté o una teglia al fuoco con un pezzo di burro per rosolarle, e quando
avranno preso colore da ambedue le parti bagnatele con sugo di pomodoro o
conserva sciolta nell'acqua.
Possono servir da tramesso e possono esser portate in tavola accompagnate da una
bistecca o da un pezzo di rosbiffe caldo.
250. CROSTINI DI TRE COLORI
Prendete due chifels e tagliateli a rotelline grosse un centimetro che
friggerete nel burro o nell'olio. Prendete degli spinaci tirati col sugo o col
burro e parmigiano, tritati fini, e coprite le fette del chifel con uno strato
dei medesimi. Prendete due uova sode, sgusciatele, tagliatele a metà per
traverso e mettete da parte i torli. Del bianco tagliate tanti cerchietti
concentrici e poneteli sopra lo strato degli spinaci. Del torlo fatene tanti
pezzetti o dadi grossetti e poneteli in mezzo ai cerchietti del bianco. Così
formerete dei crostini che potranno contornare un piatto d'arrosto i quali
avendo per base il pane fritto coperto dal verde degli spinaci, col bianco e il
giallo-rosso delle uova figureranno di tre colori; ma sono più belli che buoni.
251. INSALATA MAIONESE
Certi cuochi di cattivo gusto vi presentano questa insalata composta di tanti
intrugli da dovervi raccomandare il giorno appresso all'olio di ricino o
all'acqua ungherese. Alcuni la fanno col pollo lesso, altri perfino con avanzi
di carne qualunque arrostita; ma è da preferirsi sempre il pesce, specialmente
se di qualità fine come sarebbe il dentice, l'ombrina, il ragno, lo storione,
oppure i gamberi sbucciati, l'arigusta, e, per ultimo, il palombo. Io vi
indicherò la seguente che, a mio parere, per essere la più semplice è la più
buona.
Prendete insalata romana o lattuga, tagliatela a strisce larghe un dito,
mescolateci barbabietole e patate lesse tagliate a fette sottili, alcune
acciughe lavate, nettate dalla spina e tagliate in quattro o cinque parti, ed
infine pesce lesso a pezzetti. Potete aggiungere al più alcuni capperi e la
polpa di due o tre olive indolcite. Condite ogni cosa insieme con sale, olio e
non molto aceto, rivoltatela onde prenda bene il condimento ed ammucchiatela
tutta insieme che faccia la colma.
Fate una salsa maionese come quella del n. 126 che, nella dose ivi indicata,
potrà bastare per sette od otto persone; ma invece del pepe datele il piccante
con un cucchiaino di senapa ed al limone aggiungete un gocciolo di aceto, in cui
potete stemperare la senapa. Con questa salsa spalmate tutta l'insalata alla
superficie e poi fioritela con altre fette di barbabietole e patate intercalate
in modo che facciano bella mostra; se avete uno stampino adatto collocate in
cima all'insalata, per bellezza, non per mangiarlo, un fiore fatto col burro.
A proposito d'insalata, a me sembra che il radicchio cotto, col suo sapore
amarognolo, stia molto bene insieme colla barbabietola, la quale è dolce.
252. PIZZA A LIBRETTI
Una signora mi scrive: “Voglio insegnarle, come mi ero proposta, una buona ed
elegante pizza fritta; ma guai a lei se la chiamerà stiacciata, perché deve
riuscire tutt'altro. La chiami pizza a libretti e sarà nel vero”.
In obbedienza all'ordine della signora, avendo fatto due prove di questa pizza a
libretti, che sono riescite bene, ve la descrivo.
Tirate una sfoglia non troppo soda e quanto più potrete sottile intridendo la
farina con due uova, un pizzico di sale e tre cucchiaiate di cognac o di
spirito, e forse meglio di fumetto. Fatta la sfoglia ungetela con grammi 20 di
burro sciolto e arrotolatela, ossia piegatela sopra sé stessa alla larghezza di
10 a 11 centimetri, ma che la parte unta resti all'interno; indi tagliate il
rotolo a metà per la sua lunghezza e poi per traverso a proporzionate distanze
onde ottenere tanti rettangoli e a questi pigiate con le dita l'orlo esterno,
ossia la costola che non è stata tagliata. Friggeteli in padella con molto unto
e prima di servirli spolverizzateli di zucchero a velo. Se vengono bene vedrete
che questi libretti si aprono e restano sfogliati.
Questa dose potrà bastare per quattro persone.
UMIDI
Gli umidi, generalmente, sono i piatti che più appetiscono; quindi è bene darsi
per essi una cura speciale, onde riescano delicati, di buon gusto e di facile
digestione. Sono in mala voce di esser nocivi alla salute; ma io non lo credo.
Questa cattiva opinione deriva più che altro da non saperli ben fare; non si
pensa, cioè, a digrassarli, si è troppo generosi cogli aromi e coi soffritti e,
ciò che è il peggio, se ne abusa.
Nelle grandi cucine, ove il sugo di carne non manca mai, molti umidi si possono
tirare con questo insieme col burro; e allora riescono semplici e leggieri; ma
quando il sugo manca, ed è necessario ricorrere ai soffritti, bisogna usarli con
parsimonia e farli con esattezza tanto nella quantità, che nel grado di cottura.
253. STRACOTTO DI VITELLA
Lo stracotto di vitella per condire la minestra di maccheroni o per fare un
risotto col sugo, è d'uso comune nelle famiglie della borghesia fiorentina; la
cosa non è mal pensata se si considera che esso in tal modo serve a doppio
scopo, cioè di minestra e di companatico. Guardatevi però dal dissugar troppo la
carne per voler molto sugo e sostituite in tutto o in parte l'olio, come si usa
in Toscana, colla carnesecca, che dà un sapore più spiccato e più grato. Eccovi
le proporzioni per condire 250 a 300 grammi di maccheroni
Carne magra di vitella, compreso l'osso o la giunta, grammi 500.
Carnesecca, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Un quarto di una cipolla grossa; una piccola carota; due pezzi di sedano.
Questi tre ultimi capi tagliateli all'ingrosso e la carnesecca a piccoli dadi.
Mettete al fuoco ogni cosa insieme e condite con sale e pepe. Voltate la carne
spesso e quando sarà rosolata, spargete sulla medesima un pizzico di farina,
annaffiatela con sugo di pomodoro o conserva e tiratela a cottura con acqua
versata a poco per volta. La farina serve per legare il sugo e per dargli un po'
di colore; ma badate ch'essa non bruci che altrimenti gli comunicherebbe un
ingrato sapore e un colore quasi nero che il sugo non deve avere. Passatelo, e
se gli darete odore con alcuni pezzetti di funghi secchi, rammolliti prima
nell'acqua calda e bolliti un poco nel sugo, non farete che bene.
I maccheroni cotti in acqua salata, scolateli bene, ma prima di servirli
teneteli un poco nel sugo vicini al fuoco e conditeli con burro e con parmigiano
a scarsa misura, perché questo si può aggiungere in tavola.
Se trattasi di riso, cuocetelo nell'acqua versandola a poco per volta, a mezza
cottura aggiungete il sugo e un pezzetto di burro e, prima di levarlo, un po' di
parmigiano.
È bene mandare in tavola il pezzo dello stracotto con un contorno di erbaggi o
legumi. Il lucertolo è il taglio migliore. Se vi servite di olio basteranno
circa grammi 20 di carnesecca.
254. STRACOTTO ALLA BIZZARRA
Se avete, puta caso, un pezzo di magro di vitella del peso, senz'osso, di grammi
700 a 800 steccatelo con grammi 100 di lardone i cui lardelli, grossi un dito,
avrete prima conditi con sale e pepe, e così anche la carne. Legatela onde stia
raccolta e ponetela al fuoco mezzo coperta d'acqua con due foglie di salvia, una
ciocca di ramerino e mezzo spicchio d'aglio; se la carne è molto frolla
metteteci meno acqua. Quando, nel bollire, sarà rimasta asciutta, fatele prender
colore con un cucchiaino di farina; aggiungete un pezzetto di burro, poi
bagnatela con un ramaiuolo di brodo e con un dito (di bicchiere) di marsala.
Passate il sugo senza spremerlo e versatelo sul pezzo della carne quando lo
mandate in tavola.
255. FRICANDÒ
Prendete un pezzo di vitella di latte tutto unito, levato dalla coscia, e
lardellatelo con prosciutto grasso e magro. Legate il pezzo e salatelo poco o
meglio punto perché il troppo salato è il peggior difetto delle vivande.
Steccate una cipolla con due chiodi di garofani e componete un mazzetto con
carota tagliata a strisce, sedano e prezzemolo. Mettete ogni cosa in una
cazzaruola con un pezzetto di burro, fate rosolare la carne e tiratela a cottura
col brodo.
Quando è cotta gettate via la cipolla e il mazzetto, passate il sugo,
digrassatelo e restringetelo a parte fino a ridurlo una gelatina che unirete al
fricandò quando lo mandate in tavola.
Qui è bene avvertire che il brodo (il quale ha tanta parte alla preparazione
delle pietanze) può talvolta mancare: perciò alcuni stanno provvisti
dell'estratto di carne Liebig che, lì per lì, sciolto nell'acqua, può
sostituirlo. Ogni sorta di carne va lardellata per il lungo della fibra,
dovendosi scalcare per traverso.
256. FRICASSEA
La fricassea si può fare di petto o di muscolo di vitella di latte, d'agnello e
di pollo. Prendiamo ad esempio il primo, cioè il petto, e questo, in proporzioni
all'incirca eguali, serva per le altre qualità di carne indicata.
Petto di vitella di latte, grammi 500.
Burro, grammi 50.
Farina, grammi 5, ossia una cucchiaiata scarsa.
Acqua calda, non bollente, decilitri 2.
Due rossi d'uovo.
Mezzo limone.
Un mazzetto odoroso.
Spezzettate il petto lasciandolo con tutte le sue ossa. Mettete una cazzaruola
al fuoco colla metà del burro e, quando comincia a liquefarsi, versate la farina
mescolando finché questa abbia preso il color nocciuola. Allora cominciate a
versare a poco per volta l'acqua e poi il mazzetto che potete comporre di alcune
strisce di cipolla e di carota, di fili di prezzemolo, di sedano e di basilico,
il tutto legato insieme, escluse le foglie perché queste potrebbero disfarsi e
far bruttura alla fricassea, un pregio della quale è di avere un bel colore
paglia unito. Quando l'acqua bolle gettate giù la carne e il resto del burro e
condite con sale e pepe bianco, il quale è il fiore del pepe comune. Coprite la
cazzaruola con un foglio tenuto fermo dal coperchio e fate bollire adagio. A due
terzi di cottura levate il mazzetto e, se fosse la stagione dei funghi freschi,
la potete rendere più grata con grammi 100 o 150 di questi tagliati a fette
sottili; se no, un pizzico di funghi secchi.
Quando siete per mandarla in tavola ritirate la cazzaruola dal fuoco e versateci
a poco per volta, mescolando, i rossi d'uovo frullati coll'agro di limone.
Se la fricassea fosse di pollo, tagliatelo a pezzi nelle giunture, escludendo la
testa, il collo e le zampe; pel resto regolatevi nello stesso modo.
La fricassea fatta in questa maniera è un piatto sano e delicato che piace
specialmente a chi non ha il gusto viziato a sapori forti e piccanti.
257. CIBREO
Il cibreo è un intingolo semplice, ma delicato e gentile, opportuno alle signore
di stomaco svogliato e ai convalescenti. Prendete fegatini (levando loro la
vescichetta del fiele com'è indicato nel n. 110), creste e fagiuoli di pollo; le
creste spellatele con acqua bollente, tagliatele in due o tre pezzi e i fegatini
in due. Mettete al fuoco, con burro in proporzione, prima le creste, poi i
fegatini e per ultimo i fagiuoli e condite con sale e pepe, poi brodo se occorre
per tirare queste cose a cottura.
A tenore della quantità, ponete in un pentolino un rosso o due d'uova con un
cucchiaino, o mezzo soltanto, di farina, agro di limone e brodo bollente
frullando onde l'uovo non impazzisca. Versate questa salsa nelle rigaglie quando
saranno cotte, fate bollire alquanto ed aggiungete altro brodo, se fa d'uopo,
per renderla più sciolta, e servitelo. Per tre o quattro creste, altrettanti
fegatini e sei o sette fagiuoli, porzione sufficiente a una sola persona,
bastano un rosso d'uovo, mezzo cucchiaino di farina e mezzo limone.
I granelli del n. 174, lessati e tagliati a filetti, riescono buoni anch'essi
cucinati in questa maniera.
258. POLLO DISOSSATO RIPIENO
Per disossare un pollo il modo più semplice è il seguente:
Tagliategli il collo a metà, la punta delle ali e le zampe alla giuntura della
coscia; poi, senza vuotarlo, apritelo lungo il dorso superficialmente, dalle ali
al codrione, e con un coltellino ben tagliente cominciate a levar dall'interno
le ossa delle ali scarnendole bene. Dopo, sempre dall'interno, levate quelle
delle anche e delle coscie, quindi, radendo via via col coltello le ossa esterne
della carcassa, vi riescirà di levarla tutta intera, comprese le interiora. I
piccoli ossicini della stizza lasciateli, oppure levatela tutta e levate la
forcella del petto.
Fatto questo, rovesciate le coscie e le ali, già spoglie d'ossa, ritirandole
all'interno e portate via tutti i tendini che trovate framezzo alla carne.
Ora che il pollo è disossato, se fosse alquanto grosso, formate il composto per
riempirlo, con grammi 300 circa di magro di vitella di latte; se piccolo,
regolatevi in proporzione. Tritatelo prima, poi pestatelo nel mortaio per
ridurlo ben fine, e a questa carne aggiungete una grossa midolla di pane
inzuppata nel brodo, un pugno di parmigiano grattato, tre rossi d'uovo, sale,
pepe e, se vi piace, odore di noce moscata. Per ultimo mescolate nel composto,
grammi 20 di prosciutto grasso e magro, e grammi 20 di lingua salata, tagliati
l'uno e l'altra a piccoli dadi; riempito che abbiate il pollo cucitelo,
involtatelo stretto in un pannolino e legatelo. Mettetelo a cuocere nell'acqua
per un paio d'ore a fuoco lento, poi toglietegli l'involucro e fatelo prender
colore prima col burro poi in un sugo tirato nella seguente maniera:
Spezzate tutte le ossa levate dal pollo, il collo e la testa compresi, e con
carnesecca a pezzetti, burro, cipolla, sedano e carota mettetele al fuoco in una
cazzaruola, condite con sale e pepe, tiratene il sugo con l'acqua in cui ha
bollito il pollo, la quale è già divenuta un buon brodo. Prima di mandarlo in
tavola, da solo o con un contorno, levategli il filo con cui fu cucito.
259. SOUFFLET DI POLLO
Questo piatto nutriente, leggero e poco eccitante può venire opportuno se, dopo
un pranzo, restano degli avanzi di pollo arrosto (petti ed anche); specialmente
poi se nella famiglia si trovasse qualche persona vecchia. o di stomaco delicato
e debole.
Polpa di pollo priva della pelle, grammi 80.
Farina, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Latte, decilitri 2 ½.
Uova, n. 4.
Sale, una presa.
Fate una balsamella col burro, la farina e il latte, dopo cotta e non più a
bollore, uniteci il parmigiano, il sale, i rossi d'uovo e il pollo tritato fine
con la lunetta. Poi montate ben sode le chiare, aggiungete in bel modo al
composto anche queste per versarlo in un vassoio che regga al fuoco, rosolatelo
leggermente al forno da campagna e servitelo caldo, benché sia buono anche
diaccio.
260. POLLASTRA IN UMIDO COL CONTORNO DI RISO
Una pollastra del peso, vuota, di circa grammi 700.
Riso, grammi 300.
Burro, grammi 100.
Prosciutto grasso e magro, grammi 40.
Una cipolla più che di mezzana grandezza.
Un pezzo di carota.
Un pugnello di funghi secchi.
Legate la pollastra per tenerne unite le parti, poi ponete in una cazzaruola
grammi 30 del detto burro e il prosciutto tagliato a striscioline; trinciateci
sopra la cipolla e la carota, indi collocateci la pollastra dalla parte del
petto condendola con sale e pepe. Tenetela coperta e, colorita che sia da
ambedue le parti, bagnatela via via con acqua calda fino a cottura completa,
lasciandoci il sugo sufficiente per dar sapore al riso, ma il sugo passatelo.
Il riso mettetelo al fuoco così naturale con la metà del burro rimasto, poi
tiratelo a cottura con acqua calda e per ultimo col sugo della pollastro. A
cottura completa aggiungete il resto del burro e dategli maggior sapore con un
buon pugno di parmigiano grattato.
Il fegatino e il ventriglio cuoceteli insieme con la pollastra e tagliati a
pezzetti, mescolateli fra il riso. Il risotto così preparato può anche servire
per minestra e bastare a tre persone, ma allora servite la pollastra a parte con
alquanto del suo sugo e i funghi per contorno.
261. BRACIUOLA DI MANZO RIPIENA IN UMIDO
La braciuola di manzo ripiena arrosto del n. 537 potete cuocerla anche in umido
col burro tirandola a cottura con acqua e sugo di pomodoro e servirla con un
contorno qualunque.
262. BRACIUOLA DI MANZO ALLA SAUTÉ
Quando, per colazione, vi piacesse di sostituire alla bistecca una braciuola di
manzo, che cotta in gratella, potrebbe riuscire troppo arida, cucinatela nella
seguente maniera, che riesce molto bene. Battetela ben bene con la costola di un
coltello e mettetela al fuoco con un pezzetto di burro proporzionato. Conditela
con sale e pepe, voltatela spesso onde ròsoli da ambedue le parti e quando avrà
ritirato quasi tutto il burro bagnatela per due volte con un gocciolo d'acqua e,
cotta che sia, spargetele sopra un pizzico di prezzemolo tritato, tenetela
ancora un momento sul fuoco e servitela col suo sugo.
Potete contornarla, piacendovi, con patate fritte
263. POLLO ALLA CONTADINA
Prendete un pollastro e steccatelo con alcune ciocchette di ramerino e con uno
spicchio d'aglio diviso in quattro o cinque pezzi. Mettetelo al fuoco con un
battutino di lardone e conditelo con sale e pepe di fuori e di dentro. Quando
sarà rosolato da tutte le parti, aggiungete pomodori a pezzi, toltine i semi, e
quando questi saranno disfatti, bagnatelo con brodo od acqua. Rosolate a parte
nell'olio, nel lardo o nel burro alcune patate crude tagliate a spicchi, fate
loro prendere sapore nell'intinto del pollo, e servitele per contorno. Al
lardone sostituite il burro, se volete il pollo di gusto più delicato.
264. POLLO COLLA MARSALA
Tagliate il pollo a grossi pezzi e mettetelo in cazzaruola con un battutino di
cipolla tritata fine e un pezzetto di burro. Conditelo con sale e pepe e quando
sarà ben rosolato, aggiungete del brodo e tiratelo a cottura. Passate il sugo,
digrassatelo se occorre e rimettete il pollo al fuoco con un po' di marsala,
levandolo appena abbia ripreso il bollore.
265. POLLO COLLE SALSICCE
Tritate minutamente mezza cipolla e mettetela in una cazzaruola con un pezzetto
di burro e quattro o cinque fettine di prosciutto larghe un dito. Sopra questi
ingredienti ponete un pollo intero, conditelo con pepe e poco sale e mettetelo
al fuoco. Fatelo prender colore da tutte le parti e quando la cipolla sarà tutta
strutta, bagnatelo con brodo o con acqua e aggiungete tre o quattro salsicce
intere fatte di fresco; lasciate cuocere a lento fuoco procurando che in ultimo
resti dell'umido.
266. POLLO IN SALSA D’UOVO
Spezzettate un pollastro giovane e mettetelo nella cazzaruola con grammi 50 di
burro. Conditelo con sale e pepe. Quando avrà soffritto alquanto spargetegli
sopra un pizzico di farina per fargli prender colore e poi tiratelo a cottura
col brodo. Levatelo asciutto in un vassoio, tenendolo in caldo, e nell'intinto
che resta versate un rosso d'uovo, frullato avanti con l'agro di mezzo limone,
per formare la salsa. Rimestatela alquanto sopra al fuoco, versatela sul pollo e
servitelo.
267. POLLO CON LA PANNA
Infilate allo spiedo un busto di pollo giovane per dargli due terzi di cottura
arrosto; ungetelo con l'olio, salatelo e fategli prender colore. Poi dividetelo
nelle sue giunture e del petto fatene due pezzi per terminare di cuocerlo nella
seguente maniera.
Tritate un quarto di cipolla di media grossezza e mettetela al fuoco con grammi
50 di burro; quando sarà ben rosolata buttateci grammi 10 di farina e dopo, a
poco per volta, tre decilitri di panna oppure, se questa manca, altrettanto
latte buonissimo. Quando crederete che la farina sia cotta versateci i pezzi del
pollo per terminare di cuocerli.
268. POLLO ALLA MARENGO
La sera della battaglia di Marengo, nel sottosopra di quella giornata non
trovandosi i carri della cucina, il cuoco al primo Console e ai Generali
improvvisò, con galline rubate, un piatto che manipolato all'incirca come quello
che qui vi descrivo, fu chiamato Pollo alla Marengo; e si dice che esso fu poi
sempre nelle grazie di Napoleone, se non pel merito suo, ma perché gli
rammentava quella gloriosa vittoria.
Prendete un pollo giovane ed escludendone il collo e le zampe, tagliatelo a
pezzi grossi nelle giunture. Mettetelo alla sauté con grammi 30 di burro, una
cucchiaiata d'olio e conditelo con sale, pepe e una presa di noce moscata.
Rosolati che sieno i pezzi da una parte e dall'altra scolate via l'unto e
gettate nella sauté una cucchiaiata rasa di farina e un decilitro di vino
bianco. Aggiungete brodo per tirare il pollo a cottura, coperto, e a fuoco
lento. Prima di levarlo dal fuoco fioritelo con un pizzico di prezzemolo tritato
e quando è nel vassoio strizzategli sopra mezzo limone. Riesce una vivanda
appetitosa.
269. PETTI DI POLLO ALLA SAUTÉ
Il miglior modo di cucinare i petti di pollo mi pare che sia il seguente, perché
riescono delicati al gusto e fanno tale comparita che un petto di cappone può
bastare in un pranzo per quattro o cinque persone. Tagliate i petti a fette
sottili quasi come la carta, date loro la miglior forma che sarà possibile e dei
minuzzoli che ricavate nel ripulir bene lo sterno, formatene un intero pezzo,
unendoli insieme e schiacciandoli. Poi conditeli con sale e pepe e metteteli in
infusione nelle uova frullate. Dopo qualche ora passateli nel pangrattato fine e
cuoceteli col burro nella sauté o in teglia. Se li aggradite naturali basta
l'agro di limone; se poi li volete coi tartufi potete trattarli come le
cotolette del n. 312, oppure nella maniera che segue:
Prendete un tegamino di metallo, versate nel medesimo tant'olio che appena ne
ricuopra il fondo, distendete un suolo di fettine di tartufi, spargendovi sopra
pochissimo parmigiano grattato e una presa di pangrattato. Ripetete la stessa
operazione per tre o quattro volte, secondo la quantità, e per ultimo condite
con olio, sale, pepe e qualche pezzettino di burro, il tutto a piccole dosi
perché non nausei. Mettete il tegame al fuoco e quando avrà alzato il bollore
annaffiate con un ramaiolino di sugo di carne o di brodo e un po' d'agro di
limone. Ritirate presto dal fuoco questo intingolo e versatelo sopra i petti già
rosolati nel modo anzidetto.
Non avendo i tartufi, servitevi di funghi secchi rammolliti tritati
all'ingrosso, e se manca l'agro di limone ricorrete al sugo di pomodoro o alla
conserva.
270. GERMANO OSSIA ANATRA SELVATICA I
Quando comperate un germano (Anas boscas) in mercato, apritegli il becco per
osservare la lingua. Se la trovate molto risecchita dite pure che l'animale è
morto da lunga data e allora annusatelo per accertarvi che non puzzi.
Alcuni suggeriscono di lavare questi uccelli coll'aceto prima di cuocerli,
oppure di scottarli nell'acqua per toglier loro il selvatico; ma siccome quel
puzzo disgustoso, se troppo forte, risiede principalmente nella glandola
urupigiale, io ritengo che basti il recider questa. Essa trovasi all'estremità
del codrione, volgarmente chiamato stizza, e racchiude un umore giallastro e
vischioso, abbondante negli uccelli acquatici col quale essi spalmansi le penne
per renderle impermeabili.
Vuotate il germano serbando il fegatino, il cuore e la cipolla; levategli la
testa, e la pelle del collo, dopo averla aperta per estrarne le vertebre,
ripiegatela sul petto dell'animale. A questi uccelli, quando si fanno in umido,
si addice un contorno di cavolo nero o di lenticchie intere; in ogni modo, si
adoperi l'uno o l'altro, preparate un soffritto nella seguente maniera:
Se il germano pesa circa un chilogrammo tritate fine col coltello grammi 30 di
prosciutto grasso e magro insieme con tutti gli odori, cioè sedano, prezzemolo,
carota e un quarto di una grossa cipolla; mettete ogni cosa insieme con
dell'olio in una cazzaruola e sopra al battuto adagiate il germano, condendolo
con sale e pepe. Fatelo prender colore da tutte le parti e poi aggiungete acqua
per tirarlo a cottura.
Cuocete nell'acqua il contorno di cavolo nero o di lenticchie e, sia l'uno o
l'altro, rifatelo nel suddetto intinto: assaggiatelo per aggiungervi, se
occorre, un pezzetto di burro, che lo renda più grato e saporito, e unitelo al
germano quando lo mandate in tavola. Il cavolo tagliatelo all'ingrosso e
conditelo pure con sale e pepe.
271. GERMANO IN UMIDO II
Mettete il germano nella cazzaruola con grammi 30 di burro e fategli prender
colore. Levatelo e gettate nell'unto rimasto un cucchiaio di farina per farle
prendere, rimuovendola col mestolo, il color marrone. Tolto dal fuoco e non più
a bollore, versate su quell'intriso mezzo litro di acqua e rimetteteci il
germano; conditelo con sale e pepe e fatelo bollire coperto fino a cottura
completa con un quarto di una buccia d'arancio in un sol pezzo, una costola di
sedano lunga un palmo e un pezzo di carota, l'uno e l'altra trinciati
all'ingrosso. Per ultimo passate il sugo, spezzettate il germano nelle sue
giunture, rimettetelo nel suo intinto spremendogli sopra il sugo del ricordato
arancio per farlo bollire ancora pochi minuti e servitelo.
Nella stessa guisa si può trattare l'anatra domestica, ma questa essendo molto
grassa, sarà bene togliere dallo intinto il soverchio unto prima di mandarla in
tavola. Uno dei modi per toglierlo è di versare l'intinto in una scodella e di
posarci sopra qualche pezzo di carta straccia sugante la quale ha la proprietà
di assorbirlo.
272. ANATRA DOMESTICA
Preparatela come il germano del n. 270 e mettetela al fuoco con un battuto
simile a quello. Quando l'anatra avrà preso colore bagnatela con sugo di
pomodoro o conserva e tiratela a cottura con acqua o brodo. Passate il sugo,
digrassatelo e rimettetelo al fuoco con l'anatra e un pezzetto di burro. Con
questo sugo e parmigiano potete condire una minestra di strisce o di lasagne
fatte in casa e l'anatra servirla con un contorno d'erbaggi rifatti in un poco
di quel sugo medesimo.
273. ANATRA DOMESTICA COL CONTORNO DI RISO
Questo mi sembra un buon umido e che meriti una menzione speciale.
Fate un battuto con un quarto di una grossa cipolla e tutti gli odori, cioè
prezzemolo, carota e sedano tritato insieme con grammi 50 di prosciutto grasso e
magro.
Mettetelo al fuoco con due cucchiaiate d'olio e l'anatra sopra, condita con sale
e pepe. Rosolata che sia, bagnatela con sugo di pomodoro, o conserva, e l'acqua
occorrente per tirarla a cottura, gettandoci in pari tempo un pizzico di funghi
secchi per cuocerli in quell'intinto che poi va passato dallo staccio e
digrassato, serbando i funghi per unirli al riso. Questo, nella quantità di
grammi 200, mettetelo, così crudo, in una cazzaruola con grammi 40 di burro e
quando accenna a prender colore versate acqua calda a poco per volta, dandogli
sapore coll'intinto dell'anatra e parmigiano quando siete per levarlo dal fuoco.
274. FEGATO D’OCA
Leggete l'articolo Oca domestica n. 548 e vi troverete in ultimo il modo di
cucinare il fegato della medesima; ma essendomene capitato un altro, l'ho
cucinato diversamente ed essendo, a mio avviso, riuscito migliore del primo ve
lo descrivo. Dopo cotto nel modo ivi indicato levatelo asciutto e legatelo con
un intriso composto di gr. 20 di burro messo al fuoco con un cucchiaino colmo di
farina e, allorché questa avrà preso il color nocciuola, diluitela con un
ramaiuolo di brodo e tre cucchiaiate di marsala, versateci il fegato, fatelo di
nuovo bollire alquanto e servitelo.
275. FOLAGHE IN UMIDO
La folaga (Fulica Atra) si potrebbe chiamare uccello pesce, visto che la Chiesa
permette di cibarsene ne' giorni magri senza infrangere il precetto. La sua
patria sono i paesi temperati e caldi dell'Europa e dell'Africa settentrionale,
e come uccello anche migratorio viaggia di notte. Abita i paduli e i laghi, è
nuotatore, nutrendosi di piante acquatiche, d'insetti e di piccoli molluschi.
Due sole specie trovansi in Europa. Fuori del tempo della cova le folaghe stanno
unite in branchi numerosissimi, il che dà luogo a cacce divertenti e micidiali.
È assai cognita quella con barchetti, chiamata la tela, nelle vicinanze di Pisa
sul lago di Massaciuccoli, di proprietà del marchese Ginori Lisci, che ha luogo
diverse volte nell'autunno inoltrato e nell'inverno. Nella caccia del novembre
1903, alla quale presero parte con cento barche cacciatori di ogni parte
d'Italia, furono abbattute circa seimila folaghe; così riferirono i giornali.
La carne della folaga è nera e di poco sapore, e pel selvatico che contiene
bisogna, in cucina, trattarla così:
Prendiamo, ad esempio (come ho fatto io), quattro folaghe e, dopo averle pelate
e strinate alla fiamma per tor via la gran caluggine che hanno, vuotatele e
lavatele bene. Dopo trapassatele per la lunghezza del corpo con uno spiedo
infuocato, poi tagliatele in quattro parti gettando via la testa, le zampe e le
punte delle ali; indi tenetele in infusione nell'aceto per un'ora e dopo
lavatele diverse volte nell'acqua fresca. Dei fegatini non me ne sono servito;
ma le cipolle, che sono grosse e muscolose come quelle della gallina, dopo
averle vuotate, lavate e tagliate in quattro pezzi, le ho messe pure
nell'infusione.
Ora, fate un battuto, tritato fine, con una grossa cipolla e tutti gli odori in
proporzione, cioè sedano, carota e prezzemolo, e mettetelo al fuoco con grammi
80 di burro, e nello stesso tempo le folaghe e i ventrigli condendole con sale,
pepe e odore di spezie. Quando saranno asciutte bagnatele con sugo di pomodoro o
conserva sciolta in acqua abbondante per cuocerle e perché vi resti molto
intinto. Cotte che sieno, passate il sugo e in questo unite un petto e mezzo di
folaga tritato fine e altri grammi 40 di burro, per condire con esso e con
parmigiano tre uova di pappardelle o grammi 500 di strisce che, pel loro gusto
particolare, saranno lodate. Le folaghe, con alquanto del loro intinto,
servitele dopo come piatto di companatico che non saranno da disprezzarsi. Tutta
questa roba credo potrà bastare per cinque o sei persone.
Ho inteso dire che si ottiene anche un discreto brodo cuocendole a lesso con due
salsicce in corpo.
276. PICCIONI IN UMIDO
A proposito di piccioni sentite questa che vi do per vera, benché sembri
incredibile, e valga come riprova di ciò che vi dicevo sulle bizzarrie dello
stomaco.
Una signora prega un uomo, che le capita per caso, di ucciderle un paio di
piccioni, ed egli, lei presente, li annega in un catino d'acqua. La signora ne
ricevé una tale impressione che d'allora in poi non ha più potuto mangiar la
carne di quel volatile.
Guarnite i piccioni con foglie di salvia intere, poneteli in un tegame o in una
cazzaruola sopra a fettine di prosciutto grasso e magro e conditeli con olio,
sale e pepe. Quando essi avranno preso colore, aggiungete un pezzo di burro e
tirateli a cottura con brodo. Prima di ritirarli dal fuoco spremeteci sopra un
limone e adoperate il loro sugo per servirli con fette di pane arrostito postevi
sotto. Avvertite di salarli pochissimo a motivo del prosciutto e del brodo. Al
tempo dell'agresto, potete usare quest'ultimo invece del limone, seguendo il
dettato:
Quando Sol est in leone,
Bonum vinum cum popone,
Et agrestum cum pipione.
277. PICCIONE ALL’INGLESE O PICCION PAIO
Avverto qui una volta per tutte che nella mia cucina non si fa questione di nomi
e che io non do importanza ai titoli ampollosi. Se un inglese dicesse che questo
piatto, il quale chiamasi anche con lo strano nome di piccion paio, non è
cucinato secondo l'usanza della sua nazione, non me ne importa un fico; mi basta
che sia giudicato buono, e tutti pari. Prendete:
Un piccione giovane, ma grosso.
Vitella di latte magra, gr. 1 00, oppure un petto di pollo.
Fette sottili di prosciutto grasso e magro, grammi 40.
Fette di lingua salata, grammi 30.
Burro, grammi 40.
Mezzo bicchiere di brodo buono digrassato.
Un uovo sodo.
Tagliate il piccione a piccoli pezzi nelle sue giunture scartando la testa e le
zampe. Tagliate la vitella di latte o il petto di pollo a bracioline e battetele
colla costola del coltello. Tagliate il prosciutto e la lingua a strisce larghe
un dito. Tagliate l'uovo in otto spicchi.
Prendete un piatto ovale di metallo o di porcellana che regga al fuoco e
distendetevi a strati uno sopra all'altro, prima la metà del piccione e della
vitella, poi la metà del prosciutto e della lingua, la metà del burro sparso qua
e là a pezzettini e la metà, ossia quattro spicchi, dell'uovo; condite con
pochissimo sale, pepe e odore di spezie, e ripetete l'operazione col rimanente
in modo che tutto l'insieme faccia la colma. Per ultimo annaffiate col brodo
suddetto, ma diaccio, che vedrete galleggiare sul primo orlo del piatto e che
rimarrà in gran parte dopo la cottura. ora formate una pasta per ricoprirlo,
nelle seguenti proporzioni:
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 50.
Spirito di vino, un cucchiaino
Zucchero, un cucchiaino.
Agro di limone, uno spicchio.
Un rosso d'uovo.
Sale, quanto basta.
Intridete la farina coi suddetti ingredienti e, se non bastano, aggiungete acqua
tiepida per fare una pasta alquanto morbida. Lavoratela molto gettandola con
forza contro la spianatoia, lasciatela un poco in riposo e tiratene una sfoglia
addoppiandola quattro o cinque volte, riducendola, per ultimo, grossa come uno
scudo, col matterello rigato. Con essa coprite il piatto adornandolo, se è
possibile, coi ritagli della stessa pasta, indi doratela con rosso d'uovo;
cuocete questo pasticcio (che tale si può chiamare) al forno da campagna e
servitelo caldo.
A me pare che questo piatto venga meglio ammannito nella seguente maniera per
dargli un carattere e un gusto più nazionale. Date prima mezza cottura al
piccione e alle altre carni col detto burro, condendole col sale, il pepe e le
spezie. Poi disponetele sul vassoio nel modo indicato, non escludendo l'intinto
dell'umido e il brodo. Aumentando il condimento potrete unirvi anche rigaglie di
pollo, animelle e tartufi.
278. MANICARETTO DI PICCIONI
Tagliateli a quarti o a pezzi grossi nelle giunture e metteteli al fuoco con una
fetta di prosciutto, un pezzetto di burro e un mazzetto guarnito, condendoli con
sale e pepe. Quando cominciano ad asciugare bagnateli con brodo e, a mezza
cottura, aggiungete le loro rigaglie, delle animelle a pezzi, e funghi freschi
tagliati a fette, od anche secchi ma fatti prima rinvenire nell'acqua calda,
oppure tartufi; questi però vanno messi a cottura quasi compita. Dopo averli
bagnati con del brodo, versateci, se i piccioni son due, mezzo bicchiere di vino
bianco che avrete prima fatto scemare di metà al fuoco, in un vaso a parte.
Continuate a farli bollire dolcemente, poi aggiungete altro pezzetto di burro
intriso nella farina, oppure farina sola, per legarne la salsa, e per ultimo,
avanti di mandarli in tavola, levate il prosciutto e il mazzetto, e strizzate
sui piccioni un limone. Le animelle scottatele prima e spellatele se sono di
bestia grossa.
In questo stesso modo si possono cucinare i pollastri giovani, guarnendoli di
rigaglie invece che di animelle.
279. TIMBALLO DI PICCIONI
Questa pietanza dicesi timballo, forse dalla forma che si approssima
all'istrumento musicale di questo nome.
Fate un battuto con prosciutto, cipolla, sedano e carota, aggiungete un pezzetto
di burro e mettetelo al fuoco con un piccione o due, a seconda del numero delle
persone che dovranno fargli la festa. Unite ai medesimi le loro rigaglie con
altre di pollo, se ne avete. Condite con sale e pepe e, quando i piccioni
saranno rosolati, bagnateli con brodo per tirarli a cottura, ma procurate che vi
resti del sugo. Passate questo e gettatevi dei maccheroni che avrete già cotti,
ma non del tutto, in acqua salata e teneteli presso al fuoco rimovendoli di
quando in quando. Fate un poco di balsamella, poi spezzate i piccioni nelle loro
giunture, escludendone il collo, la testa, le zampe e le ossa del groppone
quando non vi piacesse di disossarli del tutto, il che sarebbe meglio. Le
rigaglie tagliatele a pezzi piuttosto grossi e alle cipolle levate il tenerume.
Allorché i maccheroni avranno succhiato il sugo, conditeli con parmigiano,
pezzettini di burro, dadini o, meglio, fettine di prosciutto grasso e magro,
noce moscata, fettine di tartufi o, mancando questi, un pugnello di funghi
secchi rammolliti. Unite infine la belsamella e mescolate.
Prendete una cazzaruola di grandezza proporzionata, ungetela tutta con burro
diaccio e foderatela di pasta frolla. Versate il composto, copritelo della
stessa pasta e cuocetelo al forno; sformatelo caldo e servitelo subito.
Con grammi 300 di maccheroni e due piccioni farete un timballo per dieci o
dodici persone se non sono forti mangiatori. Volendo potete anche dargli la
forma di pasticcio come quello del n. 349.
280. TORDI COLLE OLIVE
I tordi e gli altri uccelli minuti in umido si possono fare come i piccioni n.
276; anzi ve li raccomando cucinati in quella maniera che sono buonissimi. Le
olive indolcite, state cioè in salamoia, si usano mettere intere coi loro
nocciolo quando i tordi sono a mezza cottura. Il nocciolo però è meglio levarlo:
con un temperino si fa della polpa un nastrino, che, avvolto a spirale sopra sé
stesso, par che formi un'oliva intera.
Una volta furono regalati sei tordi a un signore, il quale, avendo in quei
giorni la famiglia in campagna, pensò di mangiarseli arrostiti a una trattoria.
Erano belli, freschi e grassi come i beccafichi e però, stando in timore non
glieli barattassero, li contrassegnò tagliando loro la lingua. I camerieri
entrati in sospetto cominciarono ad esaminarli se segno alcuno apparisse e,
guarda guarda, aiutati dalla loro scaltrezza, lo ritrovarono. Per non la cedere
a furberia, o forse perché con essi quel signore si mostrava soltanto largo in
cintura, “gliela vogliamo fare” gridarono ad una voce; e, tagliata la lingua a
sei tordi dei più magri che fossero in cucina, gli prepararono quelli, serbando
i suoi per gli avventori che più premevano. Venuto l'amico coll'ansietà di fare
in quel giorno un ghiotto mangiare e vedutili secchi allampanati, cominciò a
stralunare gli occhi e voltandoli e rivoltandoli fra sé diceva: - Io resto! ma
che sono proprio i miei tordi questi? - Poi, riscontrato che la lingua mancava,
tutto dolente, si dette a credere che avessero operata la metamorfosi lo spiedo
e il fuoco.
Agli avventori che capitarono dopo, la prima offerta che in aria di trionfo
facevano quei camerieri, era: - Vuol ella oggi un bellissimo tordo? - e qui a
raccontar la loro bella prodezza, come fu narrata a me da uno che li aveva
mangiati.
281. TORDI FINTI
Tordi finti perché li rammenta l'odore del ginepro e un poco anche il sapore
della composizione. È un piatto che può piacere e farete bene a provarlo.
Magro di vitella di latte senz'osso per sei tordi, gr. 300.
Coccole di ginepro, n. 6.
Fegatini di pollo, n. 3.
Acciughe salate, n. 3.
Olio, cucchiaiate n. 3.
Lardone, quanto basta.
Questi finti tordi devono aver l'apparenza di bracioline ripiene, quindi della
vitella di latte fatene sei fette sottili, spianatele, date loro una bella forma
e mettete da parte i ritagli. Questi coi fegatini, un pezzetto di lardone, le
coccole di ginepro, le acciughe nettate, e una foglia di salvia, formeranno il
composto per riempirle; e però tritate il tutto finissimo e conditelo con poco
sale e pepe. Dopo avere arrocchiate le bracioline con questo composto,
fasciatele con una fetta sottile del detto lardone, frapponendo fra questo e la
carne mezza foglia di salvia, e legatele in croce. Grammi 60 di lardone in
tutto, credo potrà bastare.
Ora che avete preparato le bracioline, ponetele a fuoco vivo in una sauté oppure
in una cazzaruola scoperta con le dette tre cucchiaiate d'olio, e conditele
ancora leggermente con sale e pepe. Quando saranno rosolate da tutte le parti,
scolate l'unto, lasciando però il bruciaticcio in fondo al vaso, e tiratele a
cottura col brodo versato a pochino per volta, perché devono rimanere in ultimo
quasi asciutte.
Mandatele in tavola slegate, sopra a sei fette di pane appena arrostito e
bagnate coll'intinto ristretto rimasto dopo la cottura.
Sono buone anche diacce.
282. STORNI IN ISTUFA
Gli storni, essendo uccelli di carne ordinaria e dura, hanno bisogno del
seguente trattamento per renderli mangiabili.
Per numero sei storni fate un battuto, tritato fine, con un quarto di una grossa
cipolla e grammi 30 di grasso di prosciutto. Mettetelo al fuoco con grammi 20 di
burro, tre o quattro striscioline di prosciutto grasso e magro e due coccole di
ginepro. Collocateci sopra gli storni senza sventrarli e, guarniti con foglie di
salvia, conditeli con sale e pepe. Quando avranno tirato il sapore del battuto,
voltandoli spesso, e che la cipolla sarà ben colorita, bagnateli con un poco di
vino bianco asciutto e poi versatecene tanto che fra la prima e la seconda volta
sia tre decilitri. Mancandovi il vino bianco supplite con due decilitri d'acqua
ed uno di marsala. Coprite la cazzaruola con un foglio di carta a quattro doppi
tenuto fermo da un coperchio pesante e fate bollire a fuoco dolce fino a cottura
completa. Levateli col loro sugo e serviteli.
283. UCCELLI IN SALMÌ
Cuoceteli, non del tutto, arrosto allo spiedo conditi con sale e olio. Dopo
levati, se sono uccelli piccoli o tordi, lasciateli interi; se sono grossi
tagliateli in quattro parti, e levate loro tutte le teste che pesterete in un
mortaio insieme con qualche uccellino pure arrostito o con qualche ritaglio di
uccelli grossi. Mettete una cazzarolina al fuoco con un battuto composto di
burro, qualche pezzetto di prosciutto, sugo di carne, oppure brodo, madera o
marsala nella quantità all'incirca del brodo, uno scalogno trinciato, una
coccola o due di ginepro, se sono tordi, o una foglia d'alloro se sono uccelli
di altra specie. Condite con sale e pepe e quando questo intingolo avrà bollito
mezz'ora passatelo dallo staccio, e collocatevi gli uccelli arrostiti; fateli
bollire fino a cottura completa e mandateli in tavola con fettine di pane
arrostito sotto.
284. STUFATO DI LEPRE
Vi descriverò più avanti il pasticcio di lepre, e vi dirò anche come questa si
cuoce arrosto; aggiungo ora che per farla dolce-forte potete servirvi della
ricetta del cignale n. 285, e che si può mettere in istufato nella seguente
maniera:
Prendiamo, per esempio, la metà di una lepre, e dopo averla spezzettata tritate
fine un battuto con una cipolla di mediocre grandezza, due spicchi d'aglio, un
pezzo di sedano lungo un palmo e diverse foglie di ramerino. Mettetelo al fuoco
con un pezzetto di burro, due cucchiaiate d'olio e quattro o cinque strisce di
prosciutto larghe un dito. Quando avrà soffritto per cinque minuti, gettateci la
lepre e conditela con sale, pepe e spezie. Rosolata che sia, bagnatela con mezzo
bicchiere di vino bianco o marsala, poi buttateci un pugnello di funghi freschi,
o secchi rammolliti, e tiratela a cottura con brodo e sugo di pomodoro o
conserva; ma prima di servirla, assaggiatela per aggiungere un altro poco di
burro, se occorre.
285. CIGNALE DOLCE-FORTE
A me pare sia bene che il cignale da fare dolce-forte debba avere la sua cotenna
con un dito di grasso, perché il grasso di questo porco selvatico, quando è
cotto, resta duro, non nausea ed ha un sapore di callo piacevolissimo.
Supposto che il pezzo sia di un chilogrammo all'incirca, eccovi le proporzioni
del condimento.
Fate un battuto con mezza cipolla, la metà di una grossa carota, due costole di
sedano bianco lunghe un palmo, un pizzico di prezzemolo e grammi 30 di
prosciutto grasso e magro. Tritatelo fine colla lunetta e ponetelo in una
cazzaruola con olio, sale e pepe sotto al cignale per cuocerlo in pari tempo.
Quando il pezzo ha preso colore da tutte le parti, scolate buona parte
dell'unto, spargetegli sopra un pizzico di farina, e tiratelo a cottura con
acqua calda versata di quando in quando. Preparate intanto il dolce-forte in un
bicchiere coi seguenti ingredienti e gettatelo nella cazzaruola; ma prima
passate il sugo.
Uva passolina, grammi 40.
Cioccolata, grammi 30.
Pinoli, grammi 30.
Candito a pezzetti, grammi 20.
Zucchero, grammi 50.
Aceto quanto basta; ma di questo mettetene poco, perché avete tempo di
aggiungerlo dopo. Prima di portarlo in tavola fatelo bollire ancora onde il
condimento s'incorpori, anzi debbo dirvi che il dolce-forte viene meglio se
fatto un giorno per l'altro. Se lo amate più semplice componete il dolce-forte
di zucchero e aceto soltanto.
Nello stesso modo potete cucinare la lepre.
286. CIGNALE FRA DUE FUOCHI
Tenetelo in una marinata come quella della lepre n. 531 per 12 o 14 ore. Levato
da questa, asciugatelo con un canovaccio e poi preparatelo nella seguente
maniera. Collocate nel fondo di una cazzaruola tre o quattro fette di lardone
sottili come la carta, ponete il pezzo del cignale sopra alle medesime,
conditelo con sale e pepe e aggiungete una cipolla intera, un mazzetto guarnito,
un pezzetto di burro e, se il cignale fosse un chilogrammo circa, mezzo
bicchiere di vino bianco. Distendete sul pezzo della carne altre tre o quattro
fette dello stesso lardone e copritelo con un foglio unto col burro, che vi stia
aderente. Cuocetelo con fuoco sotto e sopra e quando accenna a prosciugarsi,
bagnatelo con brodo. Cotto che sia, passate il sugo senza spremerlo,
digrassatelo e unitelo al cignale quando lo mandate in tavola.
287. COSTOLETTE DI DAINO ALLA CACCIATORA
Le carni del daino, del capriolo e di simili bestie di selvaggina sono aride e
dure, quindi è necessario che il tempo le frolli per essere meglio gustate.
Servitevi per questo piatto della lombata, da cui taglie rete le costolette
tenendole sottili. Mettete al fuoco olio e burro in proporzione della quantità
che avrete a cuocere, uno spicchio d'aglio intero e diverse foglie di salvia.
Quando l'aglio avrà preso colore collocateci sopra le costolette, conditele con
sale e pepe e cuocetele a fuoco ardente, alla svelta, annaffiandole col marsala.
288. CONIGLIO IN UMIDO
Per cucinare questo piatto, vedi le Pappardelle col sugo di coniglio, n. 94.
289. LINGUA DOLCE-FORTE
Prendete una lingua di vitella di latte tutta intera colla sua pappagorgia,
perché questa è la parte più delicata; spellatela e lessatela a mezza cottura.
Regolatevi del resto come per il cignale del n. 285, servendovi dell'acqua dove
ha bollito per finire di cuocerla. Per spellare la lingua arroventate una
paletta e ponetegliela sopra ripetendo l'operazione diverse volte, se occorre.
290. LINGUA DI BUE AL SUGO DI CARNE
Eccovi un'altra maniera di cucinare una lingua di bue del peso, senza la
pappagorgia, di oltre un chilogrammo.
Spellatela come è indicato nella ricetta n. 289 e steccatela con grammi 60 di
lardone tagliato in lardelli conditi con sale e pepe. Legatela perché resti
distesa e mettetela al fuoco con grammi 30 di burro; conditela con altro sale e
pepe rosolandola alquanto, e poi tiratela a cottura col sugo di carne versato un
poco per volta. Cotta che sia, il sugo che resta passatelo e condensatelo al
fuoco con un pezzetto di burro e meno di mezza cucchiaiata di farina per unirlo
alla lingua, che manderete in tavola tagliata a fette contornata di erbaggi
lessati e rifatti col burro ed il sugo.
291. ARNIONI SALTATI
Prendete una pietra, come la chiamano a Firenze, cioè un arnione o rognone di
bestia grossa oppure diversi di bestie piccole, apritelo e digrassatelo tutto
perché quel grasso ha un odore sgradevole. Tagliatelo per traverso a fette
sottili, ponetelo in un vaso, salatelo e versate sul medesimo tanta acqua
bollente che lo ricopra. Quando l'acqua sarà diacciata levatelo asciutto e
mettetelo in padella per farlo ributtar l'acqua che getterete via. Spargetegli
sopra un pizzico di farina, buttateci un pezzetto di burro e rimovendolo spesso
fatelo grillettare per soli cinque minuti. Conditelo con sale, pepe e mezzo
bicchiere scarso di vino bianco: lasciatelo ancora per poco sul fuoco e quando
siete per levarlo aggiungete un altro pezzetto di burro, un pizzico di
prezzemolo tritato e un po' di brodo, se occorre.
Per vostra regola gli arnioni tenuti troppo sul fuoco induriscono. Il vino è
bene farlo prima bollire a parte finché sia scemato di un terzo; se invece di
vino bianco farete uso di marsala o di champagne, tanto meglio.
292. ARNIONI PER COLAZIONE
Arnioni di vitella di latte, di castrato, di maiale e simili si prestano bene
per una colazione cucinati nella seguente maniera. Tenete in pronto un battutino
tritato fine, composto di prezzemolo, mezzo spicchio d'aglio, il sugo di mezzo
limone e cinque o sei fette di midolla di pane, asciugato al fuoco.
Aprite gli arnioni per digrassarli e tagliateli a fettine sottili per traverso.
Dato che siano in tutto del peso di 400 o 500 grammi, gettateli in padella con
grammi 50 a 60 di burro a fuoco ardente. Muoveteli spesso e appena cominciano a
soffriggere gettateci il battutino; conditeli con sale e pepe e sempre
muovendoli col mestolo versateci il sugo del limone e per ultimo un ramaiuolo di
brodo.
L'operazione deve farsi in cinque minuti circa e prima di mandarli in tavola
versateli sulle fette del pane. Basteranno per quattro persone.
293. ARNIONI ALLA FIORENTINA
Aprite e digrassate gli arnioni come nella ricetta n. 291 e così spaccati a metà
per il lungo, cuoceteli nel modo seguente. Ponete un tegame al fuoco con un
pezzo di burro proporzionato e quando accenna a bollire, poneteci l'arnione
lasciandovelo un poco, poi ritiratelo dal fuoco e conditelo con sale, pepe e un
pizzico di prezzemolo tritato. Involtatelo bene nel condimento e, dopo parecchie
ore, cuocetelo nello stesso tegame, oppure in gratella, involtato nel pan
grattato.
294. COSCIOTTO O SPALLA DI CASTRATO IN CAZZARUOLA I
Per associazione d'idee, la parola castrato mi presenta alla memoria quei
servitori, i quali, per un'esigenza ridicola de' loro padroni (sono sfoghi di
vanità rientrata), si tagliano i baffi e le ledine da sembrare tanti castratoni,
e facce da zoccolanti.
Per lo stesso motivo, cioè per la vanità delle loro padrone, sbuffano e mal si
prestano le cameriere a portare in capo quelle berrette bianche, chiamate
altrimenti cuffie; infatti quando non sono più giovani e non sono belle, con
quell'aggeggio in capo sembrano la bertuccia. Le balie, al contrario, gente di
campagna, che sente poco la dignità di sé stessa, con quei tanti fiocchi e
nastri di vario colore adornate (indegne pompe, di servitù misere insegne), se
ne tengono, gonfiando impettite e non s'avvedono che risvegliano l'idea della
mucca quando è condotta al mercato.
Entrando in materia, dico che la buona fine di questi due pezzi di carne a me
sembra di ottenerla nella seguente maniera. Prendiamo, ad esempio, la spalla e
sulla medesima regolatevi nelle debite proporzioni per il cosciotto. Non ho
bisogno di dirvi che il castrato deve essere di qualità fine e ben grasso,
Supponiamo che la spalla sia del peso di un chilogrammo, benché possa essere
anche di chilogrammi 1½. Disossatela, steccatela con lardone, e conditela di
dentro e di fuori con sale e pepe, poi arrocchiatela e legatela onde prenda una
bella forma; indi mettetela in una cazzaruola con grammi 40 di burro per
rosolarla, e dopo aggiungete i seguenti ingredienti:
Alcune cotenne di lardone o di prosciutto.
Un mazzetto legato composto di prezzemolo, sedano e carota.
Una cipolla intera di mezzana grossezza.
Le ossa spezzate che avrete levate dalla spalla o dal cosciotto che sia.
Dei ritagli di carne cruda, se ne avete.
Un bicchiere di brodo o mezzo soltanto.
Due o tre cucchiaiate di acquavite.
Tanta acqua fredda che il liquido arrivi poco sotto alla superficie del
castrato. Coprite bene la cazzaruola e fatela bollire a fuoco lento finché il
pezzo sia cotto, per la qual cosa ci vorranno da quattro e più ore se la bestia
è dura. Allora passate il sugo, digrassatelo e gettate via il superfluo, cioè
mandate in tavola soltanto il castrato.
Questo piatto si suol guarnire o di carote o di rape o di fagiuoli sgranati; se
di carote, mettetene due grosse intere fra la carne e quando saranno cotte
levatele e tagliatele a fette rotonde per aggiungerle dopo; se di rape,
avvertite che non sappiano di forte per non avere ancora sentito il freddo.
Dividetele in quattro parti, imbiancatele, tagliatele a dadi, rosolatele appena
nel burro ed unitele al sugo, il quale deve vedersi piuttosto abbondante; se di
fagiuoli, cuoceteli prima e rifateli in questo sugo.
295. COSCIOTTO O SPALLA DI CASTRATO IN CAZZARUOLA II
Questa è una ricetta più semplice e da preferirsi a quella del numero
precedente, quando non si richieda contorno alcuno di erbaggi e di legumi.
Prendete una spalla di castrato e dopo averla disossata steccatela con lardelli
di lardone involtati nel sale e nel pepe. Salatela alquanto, poi arrocchiata e
legata stretta, mettetela al fuoco con grammi 40 di burro e una mezza cipolla
steccata con un chiodo di garofano e fatele prender colore. Ritirata la
cazzaruola dal fuoco, versateci un bicchiere d'acqua, o meglio brodo, una
cucchiaiata di acquavite, un mazzetto odoroso e, se è il tempo dei pomodori,
alcuni di questi spezzati. Fate bollire adagio per circa tre ore colla
cazzaruola tenuta chiusa con doppio foglio di carta, rivoltando spesso il pezzo
della carne. Quando sarà cotta, gettate via la cipolla, passate il sugo,
digrassatelo ed unitelo alla carne quando la mandate in tavola.
Vi avverto di non cuocerla troppo ché allora non si potrebbe tagliare a fette.
Nella stessa maniera, colle debite proporzioni nel condimento, si può fare il
cosciotto. Se vi nausea il puzzo speciale al montone, digrassate la carne anche
da cruda.
296. LOMBATA DI CASTRATO RIPIENA
Prendete un pezzo di lombata di castrato col suo pannicolo attaccato, del peso
di un chilogrammo, digrassatela, ma non del tutto, disossatela e conditela con
sale e pepe. Formate il composto per riempirla con
Magro di vitella di latte, grammi 150.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 40.
Un uovo.
Sale e pepe.
Tritatelo ben fine e, dopo avere spalmata con questo tutta la lombata
nell'interno, arrocchiatela tirandole sopra il pannicolo, e cucitela onde non
isbuzzi il ripieno. Ora mettetela al fuoco con grammi 50 di burro e quando sarà
rosolata bagnatela con un dito (di bicchiere) di marsala, poi gettate nella
cazzaruola a crogiolare con lei a fuoco lento, mezza cipolla piuttosto piccola,
tagliata in due pezzi, due o tre pezzi di sedano, altrettanti di una carota e
dei gambi di prezzemolo, bagnandola con acqua o brodo per tirarla a cottura.
Infine passate il sugo e il resto, digrassatelo e servitela. È un piatto che
potrà bastare per otto persone e merita di essere raccomandato. Già sapete che
per digrassare un sugo basta posargli sopra qualche pezzo di carta straccia
sugante.
297. BUE ALLA MODA
Questo piatto va trattato poco diversamente da quello del n. 294.
Prendete non meno di un chilogrammo di magro della coscia o del culaccio di
bestia grossa e steccatelo con lardelli grossi un dito di buon lardone che
avrete involtati nel sale e nel pepe. Legate il pezzo della carne perché prenda
una bella forma, salatelo a sufficienza e ponetelo in una cazzaruola con grammi
50 di burro per rosolarlo; poi aggiungete gl'ingredienti qui appresso: mezza
zampa di vitella di latte, oppure un pezzo di zampa di vitella grossa, una
grossa cipolla intera, due o tre carote intere, un mazzetto legato di erbe
odorose come prezzemolo, sedano, basilico e simili; alcune cotenne di lardone,
un bicchiere ardito d'acqua, o meglio un bicchiere di brodo digrassato, e per
ultimo mezzo bicchiere di vino bianco, oppure due cucchiaiate di acquavite.
Mettete al fuoco la cazzaruola ben coperta e fate bollire adagio finché la carne
sia cotta, ma le carote cuocendosi per le prime, levatele onde restino intere.
Gettate via il mazzetto odoroso, poi passate il sugo e digrassatelo se occorre.
Servite la carne non troppo cotta unicamente alla zampa e contornate il piatto
colle carote tagliate a fette rotonde. Se vi riesce bene, sentirete un umido
delicato e leggiero.
Alcuni steccano la cipolla con chiodi di garofano; ma questo aroma non è da
consigliarsi che agli stomachi forti. Meglio delle carote giudico il contorno di
fagiuoli sgranati cotti rifatti nel sugo del bue.
298. BUE ALLA BRACE
Sarebbe il boeuf braisé dei Francesi. Procuratevi un bel tocco di carne magra e
frolla e, dato che sia del peso di grammi 500 senz'osso, steccatelo con grammi
50 di lardone tagliato a lardelli grossi e lunghi un dito scarso, ma conditeli
prima con sale e pepe.
Fate un battuto con un quarto di cipolla di media grandezza, mezza carota e una
costola di sedano lunga un palmo. Tritatelo all'ingrosso con la lunetta e
mettetelo al fuoco con grammi 30 di burro e sopra al medesimo il pezzo della
carne legato e condito con sale e pepe.
Quando il battuto sta per consumarsi, bagnatelo per due volte con un gocciolo
d'acqua fredda; consumata che sia e colorita la carne, versate due ramaiuoli di
acqua calda, coprite la cazzaruola con foglio doppio di carta e fate bollire
adagio finché la carne sia cotta. Allora passate il sugo, digrassatelo e
rimettetelo al fuoco con un altro pezzetto di burro per dar maggior grazia alla
carne e all'intinto, col quale potrete tirare a sapore un contorno di erbaggi,
come sarebbero spinaci, cavoli di Bruxelles, carote, finocchi, quello che più vi
piace di questi.
299. GIRELLO ALLA BRACE (GARETTO)
Volete un piatto di carne della cucina bolognese e dei più semplici che si
possano immaginare? Fate il garetto. Così chiamano a Bologna il girello, che è
quel pezzo di carne di manzo, senz'osso, situata quasi alla estremità della
coscia, tra il muscolo e lo scannello, che può essere del peso di grammi 700
all'incirca ed è il solo che si presti per quest'uso. Mettetelo al fuoco
senz'altro condimento che sale e pepe; niente acqua e niun altro ingrediente.
Chiudete la bocca della cazzaruola con un foglio di carta a diversi doppi,
tenuto fermo dal suo coperchio, e lasciatelo cuocere molto lentamente. Vedrete
che getta una copiosa quantità di sugo che poi riassorbe a poco a poco; quando
lo avrà ritirato tutto levatelo e servitelo. È quasi migliore diaccio che caldo.
Che sia un piatto sano e nutriente, nessuno può dubitarne; ma che, per la sua
troppa semplicità, possa piacere a tutti non saprei dirlo.
300. BUE ALLA CALIFORNIA
Chi studiò questo piatto, non sapendo forse come chiamarlo, gli applicò questo
strano titolo; del resto poi, strani o ridicoli sono quasi tutti i termini
culinari.
Le seguenti dosi sono quelle da me prescritte in seguito a diverse prove.
Carne magra senz'osso, di vitella o di manzo, nella groppa, nella lombata o nel
filetto, grammi 700.
Burro, grammi 50.
Panna, decilitri 2.
Acqua, decilitri 2.
Aceto forte, una cucchiaiata, o più d'una, se è debole.
Mettete la carne al fuoco col detto burro, mezza cipolla tagliata in quattro
spicchi e una carota a pezzetti; sale e pepe per condimento. Quando la carne
sarà ben rosolata versate l'aceto, dopo alquanto l'acqua e indi la panna. Fate
bollire adagio circa tre ore, ma se il sugo venisse a scarseggiare aggiungete
un'altra po' d'acqua.
Mandate la carne in tavola tagliata a fette e col suo sugo passato dallo
staccio. In un pranzo di vari piatti potrà bastare per cinque o sei persone.
301. SCANNELLO ANNEGATO
Non sapendo come chiamare quest'umido semplice e sano, gli ho dato il titolo di
scannello annegato.
Un pezzo di carne di manzo o di vitella, tutto magro e senz'osso, tolto dallo
scannello, di circa grammi 800.
Grasso di prosciutto, grammi 80.
Una grossa carota o due mezzane.
Tre o quattro costole di sedano lunghe un palmo.
Mezzo bicchiere di vino bianco asciutto, e mancando questo, due dita di marsala.
Steccate il pezzo della carne col suddetto grasso di prosciutto, tagliato in
lardelli involtati nel sale e nel pepe; salatelo e legatelo onde stia unito.
Tagliate a pezzetti la carota e il sedano e metteteli in fondo a una cazzaruola
piuttosto piccola ponendoci sopra il pezzo della carne e copritela d'acqua.
Fate bollire adagio a cazzaruola coperta, e quando avrà ritirato l'acqua passate
dallo staccio il sugo e gli erbaggi, che poi rimetterete al fuoco insieme con la
carne e col vino. Cotto che sia servitelo affettato con sopra il suo intinto.
Potrà bastare per sei persone.
Come avrete notato in questa e in molte altre ricette della presente raccolta,
la mia cucina inclina al semplice e al delicato, sfuggendo io quanto più posso
quelle vivande che, troppo complicate e composte di elementi eterogenei, recano
imbarazzo allo stomaco. Ciò non ostante un mio buon amico, per iscambio, la
calunniava. Essendo egli stato colpito da paralisi progressiva, che lo tenne
infermo per oltre tre anni, non trovava altro conforto alla sua disgrazia che
quello di mangiar bene, e quando ordinava il pranzo alla sua figliuola non
mancava di dirle: - Bada di non darmi gl'intrugli dell'Artusi. - Questa
signorina, che era la massaia di casa, avendo ricevuta la sua educazione in un
collegio svizzero del cantone francese, si era colà provveduta del trattato di
cucina di Madame Roubinet; e volgendo a questo tutta la sua simpatia, poco o
punto si curava del mio. Gl'intrugli lamentati dal padre erano dunque di questa
madama dal rubinetto, la quale, si vede, dava con questo la via, più che non
farei io, alle acque torbe della cucina.
302. SCALOPPINE ALLA LIVORNESE
Perché si chiamino scaloppine non lo so, e non so nemmeno perché sia stato dato
loro il battesimo a Livorno. Comunque sia, prendete delle bracioline di carne
grossa, battetele bene per renderle tenere e buttatele in padella, con un pezzo
di burro. Quando l'avranno ritirato bagnatele con qualche cucchiaiata di brodo
per portarle a cottura, conditele con sale e pepe, legatele con un pizzico di
farina, date loro l'odore della marsala, e prima di levarle, rendetele più grate
con un pizzico di prezzemolo tritato.
303. SCALOPPINE DI CARNE BATTUTA
Prendete carne magra di bestia grossa, nettatela dai tendini e dalle pelletiche
e, se non avete il tritacarne, tritatela ben fine prima col coltello poi colla
lunetta. Conditela con sale, pepe e parmigiano grattato; aggiungete l'odore
delle spezie, piacendovi, ma c'è il caso allora che sappia di piatto
rimpolpettato. Mescolate bene e date alla carne la forma di una palla; poi con
pangrattato sotto e sopra, onde non s'attacchi, tiratela col matterello sulla
spianatoia, rimuovendola spesso per farne una stiacciata sottile poco più di uno
scudo. Tagliatela a pezzi quadri e larghi quanto la palma di una mano e
cuoceteli in una teglia col burro. Quando le scaloppine avran preso colore,
annaffiatele con sugo di pomodoro o conserva diluita nel brodo o nell'acqua e
servitele. Potete anche, senza far uso del matterello, stiacciarle colle mani e
dar loro, per più eleganza, la forma di un cuore.
Avendo carne stracottata avanzata, è conveniente il farle con questa e con carne
cruda mescolate insieme.
304. SCALOPPINE ALLA GENOVESE
Formate bracioline con carne magra di vitella e, dato che sia grammi 500
senz'osso, tritate un quarto di cipolla di mezzana grandezza e mettetela nel
fondo di una cazzaruola con olio e un pezzetto di burro. Distendete sul battuto
le bracioline, uno strato sopra l'altro, conditele con sale e pepe e mettetele
al fuoco senza toccarle che così attaccandosi insieme non si aggrinzano. Quando
avrà preso colore la parte di sotto, versate un cucchiaino di farina e dopo poco
un pizzico di prezzemolo e mezzo spicchio d'aglio tritati e due dita scarse,(di
bicchiere) di vino bianco buono, o, mancando questo, marsala. Poi distaccate le
bracioline l'una dall'altra, mescolate, lasciatele tirar l'umido, indi versate
acqua calda e un poco di sugo di pomodoro o conserva. Fatele bollire adagio e
non molto per terminare di cuocerle e servitele con intinto abbondante, e con
fette di pane arrostito sotto, oppure, se più vi piace, con un contorno di riso
cotto nell'acqua, tirato asciutto e condito leggermente con burro, parmigiano e
l'intinto medesimo. Anzi, il riso ci sta molto bene e così piacciono a tutti.
305. SCALOPPINE CON LA PANNA ACIDA
La panna acida è la panna comune, ossia il fior di latte, quando ha preso
l'agro, il qual difetto non nuoce anzi migliora il piatto che riesce
delicatissimo.
Prendete carne magra di vitella o di vitella di latte, tagliatela a bracioline,
battetele, infarinatele e mettetele al fuoco con un pezzo proporzionato di
burro. Conditele con sale e pepe e fatele bollire adagio finché abbiano preso
colore da ambedue le parti. Allora bagnatele con la detta panna e per ultimo con
un poco d'acqua o brodo, se trattasi di vitella di latte, onde la salsa non
riesca troppo densa e possano cuocer meglio.
Servitele con spicchi di limone a parte.
Per quattro persone:
Grammi 500 di magro senz'osso,
Grammi 70 di burro
Due decilitri di panna.
306. SCALOPPINE DI VITELLA DI LATTE IN TORTINO
Vitella di latte magra senz'osso, tagliata a scaloppine sottilissime del peso,
nette dalle pelletiche, di grammi 300, lardone a fettine sottili, grammi 70.
Sciogliete al fuoco, in una cazzaruola proporzionata, un poco di burro e sul
fondo e all'ingiro della medesima distendete il lardone, sopra al quale
collocherete un primo strato di scaloppine condendole con sale, pepe, l'odore
delle spezie, parmigiano grattato e prezzemolo tritato. Poi un altro strato di
scaloppine condite nella stessa maniera, e così di seguito finché avrete roba.
Sull'ultimo strato di scaloppine spargete diversi pezzetti di burro e cuoceteli
tra due fuochi, più sotto che sopra, finché restino quasi asciutte e rosolato il
lardone. Versate il tortino sopra a uno strato di spinaci tirati al burro e
servitelo a quattro persone.
307. BRACIOLINE RIPIENE
Bracioline sottili di vitella, grammi 300.
Carne magra di vitella o di vitella di latte, grammi 70.
Prosciutto piuttosto magro, grammi 40.
Midollo di vitella, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Uova, n. l.
Delle bracioline ne usciranno 6 o 7 se le tenete larghe quanto una mano:
battetele ben bene col batticarne oppure con un manico di coltello intinto
spesso nell'acqua per allargarle. Poi tritate fine il prosciutto coi grammi 70
della seconda carne e a questo battuto unite il parmigiano e il midollo ridotto
prima pastoso colla lama di un coltello; per ultimo aggiungete l'uovo per legare
il composto e una presa di pepe, non occorrendo il sale a motivo del prosciutto
e del parmigiano. Distendete le bracioline e sul mezzo delle medesime
distribuite il detto composto; poi arrocchiatele e col refe legatele in croce.
Ora che hanno già preso la forma occorrente, preparate un leggiero battuto con
un po' di cipolla, un pezzetto di sedano bianco, un pezzetto di carota e grammi
20 di carnesecca, e mettetelo al fuoco in una cazzaruola con grammi 20 di burro,
in pari tempo che vi porrete le bracioline. Conditele con sale e pepe, e quando
avranno preso colore versate sugo di pomodoro o conserva e tiratele a cottura
coll'acqua. Potete anche aggiungere, piacendovi, un gocciolo di vino bianco.
Quando le mandate in tavola togliete il refe con cui le avevate legate.
308. BRACIOLINE ALLA BARTOLA
La carne di vitella o di manzo che meglio si presta per questo piatto sarebbe il
filetto o il girello, ma può servire anche il culaccio e la coscia.
Carne suddetta, peso netto senz'osso, grammi 500.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Un piccolo spicchio d'aglio.
Un piccolo spicchio di cipolla.
Una costola di sedano lunga un palmo.
Un buon pezzo di carota.
Un pizzico di prezzemolo.
Tagliate la carne a fette grosse quasi un dito per ottenere non più di sette od
otto bracioline alle quali procurate di dar bella forma, e battetele con la
costola del coltello. Fate un battuto tritato molto fine col prosciutto e
gl'ingredienti sopra descritti, poi versate in una sauté o teglia di rame sei
cucchiaiate d'olio sul quale, a freddo, collocherete le bracioline spalmando
sopra ad ognuna un pizzico del detto battuto. Conditele con poco sale, pepe e il
solo fiore di quattro o cinque chiodi di garofano, e a fuoco vivo fatele
rosolare dalla parte di sotto, poi voltatele ad una ad una col suo battuto per
rosolare anche questo, e quando avrà soffritto a sufficienza tornatele a
rivoltare onde il battuto ritorni al disopra raccattando quello che è rimasto
attaccato alla teglia, ora bagnatele con sugo di pomodoro o conserva sciolta
nell'acqua, cuopritele e fatele bollire adagio per quasi due ore; ma mezz'ora
prima di mandarle in tavola cuocete nell'intinto delle medesime una grossa
patata sbucciata e tagliata in dieci o dodici tocchetti collocandoli nei vuoti
fra una braciolina e l'altra.
Meglio sarebbe mandarle in tavola nel recipiente dove sono state cotte; ma se
questo è indecente mettetele pari pari in un vassoio con le patate all'intorno.
Questa quantità basta per quattro o cinque persone, e non è piatto da
disprezzarsi, perché non lascia lo stomaco aggravato.
309. BRACIOLINE ALLA CONTADINA
Per me, che si ribellano al mio gusto, le lascio mangiare ai contadini; ma,
poiché ad altri potrebbero non dispiacere, ve le descrivo.
Preparate le bracioline con carne magra di vitella battuta bene, ungetele
coll'olio e conditele con poco sale e pepe. Fate un composto di olive in
salamoia, capperi strizzati dall'aceto e un'acciuga, tritando il tutto ben fine.
Lasciatelo così semplice, oppure aggiungete un rosso d'uovo e un pizzico di
parmigiano; riempitene le bracioline, legatele e quindi cuocetele con burro e
sugo di pomodoro, oppure in un soffritto di cipolla.
310. BRACIUOLE NELLA SCAMERITA
Eccovi un piatto di tipo tutto fiorentino. La scamerita è quella parte del
maiale macellato ove, finita la lombata, comincia la coscia; essa è marmorizzata
di magro e grasso, quest’ultimo in quantità tale che piace senza nauseare.
Ponete le braciuole in un tegame con pochissimo olio, due o tre spicchi d'aglio,
con la loro buccia, un po' stiacciati, e conditele con sale e pepe. Quando
avranno preso colore da ambedue le parti, versate nel tegame due o tre dita (di
bicchiere) di vino rosso e lasciate che, bollendo, l'umido prosciughi di metà.
Allora mettetele da parte asciutte conservandole calde, e in quell'intinto
tirate a sapore del cavolo nero già lessato, spremuto dall'acqua, tagliato non
tanto minutamente e condito anch'esso con sale e pepe. Mandatele in tavola col
cavolo sotto.
311. COTOLETTE DI VITELLA DI LATTE IN SALSA D’UOVO
Dopo averle dorate e cotte alla sauté, come quelle dei n. 312 e 313, spargete
sopra alle medesime una salsa di rossi d'uovo, burro e agro di limone, tenetele
ancora un poco sul fuoco e servitele. Per sette od otto cotolette basteranno tre
rossi d'uovo, grammi 30 di burro e mezzo limone, frullati in un pentolino prima
di versarli.
312. COTOLETTE DI VITELLA DI LATTE COI TARTUFI ALLA BOLOGNESE
Il posto migliore per questo piatto è il sotto-noce, ma può servire anche il
magro del resto della coscia o del culaccio. Tagliatele sottili e della
dimensione della palma di una mano: battetele e date loro una forma smussata ed
elegante come, ad esempio, la figura del cuore, cioè larga da capo e
restringentesi in fondo, il che si ottiene più facilmente tritando prima la
carne colla lunetta. Poi preparatele in un piatto con agro di limone, pepe, sale
e pochissimo parmigiano grattato. Dopo essere state un'ora o due in questa
infusione, passatele nell'uovo sbattuto e tenetecele altrettanto. Poi panatele
con pangrattato fine, mettetele a soffriggere col burro in una teglia di rame, e
quando saranno appena rosolate da una parte voltatele e sopra la parte cotta
distendete prima delle fette di tartufi e sopra queste delle fette di parmigiano
o di gruiera; ma sì le une che le altre tagliatele sottili il più che potete.
Fatto questo, terminate di cuocerle con fuoco sotto e sopra aggiungendo brodo o
sugo di carne; poi levatele pari pari e disponetele in un vassoio col loro sugo
all'intorno strizzandoci l'agro di un limone, o mezzo solo se sono poche.
Nella stessa maniera si possono cucinare le costolette di agnello dopo aver
ripulito, raschiandolo, l'osso della costola.
313. COTOLETTE COL PROSCIUTTO
Preparate le cotolette come quelle del numero precedente e mettetele nell'uovo
con una fetta sottilissima di prosciutto grasso e magro della dimensione della
cotoletta stessa. Panatele col prosciutto appiccicato sopra, salatele poco e
rosolatele nel burro dalla parte dove non è il prosciutto. Sopra al prosciutto,
invece de' tartufi, distendete fette sottilissime di parmigiano o di gruiera,
finite di cuocerle col fuoco sopra e servitele con sugo di carne ed agro di
limone, oppure con sugo di pomodoro.
314. POLPETTE
Non crediate che io abbia la pretensione d'insegnarvi a far le polpette. Questo
è un piatto che tutti lo sanno fare cominciando dal ciuco, il quale fu forse il
primo a darne il modello al genere umano. Intendo soltanto dirvi come esse si
preparino da qualcuno con carne lessa avanzata; se poi le voleste fare più
semplici o di carne cruda, non è necessario tanto condimento.
Tritate il lesso colla lunetta e tritate a parte una fetta di prosciutto grasso
e magro per unirla al medesimo. Condite con parmigiano, sale, pepe, odore di
spezie, uva passolina, pinoli, alcune cucchiaiate di pappa, fatta con una
midolla di pane cotta nel brodo o nel latte, legando il composto con un uovo o
due a seconda della quantità. Formate tante pallottole del volume di un uovo,
schiacciate ai poli come il globo terrestre, panatele e friggetele nell'olio o
nel lardo. Poi con un soffrittino d'aglio e prezzemolo e l'unto rimasto nella
padella passatele in una teglia, ornandole con una salsa d'uova e agro di
limone.
Se non tollerate i soffritti mettetele nella teglia con un pezzetto di burro, ma
vi avverto che i soffritti, quando siano ben fatti, non sono nocivi, anzi
eccitano lo stomaco a digerir meglio. Mi rammento che una volta fui a pranzo con
alcune signore in una trattoria di grido la quale pretendeva di cucinare alla
francese - troppo alla francese! - ove ci fu dato un piatto di animelle coi
piselli. Tanto quelle che questi erano freschi e di primissima qualità, ma
essendo stati tirati a cottura nell'umido del solo burro senza soffritto, e
almeno un buon sugo, e senza aromi di sorta, nel mangiare quella pietanza, che
poteva riuscire un eccellente manicaretto, si sentiva che lo stomaco non
l'abbracciava e a tutti riuscì pesante nella digestione.
315. POLPETTONE
Signor polpettone, venite avanti, non vi peritate; voglio presentare anche voi
ai miei lettori.
Lo so che siete modesto ed umile perché, veduta la vostra origine, vi sapete da
meno di molti altri; ma fatevi coraggio e non dubitate che con qualche parola
detta in vostro favore troverete qualcuno che vorrà assaggiarvi e che vi farà
forse anche buon viso.
Questo polpettone si fa col lesso avanzato, e, nella sua semplicità, si mangia
pur volentieri. Levatene il grasso e tritate il magro colla lunetta; conditelo e
dosatelo in proporzione con sale, pepe, parmigiano, un uovo o due, e due o tre
cucchiaiate di pappa. Questa può essere di midolla di pane cotta nel latte, o
nel brodo, o semplicemente nell'acqua aggraziata con un po' di burro. Mescolate
ogni cosa insieme, formatene un pane ovale, infarinatelo; indi friggetelo nel
lardo o nell'olio e vedrete che da morbido qual era da prima, diverrà sodo e
formerà alla superficie una crosticina. Tolto dalla padella, mettetelo a
soffriggere nel burro da ambedue le parti entro a un tegame, e quando siete per
mandarlo in tavola, legatelo con due uova frullate, una presa di sale e mezzo
limone. Questa salsa fatela a parte in una cazzarolina, regolandovi come si
trattasse di una crema, e versatela sopra il polpettone quando l'avrete messo in
un vassoio.
Per non sciuparlo, se è grosso, quando l'avete in padella rivoltatelo con un
piatto o con un coperchio di rame come fareste per una frittata.
316. POLPETTONE DI CARNE CRUDA ALLA FIORENTINA
Prendete mezzo chilogrammo, senz'osso, di carne magra di vitella, nettatela
dalle pelletiche e dalle callosità e prima con un coltello a colpo, poi colla
lunetta tritatela fine insieme con una fetta di prosciutto grasso e magro.
Conditela con poco sale, pepe e spezie, aggiungete un uovo, mescolate bene e
colle mani bagnate formatene una palla e infarinatela.
Fate un battutino con poca cipolla (quanto una noce), prezzemolo, sedano e
carota, mettetelo al fuoco con un pezzetto di burro e quando avrà preso colore
gettate dentro il polpettone. Rosolatelo da tutte le parti e poi versate nel
recipiente mezzo bicchiere abbondante d'acqua in cui avrete stemperata mezza
cucchiaiata di farina; copritelo e fatelo bollire a lentissimo fuoco badando che
non si attacchi. Quando lo servite, col suo intinto denso all'intorno,
strizzategli sopra mezzo limone.
Se lo volete alla piemontese, altro non resta a fare che collocare nel centro
della palla, quando la formate, un uovo sodo sgusciato, il quale serve a dar
bellezza al polpettone quando si taglia a fette. Non è piatto da disprezzarsi.
317. QUENELLES
Le quenelles costituiscono un piatto di origine e di natura francese, come
apparisce dal nome, che non ha corrispondente nella lingua italiana, e fu
inventato forse da un cuoco il cui padrone non aveva denti.
Vitella di latte, grammi 120.
Grasso di rognone di vitella di latte, grammi 80,
Farina, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Uova, uno e un rosso.
Latte, decilitri 2.
Nettate bene la carne dalle pelletiche e il grasso dalle pellicine che lo
investono e, dopo averli pesati, tritateli più che potete col coltello e con la
lunetta, indi pestateli nel mortaio finché non sian ridotti a una pasta
finissima.
Fate una balsamella con la farina, il burro e il latte soprannotati e quando
sarà diaccia uniteci la roba pestata, le uova, il condimento di solo sale e
mescolate ben bene ogni cosa insieme. Distendete sulla spianatoia un velo di
farina, versateci sopra il composto e, leggermente infarinato, tiratelo a
bastoncino in modo da ottenere 18 o 20 rocchi, simili alle salsicce, lunghi un
dito.
Mettete dell'acqua al fuoco in un vaso largo e quando bolle gettateci le
quenelles; fatele bollire 8 o 10 minuti e le vedrete rigonfiare. Allora con la
mestola un po' forata levatele asciutte e servitele sguazzanti nella salsa di
pomodoro n. 125, a cui aggiungerete alcuni funghi freschi o secchi (che avrete
cotti avanti nella salsa medesima) e alcune olive in salamoia, alle quali
leverete il nocciolo. Alla salsa di pomodoro potete sostituire il sugo di carne,
oppure guarnire con le quenelles un intingolo di rigaglie e animelle. Si possono
fare anche con la carne bianca dei polli o con la polpa del pesce e questa
quantità può bastare per cinque persone.
Se vi servite della salsa di pomodoro, che è la più opportuna per questo piatto
di gusto molto delicato, legatela con un intriso composto di grammi 30 di burro
e un cucchiaio di farina, versandola nel medesimo quando avrà preso sul fuoco il
color nocciuola.
318. AGNELLO TRIPPATO
Spezzettate grammi 500 di agnello nella lombata e friggetelo con lardo vergine.
Fate quindi in un tegame un soffritto coll'unto rimasto in padella, aglio e
prezzemolo e, quando l'aglio avrà preso colore, gettateci l'agnello già fritto,
conditelo con sale e pepe, rivoltatelo bene e lasciatelo alquanto sopra al fuoco
perché s'incorpori il condimento. Poi legatelo con la seguente salsa: frullate
in un pentolo due uova con un buon pizzico di parmigiano grattato e mezzo
limone. Versatela nell'agnello, mescolate, e quando l'uovo sarà alquanto
rappreso, servite in tavola.
319. AGNELLO COI PISELLI ALL’USO DI ROMAGNA
Prendete un quarto d'agnello dalla parte di dietro, steccatelo con due spicchi
d'aglio tagliato a striscioline e con qualche ciocca di ramerino; dico ciocche e
non foglie, perché le prime si possono levare, volendo, quando l'agnello è
cotto. Prendete un pezzo di lardone o una fetta di carnesecca e tritateli fini
col coltello. Mettete l'agnello al fuoco in un tegame con questo battuto e un
poco d'olio; conditelo con sale e pepe e fatelo rosolare. Allorché avrà preso
colore, aggiungete un pezzetto di burro, sugo di pomodoro oppure conserva
sciolta nel brodo o nell'acqua e tiratelo a cottura perfetta. Ritirate per un
momento l'agnello, versate nell'intinto i piselli e quando avranno bollito un
poco, rimettetelo sui medesimi, fateli cuocere e serviteli per contorno.
Si può cucinare nella stessa maniera un pezzo di vitella di latte nella lombata
o nel culaccio.
In Toscana questi piatti si manipolano nella stessa guisa, ma si fa uso del solo
olio.
320. SPALLA D’AGNELLO ALL’UNGHERESE
Se non è all'ungherese sarà alla spagnola o alla fiamminga; il nome poco
importa, purché incontri, come credo, il gusto di chi la mangia.
Tagliate la spalla a pezzi sottili e larghi tre dita in quadro. Trinciate due
cipolle novelline oppure tre o quattro cipolline bianche; mettetele a
soffriggere con un pezzetto di burro e quando avranno preso il rosso cupo
buttate giù l'agnello e conditelo con sale e pepe. Aspettate che la carne
cominci a colorire ed aggiungete un altro pezzetto di burro intriso nella
farina; mescolate e fategli prendere un bel colore, poi tiratelo a cottura con
brodo versato a poco per volta. Non mandatelo in tavola asciutto, ma con una
certa quantità del suo sugo.
321. TESTICCIUOLA D’AGNELLO
Per mettere in umido la testicciuola d'agnello non fate come quella serva a cui
il padrone avendo detto che la dividesse in due parti la tagliò per traverso; fu
la stessa brava ragazza che un'altra volta aveva infilato i tordi nello spiedo
dal di dietro al davanti. Tagliate dunque la testicciuola per la sua lunghezza e
così come stanno i due pezzi naturalmente, metteteli a cuocere in un largo
tegame; ma fate prima un soffritto d'aglio, prezzemolo e olio, e quando avrà
preso colore, fermatelo con un ramaiuolo di brodo. Buttata giù la testicciuola,
conditela con sale e pepe, aggiungete a mezza cottura un pezzetto di burro, un
poco di sugo o conserva di pomodoro e tiratela a cottura con altro brodo, se
occorre.
È un piatto da non presentarsi ad estranei, ma per famiglia è di poca spesa e
gustoso; la parte intorno all'occhio è la più delicata.
322. COTEGHINO FASCIATO
Non ve lo do per un piatto fine, ma come piatto di famiglia può benissimo
andare, anzi potrete anche imbandirlo agli amici di confidenza. A proposito di
questi, il Giusti dice che coloro i quali sono in grado di poterlo fare, devono
di quando in quando invitarli ad ungersi i baffi alla loro tavola. Ed io sono
dello stesso parere, anche nel supposto che gli invitati vadano poi a lavarsi la
bocca di voi, come è probabile, sul trattamento avuto.
Prendete un coteghino del peso di grammi 300 circa e spellatelo da crudo.
Prendete una braciuola di magro di vitella o di manzo del peso di grammi 200 a
300 larga e sottile e battetela bene.
Involtate con essa il coteghino, ammagliatelo tutto col refe e mettetelo al
fuoco in una cazzaruola insieme con un pezzetto di burro, sedano, carota e un
quarto di cipolla, il tutto tagliato all'ingrosso.
Sale e pepe non occorrono perché il coteghino contiene ad esuberanza questi
condimenti.
Se col sugo vi piacesse di condire una minestra di maccheroni, aggiungete alcune
fettine di prosciutto grasso e magro, oppure di carnesecca. Quando il pezzo avrà
preso colore da tutte le parti, versate acqua bastante a ricoprirlo per metà e
alcuni pezzetti di funghi secchi, facendolo bollire adagino fino a cottura
completa. Passate il sugo, unite al medesimo i funghi anzidetti e con questo,
cacio e burro condite i maccheroni, servendo il coteghino fasciato, sciolto dal
refe, con alquanto del suo sugo all'intorno, per companatico.
Il sugo per condire la minestra sarà bene condensarlo alquanto con un pizzico di
farina. Mettetela in una cazzaruola con un pezzetto di burro e quando comincia a
prender colore versateci il sugo e fatelo bollire un poco.
A questo piatto si addice molto il contorno di carote, prima lessate a due terzi
di cottura, poi rifatte in quel sugo.
323. STUFATINO DI MUSCOLO
Ognun sa che i muscoli di tutte le bestie, compresa la bestia uomo, sono fasci
di fibre che costituiscono la carne in genere; ma muscolo volgarmente si chiama
in Firenze quella carne di vitella che, per essere alla estremità della coscia o
della spalla verso le gambe, contiene tendini morbidi e gelatinosi che si
addicono a questa cucinatura. Tagliate a pezzetti grammi 500 di muscolo di
vitella o di vitella di latte. Mettete al fuoco dell'olio con due spicchi
d'aglio senza sbucciarli, ma alquanto ammaccati; lasciate soffriggere e quindi
gettateci la carne, condendola con sale e pepe. Rosolata che sia, spargetele
sopra mezza cucchiaiata di farina, aggiungete sugo di pomodoro o conserva e un
pezzetto di burro; quindi acqua o brodo, a poco per volta, e tiratela a cottura;
ma fate in maniera che vi resti dell'intinto. Disponete sopra un vassoio delle
fette di pane arrostito, versate sopra le medesime lo stufatino e mandatelo in
tavola. Potete anche servirlo senza crostini e metterci dei funghi freschi,
tagliati a fette, oppure delle patate quando la carne sarà quasi cotta.
324. STUFATINO DI PETTO DI VITELLA DI LATTE COI FINOCCHI
Spezzettate il petto di vitella di latte lasciandogli le sue ossa. Fate un
battuto con aglio, prezzemolo, sedano, carota e una fetta proporzionata di
carnesecca; aggiungete olio, pepe, sale e mettetelo al fuoco insieme colla carne
suddetta. Rivoltatela spesso, e quando sarà rosolata alquanto, spargete sulla
medesima un pizzico di farina, un po' di sugo di pomodoro o conserva e tiratela
a cottura con brodo o acqua. Per ultimo aggiungete un pezzetto di burro e i
finocchi tagliati a grossi spicchi già ridotti a mezza cottura nell'acqua e
soffritti nel burro. La cazzaruola, tanto in questo che negli altri stufati,
tenetela sempre coperta.
Quando parlo di cazzaruole intendo quelle di rame bene stagnate. Hanno a dir
quel che vogliono, ma il rame, tenuto pulito, è da preferirsi sempre ai vasi di
ferro e di terra, perché quelli si arroventano e bruciano le vivande; questa
screpola e suzza gli untumi e col troppo uso comunica qualcosa che sa di lezzo.
325. VITELLA DI LATTE IN GUAZZETTO
Riesce un umido di non molto sapore, ma semplice e sano, perciò lo descrivo.
Prendete vitella di latte nel sottonoce o nel culaccio, battetela, legatela
perché stia raccolta e ponetela in cazzaruola come appresso.
Ammesso che il pezzo della carne sia grammi 500 senz'osso, coprite il fondo
della cazzaruola con grammi 30 di carnesecca a fette sottilissime e grammi 30 di
burro e sopra a questo strato collocate meno di mezzo limone tagliato in quattro
fette sottili alle quali leverete la corteccia e i semi. Sopra a queste cose
ponete la vitella per rosolarla ben bene da tutte le parti; ma badate che non
prenda di bruciato a motivo del poco umido che vi si trova. Fatto questo,
scolate l'unto superfluo, conditela con sale e pepe e poco dopo bagnatela con un
bicchiere di latte caldo, che avrete prima fatto alquanto bollire a parte, ma
non vi sgomentate se questo impazzirà, com'è probabile.
Coprite la cazzaruola con carta a doppio e, a fuoco lento, tirate il pezzo della
carne a cottura; quando sarete per servirla passate il sugo.
Questa dose potrà bastare per quattro persone.
326. PETTO DI VITELLA DI LATTE RIPIENO
In termine culinario si chiamerebbe petto farsito.
Petto di vitella di latte tutto in un pezzo, grammi 500.
Magro di vitella di latte senz'osso, grammi 170.
Prosciutto grasso e magro, grammi 40.
Mortadella di Bologna, grammi 40.
Parmigiano, grammi 15.
Uova, n. l.
Un quarto appena di spicchio d'aglio e 4 o 5 foglie di prezzemolo.
Fate un composto col suddetto magro di vitella di latte in questa maniera:
nettatelo dai tendini e dalle pelletiche, se vi sono, e tritatelo finissimo con
un pezzetto di grasso di prosciutto levato dai suddetti 40 grammi. A questa
carne battuta aggiungete l'aglio e il prezzemolo, tritati finissimo, il
parmigiano, l'uovo, una presa di pepe, pochissimo sale e mescolate il tutto ben
bene. Se avete d'occasione una pallina di tartufi tritatela nel composto e
sentirete che ci sta d'incanto.
Disossate il petto dalle ossa dure e lasciategli le tenere; apritelo nel tessuto
connettente passando il coltello al di sotto delle costole sì che diventi doppio
di superficie come si fa di un libro quando si apre. Sopra la metà del petto
dove sono rimaste le ossa tenere, distendete parte del composto e sopra a questo
disponete parte del prosciutto o della mortadella tagliati a strisce larghe un
dito intercalandole a poca distanza tra loro. Sopra a questo primo strato
ponetene un secondo e un terzo, se avete roba sufficiente, tramezzando sempre il
composto e i salumi. Finita l'operazione tirate sopra al ripieno l'altra metà
del petto rimasta nuda, per chiudere, come sarebbe a dire, il libro e con un ago
grosso e refe cucite gli orli perché il ripieno non ischizzi fuori; oltre a ciò
legatelo stretto in croce con lo spago. Così acconciato mettetelo al fuoco in
una cazzaruola con un pezzo di burro, sale e pepe, e quando avrà preso colore da
ambedue le parti, portatelo a cottura con acqua versata a poco per volta.
Servitelo caldo col suo sugo ristretto; ma prima scioglietelo dallo spago e dal
refe. Se è venuto bene deve potersi tagliare a fette e far bella mostra di sé
coi suoi lardelli. Potete contornarlo di piselli freschi cotti nel suo sugo, o
di finocchi tagliati a spicchi, ma prima lessati.
327. ARROSTINI DI VITELLA DI LATTE ALLA SALVIA
Questo piatto si forma con la lombata di vitella di latte priva di pelletiche e
col suo osso attaccato, e tagliata a braciuole sottili. Servitevi di una sauté o
di una teglia di rame, e mettetela al fuoco con alcune foglie intere di salvia e
un pezzo di burro proporzionato. Quando avrà soffritto un poco gettateci le
braciuole e mentre rosolano, a fuoco vivo, salatele da ambedue le parti, poi
spargeteci un po' di farina e terminate di cuocerle con la marsala. Devono
restare con poco umido.
Dato che con grammi 500 circa di lombata, pulita dal superfluo, formiate sei di
dette braciuole, basterà un dito scarso (di bicchiere) di marsala, e se mai un
po' di sugo di pomodoro; della farina un cucchiaino.
328. LOMBO DI MAIALE RIPIENO
Per lombo qui s'intende un pezzo di lombata dalla parte che non ha costole.
Lombo di maiale, chilogrammi l.
Rete di maiale, grammi 100.
Magro di vitella di latte, grammi 100.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Mortadella, grammi 50.
Midollo, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Un rosso d'uovo.
Odore di noce moscata a chi piace.
Rosolate nel burro la vitella di latte e tanto questa che il prosciutto e la
mortadella tritateli coi coltello e poi pestateli nel mortaio per ridurli
finissimi. Versate questo pesto sul tagliere, unitevi il midollo, il parmigiano
e il rosso d'uovo, conditelo scarsamente con sale, pepe e noce moscata, e con la
lama di un coltello riducetelo a poltiglia tutta eguale. Ora levate il grasso
superficiale alla lombata, disossatela e poi tagliatela in sette od otto
braciuole, ma in modo che restino tutte unite alla base per poterle aprire come
i fogli di un libro e sopra ad ognuna di queste appiccicate una cucchiaiata
della detta poltiglia; poi unitele insieme per formarne un rotolo che
spolverizzerete di sale e pepe e legherete stretto con lo spago. Fatto ciò
copritelo con la rete di maiale, legandola con un filo onde vi stia aderente, e
cuocetelo a lento fuoco in cazzaruola senza null'altro. Tre ore di cottura
potranno bastare e servirà per otto persone.
È un piatto buono, tanto caldo che freddo, e non grave; ma servito caldo potrete
mandarlo in tavola accompagnato da un erbaggio rifatto nel suo unto. Per
tagliarlo a fette devesi trinciare non nel senso delle divisioni, ma pel
contrario, che così farà bella mostra.
329. BUE GAROFANATO
Per bue, intendo carne grossa, comprendendovi cioè il manzo e la vitella.
Prendete un bel tocco di magro nella coscia o nel culaccio, battetelo, e
ponetelo in infusione nel vino la sera per la mattina di poi. Dato che il pezzo
sia di un chilogrammo all'incirca, steccatelo con lardone e quattro chiodi di
garofani, legatelo e mettetelo al fuoco con mezza cipolla tagliata a fette
sottili, burro e olio in quantità eguali e salatelo. Rosolatelo da tutte le
parti e strutta la cipolla, versate un bicchier d'acqua e, coperta la bocca
della cazzaruola con un foglio di carta a due o tre doppi tenuti fermi dal
coperchio, fatelo bollire adagio fino a cottura. Scioglietelo e servitelo coi
suo sugo all'intorno, passato e digrassato. I lardelli di lardone, come vi ho
detto altre volte, è bene tenerli grossi un dito e condirli con sale e pepe.
Non lo credo cibo confacente agli stomachi deboli.
330. ANIMELLE ALLA BOTTIGLIA
Quelle d'agnello non hanno bisogno di alcuna preparazione; a quelle di bestia
più grossa bisogna dare mezza cottura nell'acqua, spellandole, se occorre. Le
prime lasciatele intere, le seconde tagliatele a pezzi e sì le une che le altre
infarinatele bene e mettetele a rosolare nel burro condendole con sale e pepe.
Poi bagnatele con vino di Marsala o di Madera, e dopo fate loro alzare un solo
bollore. Si può anche tirare la salsa a parte con una presa di farina, un
pezzetto di burro e il vino.
Se poi le aggraziate col sugo di carne, da buone che sono, diventeranno
squisite.
331. TRIPPA COL SUGO
La trippa, comunque cucinata e condita, è sempre un piatto ordinario. La giudico
poco confacente agli stomachi deboli e delicati, meno forse quella cucinata dai
Milanesi, i quali hanno trovato modo di renderla tenera e leggiera, non che
quella alla côrsa che vi descriverò più sotto. In alcune città si vende lessata
e questo fa comodo; non trovandola tale, lessatela in casa e preferite quella
grossa cordonata. Lessata che sia, tagliatela a strisce larghe mezzo dito ed
asciugatela fra le pieghe di un canovaccio. Mettetela poi in una cazzaruola a
soffriggere nel burro e quando lo avrà tirato, aggiungete sugo di carne o, non
avendo questo, sugo di pomodoro; conditela con sale e pepe, tiratela a cottura
più che potete e quando siete per levarla, gettateci un pizzico di parmigiano.
332. TRIPPA LEGATA COLLE UOVA
Lessate e tagliate la trippa come quella della ricetta precedente, poi mettetela
al fuoco in un soffritto di aglio, prezzemolo e burro, conditela con sale e
pepe, e quando la credete cotta legatela con uova frullate, agro di limone e
parmigiano.
333. TRIPPA ALLA CÔRSA
Sentirete una trippa unica nel suo genere, di grato sapore e facile a digerirsi,
superiore a tutte le altre fin qui conosciute; ma il segreto sta nel trattarla
con sugo di carne ben fatto e in grande abbondanza, perché ne assorbe molto.
Oltre a ciò, è un piatto che non può farsi che in quei paesi ove si usa vendere
le zampe delle bestie bovine rasate dal pelo, per la ragione che quella cotenna
collosa è necessaria a legare il sugo.
Trippa cruda, grammi 700.
Zampa senz'osso, grammi 100.
Burro, grammi 80.
Lardone, grammi 70.
La metà di una grossa cipolla.
Due piccoli spicchi d'aglio.
Odore di noce moscata e spezie.
Sugo di carne, quanto basta.
Un pugnello di parmigiano.
Dico cruda la trippa, perché in molti paesi si usa di venderla lessata.
Dopo averla lavata ben bene, tagliatela a strisce non più larghe di mezzo dito e
così pure la zampa. Fatto questo, trinciate minuta la cipolla e mettetela al
fuoco col burro, e quando comincia a prender colore aggiungete il lardone
tritato fine colla lunetta insieme coll'aglio. Allorché questo soffritto avrà
preso il color nocciuola, gettateci la trippa e la zampa condendole con sale,
pepe e gli aromi indicati, ma questi ultimi a scarsa misura. Fatela bollire
finché sarà asciutta, indi bagnatela col sugo e col medesimo finite di cuocerla
a fuoco lento onde ridurla tenera, per il che ci vorranno in tutto da 7 a 8 ore;
se per caso il sugo vi venisse a mancare aiutatevi col brodo. Quando sarete per
servirla, datele maggior sapore col parmigiano e versatela sopra fette di pane
arrostito che devono sguazzare nel sugo. Basterà per cinque persone.
334. POLPETTE DI TRIPPA
Questo piatto, tolto da un trattato di cucina del 1694, vi parrà strano e il
solo nome di trippa vi renderà titubanti a provarlo; ma pure, sebbene di
carattere triviale, coi condimenti che lo aiutano, riesce gradito e non grave
allo stomaco.
Trippa lessata, grammi 350.
Prosciutto più magro che grasso, grammi 100.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Midollo di bue, grammi 20.
Uova, n. 2.
Un buon pizzico di prezzemolo.
Odore di spezie o di noce moscata.
Pappa non liquida, fatta di pane bagnato col brodo o col latte, due cucchiaiate.
Tritate con la lunetta la trippa quanto più potete finissima. Fate lo stesso del
prosciutto, del midollo e del prezzemolo, aggiungete le uova, il resto, un poco
di sale e mescolate. Con questo composto formate 12 o 13 polpette, che potranno
bastare per quattro persone, infarinatele bene e friggetele nell'olio o nel
lardo.
Ora fate un battutino con un quarto scarso di cipolla di mediocre grossezza e
mettetelo in una teglia proporzionata con gr. 60 di burro e, colorito che sia,
collocateci le polpette, annaffiatele dopo poco con sugo di pomodoro o conserva
sciolta nel brodo, copritele e fatele bollire adagio una diecina di minuti,
rivoltandole; quindi mandatele in tavola con un po' del loro intinto e
spolverizzate di parmigiano. L'autore aggiunge al composto uva passolina e
pinoli, ma se ne può fare a meno.
335. ZAMPA BURRATA
La trippa, per analogia di cucinatura e d'aspetto, richiama alla memoria la
zampa burrata che è un piatto di carattere e di fisonomia del tutto fiorentina
che va lodato perché nutriente e di natura gentile. Usandosi in Firenze di
macellare bestie bovine giovani, se n'è tirato partito per far servire come
alimento quello che in altri paesi si lascia unito alla pelle per farne cuoio;
intendo dire delle zampe, che, dal ginocchio in giù, vengon rase dal pelo e così
belle e bianche son vendute a pezzi od intere.
Prendasi dunque un buon pezzo di questa zampa e si lessi, poi si disossi, si
tagli a pezzetti e si metta al fuoco con burro, sale e pepe, un po' di sugo di
carne e parmigiano quando si leva. Mancando il sugo di carne, può supplire
discretamente il sugo o la conserva di pomodoro.
Di questo piatto prese una solenne indigestione una signora attempata che era in
casa mia, forse perché ne mangiò troppa e la molta cottura che richiede non la
rese abbastanza morbida.
336. LINGUA IN UMIDO
Prendete una lingua di manzo che, senza la pappagorgia, potrà pesare un
chilogrammo all'incirca. Lessatela quel tanto che basti per poterla spellare, e
poi trattatela come appresso:
Fate un battuto generoso con grammi 50 di prosciutto grasso e magro, la metà di
una cipolla di mezzana grandezza, sedano, carota e prezzemolo, e mettetelo al
fuoco con grammi 50 di burro insieme con la lingua condita con sale e pepe.
Rosolata che sia, tiratela a cottura con brodo versato a poco per volta e sugo
di pomodoro o conserva; poi passate il sugo. Fate a parte un intriso con grammi
20 di burro e una cucchiaiata rasa di farina e quando avrà preso il color
nocciuola versateci dentro il detto sugo e nel medesimo rimettete la lingua per
tenerla ancora alquanto sul fuoco e poi servitela tagliata a fette grosse un
centimetro con un contorno di sedano o altro erbaggio rifatto nel medesimo sugo.
È un piatto che potrà bastare per sette od otto persone.
337. FEGATO DI VITELLA DI LATTE ALLA MILITARE
Tritate ben fine uno scalogno o una cipolla novellina, fatela soffriggere in
olio e burro, e quando avrà preso il colore rosso carico, gettateci il fegato
tagliato a fette sottili. A mezza cottura conditelo con sale, pepe e un pizzico
di prezzemolo trito. Fatelo bollire adagio onde resti sugoso, e servitelo col
suo sugo, unendovi l'agro di un limone quando lo mandate in tavola.
338. BRACIUOLE DI CASTRATO E FILETTO DI VITELLA ALLA FINANZIERA
Ponete nel fondo di una cazzaruola una fetta di prosciutto, alquanto burro, un
mazzettino composto di carota, sedano e gambi di prezzemolo, e sopra a queste
cose delle braciuole intere di castrato nella lombata, che condirete con sale e
pepe. Fatele rosolare da ambedue le parti, aggiungete un altro pezzetto di
burro, se occorre, e unite alle braciuole ventrigli di pollo, e dopo fegatini,
animelle e funghi freschi o secchi, già rammolliti, il tutto tagliato a pezzi;
quando anche queste cose avranno preso colore, bagnate con brodo e fate cuocere
a fuoco lento. Legate l'umido con un po' di farina, e per ultimo versate mezzo
bicchiere, od anche meno, di vino bianco buono, fatto prima scemare di metà al
fuoco, in un vaso a parte, e fate bollire ancora un poco perché s'incorpori.
Quando siete per mandarlo in tavola levate il prosciutto e il mazzetto, passate
il sugo dal colino e digrassatelo.
Nella stessa maniera si può fare un pezzo di filetto di vitella, invece del
castrato, aggiungendo ai detti ingredienti anche dei piselli. Se farete questi
due piatti con attenzione, sentirete che sono squisiti.
339. BRACIOLINE RIPIENE CON CARCIOFI
Ai carciofi levate tutte le foglie dure e tagliateli in quattro o cinque
spicchi. Prendete una fetta di prosciutto grasso e magro, tritatelo fine fine,
mescolatelo con un poco di burro e con questo composto spalmate gli spicchi dei
carciofi. Battete e spianate le bracioline, che possono essere di vitella o di
manzo, conditele con sale e pepe e ponete in mezzo a ciascuna due o tre dei
detti spicchi, poi avvolgetele e legatele in croce con un filo. Fate un
battutino con poca cipolla, mettetelo in una cazzaruola con burro e olio e
quando la cipolla sarà ben rosolata collocateci le bracioline e conditele ancora
con sale e pepe. Rosolate che sieno, tiratele a cottura con sugo di pomodoro o
conserva sciolta nell'acqua, e quando le mandate in tavola scioglietele dal
filo.
340. FILETTO COLLA MARSALA
La carne del filetto è la più tenera, ma se quel briccone del macellaio vi dà la
parte tendinosa, andate franco che ne resterà la metà pel gatto.
Arrocchiatelo, legatelo, e, dato che sia un chilogrammo all'incirca, mettetelo
al fuoco con una cipolla di mediocre grandezza tagliata a fette sottili, insieme
con alcune fettine di prosciutto e un pezzo di burro: conditelo poco con sale e
pepe. Quando sarà rosolato da tutte le parti e consumata la cipolla, spargetegli
sopra un pizzico di farina, lasciatelo prender colore e poi bagnatelo con brodo
o acqua. Fate bollire adagio, indi passate il sugo, digrassatelo e con questo e
tre dita (di bicchiere) di marsala rimettetelo al fuoco a bollire ancora, ma
lentamente; mandatelo in tavola con sugo ristretto, ma non denso per troppa
farina.
Si può anche steccare il filetto con lardone e cuocerlo con solo burro e
marsala.
341. FILETTO ALLA PARIGINA
Poiché spesso sentesi chiedere nelle trattorie il filetto alla parigina, forse
perché piatto semplice, sano e nutriente, bisognerà pure dirne due parole e
indicare come viene cucinato. Fatevi tagliare dal macellaio, nel miglior posto
del filetto di manzo, delle braciole rotonde, grosse circa mezzo dito, e queste
mettetele a soffriggere nel burro dopo che esso avrà preso colore a fuoco ben
vivo; sale e pepe per condimento, e quando avranno fatto la crosticina da tutte
le parti onde dentro restino succose e poco cotte, spargeteci sopra un pizzico
di prezzemolo tritato e levatele subito: ma prima di portarle in tavola
copritele con sugo di carne o con una salsa consimile, oppure, che è cosa più
semplice, nel sugo rimasto dopo la cottura gettateci un pizzico di farina e con
brodo, fate un intriso e servitevi di questo invece del sugo.
342. CARNE ALLA GENOVESE
Prendete una braciuola magra di vitella del peso di grammi 300 a 400, battetela
e spianatela bene. Frullate tre o quattro uova, conditele con sale e pepe, un
pizzico di parmigiano, alquanto prezzemolo tritato e friggetele nel burro in
forma di frittata, della larghezza approssimativa della braciuola su cui la
distenderete ritagliandola dove sopravanza e collocando i ritagli dove essa è
mancante. Fatto questo, arrocchiate la braciuola insieme colla frittata ben
stretta e legatela; indi infarinatela e mettetela in una cazzaruola con burro,
condendola con sale e pepe.
Quando sarà ben rosolata da tutte le parti, bagnatela con brodo per finire di
cuocerla e servitela col suo sugo, che a motivo della farina riuscirà alquanto
denso.
343. SFORMATO DI SEMOLINO RIPIENO DI CARNE
Gli sformati ripieni di bracioline o di rigaglie si fanno ordinariamente di
erbaggi, di riso o di semolino; se di quest'ultimo, servitevi della ricetta n.
230, mescolate tutto il burro e il parmigiano entro al composto, versatelo in
una forma liscia, oppure col buco in mezzo che avrete prima imburrata,
coprendone il fondo con carta unta egualmente col burro. Il ripieno di carne,
che porrete in mezzo al semolino o nel buco dello stampo, tiratelo a sapor
delicato con odore di tartufi o di funghi secchi. Cuocetelo a bagno-maria e
servitelo caldo con alquanto sugo sopra, per dargli migliore apparenza.
344. SFORMATO DI PASTA LIEVITA
Questo sformato di pasta lievita serve come di pane per mangiare con esso il suo
contenuto, che può essere un umido qualunque di carne o di funghi.
Farina d'Ungheria, grammi 300.
Burro, grammi 70.
Altro burro, grammi 30.
Lievito di birra, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 3.
Panna, o latte buonissimo, decilitri 2.
Sale, quanto basta.
Vi avverto che la panna sarà troppa al bisogno.
Con un quarto della detta farina, il lievito di birra e un poco della detta
panna tiepida formate un panino come quello dei Krapfen e mettetelo a lievitare.
Intridete il resto della farina, coi grammi 70 di burro, sciolto d'inverno, i
rossi d'uovo, il sale, il panino quando sarà cresciuto del doppio e tanta panna
tiepida da ottenerne una pasta di giusta consistenza da potersi lavorare col
mestolo entro a una catinella. Quando con la lavorazione darà cenno di
distaccarsi dalle pareti del vaso, mettetela a lievitare in luogo tiepido e, ciò
ottenuto, versatela sulla spianatoia sopra a un velo di farina e con le mani
infarinate spianatela alla grossezza di mezzo centimetro.
Prendete uno stampo liscio col buco in mezzo della capacità di circa un litro e
mezzo di acqua, perché con la pasta deve riempirsi solo per metà, ungetelo e
infarinatelo e, tagliata la pasta a strisce, disponetele in questa maniera. Ad
ogni suolo di strisce, finché ne avrete, ungetele coi grammi 30 di burro
soprindicato servendovi di un pennello. Coprite lo stampo e messo nuovamente a
lievitare il composto, quando sarà arrivato alla bocca, cuocetelo al forno o al
forno da campagna.
Riempitelo dopo averlo sformato e mandatelo in tavola per servire cinque o sei
persone.
345. SFORMATO DI RISO COL SUGO GUARNITO DI RIGAGLIE
Tirate un buon sugo di carne e servitevi del medesimo tanto pel riso che per le
rigaglie. Queste, a cui potete aggiungere qualche fettina di prosciutto, fatele
dapprima soffriggere nel burro, conditele con sale e pepe e tiratele a cottura
col detto sugo. L'odore dei funghi o dei tartufi non fa che bene.
Il riso fatelo soffriggere ugualmente nel burro così all'asciutto, poi tiratelo
a cottura coll'acqua bollente e dategli grazia e sapore col detto sugo, e per
ultimo col parmigiano. Ammesso che il riso sia grammi 300, uniteci due uova
frullate quando avrà perduto il forte calore.
Prendete una forma liscia, tonda od ovale, ungetela col burro, copritene il
fondo con una carta imburrata e versateci il riso per assodarlo al forno da
campagna. Quando lo avrete sformato versateci sopra il sugo delle rigaglie, che
avrete prima condensato alquanto con un pizzico di farina, e servitelo colle sue
rigaglie in giro, avvertendovi che queste devono diguazzare nel sugo.
346. SFORMATO DELLA SIGNORA ADELE
La bella e gentilissima signora Adele desidera vi faccia conoscere questo suo
sformato di gusto assai delicato.
Burro, grammi 100.
Farina, grammi 80.
Gruiera, grammi 70.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 4.
Fate una balsamella con la farina, il latte e il burro, e prima di levarla dal
fuoco aggiungete il gruiera grattato o a pezzettini e salatela. Non più a
bollore gettateci le uova, prima i rossi, uno alla volta, poi le chiare montate.
Versatelo in uno stampo liscio col buco in mezzo dopo averlo unto col burro e
spolverizzato di pangrattato, e cuocetelo al forno da campagna per mandarlo in
tavola ripieno di un umido di rigaglie di pollo e di animelle. Potrà bastare per
sei persone.
347. BUDINO ALLA GENOVESE
Vitella di latte, grammi 150.
Un petto di pollo di circa grammi 130.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Uova, n. 3.
Odore di noce moscata.
Un pizzico di sale.
Tritate colla lunetta la vitella, il petto e il prosciutto e poi metteteli in un
mortaio insieme col burro, col parmigiano, con un pezzetto di midolla di pane
inzuppata nel latte e pestate moltissimo il tutto per poterlo passare dallo
staccio. Ponete il passato in una catinella ed aggiungete tre cucchiaiate di
balsamella n. 137, che, per questo piatto, farete della consistenza di una
pappa; unite al medesimo le uova e l'odore e mescolate bene.
Prendete uno stampo liscio di latta, ungetelo tutto con burro e ponete in fondo
al medesimo, tagliato a misura, un foglio di carta ugualmente unto col burro;
versateci il composto e cuocetelo a bagno-maria.
Dopo sformato, levate il foglio e sul posto di quello spargete un intingolo
composto di un fegatino di pollo tritato e cotto nel sugo. Servitelo caldo e se
vi verrà ben fatto, lo sentirete da tutti lodare per la sua delicatezza.
Però qui viene opportuno il dire che tutti i ripieni di carni pestate riescono
più pesanti allo stomaco di quelle vivande che hanno bisogno di essere masticate
perché, come dissi in altro luogo, la saliva è uno degli elementi che
contribuiscono alla digestione.
348. BUDINO DI CERVELLI DI MAIALE
Per le sostanze che lo compongono è un budino nutriente ed atto ad appagare, io
credo, il gusto delicato delle signore.
Cervelli di maiale, n. 3.
Questi, che possono arrivare al peso di grammi 400 circa, richiedono:
Uova, n. 2 e un rosso.
Panna, grammi 240.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Odore di noce moscata.
Sale, quanto basta.
Per panna intendo quella densa che i lattai preparano per montare.
Mettete al fuoco i cervelli col suddetto burro, salateli e, rimovendoli spesso
perché s'attaccano, cuoceteli; ma avvertite di non rosolarli, indi passateli
dallo staccio. Aggiungete dopo il parmigiano, la noce moscata, le uova frullate,
la panna e, mescolato bene ogni cosa, versate il composto in uno stampo liscio,
che avrete unto con burro diaccio e mettetelo al fuoco per restringerlo a
bagno-maria.
È quasi migliore freddo che caldo e questa dose potrà bastare a sei persone.
349. PASTICCIO DI MACCHERONI
I cuochi di Romagna sono generalmente molto abili per questo piatto
complicatissimo e costoso, ma eccellente se viene fatto a dovere, il che non è
tanto facile. In quei paesi questo è il piatto che s'imbandisce nel carnevale,
durante il quale si può dire non siavi pranzo o cena che non cominci con esso,
facendolo servire, il più delle volte, per minestra.
Ho conosciuto un famoso mangiatore romagnolo che, giunto una sera non aspettato
fra una brigata di amici, mentre essa stava con bramosia per dar sotto a un
pasticcio per dodici persone che faceva bella mostra di sé sulla tavola,
esclamò: - Come! per tante persone un pasticcio che appena basterebbe per me? -
Ebbene, gli fu risposto, se voi ve lo mangiate tutto, noi ve lo pagheremo. - Il
brav'uomo non intese a sordo e messosi subito all'opra lo finì per intero.
Allora tutti quelli della brigata a tale spettacolo strabiliando, dissero: -
Costui per certo stanotte schianta! - Fortunatamente non fu nulla di serio; però
il corpo gli si era gonfiato in modo che la pelle tirava come quella di un
tamburo, smaniava, si contorceva, nicchiava, nicchiava forte come se avesse da
partorire; ma accorse un uomo armato di un matterello, e manovrandolo sul
paziente a guisa di chi lavora la cioccolata, gli sgonfiò il ventre, nel quale
chi sa poi quanti altri pasticci saranno entrati.
Questi grandi mangiatori e i parassiti non sono a’ tempi nostri così comuni come
nell'antichità, a mio credere, per due ragioni: l'una, che la costituzione dei
corpi umani si è affievolita; l'altra, che certi piaceri morali, i quali sono un
portato della civiltà, subentrarono ai piaceri dei sensi.
A mio giudizio, i maccheroni che meglio si prestano per questa pietanza sono
quelli lunghi all'uso napoletano, di pasta sopraffine e a pareti grosse e foro
stretto perché reggono molto alla cottura e succhiano più condimento.
Eccovi le dosi di un pasticcio all'uso di Romagna, per dodici persone, che voi
potrete modificare a piacere, poiché, in tutti i modi, un pasticcio vi riuscirà
sempre:
Maccheroni, grammi 350.
Parmigiano, grammi 170.
Animelle, grammi 150.
Burro, grammi 60.
Tartufi, grammi 70.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Un pugnello di funghi secchi.
Le rigaglie di 3 o 4 polli, e i loro ventrigli, i quali possono pur anche
servire, se li scattivate dai tenerumi.
Se avete oltre a ciò creste, fagiuoli e uova non nate, meglio che mai.
Odore di noce moscata.
Tutto questo gran condimento non vi spaventi, poiché esso sparirà sotto alla
pasta frolla.
Imbiancate i maccheroni, ossia date loro mezza cottura nell'acqua salata,
levateli asciutti e passateli nel sugo n. 4, e lì, a leggerissimo calore,
lasciateli ritirare il sugo stesso, finché sieno cotti.
Frattanto avrete fatta una balsamella metà dose del n. 137 e tirate a cottura le
rigaglie col burro, sale e una presina di pepe, annaffiandole col sugo. Tagliate
le medesime e le animelle a pezzetti grossi quanto una piccola noce e dopo
cotte, aggiungete il prosciutto a piccole strisce, i tartufi a fettine sottili,
i funghi fatti prima rinvenire nell'acqua calda e qualche presa di noce moscata,
mescolando ogni cosa insieme.
La pasta frolla suppongo l'abbiate già pronta, avendo essa bisogno di qualche
ora di riposo. Per questa servitevi della intera dose del n. 589, ricetta A,
dandole odore colla scorza di limone; ed ora che avete preparato ogni cosa,
cominciate ad incassare il vostro pasticcio, il che si può fare in più modi; io,
però, mi attengo a quello praticato in Romagna ove si usano piatti di rame fatti
appositamente e bene stagnati. Prendetene dunque uno di grandezza proporzionata
ed ungetelo tutto col burro; sgrondate i maccheroni dal sugo superfluo e
distendetene un primo suolo che condirete con parmigiano grattato, con pezzetti
di burro sparsi qua e là e con qualche cucchiaiata di balsamella e rigaglie;
ripetete la stessa operazione finché avrete roba, colmandone il piatto.
Tirate ora, prima col matterello liscio, poi con quello rigato, una sfoglia di
pasta frolla grossa uno scudo e coprite con essa i maccheroni fino alla base,
poi tiratene due strisce larghe due dita e colle medesime formanti una croce a
traverso, rinforzate la copritura; cingetelo all'intorno con una fasciatura
larga quanto gli orli del piatto e se avete gusto per gli ornamenti, fatene
tanti quanti n'entrano colla pasta che vi rimane, non dimenticando di guarnire
la cima con un bel fiocco. Dorate l'intera superficie con rosso d'uovo, mandate
il pasticcio in forno, e in mancanza di questo cuocetelo in casa nel forno da
campagna; infine imbanditelo caldo a chi sta col desiderio di farne una buona
satolla.
350. UMIDO INCASSATO
Fate una balsamella con:
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 70.
Parmigiano, grammi 30,
Latte, decilitri 6.
Prendete poi:
Uova, n. 3.
Sale, quanto basta.
Spinaci, un mazzetto.
Gli spinaci lessateli, spremeteli e passateli dal setaccio. Le uova scocciatele
quando ritirate la balsamella dal fuoco, e alla metà della medesima date il
color verde coi detti spinaci.
Prendete uno stampo di rame fatto a ciambella, col buco in mezzo e scannellato
all'ingiro, ungetelo bene con burro diaccio e riempitelo prima colla balsamella
verde, poi colla gialla e fatela ristringere a bagno-maria. Sformatela calda e
riempitela nel mezzo con un intingolo ben fatto di rigaglie di pollo e di
animelle, oppure di bracioline di vitella di latte con odore di funghi o
tartufi. Il manicaretto tiratelo a cottura col burro e col sugo di carne oppure
in altra maniera, facendo in modo che riesca delicato, e vedrete che questo
piatto farà bellissima figura e sarà lodato.
351. SFORMATO DI RISO COLLE RIGAGLIE
Riso, grammi 150.
Parmigiano, grammi 30.
Burro, grammi 20.
Latte, circa decilitri 7.
Uova, n. 3.
Sale, quanto basta.
Cuocete il riso nel latte unendovi il burro, salatelo e in ultimo, quando è
diaccio, aggiungete il resto. Versatelo in uno stampo liscio col buco in mezzo e
la carta imburrata sotto, mettetelo per poco tempo, onde non indurisca, a
bagno-maria, sformatelo caldo e guarnitelo colle rigaglie in mezzo. Questa dose
potrà bastare per cinque persone.
352. UMIDO DI RIGAGLIE DI POLLO COL SEDANO
Quando alle rigaglie di pollo si uniscono i colli, le teste e le zampe, diventa
un piatto da famiglia che tutti conoscono; ma quando si tratta di farlo più
gentile coi soli fegatini, creste, uova non nate, fagiuoli e anche ventrigli
(purché questi li scottiate prima nel brodo e li nettiate dal tenerume), per
renderlo di grato sapore e delicato, potete regolarvi nella seguente maniera:
Prima date un terzo di cottura nell'acqua salata al sedano tagliato lungo mezzo
dito all'incirca. Poi fate un battutino di prosciutto grasso e magro e poca
cipolla, mettetelo al fuoco con burro e quando sarà ben rosolato, versate prima
i ventrigli, tagliati in tre pezzi, poi un pizzico di farina di patate, indi i
fegatini in due pezzi e tutto il resto. Conditelo con sale, pepe e odore di
spezie e quando avrà tirato il sapore annaffiatelo con brodo e poco sugo di
pomodoro o conserva. Mettete a soffriggere a parte il sedano nel burro e quando
sarà cotto versateci dentro le rigaglie, fatelo bollire ancora alquanto, se
occorre brodo versatecene e servitele.
353. SCALOPPINE ALLA BOLOGNESE
Questo è un piatto semplice e sano che può servire da colazione o per tramesso
in un pranzo famigliare.
Magro di vitella di latte senz'osso, grammi 300.
Patate, grammi 300.
Prosciutto grasso e magro tagliato fine, grammi 80.
Burro, grammi 70.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Odore di noce moscata.
Lessate le patate non troppo cotte, o cuocetele a vapore, il che sarebbe meglio,
e dopo tagliatele a fette sottili più che potete. Tagliate il prosciutto per
traverso a striscioline larghe un dito scarso.
Tritate minutissima la carne con un coltello a colpo, e conditela con sale, pepe
e un poco di noce moscata, perché questa e le droghe in genere, come già sapete,
sono opportune nei cibi ventosi. Dividete questa carne in dodici parti per
formarne altrettante scaloppine, schiacciandole con la lama del coltello, poi
cuocetele in bianco, cioè senza rosolarle, con la metà del detto burro.
Prendete un piatto o un vassoio di metallo, versateci l'unto che può esser
rimasto dalla cottura e quattro scaloppine, coprendole con la terza parte del
prosciutto e sopra questo collocate la terza parte delle patate che condirete
col parmigiano e con pezzetti del burro rimasto. Ripetete la stessa operazione
per tre volte, e per ultimo ponete il piatto a crogiolar fra due fuochi e
servitelo. È un quantitativo che può bastare per quattro o cinque persone.
354. PICCIONE COI PISELLI
Vogliono dire che la miglior morte dei piccioni sia in umido coi piselli. Fateli
dunque in umido con un battutino di cipolla, prosciutto, olio e burro
collocandovi i piccioni sopra, bagnandoli con acqua o brodo quando avranno preso
colore da tutte le parti per finirli di cuocere. Passatene il sugo, digrassatelo
e nel medesimo cuocete i piselli co' quali contornerete i piccioni nel mandarli
in tavola.
355. LESSO RIFATTO
Talvolta per mangiare il lesso più volentieri, si usa rifarlo in umido; ma
allora aspettate di avere un tocco di carne corto e grosso, del peso non minore
di mezzo chilogrammo. Levatelo dal brodo avanti che sia cotto del tutto e
mettetelo in cazzaruola sopra un battuto di carnesecca, cipolla, sedano, carota
e un pezzetto di burro, condendolo con sale, pepe e spezie. Quando il battuto
sarà strutto, tirate la carne a cottura con sugo di pomodoro o conserva sciolta
nel brodo. Passate l'intinto, digrassatelo e rimettetelo al fuoco col pezzo
della carne e con un pugnello di funghi secchi rammolliti.
356. LESSO RIFATTO ALL’INGLESE
L'arte culinaria si potrebbe chiamare l'arte dei nomi capricciosi e strani. Toad
ín the bole, rospo nella tana; così chiamasi questo lesso rifatto, il quale,
come osserverete dalla ricetta, e come sentirete mangiandolo, se non è un piatto
squisito sarebbe ingiuria dargli del rospo.
A Firenze mezzo chilogrammo di carne da lesso, che può bastare per tre persone,
resta, netta dell'osso, gr. 350 circa e, prendendo questa quantità per base,
frullate in un pentolo un uovo con grammi 20 di farina e due decilitri di latte.
Tagliate il lesso in fette sottili e, preso un vassoio che regga al fuoco,
scioglieteci dentro grammi 50 di burro e distendetelo sopra questo, poi
conditelo con sale, pepe e spezie. Quando avrà soffritto da una parte e
dall'altra spargetegli sopra una cucchiaiata colma di parmigiano e poi versate
sul medesimo il contenuto del pentolo. Lasciate che il liquido assodi e
mandatelo in tavola.
357. LESSO RIFATTO ALL’ITALIANA
Se non vi dà noia la cipolla, questo riesce migliore del precedente. Per la
stessa quantità di lesso trinciate gr. 150 di cipolline, mettetele in padella
con grammi 50 di burro e allorché cominciano a rosolare buttateci il lesso
tagliato a fette sottili, uno spicchio d'aglio intero, vestito e leggermente
stiacciato, che poi leverete, e conditelo con sale e pepe. Via via che accenna a
prosciugare bagnatelo col brodo e dopo sette od otto minuti uniteci un pizzico
di prezzemolo tritato e il sugo di mezzo limone, e servitelo.
358. OSSO BUCO
Questo è un piatto che bisogna lasciarlo fare ai Milanesi, essendo una
specialità della cucina lombarda. intendo quindi descriverlo senza pretensione
alcuna, nel timore di essere canzonato.
È l'osso buco un pezzo d'osso muscoloso e bucato dell'estremità della coscia o
della spalla della vitella di latte, il quale si cuoce in umido in modo che
riesca delicato e gustoso. Mettetene al fuoco tanti pezzi quante sono le persone
che dovranno mangiarlo, sopra a un battuto crudo e tritato di cipolla, sedano,
carota e un pezzo di burro; conditelo con sale e pepe. Quando avrà preso sapore
aggiungete un altro pezzetto di burro intriso nella farina per dargli colore e
per legare il sugo e tiratelo a cottura con acqua e sugo di pomodoro o conserva.
Il sugo passatelo, digrassatelo e rimesso al fuoco, dategli odore con buccia di
limone tagliata a pezzettini, unendovi un pizzico di prezzemolo tritato prima di
levarlo dal fuoco.
359. CARNE ALL’IMPERATRICE
Vi è molta ampollosità nel titolo, ma come piatto famigliare da colazione può
andare; le dosi qui indicate bastano per cinque persone.
Carne magra di manzo nello scannello, grammi 500.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Parmigiano grattato, cucchiaiate colme n. 3.
Uova, n. 2.
Se non avete il tritacarne per ridurre in poltiglia tanto la carne che il
prosciutto, servitevi del coltello e del mortaio. Uniteci il parmigiano e le
uova, condite il composto con sale e pepe, mescolatelo bene, e con le mani
bagnate fatene una stiacciata alta due dita.
Ponete al fuoco in una teglia o in un tegame 30 grammi di burro e due
cucchiaiate d'olio; quando cominciano a bollire collocateci la detta stiacciata
di carne e sulla medesima spargete uno spicchio d'aglio tagliato a fettine e
alcune foglie di ramerino. Fate bollire, e quando comincia a prosciugarsi
bagnatela con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Mandatela in
tavola contornata dalla sua salsa.
RIFREDDI
360. LINGUA ALLA SCARLATTA
Alla scarlatta perché prende un bel color rosso; ed è, per aspetto e gusto, un
piatto ben indovinato.
Dovendovi parlar di lingua, mi sono venuti alla memoria questi versi del
Leopardi:
Il cor di tutte
Cose alfin sente sazietà, del sonno,
Della danza, del canto e dell'amore,
Piacer più cari che il parlar di lingua,
Ma sazietà di lingua il cor non sente.
È vero, il prurito della loquacità non si sazia cogli anni, anzi cresce in
proporzione, come cresce il desiderio di una buona tavola, unico conforto ai
vecchi, ai quali però le inesorabili leggi della natura impongono di non
abusarne sotto pena di gravi malanni; l'uomo nella vecchiaia consuma meno e
l'azione degli organi facendosi via via meno attiva e le secrezioni imperfette,
si generano nel corpo umano umori superflui e malefici, quindi dolori reumatici,
gotta, colpi apoplettici e simile progenie uscita dal vaso di madonna Pandora.
Tornando alla lingua, di cui devo parlarvi, prendetene una di bestia grossa,
cioè di vitella o di manzo, e con grammi 20 o 30 di salnitro, a seconda del
volume, strofinatela tutta finché l'abbia tirato a sé. Dopo ventiquattr'ore
lavatela con acqua fredda diverse volte e così umida strofinatela con molto sale
e lasciatela sul medesimo otto giorni, avvertendo di voltarla ogni mattina sulla
sua salamoia, prodotta dal sale che si scioglie in acqua. Il modo migliore di
cucinarla essendo di farla lessa, mettetela al fuoco con acqua diaccia, la sua
salamoia naturale, un mazzetto guarnito e mezza cipolla steccata con due chiodi
di garofani, facendola bollire per tre o quattro ore. Spellatela quando è ancora
a bollore, lasciatela freddare e mandatela in tavola; sarà poi un rifreddo
eccellente e signorile se la contornerete con la gelatina n. 3.
Si può servire anche calda, o sola, o accompagnata da patate oppure da spinaci.
È un piatto da non tentarsi nei grandi calori estivi perché c'è il caso che il
sale non basti per conservarla.
361. LINGUA DI VITELLA DI LATTE IN SALSA PICCANTE
Prendete una lingua tutta intera di vitella di latte e lessatela in acqua
salata, al che accorreranno circa due ore. Fate un battutino di sedano e carota
tritato fine, mettetelo a bollire con olio a buona misura per cinque minuti e
lasciatelo da parte. Fate un altro battuto con due acciughe salate, lavate e
nettate dalla spina, gr. 50 di capperi strizzati dall'aceto, un buon pizzico di
prezzemolo, una midolla di pane quanto un uovo, bagnata appena nell'aceto,
cipolla quanto una nocciuola, meno della metà di uno spicchio d'aglio e, quando
il tutto sarà ben tritato, lavoratelo con la lama di un coltello e un gocciolo
d'olio per ridurlo unito e pastoso e poi mescolatelo col precedente battuto di
sedano e carota. Per ridurlo liquido aggiungete altr'olio e il sugo di mezzo
limone, conditelo col pepe e salatelo, se occorre. Questa è la salsa.
Spellate la lingua ancora calda, scartate la pappagorgia co' suoi ossicini, che
è buona mangiata lessa, e il resto della lingua tagliatelo a fette sottili per
coprirle con la descritta salsa e servitela fredda.
È un piatto appetitoso, opportuno nei calori estivi quando lo stomaco si sente
svogliato.
362. SCALOPPE DI LINGUA FARSITE IN BELLA VISTA
Fra i rifreddi questo è uno dei migliori e di bella apparenza.
Fatevi tagliare dal vostro salumaio dieci fettine di lingua salata nella parte
più grossa, il cui peso in tutto riesca grammi 130 circa. Fatevi anche tagliare
in fette sottili grammi 100 di prosciutto cotto grasso e magro. Tagliate giro
giro i bordi della lingua per dare alle fette una forma elegante e i ritagli
metteteli da parte. Poi levate dal prosciutto dieci fettine della dimensione di
quelle della lingua e i ritagli tanto del prosciutto che della lingua gettateli
nel mortaio con grammi 70 di burro e grammi 20 di un tartufo bianco e odoroso.
Pestate queste cose insieme per ridurle fini come un unguento, di cui vi
servirete per ispalmare le fette della lingua da una sola parte, ed
appiccicatevi sopra le fettine del prosciutto.
Ora che avete così composto questi dieci pezzi, vi danno tutto il tempo che
volete per metterli in gelatina. Questa è descritta nella ricetta n. 3 e può
bastar quella dose; ma due sono le maniere per adornar con essa i pezzi
suddetti. La prima consiste nel prendere un largo piatto o una teglia, versarvi
un leggero strato di gelatina sciolta e quando comincia a condensare collocarvi
sopra i pezzi e questi coprirli con un altro strato di gelatina sciolta per
levarli dopo a uno a uno allorché siasi assodata.
La seconda sarebbe di collocare i pezzi ritti in uno stampo a qualche distanza
tra loro dopo averci colato in fondo un leggero strato di gelatina sciolta, e di
coprirli poi tutti della stessa gelatina per isformare quindi lo stampo e
mandarli in tavola tutti in un pezzo, che così faranno più bella mostra.
In un pranzo di parecchie portate io credo che questa dose potrebbe bastare
anche per dieci persone, ma per istar sul sicuro meglio sarà di non servirla a
più di otto.
363. VITELLO TONNATO
Prendete un chilogrammo di vitella di latte, nella coscia o nel culaccio, tutto
unito e senz'osso, levategli le pelletiche e il grasso, poi steccatelo con due
acciughe. Queste lavatele, apritele in due, levate loro la spina e tagliatele
per traverso facendone in tutto otto pezzi. Legate la carne non molto stretta e
mettetela a bollire per un'ora e mezzo in tanta acqua che vi stia sommersa e in
cui avrete messo un quarto di cipolla steccata con due chiodi di garofani, una
foglia d'alloro, sedano, carota e prezzemolo. L'acqua salatela generosamente e
aspettate che bolla per gettarvi la carne. Dopo cotta scioglietela, asciugatela
e, diaccia che sia tagliatela a fette sottili e tenetela in infusione un giorno
o due in un vaso stretto, nella seguente salsa in quantità sufficiente da
ricoprirla.
Pestate grammi 100 di tonno sott'olio e due acciughe; disfateli bene colla lama
di un coltello o, meglio, passateli dallo staccio aggiungendo olio fine in
abbondanza a poco per volta e l'agro di un limone od anche più, in modo che la
salsa riesca liquida; per ultimo mescolateci un pugnello di capperi spremuti
dall'aceto. Servite il vitello tonnato con la sua salsa e con spicchi di limone.
Il brodo colatelo e servitevene per un risotto.
364. RIFREDDO DI VITELLA DI LATTE
Una braciuola senz'osso, tutta magra, di vitella di latte, del peso di circa
grammi 400.
Altro magro della stessa carne, grammi 120.
Una grossa fetta di prosciutto grasso e magro, di gr. 50.
Altro prosciutto come sopra, grammi 20.
Una fetta di mortadella, di grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Burro, grammi 20.
Un petto di pollo crudo.
Un uovo.
La braciuola bagnatela coll'acqua e battetela col batticarne per ridurla alla
grossezza di un centimetro circa.
Tritate con la lunetta i suddetti gr. 120 di magro, insieme coi suddetti gr. 20
di prosciutto e dopo pestateli nel mortaio aggiungendo il parmigiano, il burro,
l'uovo, poco sale e poco pepe per fare con questi ingredienti il composto da
tenere unito il ripieno che formerete come appresso.
Tagliate a filetti, grossi più di un centimetro, il petto di pollo e le due
fette di mortadella e prosciutto e poi col composto spalmate una parte della
braciuola e sopra al medesimo collocate una terza parte dei filetti,
intercalandoli, poi spalmateli di sopra e così per altre due volte. Fatto questo
arrocchiate la braciuola con entro il ripieno e ammagliatela ad uso salame per
metterla al fuoco con grammi 30 di burro, sale e pepe a scarsa misura. Quando
avrà preso colore, scolate l'unto, il quale potrà servire per qualche altro
piatto, e tiratela a cottura per circa tre ore col brodo versato a poco per
volta. Diaccia che sia scioglietela dallo spago, tagliatela a fette e servitela.
Potrà bastare per 10 o 12 persone, specialmente se la guarnite di gelatina di
carne che qui ci sta a pennello.
365. POLLO IN SALSA TONNATA
Prendete un busto di pollo giovane (per busto s'intende un pollo al quale siano
state levate le interiora, il collo e le zampe), gettatelo nella pentola quando
bolle e fatelo bollire mezz'ora che basta per cuocerlo. Quando lo levate
toglietegli la pelle, ché non serve per questo piatto, disossatelo tutto e
mettetelo in pezzi per condirli con sale, non tanto, pepe e due cucchiaiate
d'olio. Dopo diverse ore che è rimasto ammucchiato sopra un vassoio, copritelo
con la seguente salsa. Dato che il busto da crudo sia del peso di grammi 600
circa, prendete:
Tonno sott'olio, grammi 50.
Capperi strizzati dall'aceto, grammi 30.
Acciughe, n. 3.
Prezzemolo un pugno, ossia tanto che dia il colore verde alla salsa.
Le acciughe nettatele dalle scaglie e dalle spine. Il prezzemolo tritatelo fine
con la lunetta e poi pestatelo nel mortaio con tutto il resto per ridurre il
composto della salsa finissimo. Tolto dal mortaio mettetelo in una scodella e
diluitelo con quattro cucchiaiate d'olio e mezzo cucchiaio d'aceto. Con la metà
di questa salsa inzafardate il pollo e con l'altra metà copritelo onde faccia
più bella mostra, ma con tutto ciò, rimanendo sempre un piatto di poco grata
apparenza, potete adornarlo, quando lo mandate in tavola, con due uova sode
tagliate a spicchi messevi per contorno. Potrà bastare per sei persone ed è un
cibo appetitoso, opportuno per principio a una colazione o ad un pranzo per
gente di poco appetito, nei giorni caldi, quando lo stomaco trovasi svogliato.
Per raschiare e pulir bene il mortaio di cose morbide o liquide, come questa
salsa, è molto a proposito una grossa fetta di patata cruda.
366. CAPPONE IN GALANTINA
Vi descriverò un cappone in galantina fatto in casa mia e servito a un pranzo di
dieci persone; ma poteva bastare per venti, poiché, pelato, risultò chilogrammi
1,500.
Vuotato e disossato (per disossare un pollo vedi il n. 258) rimase chilogrammi
0,700 e fu riempito con la quantità di ingredienti che qui appresso vi descrivo:
Magro di vitella di latte, grammi 200.
Detto di maiale, grammi 200.
Mezzo petto di pollastra.
Lardone, grammi 100.
Lingua salata, grammi 80.
Prosciutto grasso e magro, grammi 40.
Tartufi neri, grammi 40.
Pistacchi, grammi 20.
Mancandovi il maiale, può servire il petto di tacchino. I tartufi tagliateli a
pezzi grossi come le nocciuole e i pistacchi sbucciateli nell'acqua calda. Tutto
il resto tagliatelo a filetti della grossezza di un dito scarso e mettetelo da
parte salando le carni.
Fate un battuto con altro maiale e con altra vitella di latte, grammi 200 di
carne in tutto, pestatelo fine in un mortaio con grammi 60 di midolla di pane
bagnata nel brodo; aggiungete un uovo, le bucce dei tartufi, i ritagli della
lingua e del prosciutto, conditelo con sale e pepe e, quando ogni cosa è ben
pesta, passatelo per istaccio.
Ora, allargate il cappone, salatelo alquanto e cominciate a distendervi sopra un
poco di battuto e poi un suolo di filetti intercalati nelle diverse qualità,
qualche pezzetto di tartufo e qualche pistacchio; e così di seguito un suolo di
filetti e una spalmatura di battuto finché avrete roba, avvertendo che i filetti
del petto di pollastra è meglio collocarli verso la coda del cappone per non
accumulare sul petto di questo la stessa qualità di carne. Ciò eseguito tirate
su i lembi del cappone dalle due parti laterali, non badando se non si uniscono
perfettamente, che ciò non importa, e cucitelo. Legatelo per il lungo con uno
spago, involtatelo stretto in un pannolino, che avrete prima lavato, onde
togliergli l'odore di bucato, legate le due estremità del medesimo e mettetelo a
bollire nell'acqua per due ore e mezzo. Dopo scioglietelo, lavate il pannolino,
poi di nuovo rinvoltatelo e mettetelo sotto un peso in piano e in modo che il
petto del cappone resti al disotto o al disopra e in questa posizione tenetelo
per un paio d'ore almeno, onde prenda una forma alquanto schiacciata.
L'acqua dove ha bollito il cappone può servire per brodo e anche per la gelatina
n. 3.
367. CAPPONE IN VESCICA
Si dirà che io sono armato della virtù dell'asino, la pazienza, quando si sappia
che dopo quattro prove non riuscite, ho finalmente potuto alla quinta ed alla
sesta, cuocer bene un cappone in vescica. I primi quattro furono sacrificati a
Como, il dio delle mense, perché non avendo prese tutte le necessarie
precauzioni, le vesciche si rompevano bollendo. È un piatto però che merita di
occuparsene, visto che il cappone, già ottimo per sé stesso, diventa squisito
cotto in tale maniera.
Prendete una vescica di bue, meglio di maiale che sembra più resistente, grande,
grossa e senza difetti; lavatela bene con acqua tiepida e tenetela in molle per
un giorno o due. Sbuzzate il cappone, levategli il collo e le zampe, gettategli
nell'interno un buon pugnello di sale, internate le estremità delle coscie, e
piegate le ali aderenti al corpo onde le punte non isfondino la vescica. Poi
cucite le aperture del buzzo e del collo e fasciatelo tutto con grammi 150 di
prosciutto più magro che grasso a fette sottilissime, legandole aderenti al
cappone. Acconciato in questa maniera ponetelo nella vescica, facendo a questa
un'incisione per quel tanto che basta e dopo cucitela fitta.
Ora prendete un cannello lungo un palmo almeno, che serve di sfiatatoio, fategli
un becco in cima a mo' di fischietto e un'intaccatura in fondo per infilarlo e
legarlo nel collo della vescica e con questo apparecchio mettete il cappone al
fuoco entro a una pentola di acqua tiepida e lasciatelo bollire per tre ore
continue col cannello di fuori, ma badiamo bene, perché qui sta il busillis:
deve bollire in modo da veder solamente quelle piccole e rade bollicine che
vengono a galla. Se il cannello gettasse grasso o altro liquido non ne fate caso
e raccoglietelo in un tegamino. Cotto che sia il cappone lasciatelo diacciare
nella sua acqua e servitelo il giorno appresso scartando il prosciutto che ha
già perduto tutto il sapore. Entro al cappone troverete della gelatina ed altra
ne potrete aggiungere se vorrete fargli un conveniente contorno e sarà allora un
rifreddo da principe. Anche una pollastra ingrassata, se manca il cappone, si
presta all'uopo.
Sarà bene vi prevenga che l'ultima vescica mi fu assicurato che era di maiale e
che avrebbe resistito al fuoco più di quella di bue.
368. TORDI DISOSSATI IN GELATINA
Per sei tordi prendete:
Magro di vitella di latte, grammi 100.
Lingua salata, grammi 40.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Una palla di tartufi neri di circa grammi 30.
Lasciate da parte la metà della lingua e un terzo del prosciutto, più grasso che
magro, e la carne suddetta col resto della lingua e del prosciutto tritateli e
pestateli nel mortaio insieme con la corteccia del tartufo, rammorbidendo il
composto con un gocciolo di marsala. Poi passatelo dallo staccio ed uniteci un
rosso d'uovo.
Disossate i tordi come fareste pel pollo ripieno n. 258 e lasciate ad essi il
collo e la testa attaccati; poi riempiteli col composto descritto nel quale
avrete già mescolato il tartufo, la lingua e il prosciutto messi da parte, il
tutto tagliato a dadini. Ora cuciteli in modo da poter levare il filo quando
saranno cotti, e per cuocerli avvolgete ciascun tordo in un pezzo di velo e
fateli bollire per un'ora nel brodo della gelatina n. 3.
Serviteli per rifreddo sopra alla gelatina medesima e se con questa formate sei
stampini, grandi a modo di nido, sembrerà che il tordo vi stia sopra a covare.
Riesce un piatto fine e delicato.
369. ÀRISTA
Si chiama àrista in Toscana la schiena di maiale cotta arrosto o in forno, e si
usa mangiarla fredda, essendo assai migliore che calda. Per schiena di maiale
s'intende, in questo caso, quel pezzo della lombata che conserva le costole, e
che può pesare anche 3 o 4 chilogrammi.
Steccatela con aglio, ciocche di ramerino e qualche chiodo di garofano, ma con
parsimonia, essendo odori che tornano facilmente a gola, e conditela con sale e
pepe.
Cuocetela arrosto allo spiede, che è meglio, o mandatela al forno senz'altro, e
servitevi dell'unto che butta per rosolar patate o per rifare erbaggi.
È un piatto che può far comodo nelle famiglie, perché d'inverno si conserva a
lungo.
Durante il Concilio del 1430, convocato in Firenze onde appianare alcune
differenze tra la Chiesa romana e la greca, fu ai vescovi e al loro seguito
imbandita questa pietanza conosciuta allora con altro nome. Trovatala di loro
gusto cominciarono a dire: àrista, àrista (buona, buona!), e quella parola greca
serve ancora, dopo quattro secoli e mezzo a significare la parte di costato del
maiale cucinato in quel modo.
370. PASTICCIO FREDDO DI CACCIAGIONE
Prendiamo, per esempio, una starna o una pernice e con essa facciamo un
pasticcio che potrà bastare per sei o sette persone. La starna (Perdrix cinerea)
si distingue dalla pernice (Perdrix rubra) perché questa ha i piedi e il becco
rosso ed è alquanto più grossa.
Sono gallinacei dell'ordine dei Rasores; si nutrono di vegetali, particolarmente
di granaglie, e però hanno il ventriglio a pareti molto muscolose, ed abitano i
monti dei paesi temperati. Le loro carni sono ottime, di sapor delicato; ma fra
le due specie, la pernice è da preferirsi. Eccovi gli ingredienti per questo
pasticcio:
Una starna oppure una pernice alquanto frolla.
Fegatini di pollo, n. 3.
Rossi d'uovo, n. l.
Foglie d'alloro, n. 2.
Marsala, due dita di bicchiere comune.
Tartufi neri, grammi 50.
Lingua salata, grammi 50.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Una midolla di pane grossa quanto un pugno.
Un piccolo battuto di cipolla, carota e sedano.
Un poco di brodo.
La starna vuotatela, lavatela e mettetela al fuoco col detto battuto, col burro,
col prosciutto tagliato a fettine, con le foglie d'alloro intere, e conditela
con sale e pepe. Quando la cipolla avrà preso colore, bagnatela con la marsala
versata poco per volta, e se non basta per tirar la starna a mezza cottura
servitevi di brodo. Tolta la starna dal fuoco, levatele il petto e formatene
otto filetti che lascierete in disparte. Il resto tagliatelo a piccoli pezzi per
tirarli a cottura intera, unicamente ai fegatini, quello della starna
compresovi.
Cotta che sia questa roba, levatela asciutta e mettetela in un mortaio, gettando
via le foglie dell'alloro. Nell'intinto che ancora resta gettate la midolla del
pane e con un poco di brodo, rimestando, fate una pappa che verserete anch'essa
nel mortaio, come pure la raschiatura dei tartufi, e pesterete ogni cosa ben
fine per passarla dallo staccio. In questo passato stemperate il rosso d'uovo e
lavoratelo bene col mestolo per mantecarlo.
Ora, formate la pasta per coprirlo servendovi della ricetta n. 372. Prendete uno
di quegli stampi speciali per questi pasticci, che sono fatti a barchetta o
rotondi, scannellati, di ferro bianco, a cerniera che si apre. Ungetelo col
burro e, tirata la pasta sottile poco più di uno scudo, foderatelo con la
medesima e fategli il fondo che poserete sopra una teglia di rame unta anch'essa
col burro.
Prima gettate nel fondo parte del composto e disponetevi sopra una parte dei
filetti (petto della starna e lingua) ed alcuni pezzetti di tartufi grossi
quanto le nocciuole e crudi; poi altro composto intramezzato di tartufi e
filetti e così di seguito se il pasticcio fosse voluminoso. Pigiatelo bene
perché venga tutto unito e compatto e fategli il coperchio della stessa pasta
con qualche ornamento, lasciandovi nel mezzo un buco onde sfiati il vapore.
Dorate il di fuori e cuocetelo in forno o nel forno da campagna, e quando lo
levate coprite il buco con un fiocco della stessa pasta, fatto a misura e cotto
a parte.
La stessa regola potete tenere per un pasticcio di due beccacce le quali non
hanno bisogno di essere vuotate, né degli intestini, né del ventriglio; soltanto
verificherete che nelle parti basse non vi sia qualcosa di poco odoroso.
371. PASTICCIO DI CARNE
Magro di vitella di latte, grammi 200
Magro di maiale, grammi 100
Burro, grammi 60.
Prosciutto cotto tagliato grosso, grammi 60.
Lingua salata tagliata grossa, grammi 50.
Midolla di pane, grammi 50.
Un petto di pollo.
Un fegatino di pollo.
Un'allodola o un uccello consimile.
Un tartufo.
Marsala, un decilitro.
Mettete al fuoco col detto burro e conditeli con sale e pepe, la vitella, il
maiale, l'uccello (a cui leverete il becco e le zampe), il petto di pollo e per
ultimo il fegatino, bagnandoli con la marsala e poi con brodo per tirarli a
cottura, e prima di levarli lasciateci per un poco il tartufo. Poi nell'intinto
che resta gettateci la midolla del pane per fare un poco di pappa e questa messa
in un mortaio con l'uccelletto, un rosso d'uovo, la quarta parte circa della
vitella e del maiale, fate un composto passandolo da uno staccio di fil di
ferro, ma se riuscisse troppo sodo diluitelo con brodo.
Tutta la carne rimasta, il prosciutto, la lingua, il fegatino e il tartufo
tagliateli a quadretti grossi come le nocciuole e mescolate ogni cosa insieme
unicamente col composto passato. Ora prendete uno degli stampi appositi da
pasticcio, di forma rotonda, e servendovi della pasta descritta al n. 372,
incassatelo; ma quando avrete distesa per bene la pasta tanto sul fondo che
intorno allo stampo foderatela con fettine di lardone sottili come un velo e
dopo riempito fategli il suo coperchio regolandovi pel resto come il pasticcio
di cacciagione n. 370.
Se lo desideraste più signorile non riempite lo stampo fino alla bocca e nel
vuoto versateci, dopo cotto, un po' di gelatina n. 3 e servitelo freddo con
altra gelatina a parte.
Basterà per otto persone.
372. PASTICCIO DI LEPRE
Chi non ha buone braccia non si provi intorno a questo pasticcio. La natura
arida delle carni della bestia di cui si tratta e il molto ossame, richiedono
una fatica improba per estrarne tutta la sostanza possibile, senza di che non
fareste nulla di veramente buono.
Quello che qui vi descrivo fu fatto alla mia presenza, nelle seguenti dosi e
proporzioni sulle quali, regolandovi, ritengo non sia il caso di sciupare i
vostri quattrini.
Mezza lepre, senza testa e gli zampucci, un chilogrammo.
Magro di vitella di latte, grammi 230.
Burro, grammi 90.
Lingua salata, grammi 80.
Grasso di prosciutto, grammi 80.
Prosciutto grasso e magro, tagliato grosso mezzo dito, grammi 50.
Detto, tagliato fine, grammi 30.
Tartufi neri, grammi 60.
Farina per la balsamella, grammi 30.
Marsala, decilitri 3.
Uova, n. 2.
Latte, mezzo bicchiere.
Brodo, quanto basta.
Dalla lepre, dopo averla lavata ed asciugata, levate grammi 80 di magro dal
filetto o altrove e ponetelo da parte. Poi scarnite tutte le ossa, per separarle
dalla carne, rompetele e ponete anche queste da parte. La carne tagliatela a
pezzi, e coi suddetti grammi 80 di magro, lasciato intero, mettetela in
infusione con due terzi circa della detta marsala e coi seguenti odori tagliati
all'ingrosso: un quarto di una grossa cipolla, mezza carota, una costola di
sedano lunga un palmo, diversi gambi di prezzemolo e due foglie di alloro.
Conditela con sale e pepe, rivoltate bene ogni cosa e lasciatela in riposo
diverse ore. Frattanto nettate dalle pelletiche la carne di vitella di latte,
sminuzzatela col coltello e pestatela nel mortaio quanto più fine potete.
Scolate dalla marsala la carne messa in infusione e con tutte le ossa, gli odori
indicati, il grasso di prosciutto, tagliato a pezzettini e grammi 30 del detto
burro, ponetela in una cazzaruola coperta e, a fuoco vivo, lasciatela rosolar
bene, rimuovendola spesso col mestolo e bagnandola, quando sarà asciutta, con
marsala, servendovi anche di quella rimasta dell'infusione, e con brodo fino a
cottura completa. Allora separate nuovamente la carne dalle ossa e rimettete da
parte gli 80 grammi di magro per formare con questo, coi grammi 50 di prosciutto
e con la lingua, tanti filetti grossi più di mezzo dito.
Pestate prima tutta la carne della lepre nel mortaio, bagnandola di quando in
quando per renderla più pastosa, ma non troppo liquida, col resto della marsala
e con brodo e passatela; poi pestate le ossa e procurate che passi di queste
tutto quel che più potete, avvertendovi però occorrervi a quest'uopo uno staccio
di fil di ferro.
Ora, fate una balsamella con grammi 30 del detto burro, la farina e il latte
indicati e, cotta che sia, versate nella stessa cazzaruola tutta la carne
passata, tanto quella della lepre che della vitella di latte cruda, aggiungete
le due uova, mescolate bene ed assaggiate il composto se è dosato giusto di
condimenti, per aggiungere, se occorre, sale e il resto del burro.
Adesso incassate il pasticcio colla pasta qui sotto descritta e per riempirlo
regolatevi come nel n. 370. I tartufi tagliateli a tocchetti grossi come le
nocciuole e così crudi e con tutti i filetti descritti disponeteli a tre suoli
alternati col composto ben pigiato onde vengano sparsi regolarmente, e facciano
bella mostra quando il pasticcio si taglia. Per ultimo distendetegli sopra i
grammi 30 di prosciutto a fette piuttosto sottili e copritelo.
Potete coprirlo con pasta sfoglia a metà, come quella della ricetta n. 155,
oppure con la seguente:
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 80.
Spirito di vino, cucchiaini n. 2.
Zucchero, cucchiaini n. 2.
Rossi d'uovo, n. 2.
L'agro di uno spicchio di limone.
Sale, grammi 5.
Acqua fredda, se occorre.
Con la norma di questo, salvo qualche variazione del caso, potete fare diversi
altri pasticci di selvaggina, come sarebbe di cignale, daino e capriolo. Questo
ritengo possa bastare per un pranzo anche di venti persone.
373. PANE DI LEPRE
Eccovi un altro rifreddo.
Magro di lepre senz'osso, grammi 250,
Burro, grammi 100.
Farina, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 6.
Latte, mezzo litro.
Fate un battutino tritato ben fine con grammi 20 circa di prosciutto e un
pezzetto di cipolla, mettetelo al fuoco colla metà del detto burro e con la
lepre tagliata a piccoli pezzi, salandola. Quando l'unto sarà quasi consumato e
prima che la carne ròsoli, versate del buon brodo per tirarla a cottura. Cotta
che sia, pestatela nel mortaio bagnandola col suo sugo, poi passatela per
istaccio.
Colla farina indicata, col resto del burro e col latte fate una balsamella e
quando sarà diaccia frullate bene i rossi d'uovo e mescolate ogni cosa insieme.
Mettete il composto in uno stampo liscio con una carta imburrata nel fondo e
cuocetelo a bagno-maria. Servitelo freddo, contornato e coperto di gelatina; ma
poiché oggigiorno nei pranzi si cerca molto la bellezza e l'eleganza nei piatti,
ed anche qualche grata sorpresa, meglio sarebbe in questo caso che il pan di
lepre fosse coperto da una veste tutta unita di gelatina, il che si ottiene
facilmente. Si prende uno stampo più grande di quello che ha servito al pan di
lepre, se ne copre il fondo di gelatina e quando questa è rappresa vi si colloca
il rifreddo in mezzo e si riempie con altra gelatina liquida il vuoto
all'intorno.
374. PAN DI FEGATO
Tra i rifreddi, questo che vi descrivo, è uno dei migliori ed ha il diritto, pel
suo delicato sapore, di comparire su qualunque tavola.
Fegato di vitella di latte, grammi 500.
Burro, grammi 70.
Midolla di pane fresco, grammi 50,
Parmigiano grattato, grammi 20.
Fegatini di pollo, n. 4.
Marsala, decilitri 1.
Sugo di carne, oppure brodo, cucchiaiate n. 6.
Uova, uno intero e due rossi.
Una foglia di alloro.
Sale e pepe, quanto basta.
Tagliate il fegato a fette sottili e i fegatini in due parti, e gettate queste
due cose in padella con la foglia di alloro e la metà del burro e quando lo
avranno assorbito aggiungete l'altra metà e condite con sale e pepe. Poi versate
la marsala e dopo 4 o 5 minuti al più di fuoco vivo, dovendo il fegato rimaner
tenero, levatelo asciutto e insieme con l'alloro pestatelo nel mortaio.
Nell'intinto che resta in padella sminuzzate la midolla del pane e fatene una
pappa che getterete anch'essa nel mortaio, poi passate ogni cosa dallo staccio;
indi aggiungete il parmigiano e le uova, diluendo il composto col detto sugo o
brodo. Per ultimo collocatelo in uno stampo liscio con foglio sotto, unto col
burro, ed assodatelo a bagno-maria.
Sformatelo tiepido e quando sarà diaccio copritelo tutto di gelatina del n. 3,
entro a uno stampo di circonferenza maggiore del primo. Potrà bastare per dodici
persone.
375. PASTICCIO DI FEGATO
Servitevi del composto n. 374, aggiungendo soltanto grammi 30 di tartufi neri
tagliati a spicchi e facendo loro alzare il bollore nella marsala prima di
spargerli nel pasticcio. Copritelo con la pasta da pasticcio n. 372, cuocetelo
in forno o nel forno da campagna, e servitelo freddo. Potrà bastare anche questo
per dodici persone.
ERBAGGI E LEGUMI
Gli erbaggi, purché non se ne abusi, sono un elemento di igiene nella cucina.
Diluiscono il sangue, e, amalgamati alla carne, rendono questa meno nauseabonda;
ma il più o meno uso dei medesimi, in un paese qualsiasi, dipende in gran parte
dal clima.
376. ZUCCHINI COL REGAMO
Il regamo (Origanum volgare) è il seme odoroso di una pianticella selvatica
della famiglia delle labiate.
Prendete zucchini lunghi, non a piccola quantità perché scemano molto, e
tagliateli a fette rotonde della grossezza di uno scudo. Mettete al fuoco una
sauté o una teglia di rame con olio a buona misura e quando comincia a bollire
gettateci gli zucchini così naturali e, a fuoco ardente, rimuoveteli spesso.
Conditeli a mezza cottura con sale e pepe e quando accennano a rosolare
spargeteci sopra un buon pizzico di regamo e levateli subito colla mestola
forata. Potranno servirsi soli o per contorno e piaceranno.
Il regamo si presta a rendere odorose anche altre vivande, come i funghi in
umido, le uova nel tegame. le acciughe, ecc.
377. ZUCCHINI RIPIENI
Gli zucchini per farli ripieni si possono tagliare o a metà per il lungo, o a
metà per traverso, o anche lasciarli interi. Io preferisco quest'ultimo modo
come più elegante e perché gli zucchini fanno di sé bella mostra. Comunque sia,
vanno vuotati per far posto al ripieno. Per vuotarli interi meglio è il servirsi
di un cannello di latta che si fa passare dal basso all'alto; ma se per la
maggior grossezza dello zucchino, il vuoto non paresse grande a sufficienza,
allargatelo con un coltellino sottile.
Per fare il ripieno prendete del magro di vitella di latte, tagliatelo a pezzi e
mettetelo al fuoco in una cazzaruola con un battutino di cipolla, prezzemolo,
sedano, carota, un poco di carnesecca tagliata a pezzettini, un poco d'olio,
sale e pepe. Rivoltatela di frequente coi mestolo e quando la carne avrà tirato
tutto l'umido e preso colore, versate un ramaiolino d'acqua; dopo che avrà
tirato anche questa, versatene un altro e dopo poco un altro ancora, per finire
di cuocerla, avvertendo che vi resti del sugo. Allora questo passatelo e
lasciatelo in disparte.
Tritate la carne asciutta ben fine colla lunetta, e con un uovo, un poco di
parmigiano grattato, una midolla di pane bollita nel brodo o nel latte e l'odore
delle spezie, fate tutto un composto e servitevene per ripieno. Preparati così
gli zucchini, metteteli a soffriggere nel burro cui farete prima prendere il
color nocciuola e per ultimo tirateli a cottura col sugo già messo da parte.
Gli zucchini si possono riempire anche col composto del n. 347 e mancandovi il
sugo di carne potete cuocerli o col solo burro o con burro e salsa di pomodoro
n. 125.
378. ZUCCHINI RIPIENI DI MAGRO
Preparateli come i precedenti e riempiteli con un composto fatto con tonno
sott'olio tritato fine colla lunetta ed intriso con uova, un pizzico di
parmigiano e un poco di quel midollo levato dagli zucchini, l'odore delle
spezie, una presa di pepe e punto sale. Metteteli a cuocere nel burro quando
questo avrà preso il color nocciuola e aggraziateli colla salsa di pomodoro n.
125. Se li farete con attenzione vi riusciranno tanto buoni da non credersi.
379. FAGIUOLINI E ZUCCHINE ALLA SAUTÉ
Questi erbaggi così cucinati servono per lo più di contorno. ora la così detta
cucina fine ha ridotto l'uso dei condimenti a una grande semplicità. Sarà più
igienica, se vogliamo, e lo stomaco si sentirà più leggiero; ma il gusto ne
scapita alquanto e viene a mancare quel certo stimolo che a molte persone è
necessario per eccitare la digestione. Qui siamo in questo caso. Se trattasi di
fagiuolini lessateli a metà, se di zucchini lasciateli crudi tagliati a spicchi
o a tocchetti, metteteli a soffriggere nel burro quando questo, bollendo, avrà
preso il color nocciuola. Per condimento mettete soltanto sale e pepe in poca
quantità.
Se dopo cotti in questa maniera vi aggiungerete un poco di sugo di carne oppure
un poco della salsa di pomodoro n. 125 non sarete più nelle regole della cucina
forestiera o moderna; ma sentirete, a mio parere, un gusto migliore e lo stomaco
resterà più soddisfatto. Se il sugo di carne o la salsa di pomodoro vi mancano,
spolverizzateli almeno di parmigiano quando li ritirate dal fuoco.
380. FAGIUOLINI IN SALSA D’UOVO
Prendete grammi 300 circa di fagiuolini in erba, togliete loro le due punte e il
filo e poi, come dicono i cuochi in gergo francioso, imbianchiteli, cioè date
loro mezza cottura in acqua alquanto salata. Levateli asciutti, tagliateli in
tre pezzi e tirateli a sapore col burro, sale e pepe. Frullate in un pentolo un
rosso d'uovo con un cucchiaino di farina e il sugo di un quarto di limone,
allungate il miscuglio con un ramaiuolo di brodo ghiaccio digrassato e ponete
questo liquido al fuoco in una cazzarolina girando sempre il mestolo e quando,
per la cottura, sarà divenuto come una crema scorrevole, versatelo sui
fagiuolini: tenete questi ancora un poco sul fuoco perché la salsa s'incorpori e
serviteli per contorno al lesso.
Per far prendere ai fagiuolini e agli zucchini un bel verde, gettate nell'acqua,
quando bolle, oltre al sale, un cucchiaino di soda.
381. FAGIUOLINI COLLA BALSAMELLA
Lessate i fagiuolini in modo che (mediante un cucchiaino di soda) restino ben
verdi. Poi soffriggeteli nel burro, ma leggermente onde non perdano il bel
colore e conditeli con sale e pepe. Versateci sopra una balsamella scorrevole,
ma non troppo copiosa, fatta con panna, burro e farina, e mandateli in tavola
con un contorno di pane fritto tagliato a mandorle. Possono servire per tramesso
in un pranzo.
382. FAGIUOLINI CON L’ODORE DI VAINIGLIA
Ponete i fagiuolini in molle nell'acqua fresca e se sono teneri metteteli crudi
e interi, senza sgrondarli troppo, in umido, nel seguente modo.
Fate un soffritto con olio, uno scalogno, prezzemolo, carota e sedano, il tutto
tritato fine. Invece dello scalogno può servire la cipolla novellina o la
cipolla comune. Conditelo con sale e pepe e quando avrà preso colore,
allungatelo con brodo o passatelo spremendolo bene. A questo sugo passato,
aggiungete sugo di pomodoro e nel medesimo gettate i fagiuolini per cuocerli;
prima di levarli aggraziateli con due cucchiaini di zucchero vanigliato e se
questo odore non piace, sostituite la nepitella.
383. FAGIUOLINI DALL’OCCHIO IN ERBA ALL’ARETINA
Spuntateli alle due estremità e tagliateli in tre parti. Metteteli in una
cazzaruola con due spicchi d'aglio interi, sugo di pomodoro crudo e con
tant'acqua diaccia che li ricopra. Conditeli con olio, sale e pepe; poi
metteteli al fuoco e fateli bollire adagio fino a cottura completa avvertendo
che vi resti alquanto sugo ristretto per renderli più gradevoli. Possono servire
come piatto di tramesso o di contorno al lesso.
384. FAGIUOLI A GUISA D’UCCELLINI
Nelle trattorie di Firenze ho sentito chiamare fagiuoli all'uccelletto i
fagiuoli sgranati cucinati così:
Cuoceteli prima nell'acqua e levateli asciutti. Mettete un tegame al fuoco con
l'olio in proporzione e diverse foglie di salvia; quando l'olio grilletta forte
buttate giù i fagiuoli e conditeli con sale e pepe. Fateli soffriggere tanto che
tirino l'unto e di quando in quando scuotete il vaso per mescolarli; poi versate
sui medesimi un poco di sugo semplice di pomodoro e allorché questo si sarà
incorporato, levateli. Anche i fagiuoli secchi di buccia fine possono servire al
caso dopo lessati.
Questi fagiuoli si prestano molto bene per contorno al lesso, se non si vogliono
mangiar da soli.
385. FAGIUOLI SGRANATI PER CONTORNO AL LESSO
Fagiuoli sgranati, grammi 300.
Carnesecca intera, grammi 30.
Acqua, decilitri 2.
Olio, cucchiaiate 4.
Una ciocchettina di 4 o 5 foglie di salvia.
Sale e pepe bianco.
Mettete al fuoco i fagiuoli con tutti gl'ingredienti suddetti, fateli bollire
adagio e scuoteteli spesso. Levate la salvia e la carnesecca e serviteli. È un
contorno che potrà bastare per quattro persone.
386. SFORMATO DI FAGIUOLINI
Prendete grammi 500 di fagiuolini ben teneri e levate loro le punte e il filo se
l'hanno. Gettateli nell'acqua bollente con un pizzico di sale ed appena avranno
ripreso il bollore levateli asciutti e buttateli nell'acqua fresca.
Se avete sugo di carne tirateli a sapore con questo e col burro, se no fate un
soffritto con un quarto di cipolla, alcune foglie di prezzemolo, un pezzo di
sedano e olio, e quando la cipolla avrà preso colore, buttate giù i fagiuolini
condendoli con sale e pepe e tirandoli a cottura con un po’ d'acqua, se occorre.
Preparate una balsamella con grammi 30 di burro, una cucchiaiata scarsa di
farina e due decilitri di latte. Con questa, con un pugno di parmigiano grattato
e con quattro uova frullate, legate i detti fagiuolini, già diacciati, mescolate
e versate il composto in uno stampo liscio, imburrato prima e il cui fondo sia
coperto di un foglio. Cuocetelo al fuoco o a bagno-maria e servitelo caldo.
387. SFORMATO DI CAVOLFIORE
Prendete una palla di cavolfiore e, ammesso che questa sia, per esempio, del
peso di grammi 350 netta dal gambo e dalle foglie, adoperate per condimento le
seguenti dosi all'incirca:
Latte, decilitri 3.
Uova, n. 3.
Burro, grammi 60.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Date mezza cottura nell'acqua alla palla del cavolfiore e dopo tagliatela a
pezzetti. Poneteli a soffriggere, colla metà del detto burro, salandoli, e
quando l'avranno tirato, finite di cuocerli con un poco del detto latte: poi
potete lasciarli così o passarli dallo staccio. Colla rimanenza del burro e del
latte e con una cucchiaiata di farina non colma fate una balsamella e
aggiungetela al composto insieme colle uova, prima frullate, e col parmigiano.
Cuocetelo in uno stampo liscio come lo sformato di fagiuolini e servitelo caldo.
Questa quantità può bastare per sei persone.
388. CAVOLFIORE ALL’USO DI ROMAGNA
Dividete una grossa palla di cavolfiore, o due se sono piccole, in spicchiettini
che laverete; e così crudi, senza asciugarli, cuoceteli in questo modo: ponete
al fuoco un battuto proporzionato di aglio, prezzemolo e olio, e quando sarà
rosolato fermatelo con un gocciolo d'acqua. Gettateci allora il cavolfiore
condendolo con sale e pepe e quando avrà assorbito il battuto tiratelo a cottura
mediante conserva di pomodoro sciolta nell'acqua calda. Dategli grazia e più
sapore col parmigiano quando lo mandate in tavola, ove può servir per contorno
al lesso, a un umido o ad un coteghino.
389. SFORMATO DI CARDONI
Regolatevi in tutto come per lo sformato di cavolfiore del numero 387. Tagliate
il cardone a piccoli pezzi, onde vengano penetrati bene dal condimento; prima di
metterlo nello stampo, assaggiatelo.
390. SFORMATO DI SPINACI
Lessate gli spinaci in pochissima acqua o soltanto con quella che sgronda dai
medesimi quando li levate dall'acqua fresca dov'erano in molle. Passateli dallo
staccio e, regolandovi sulla quantità, condizionateli con sale, pepe, cannella
in polvere, alcune cucchiaiate di balsamella n. 137, burro, uova, parmigiano, un
pugnello di uva secca o zibibbo ai quali siansi tolti i semi, oppure uva
passolina. Mescolate per bene e versate il composto in una forma liscia, bucata
nel mezzo, cuocendolo a bagnomaria. Sformatelo quand'è tuttora caldo e mandatelo
in tavola riempito di un umido delicato di rigaglie di pollo oppure di animelle,
o di vitella di latte, o anche di tutte queste cose insieme, frammiste a
pezzetti di funghi secchi
391. SFORMATO DI CARCIOFI
Questo è uno sformato da farsi quando i carciofi costano poco e ve lo do per uno
de' più delicati.
Levate ai carciofi le foglie più dure, spuntateli e sbucciatene i gambi,
lasciandoli tutti, anche se sono lunghi. Tagliateli in quattro spicchi e fateli
bollire nell'acqua salata per soli cinque minuti. Se li lasciate di più sopra al
fuoco, oltre ad inzupparsi troppo di acqua, perdono molto del loro aroma.
Levateli asciutti, pestateli nel mortaio e passateli per istaccio. Dosate la
polpa così ottenuta con tutti quegli ingredienti soliti negli altri sformati di
erbaggio, e cioè: uova, non facendo avarizia d'uno di più, onde restringa, due o
tre cucchiaiate di balsamella ove non iscarseggi il burro; parmigiano, sale e
odore di noce moscata, ma assaggiate il composto più volte per ridurlo a giusto
sapore.
Se avete sugo di carne o di stracotto non è male l'unirci un poco anche di
questo e, se i carciofi sono teneri, anziché passarli potete lasciarli a piccoli
spicchi.
Cuocetelo a bagno-maria in uno stampo bucato, se avete un intingolo di carne per
riempirlo; se no, mettetelo in uno stampo liscio e servitelo per tramesso.
392. SFORMATO DI FINOCCHI
Questo sformato, per ragione del grato odore e del sapore dolcigno de' finocchi,
riesce uno de' più gentili.
Levate ai finocchi le foglie più dure, tagliateli a piccoli spicchi e cuoceteli
per due terzi nell'acqua salata, poi scolateli bene e metteteli a soffriggere
con un pezzetto di burro. Conditeli con sale e quando avranno succhiato il
burro, bagnateli con un poco di latte; allorché avranno tirato anche questo,
aggiungete un po' di balsamella. Ritirateli dal fuoco e lasciateli come sono, o
passateli dallo staccio; quando saranno diacci uniteci parmigiano grattato e, a
seconda della quantità, tre o quattro uova frullate. Versate il composto in uno
stampo liscio, o col buco nel mezzo, regolandovi come per gli altri sformati;
cuocetelo a bagno-maria e servitelo caldo come piatto di tramesso o in compagnia
di un cappone lessato. Potete anche guarnirlo di un manicaretto di rigaglie e
animelle.
393. FUNGHI MANGERECCI
I funghi, pei principii azotati che contengono sono, fra i vegetali, i più
nutrienti. Il fungo, pel suo profumo particolare, è un cibo gratissimo ed è gran
peccato che fra le tante sue specie se ne trovino delle velenose, le quali solo
un occhio esercitato e pratico può distinguere dalle innocue; una certa garanzia
possono darla le località riconosciute per lunga esperienza esenti da pericolo.
In Firenze, ad esempio, si fa un uso enorme di funghi che scendono dai boschi
delle circostanti montagne, e se la stagione è piovosa, cominciano ad apparire
nel giugno; ma il forte della produzione è in settembre. A lode del vero,
bisogna dire che la città non è mai stata funestata da disgrazie cagionate da
questi vegetali, forse perché le due specie che quasi esclusivamente vi si
consumano sono i porcini di color bronzato e gli ovoli. Tanta è la fiducia nella
loro innocuità che non si prende nessuna precauzione in proposito, neppur quella
che suggeriscono alcuni, di far loro alzare il bollore in acqua acidulata
d'aceto, cautela che per altro sarebbe a carico della loro bontà.
Delle due specie sopraindicate, i porcini si prestano meglio fritti e in umido;
gli ovoli trippati e in gratella.
394. FUNGHI FRITTI
Scegliete funghi di mezzana grandezza che sono anche di giusta maturazione; più
grandi riescono molliconi e molto piccoli sarebbero troppo duri.
Raschiatene il gambo, nettateli dalla terra e lavateli interi senza tenerli in
molle, che spenderebbero nell'acqua il loro grato profumo. Poi tagliateli a
fette piuttosto grosse e infarinateli prima di gettarli in padella. L'olio è il
migliore degli unti per questa frittura, e il condimento si compone
esclusivamente di sale e pepe che vi si sparge quando sono ancora a bollore. Si
possono anche dorare gettandoli nell'uovo dopo infarinati, ma ciò è superfluo.
395. FUNGHI IN UMIDO
Per l'umido sono da preferirsi quelli che stanno sotto la grandezza mediocre.
Nettateli, lavateli e tagliateli a fette più sottili dei precedenti. Mettete un
tegame al fuoco con olio, qualche spicchio di aglio intero, un po' ammaccato, e
un buon pizzico di foglie di nepitella. Quando l'olio comincia a grillettare
gettate giù i funghi senza infarinarli, conditeli con sale e pepe e, a mezza
cottura, bagnateli con sugo di pomodoro semplice; siate però parchi coi
condimenti perché i funghi non li assorbono,
396. FUNGHI TRIPPATI
A questa cucinatura si prestano bene gli ovoli e si dicono trippati forse perché
vengono trattati come la trippa. Gli ovoli, come sapete, sono di color
giallo-arancione; i più giovani sono chiusi in forma d'uovo, i più maturi sono
aperti e spianati. Preferite i primi e dopo averli nettati e lavati, tagliateli
a fette sottili. Cuoceteli nel burro e conditeli con sale, pepe e parmigiano
grattato. Se aggiungete sugo di carne riusciranno anche migliori.
397. FUNGHI IN GRATELLA
Gli ovoli aperti sono i più atti a questa cucinatura. Dopo averli nettati e
lavati, asciugateli fra le pieghe di un canovaccio e conditeli con olio, sale e
pepe. Servono molto bene per contorno alla bistecca o a un arrosto qualunque.
398. FUNGHI SECCHI
Ogni anno in settembre, quando costano poco, io fo la mia provvista di funghi
porcini e li secco in casa. Per questa operazione aspettate una vela di tempo
buono perché, essendo indispensabile il calore del sole, vi potrebbero andare a
male. Preferite funghi giovani, duri, di mezzana grandezza ed anche grossi, ma
non molliconi. Raschiatene il gambo, nettateli bene dalla terra senza lavarli e
tagliateli a pezzi molto grossi perché, seccando, diminuiscono un visibilio. Se
nell'aprirli troverete dei bacolini nel gambo, tagliate via soltanto quella
parte che essi avevano cominciato a guastare.
Teneteli esposti continuamente al sole per due o tre giorni, poi infilateli e
teneteli all'aria ventilata ed anche nuovamente al sole finché non saranno
secchi del tutto. Allora riponeteli e teneteli ben chiusi in un cartoccio o in
un sacchetto di carta; ma a lunghi intervalli non mancate di visitarli, perché i
funghi hanno il vizio di rinvenire; se ciò accadesse, bisogna di nuovo esporli
per qualche ora alla ventilazione. Senza questo custodimento c'è il caso che li
troviate tutti bacati.
Per servirsene vanno rammolliti nell'acqua calda; ma teneteceli il meno
possibile, onde non perdano l'odore.
399. PETONCIANI
Il petonciano o melanzana è un ortaggio da non disprezzarsi per la ragione che
non è né ventoso, né indigesto. Si presta molto bene ai contorni ed anche
mangiato solo, come piatto d'erbaggi, è tutt'altro che sgradevole, specialmente
in quei paesi dove il suo gusto amarognolo non riesce troppo sensibile. Sono da
preferirsi i petonciani piccoli e di mezzana grandezza, nel timore che i grossi
non siano amari per troppa maturazione.
Petonciani e finocchi, quarant'anni or sono, si vedevano appena sul mercato di
Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in
questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso
più de' cristiani.
I petonciani fritti possono servire di contorno a un piatto di pesce fritto;
fatti in umido, al lesso; in gratella, alla bistecca, alle braciole di vitella
di latte o a un arrosto qualunque.
400. PETONCIANI FRITTI
Sbucciateli, tagliateli a tocchetti piuttosto grossi, salateli e lasciateli
stare per qualche ora.
Asciugateli dall'umido che hanno buttato, infarinateli e friggeteli nell'olio.
401. PETONCIANI IN UMIDO
Sbucciateli, tagliateli a tocchetti e metteteli al fuoco con un po' di burro.
Quando lo avranno succhiato tirateli a cottura colla salsa di pomodoro n. 125.
402. PETONCIANI IN GRATELLA
Tagliateli a metà per il lungo senza sbucciarli, fate loro delle incisioni
graticolate sulla parte bianca, conditeli con sale, pepe e olio, poneteli in
gratella dalla parte della buccia; poi copriteli con un coperchio o tegame di
ferro e cuoceteli fra due fuochi, che così non hanno bisogno d'esser voltati; a
mezza cottura date loro un'altra untatina d'olio. Saranno cotti quando la polpa
è diventata morbida.
403. TORTINO DI PETONCIANI
Sbucciate sette od otto petonciani, tagliateli a fettine rotonde e salateli onde
buttino fuori l'acqua. Dopo qualche ora infarinateli e friggeteli nell'olio.
Prendete un vassoio che regga al fuoco e, suolo per suolo, conditeli con
parmigiano grattato e colla salsa di pomodoro n. 125, disponendoli in modo che
facciano una bella colma. Frullate un uovo con una presa di sale, una
cucchiaiata di detta salsa, un cucchiaino di parmigiano, due di pangrattato, e
con questo composto copritene la superficie. Ponete il vassoio sotto al
coperchio del forno da campagna, col fuoco sopra, e quando l'uovo sarà rappreso,
mandate il tortino in tavola. Può servire solo, per tramesso o accompagnato da
un piatto di carne. La copertura d'uovo serve a dare al piatto migliore
apparenza.
404. CARDONI IN TEGLIA
I cardoni, detti volgarmente gobbi, per la loro affinità coi carciofi, si
possono cucinare come questi (n. 246), se non che, dopo aver nettati bene i
cardoni dai filamenti di cui è intessuta la parte esterna, si deve dar loro metà
cottura in acqua salata, gettandoli subito dopo nell'acqua fresca, onde non
anneriscano.
Tagliateli a pezzetti, infarinateli e quando l'olio comincia a bollire,
buttateli giù e conditeli con sale e pepe. Le uova frullatele prima e aspettate
di versarle quando i cardoni saranno rosolati da ambedue le parti.
Il cardone è un erbaggio sano, di facile digestione, rinfrescante, poco
nutritivo ed insipido; perciò è bene dargli molto condimento, come è indicato al
n. 407.
È poi tale la sua affinità coi carciofi, che sotterrando i fusti di quest'ultima
pianta, quando non dà più frutti, si ottengono i così detti carducci.
405. CARDONI IN UMIDO
Dopo averli lessati come i precedenti, metteteli in umido con un battutino
d'aglio e prezzemolo; olio, sale e pepe.
Se li desiderate più grati al gusto e di più bella apparenza, copriteli di una
salsa d'uovo e limone quando sono già sul vassoio. Frullate qualche uovo con
agro di limone, mettete il liquido al fuoco in una cazzarolina girando il
mestolo, e versatelo quando comincia a condensarsi. Se non usate la salsa
conditeli almeno con un pizzico di parmigiano.
406. CARDONI IN GRATELLA
Non è un piatto da raccomandarsi molto, ma se volete provarlo, dopo aver lessati
i cardoni, asciugateli bene, lasciate le costole lunghe un palmo, conditeli
generosamente con olio, pepe e sale e rosolateli in gratella. Possono servir per
contorno a una bistecca o ad un pesce in gratella.
407. CARDONI CON LA BALSAMELLA
Scartate le costole più dure, le altre nettatele dai filamenti e lessatele a
mezza cottura. Qui, sia detto una volta per tutte, gli erbaggi vanno messi al
fuoco ad acqua bollente e i legumi ad acqua diaccia. Tagliate le costole dei
cardoni a pezzetti lunghi tre dita circa e tirateli a sapore con burro e sale a
sufficienza, terminate di cuocerli aggiungendo latte, o meglio panna, poi
legateli con un poco di balsamella n. 137. Aggiungete un pizzico di parmigiano
grattato e levateli subito senza più farli bollire. Questo è un eccellente
contorno agli stracotti, alle bracioline, allo stufatino di rigaglie e ad altri
simili piatti. Nella stessa maniera si possono cucinare le rape a dadi grossi,
le patate e gli zucchini a spicchi, ma questi ultimi non vanno lessati.
408. TARTUFI ALLA BOLOGNESE, CRUDI, ECC.
La gran questione dei Bianchi e dei Neri che fece seguito a quella dei Guelfi e
dei Ghibellini e che desolò per tanto tempo l'Italia, minaccia di riaccendersi a
proposito dei tartufi, ma consolatevi, lettori miei, che questa volta non ci
sarà spargimento di sangue; i partigiani dei bianchi e dei neri, di cui ora si
tratta, sono di natura molto più benevola di quei feroci d'allora.
Io mi schiero dalla parte dei bianchi e dico e sostengo che il tartufo nero è il
peggiore di tutti; gli altri non sono del mio avviso e sentenziano che il nero è
più odoroso e il bianco è di sapore più delicato: ma non riflettono che i neri
perdono presto l'odore. I bianchi di Piemonte sono da tutti riconosciuti
pregevoli, e i bianchi di Romagna, che nascono in terreno sabbioso, benché
sappiano d'aglio, hanno molto profumo. Comunque sia, lasciamo in sospeso la gran
questione per dirvi come si preferisce di cucinarli a Bologna, Bologna la grassa
per chi vi sta, ma non per chi vi passa.
Dopo averli bagnati e nettati, come si usa generalmente, con uno spazzolino
tuffato nell'acqua fresca, li tagliano a fette sottilissime e, alternandoli con
altrettante fette sottilissime di parmigiano, li dispongono a suoli in un
vassoio di rame stagnato, cominciando dai tartufi. Li condiscono con sale, pepe
e molto olio del migliore, e appena hanno alzato il bollore, spremono sui
medesimi un limone togliendoli subito dal fuoco. Alcuni aggiungono qualche
pezzetto di burro; se mai mettetene ben poco per non renderli troppo gravi. Si
usa pure mangiare i tartufi crudi tagliati a fette sottilissime e conditi con
sale, pepe e agro di limone.
Legano bene anche con le uova. Queste frullatele e conditele con sale e pepe.
Mettete al fuoco burro in proporzione e quando sarà strutto versateci le uova e
dopo poco i tartufi a fette sottili, mescolando.
A tutti è nota la natura calida di questo cibo, quindi mi astengo dal parlarne
perché potrei dirne delle graziose. Pare che i tartufi venissero per la prima
volta conosciuti in Francia nel Périgord sotto Carlo V.
Io li ho conservati a lungo nel seguente modo, ma non sempre mi è riuscito:
tagliati a fette sottili, asciugati al fuoco, conditi con sale e pepe, coperti
d'olio e messi al fuoco per far loro alzare il bollore. Da crudi si usa tenerli
fra il riso per comunicare a questo il loro profumo.
409. CIPOLLINE AGRO-DOLCI
Non è piatto che richieda molto studio, ma solo buon gusto per poterlo dosare
convenientemente; se fatto bene, riuscirà un eccellente contorno al lesso.
Per cipolline intendo quelle bianche, grosse poco più di una noce. Sbucciatele,
nettatele dal superfluo e date loro una scottatura in acqua salata. Per un
quantitativo di grammi 300 circa mettete al fuoco all'asciutto, in una
cazzaruola, grammi 40 di zucchero e, quando è liquefatto, grammi 15 di farina;
rimuovete continuamente col mestolo e quando l'intriso sarà divenuto rosso,
gettateci a poco per volta due terzi di bicchier d'acqua con aceto e lasciate
bollire il liquido tanto che se si formano dei grumi si possano sciogliere
tutti. Allora buttate giù le cipolline e scuotete spesso la cazzaruola,
avvertendo di non toccarle col mestolo per non guastarle. Assaggiatele prima di
servirle, perché se occorre zucchero o aceto siete sempre in tempo ad
aggiungerli.
410. CIPOLLINE IN ISTUFA
Spellatele e, pareggiatone il capo e la parte inferiore, gettatele nell'acqua
bollente salata e fatele bollire per dieci minuti. Mettete a soffriggere un
pezzetto di burro e quando avrà preso il color nocciuola, collocateci le
cipolline tutte a un pari, condite con sale e pepe; dopo che saranno rosolate da
una parte voltatele dall'altra, quindi bagnatele con sugo di carne, legandole
con una presa di farina impastata nel burro.
Mancandovi il sugo, cucinatele in bianco nella seguente maniera: dopo lessate e
tenute nell'acqua fresca mettetele in una cazzaruola con un mazzetto guarnito,
una piccola fetta di prosciutto, un pezzetto di burro e un ramaiuolo di brodo.
Conditele con pepe e poco sale, copritele con fette sottilissime di lardone e
sopra queste accostate un foglio di carta unto di burro. Terminate di cuocerle
fra due fuochi e servitele per contorno insieme col sugo ristretto che resta.
411. CIPOLLINE PER CONTORNO AI COTEGHINI
Dopo averle lessate, come nella ricetta precedente, mettetele a soffriggere nel
burro, conditele con sale e pepe, bagnatele col brodo del coteghino ed
aggraziatele con aceto e zucchero. Per 28 o 30 cipolline basteranno grammi 50 di
burro, mezzo ramaiuolo di brodo digrassato di coteghino, mezzo cucchiaio d'aceto
e un cucchiaino di zucchero.
412. SEDANI PER CONTORNO
Gli antichi, ne' banchetti, s'incoronavano colla pianta del sedano, credendo di
neutralizzare con essa i fumi del vino. Il sedano è grato al gusto per quel suo
aroma speciale; per questo e per non esser ventoso merita un posto fra gli
erbaggi salubri. Preferite quello di costola piena e servitevi solo delle
costole bianche e del gambo, che sono le parti più tenere.
Eccovi tre maniere diverse per cucinarlo; per le prime due sarà bene che diate
ai pezzi la lunghezza di 10 centimetri, e per la terza di 5 soltanto. Il gambo
dopo averlo sbucciato, tagliatelo in croce, e lasciatelo unito alla costola, poi
fate bollire quest'ortaggio in acqua alquanto salata non più di cinque minuti e
levatelo asciutto:
l°. Mettetelo a soffriggere nel burro, poi tiratelo a cottura col sugo di carne
e uniteci del parmigiano quando lo mandate in tavola.
2°. Ammesso che i sedani da crudi. siano dai grammi 200 ai 250, ponete in una
cazzaruola grammi 30 di burro e un battutino con grammi 30 di prosciutto, grasso
e magro, tritato fine insieme con un quarto di cipolla di media grandezza.
Aggiungete due chiodi di garofano e fate bollire. Quando la cipolla avrà preso
colore, versate brodo e tirate il soffritto a cottura. Allora passate ogni cosa
e ponete il sugo in un tegame ove i sedani stiano distesi, conditeli con una
presa di pepe, perché il sale non occorre, e mandateli in tavola col loro sugo.
3°. Infarinatelo, immergetelo nella pastella n. 156 e friggetelo nello strutto o
nell'olio; oppure, che è meglio, dopo averlo infarinato, immergetelo nell'uovo,
panatelo e friggetelo. Quest'ultima cucinatura de' sedani si presta più delle
altre per contorno agli umidi di carne coll'intinto dei quali li bagnerete.
413. SEDANI PER CONTORNO AL LESSO
Servitevi delle costole bianche e tagliatele a pezzetti di due centimetri circa.
Lessateli per cinque minuti nell'acqua salata e metteteli a soffriggere nel
burro. Poi legateli con la balsamella del n. 137, tenuta piuttosto soda, e date
loro sapore col parmigiano.
414. LENTICCHIE INTERE PER CONTORNO
Le lenticchie per contorno agli zamponi si dovrebbero tirare a sapore, dopo
cotte nell'acqua, col burro e sugo di carne. In mancanza di questo, mettetele a
bollire con un mazzetto odoroso e dopo cotte e scolate bene dall'acqua, rifatele
con un battutino di prosciutto grasso e magro, un pezzetto di burro e poca
cipolla. Quando questa sarà ben rosolata, versate nel soffritto un ramaiuolo o
due di brodo digrassato del coteghino o dello zampone. Lasciatelo bollire un
poco, passatelo, e in questo sugo rifate le lenticchie aggiungendo un altro
pezzetto di burro, sale e pepe. Se il coteghino non è ben fresco, servitevi di
brodo.
415. LENTICCHIE PASSATE PER CONTORNO
Questo si chiamerebbe alla francese purée di lenticchie; ma il Rigutini ci
avverte che la vera parola italiana è passato, applicabile ad ogni specie di
legumi, le patate inclusive. Dunque, per fare un passato, e non un presente,
colle lenticchie, mettetele a cuocere nell'acqua con un pezzetto di burro e
quando saranno cotte, ma non spappolate, passatele per istaccio. Fate un
battutino di cipolla (poca però, perché non si deve sentire), prezzemolo, sedano
e carota; mettetelo al fuoco con burro quanto basta e quando sarà ben rosolato,
fermatelo con un ramaiuolo di brodo che può anche essere quello digrassato del
coteghino. Colatelo e servitevi di quel sugo per dar sapore al passato, non
dimenticando il sale ed il pepe ed avvertite che è bene resti sodo il più
possibile.
416. CARCIOFI IN SALSA
Levate ai carciofi le foglie dure, spuntateli e sbucciatene il gambo. Divideteli
in quattro parti, o al più in sei se sono grossi, metteteli al fuoco con burro
in proporzione e conditeli con sale e pepe. Scuotete la cazzaruola per voltarli
e quando avranno tirato a sé buona parte dell'umido, bagnateli con brodo per
cuocerli del tutto. Levateli asciutti, e nell'intinto che resta versate un
pizzico di prezzemolo tritato, un cucchiaino o due di pangrattato ben fine, sugo
di limone, altro sale e pepe se occorrono e, mescolando, fate bollire alquanto;
poi ritirate la salsa dal fuoco e quando non sarà più a bollore, aggiungete un
rosso d'uovo o due, secondo la quantità, e rimettetela per poco al fuoco con
altro brodo per renderla sciolta. Versateci i carciofi per riscaldarli e
serviteli specialmente per contorno al lesso.
417. CARCIOFI IN UMIDO COLLA NEPITELLA
Se vi piacesse di sentire questi carciofi con l'odore della nepitella, ecco come
dovete regolarvi. Levate ai carciofi tutte le foglie non mangiabili e divideteli
in quattro spicchi ognuno, od anche in sei se sono grossi; infarinateli e
poneteli al fuoco in una teglia di rame, con olio in proporzione, condendoli con
sale e pepe. Quando li avrete rosolati uniteci un battutino composto di uno
spicchio d'aglio, o di mezzo soltanto se i carciofi sono pochi, e un buon
pizzico di nepitella fresca. Quando avranno tirato l'umido terminate di cuocerli
con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua.
Possono servir di contorno o esser mangiati soli.
418. CARCIOFI RITTI
Così chiamassi a Firenze i carciofi cucinati semplicemente nella seguente
maniera: levate loro soltanto le piccole e inutili foglie vicine al gambo
tagliando quest'ultimo. Svettate col coltello la cima e allargate alquanto le
foglie interne. Collocateli ritti in un tegame, insieme coi gambi sbucciati e
interi; conditeli con sale, pepe e olio, il tutto a buona misura. Fateli
soffriggere tenendoli coperti, e, quando saranno ben rosolati, versate nel
tegame un po' d'acqua e con la medesima finite di cuocerli.
419. CARCIOFI RIPIENI
Tagliate loro il gambo alla base, levate le piccole foglie esterne e lavateli.
Poi svettateli come i precedenti ed aprite le loro foglie interne in maniera da
poter recidere con un temperino il grumolino di mezzo, e toltogli il pelo se vi
fosse nel centro, serbate soltanto le tenere foglioline per unirle al ripieno.
Questo, se dovesse, ad esempio, servire per sei carciofi, componetelo delle
foglioline anzidette, di 50 grammi di prosciutto più grasso che magro, di un
quarto di cipolla novellina, aglio quanto la punta di un'unghia, qualche foglia
di sedano e di prezzemolo, un pizzico di funghi secchi fatti rinvenire, un
pugnello di midolla di pane d'un giorno, ridotta in bricioli, e una presa di
pepe.
Tritate prima il prosciutto con un coltello, poi ogni cosa insieme colla lunetta
e con questo composto riempite i carciofi che condirete e cuocerete come i
precedenti. Alcuni libri francesi suggeriscono di dare ai carciofi mezza cottura
nell'acqua prima di riempirli, il che non approvo, sembrandomi che vadano a
perdere allora la sostanza migliore, cioè il loro aroma speciale.
420. CARCIOFI RIPIENI DI CARNE
Per sei carciofi, componete il seguente ripieno:
Magro di vitella di latte, grammi 100.
Prosciutto più grasso che magro, grammi 30.
Un grumolino dei carciofi.
Un quarto di cipolla novellina.
Alcune foglie di prezzemolo.
Un pizzico di funghi secchi rammolliti.
Un pizzico di midolla di pane in bricioli.
Un pizzico di parmigiano grattato.
Sale, pepe e odore di spezie.
Quando i carciofi avranno preso colore col solo olio, versate un poco d'acqua e
copriteli con un cencio bagnato tenuto fermo dal coperchio. Il vapore che emana,
investendoli da tutte le parti, li cuoce meglio.
421. PASTICCIO DI CARCIOFI E PISELLI
È un pasticcio strano, ma potrebbe piacere a molti e perciò lo descrivo.
Carciofi, n. 12.
Piselli sgranati, grammi 150.
Burro, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Sugo di carne, quanto basta.
Mondate i carciofi da tutte le foglie dure non mangiabili, divideteli in due
parti e levate loro il pelo del centro se l'hanno. Date ad essi ed ai piselli
mezza cottura di pochi minuti nell'acqua salata, gettateli dopo nell'acqua
fresca, levateli, asciugateli bene ed i carciofi divideteli ancora in due parti.
Tanto essi che i piselli metteteli al fuoco con grammi 40 del detto burro,
conditeli con sale e pepe e tirateli col sugo di carne a giusta cottura. Coi
restanti grammi 10 di burro, una cucchiaiata di farina e sugo suddetto fate una
specie di balsamella per legare il composto, il quale, messo in un vassoio che
regga al fuoco, lo condirete a strati con questa e col parmigiano.
Ora copritelo con la pasta frolla sottosegnata; doratela col rosso d'uovo,
cuocete il pasticcio nel forno da campagna e servitelo caldo perché perde molto
lasciandolo diacciare. Questa quantità può bastare a sette od otto persone.
PASTA FROLLA
Farina, grammi 230.
Zucchero a velo, grammi 85.
Burro, grammi 70.
Lardo, grammi 30.
Uova, n. l.
422. CARCIOFI IN GRATELLA
A tutti è noto come si possono cuocere i carciofi in gratella e contornar coi
medesimi una bistecca o un arrosto qualunque. In questo caso scegliete carciofi
teneri, svettateli, tagliatene il gambo alla base e lasciateli con tutte le loro
foglie. Allargateli alquanto perché prendano bene il condimento, il quale
d'altro non deve essere composto che d'olio, pepe e sale. Collocateli ritti
sulla gratella e se occorre per tenerli fermi, infilzateli in uno stecco verso
il gambo a due o tre insieme. Date loro un'altra untatina a mezza cottura e
lasciateli sul fuoco finché le foglie esterne non siano bruciate.
423. CARCIOFI SECCATI PER L’INVERNO
Nelle città meridionali, dove i carciofi si trovano quasi in tutti i mesi
dell'anno, è inutile prendersi il disturbo di seccarli, tanto più che tra il
carciofo fresco e il secco la differenza è grande; ma fanno comodo in que' paesi
dove, passata la stagione, più non si trovano.
Preparateli nel colmo della raccolta quando costano poco; però vanno scelti di
buona qualità e giusti di maturazione. Levate loro tutte le foglie coriacee,
spuntateli, mondate un buon tratto del loro gambo e tagliateli in quattro
spicchi recidendone il pelo, se qualcuno l'avesse. Via via che li tagliate
gettateli nell'acqua fresca acidulata con aceto o limone onde non diventino neri
e per lo stesso motivo metteteli al fuoco in un vaso di terra contenente acqua
bollente alla quale sarà bene dare odore con un mazzetto di erbe aromatiche,
come pepolino, basilico, foglie di sedano e simili. Dieci minuti di bollitura,
ed anche soli cinque se sono teneri, saranno sufficienti per cuocerli a metà.
Scolateli e metteteli in un graticcio ad asciugare al sole; poi infilateli e
finite di seccarli all'ombra in luogo ventilato. Possibilmente non teneteli
tanto al sole onde non prendano odore di fieno.
Quando si adoperano per fritto o per contorno agli umidi, si rammolliscono
nell'acqua bollente.
424. PISELLI ALLA FRANCESE I
Questa che vi do è la dose per un litro di piselli freschi.
Prendete due cipolle novelline, tagliatele a metà per la loro lunghezza,
richiudetele con alcuni gambi di prezzemolo in mezzo e legatele. Ciò fatto,
mettetele al fuoco con grammi 30 di burro e rosolate che sieno, versate sulle
medesime un buon ramaiuolo di brodo.
Fate bollire e quando le cipolle saranno spappolate, passatele, spremendole,
insieme col sugo che rimetterete al fuoco coi piselli e con due grumoli interi
di lattuga. Conditeli con sale e pepe e fateli bollire adagio. A mezza cottura
aggiungete altri grammi 30 di burro intriso in una cucchiaiata non colma di
farina e versate brodo, se occorre. Prima di mandarli in tavola legateli con due
rossi d'uovo sciolti in un po' di brodo. In questo modo riescono assai delicati.
425. PISELLI ALLA FRANCESE II
Questa ricetta è più semplice e più sbrigativa della precedente, ma non è però
così fine. Trinciate alquanta cipolla a fette sottilissime e mettetela al fuoco
in una cazzaruola con un pezzo di burro. Quando sarà bene rosolata versate un
pizzico di farina, mescolate, e dopo aggiungete, a seconda della quantità, un
ramaiuolo o due di brodo e lasciate cuocere la farina. Versate i piselli,
conditeli con sale e pepe e, a mezza cottura, aggiungete un grumolo o due interi
di lattuga. Fate bollire adagio badando che il sugo non riesca troppo denso.
Alcuni indolciscono i piselli con un cucchiaino di zucchero; ma in questo caso
mettetene poco, perché il dolce deve sembrar naturale e non messo ad arte.
Quando li servite levate la lattuga.
426. PISELLI COL PROSCIUTTO
Lasciamo agl’Inglesi il gusto di mangiare i legumi lessati senza condimento o,
al più, con un poco di burro; noi, popoli meridionali, abbiamo bisogno che il
sapore delle vivande ecciti alquanto.
In nessun altro luogo ho trovato buoni i piselli come nelle trattorie di Roma,
non tanto per l'eccellente qualità degli ortaggi di quella città, quanto perché
colà ai piselli si dà il grato sapore del prosciutto affumicato. Avendo con
qualche prova tentato d'indovinare come si preparino, se non ho raggiunto quella
stessa bontà mi ci sono appressato, ed ecco come:
Dividete in due parti per il lungo, secondo la quantità dei piselli, una o due
cipolle novelline e mettetele al fuoco con olio e alquanto prosciutto grasso e
magro tagliato a piccoli dadi. Fate soffriggere finché il prosciutto sia
raggrinzito; allora gettate dentro i piselli, conditeli con poco o punto sale e
una presa di pepe; mescolate e finiteli di cuocere col brodo, aggiungendovi un
poco di burro.
Serviteli, o soli come piatto di legume, o per contorno; ma prima gettate via
tutta la cipolla.
427. PISELLI COLLA CARNESECCA
I piselli vengono bene anche nella seguente maniera, ma gli antecedenti
appartengono di più alla cucina fine. Mettete al fuoco un battutino di
carnesecca, aglio, prezzemolo e olio; conditelo con poco sale e pepe, e quando
l'aglio avrà preso colore, buttate giù i piselli. Tirato che abbiano l'unto,
finite di cuocerli con brodo o, in mancanza di questo, con acqua.
I gusci dei piselli, se sono teneri e freschi, si possono utilizzare cotti
nell'acqua e passati dallo staccio. Si ottiene così una purée, cioè un passato
che, sciolto nel brodo, aggiunge delicatezza a una zuppa di erbaggi o ad una
minestra di riso e cavolo. Si può anche mescolarlo all'acqua del risotto coi
piselli n. 75.
428. SFORMATO DI PISELLI FRESCHI
Piselli sgranati, grammi 600.
Prosciutto grasso e magro, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Farina, grammi 20.
Uova, n. 3.
Parmigiano, una cucchiaiata.
Fate un battutino col prosciutto suddetto, una piccola cipolla novellina e un
pizzico di prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore
versate i piselli condendoli con sale e pepe. Cotti che siano passatene una
quarta parte e il passato unitelo a un intriso composto col burro e la farina
indicati e diluito sul fuoco con sugo di carne o brodo. Poi mescolate ogni cosa
insieme, il parmigiano compreso, e cuocete il composto a bagno-maria in uno
stampo liscio col foglio imburrato sotto.
429. FAVE FRESCHE IN STUFA
Prendete baccelli di fave grosse e granite; sgranatele e sbucciatele.
Tritate fine una cipolla novellina, mettetela al fuoco con olio, e quando
comincia a rosolare, gettate nel soffritto prosciutto grasso e magro tagliato a
dadini. Dopo poco versate le fave, conditele con pepe e poco sale e quando
avranno preso il condimento, aggiungete un grumolo o due, a seconda della
quantità delle fave, di lattuga tagliata all'ingrosso e finite di cuocerle con
brodo, se occorre.
430. POMODORI RIPIENI
Prendete pomodori di mezzana grandezza e maturi; tagliateli in due parti eguali,
levatene i semi, conditeli con sale e pepe e riempite i buchi formati col
seguente composto, in modo che sopravanzi e faccia la colma sulla superficie del
pomodoro medesimo.
Fate un battutino con cipolla, prezzemolo e sedano, mettetelo al fuoco con un
pezzetto di burro e quando avrà preso colore, versateci un pugnello di funghi
secchi rammolliti e tritati finissimi; aggiungete un cucchiaio di pappa col
latte, condite con sale e pepe, e fate bollire alquanto, bagnando il composto
col latte, se occorre. Tolto dal fuoco aggiungete, quando sarà tiepido,
parmigiano grattato e un uovo oppure il rosso soltanto, se è sufficiente a
rendere il composto non troppo liquido. Preparati così i pomodori, cuoceteli in
una teglia fra due fuochi con un po' di burro e olio insieme e serviteli per
contorno a un arrosto qualunque o a una bistecca in gratella. Si posson fare più
semplici con un battutino di aglio e prezzemolo mescolato con pochissimo
pangrattato, sale e pepe e conditi coll'olio quando sono nella teglia.
Per contorno al lesso vengono eccellenti nella seguente maniera. Prendete un
tegame largo oppure una teglia, spargete sulla medesima dei pezzettini di burro
e sopra questi collocate, dalla parte della buccia, pomodori tagliati a metà
dopo averne levati i semi. Conditeli con sale, pepe e un poco d'olio, spargete
sui medesimi altri pezzettini di burro e cuoceteli a vaso scoperto.
431. CAVOLFIORE COLLA BALSAMELLA
I cavoli tutti, siano bianchi, neri, gialli o verdi, sono figliuoli o figliastri
di Eolo, dio dei venti, e però coloro che il vento non possono sopportare
rammentino che per essi queste piante sono vere crocifere, così chiamate perché
i loro fiori portano quattro petali in forma di croce. Levate a una grossa palla
di cavolfiore le foglie e le costole verdi, fatele un profondo taglio in croce
nel gambo e cuocetela in acqua salata. Tagliatela poscia a spicchiettini e
tiratela a sapore con burro, sale e pepe. Mettetela in un vassoio che regga al
fuoco, buttateci sopra un pizzico scarso di parmigiano, copritela tutta colla
balsamella del n. 137 e rosolatene la superficie. Servite questo cavolfiore
caldo come tramesso o, meglio, accompagnato da un umido di carne o da un pollo
lessato.
432. SAUER-KRAUT I
Non è questo il vero sauer-kraut, il quale bisogna lasciar fare ai tedeschi: è
una pallida imitazione di quello, che però non riesce sgradevole come contorno
ai coteghini, agli zamponi ed anche al lesso comune.
Prendete una palla di cavolo bianco, nettatela dalle foglie verdi a grosse
costole e tagliatela, in quattro spicchi, cominciando dal gambo. Lavateli bene
nell'acqua fresca e poi, con un coltello lungo ed affilato, tagliateli per
traverso ben sottili come fareste pei taglierini. Ridotto il cavolo a questo
modo, ponetelo in un vaso di terra con un pizzico di sale e versategli sopra
acqua bollente fino a coprirlo. Quando sarà diaccio levatelo via strizzandolo
bene, poi rimettetelo nel vaso asciutto con un dito di aceto forte mescolato in
un bicchier d'acqua fresca. Se la palla di cavolo sarà molto grossa, raddoppiate
la dose. Lasciatelo in infusione diverse ore, tornate a strizzarlo bene e
mettetelo a cuocere nella seguente maniera.
Tritate fine una fetta proporzionata di prosciutto grasso o di carnesecca e
mettetela con un pezzetto di burro in una cazzaruola; quando avranno soffritto
un poco, gettateci il cavolo e tiratelo a cottura con brodo di coteghino o di
zampone, se questi sono insaccati di fresco e non troppo piccanti, altrimenti
servitevi di brodo. Prima di mandarlo in tavola assaggiatelo se sta bene di
aceto, il quale deve leggermente sentirsi, e di sale.
A proposito di salumi, in qualche provincia d'Italia, avendo il popolo preso il
vizio delle abbondanti e frequenti libazioni a Bacco, si è guasto il senso del
palato; per conseguenza i pizzicagnoli dovendo uniformarsi a un gusto
pervertito, impinzano le carni porcine di sale, di pepe e di droghe piccanti a
dispetto de' buongustai che le aggredirebbero leggiere di condimento e di sapore
delicato come quelle, ad esempio, che si manipolano, più che altrove, nel
modenese.
433. SAUER-KRAUT II
Può servire per contorno ai coteghini e al lesso come quello del numero
precedente. Prendete una palla di cavolo cappuccio o verzotto, tagliatelo a
listarelle della larghezza di un centimetro circa e tenetelo in molle nell'acqua
fresca. Levatelo dall'acqua senza spremerlo e pigiatelo in una cazzaruola sopra
al fuoco per fargli far l'acqua, che poi scolerete strizzandolo col mestolo.
Fate un battuto con un quarto di una grossa cipolla, un po' di carnesecca
tritata fine, e un pezzetto di burro; quando avrà preso colore versate il cavolo
anzidetto con un pezzo di carnesecca intera tramezzo, che poi leverete, e
conditelo con sale e pepe. Fatelo bollire adagio, bagnandolo con brodo per
tirarlo a cottura e per ultimo aggiungete un poco d'aceto e un cucchiaino di
zucchero, ma in modo che l'aceto si faccia appena sentire.
434. BROCCOLI O TALLI DI RAPE ALLA FIORENTINA
I broccoli di rapa non sono altro che le messe o i talli delle rape, le quali
soglionsi portare al mercato con qualche foglia attaccata. È un erbaggio dei più
sani, usatissimo in Toscana; ma per la sua insipidezza e sapore amarognolo non è
apprezzato in altre parti d'Italia, e nemmeno è portato sulla mensa del povero.
Nettate i broccoli dalle foglie più dure, lessateli, spremeteli dall'acqua e
tagliateli all'ingrosso. Tritate due o tre spicchi d'aglio o lasciateli interi,
e preso che abbiano colore con olio abbondante in padella, gettateci i broccoli,
conditeli con sale e pepe, rimestateli spesso e lasciateli soffrigger molto.
Possono servirsi per contorno al lesso o anche per mangiarli soli.
Se non vi piaccion così, lessateli e conditeli con olio e aceto. Nel febbraio e
nel marzo si mettono in vendita i talli di questa pianta che sono teneri e
delicati.
Nei paesi ove l'olio non è perfetto si può supplire col lardo; anzi, a gusto
mio, soffritti con questo sono migliori.
435. BROCCOLI ROMANI
Questi broccoli, di cui a Roma si fa gran consumo, hanno le foglie di un verde
cupo e il fiore nero o paonazzo.
Nettateli dalle foglie più dure e lessateli. Tolti dall'acqua bollente gettateli
nella fredda e, dopo strizzati bene, tritateli all'ingrosso e gettateli in
padella con lardo vergine (strutto), condendoli con sale e pepe. Tirato che
abbiano tutto l'unto, annaffiateli con vino bianco dolce, continuate a
strascinarli in padella finché l'abbiano tutto assorbito ed evaporato, indi
serviteli ché saranno lodati.
Eccovi un altro modo di cucinar questi broccoli che così, senza lessarli,
riescono migliori. Servitevi soltanto del fiore e delle foglie più tenere;
queste tagliatele all'ingrosso e il fiore a piccoli spicchi. Mettete la padella
al fuoco con olio in proporzione e uno spicchio d'aglio tagliato a fettine per
traverso. Quando l'aglio comincia a rosolare gettate da crude in padella prima
le foglie e poi il fiore, sale e pepe per condimento, e via via che, bollendo,
si prosciugano rimestandoli sempre, andateli bagnando con un gocciolo d'acqua
calda e, quasi a cottura completa, col vino bianco. Non potendo darvi di questo
piatto le dosi precise abbiate la pazienza di far qualche prova (ne fo tante
io!) per accertarvi del suo gusto migliore.
436. CAVOLO RIPIENO
Prendete una grossa palla di cavolo cappuccio o verzotto, nettatela dalle foglie
dure della superficie, pareggiatele il gambo e datele mezza cottura in acqua
salata. Mettetela capovolta a scolare, poi aprite le foglie ad una ad una fino
al grumolo di mezzo e sul medesimo versate il ripieno; tirategli sopra tutte le
foglie per benino, chiudetelo tutto e fategli una legatura in croce.
Il ripieno potete farlo con vitella di latte stracottata sola, od unita a
fegatini e animelle, il tutto tritato fine. Per aggraziare e render delicato il
composto, aggiungete un poco di balsamella, un pizzico di parmigiano, un rosso
d'uovo e l'odore di noce moscata. Terminate di cuocere il cavolo nel sugo del
detto stracotto, aggiungendovi un pezzetto di burro, con fuoco leggiero sotto e
sopra.
Non volendo riempire il cavolo intero, si possono riempire le foglie più larghe
ad una ad una avvolgendole sopra sé stesse a guisa di tanti rocchi.
Alla balsamella può supplire una midolla di pane inzuppata nel brodo o nel sugo.
437. CAVOLO BIANCO PER CONTORNO
Prendete una palla di cavolo cappuccio o verzotto, tagliatela in croce dalla
parte del gambo per formarne quattro parti ed ognuna di queste tagliatela a
piccoli spicchi. Tenetelo in molle nell'acqua fresca, e scottatelo in acqua
salata e, tolto dal fuoco, scolatelo bene senza spremerlo. Fate un battuto di
prosciutto e cipolla e mettetelo al fuoco con un pezzo di burro. Quando la
cipolla avrà preso il rosso fermatela con un ramaiuolo di brodo, fate bollire un
poco e poi passate il sugo. In questo sugo rimettete il cavolo con un pezzetto
di prosciutto, conditelo con pepe e poco sale e fatelo bollire adagio per
terminare di cuocerlo. Levate il prosciutto e mandatelo in tavola per contorno
al lesso.
438. CAVOLO NERO PER CONTORNO
Levategli le costole dure, lessatelo e tritatelo fine. Se non avete sugo di
carne fate un battutino di prosciutto e cipolla, mettetelo al fuoco con un
pezzetto di burro e quando la cipolla sarà ben rosolata, bagnatela con un
gocciolo di brodo e passate il sugo formatosi. In esso gettate il cavolo,
conditelo con pepe, poco o punto sale, aggiungete un altro pezzetto di burro e
altro brodo, se occorre, e servitelo per contorno al lesso o al coteghino.
Alcuni usano per minestra, di arrostire fette di pane grosse un dito, di
strofinarle coll'aglio, d'intingerle appena nell'acqua in cui ha bollito il
cavolo nero, ponendoci sopra il cavolo stesso, ancora caldo, e condendolo con
sale, pepe e olio. Questo, che chiamasi a Firenze cavolo con le fette, è un
piatto da Certosini o da infliggersi per penitenza ad un ghiottone.
439. FINOCCHI COLLA BALSAMELLA
Prendete finocchi polputi, nettateli dalle foglie dure, tagliateli a piccoli
spicchi, lavateli e scottateli nell'acqua salata. Metteteli a soffriggere nel
burro e, quando l'avranno succhiato, tirateli a cottura intera col latte.
Assaggiateli se stanno bene a sale, poi levateli asciutti e poneteli in un
vassoio che regga al fuoco. Spolverizzateli di parmigiano e copriteli di
balsamella. Rosolateli col fuoco sopra e serviteli col lesso o coll'umido.
440. FINOCCHI PER CONTORNO
Questa ricetta è più semplice della precedente, ed è egualmente opportuna per
contorno al lesso.
Dopo averli tagliati a spicchi e scottati nell'acqua salata, soffriggeteli nel
burro, tirateli a cottura col brodo, legateli con un pizzico di farina e quando
li levate, date loro sapore con un poco di parmigiano.
441. PATATE ALLA SAUTÉ
Ciò vuol dire, in buono italiano, patate rosolate nel burro. Sbucciate le patate
crude e tagliatele a fette sottili che porrete al fuoco in una teglia col burro,
condendole con sale e pepe. Si addice molto il metterle sotto la bistecca quando
questa si manda in tavola. Si possono anche friggere in padella coll'olio nella
seguente maniera. Se sono patate novelline non occorre sbucciarle; basta
strofinarle con un canovaccio ruvido. Tagliatele a fettine sottilissime e
lasciatele nell'acqua fresca per un'ora circa; poi asciugatele bene fra le
pieghe di un canovaccio e infarinatele. Avvertite di non arrostirle troppo e
salatele dopo cotte.
442. PATATE TARTUFATE
Tagliate a fette sottili delle patate già mezzo lessate e ponetele a suoli in
una tegliettina, intramezzate da tartufi, anch'essi a fette sottili, e da
parmigiano grattato. Aggiungete qualche pezzetto di burro, sale e pepe, e quando
cominciano a grillettare, annaffiatele con brodo o con sugo di carne. Prima di
ritirarle dal fuoco strizzate sulle medesime un po' d'agro di limone e servitele
calde.
443. PASSATO DI PATATE
Ormai in Italia se non si parla barbaro, trattandosi specialmente di mode e di
cucina, nessuno v'intende; quindi per esser capito bisognerà ch'io chiami questo
piatto di contorno non passato di...; ma purée di... o più barbaramente ancora
patate mâchées.
Patate belle, grosse, farinacee, grammi 500.
Burro, grammi 50.
Latte buono, o panna, mezzo bicchiere.
Sale, quanto basta.
Lessate le patate, sbucciatele e, calde bollenti, passatele per istaccio. Poi
mettetele al fuoco in una cazzaruola coi suddetti ingredienti, lavorandole molto
col mestolo onde si affinino. Si conosce se le patate son cotte bucandole con
uno stecco appuntato che deve passare da parte a parte liberamente.
444. INSALATA DI PATATE
Benché si tratti di patate vi dico che questo piatto, nella sua modestia, è
degno di essere elogiato, ma non è per tutti gli stomachi.
Lessate grammi 500 di patate o cuocetele a vapore, sbucciatele calde, tagliatele
a fette sottili e mettetele in un'insalatiera. Prendete:
Capperi sotto aceto, grammi 30.
Peperoni sotto aceto, n. 2.
Cetriolini sotto aceto, n. 5.
Cipolline sotto aceto, n. 4.
Acciughe salate e pulite, n. 4.
Una costola di sedano lunga un palmo.
Un pizzico di basilico; e tutte queste cose insieme tritatele minutissime e
mettetele in una scodella.
Prendete due uova sode, tritatele egualmente, poi stiacciatele con la lama di un
coltello ed unitele al detto battuto.
Conditelo con olio a buona misura, poco aceto, sale e pepe e, mescolato ben
bene, servitevi di questa poltiglia, divenuta quasi liquida, per condir le
patate, alle quali potete aggiungere, se vi piace, l'odore del regamo.
Questa dose può bastare per sei o sette persone ed è un piatto che può
conservarsi anche per diversi giorni.
445. TORTINO DI ZUCCHINI
Tagliate gli zucchini a tocchetti grossi poco più delle nocciuole, rosolateli
nel burro e conditeli con sale e pepe. Poi versateli in un vassoio che regga al
fuoco, spolverizzateli leggermente di parmigiano in cui avrete mescolato una
presa di noce moscata e copriteli di una balsamella sodettina. Rosolate alquanto
la superficie col coperchio del forno da campagna e serviteli per tramesso o in
compagnia del lesso o di un umido di carne.
446. TORTINO DI PATATE I
Questo piatto, come quello del n. 443, può servire per tramesso o solo o in
compagnia di coteghini e zamponi.
Patate belle, grosse, farinacee, grammi 500.
Burro, grammi 50.
Latte buono, o panna, mezzo bicchiere.
Parmigiano grattato, due cucchiaiate.
Uova, n. 2.
Sale, quanto basta.
Eseguita che avrete la stessa fattura del n. 443, lasciatele diacciare ed
aggiungete il parmigiano e le uova.
Prendete un piatto di rame da pasticcio o una teglia proporzionata, ungetela col
burro, spolverizzatela di pangrattato fine e versatevi il composto dopo averlo
ben mescolato. Dategli la forma di una schiacciata alta un dito o un dito e
mezzo e ponetelo sotto il forno da campagna per rosolarlo. Servitelo caldo dalla
parte sotto stante o superiore, dove è più appariscente. Invece di un tortino
grande potete farne molti dei piccoli, od anche, per dar loro una forma
elegante, porre il composto negli stampini.
447. TORTINO DI PATATE II
Il tortino di patate fatto nel seguente modo, mi sembra che venga meglio del
precedente.
Patate, grammi 500.
Burro, grattami 50.
Farina, grammi 30.
Uova, n. 2.
Parmigiano, due cucchiaiate.
Latte, quanto basta.
Sale, quanto basta.
Fate una balsamella con la detta farina, con la metà del burro e il latte che
occorre. Versate nella medesima le patate già cotte e passate. Lavoratele sopra
al fuoco versando il burro rimanente, il sale e tanto altro latte che basti a
farne una pasta non troppo morbida. Diaccia, aggiungete il resto e rosolate il
composto come il precedente.
448. SPINACI PER CONTORNO
Lo spinacio è un erbaggio salubre, rinfrescante, emolliente, alquanto lassativo
e di facile digestione quando è tritato. Dopo averli lessati e tritati fini
colla lunetta si possono cucinare gli spinaci in questi diversi modi:
l°. Con solo burro, sale e pepe, aggiungendo un poco di sugo di carne, se lo
avete, o qualche cucchiaiata di brodo od anche di panna.
2°. Con un piccolissimo soffritto di cipolla tritata fine e tirato col burro.
3°. Con solo burro, sale e pepe come i primi, aggiungendo un pizzico di
parmigiano.
4°. Con burro, un gocciolo d'olio appena e sugo di pomodoro o conserva.
449. SPINACI DI MAGRO ALL’USO DI ROMAGNA
Lessateli con la sola acqua che grondano dall'averli tenuti in molle, spremeteli
bene e metteteli in umido con un soffritto di olio, aglio, prezzemolo, sale e
pepe, lasciandoli interi ed aggraziandoli con una presa di zucchero e alcuni
chicchi d'uva secca a cui siano stati tolti gli acini.
450. SPARAGI
Per dare agli sparagi aspetto più bello, prima di cuocerli, raschiate con un
coltello la parte bianca e pareggiate l'estremità del gambo; poi legateli con
uno spago in mazzi non troppo grossi, e perché restino verdi, salate l'acqua,
immergendoli quando bolle forte e facendo vento onde il bollore riprenda subito.
La cottura è giusta allorché gli sparagi cominciano a piegare il capo; ma
accertatevi meglio colle dita se cedono a una giusta pressione, essendo bene che
sieno piuttosto poco che troppo cotti. Quando li levate, gettateli nell'acqua
fresca, ma poi toglieteli subito per servirli caldi come i più li desiderano.
Questo erbaggio, prezioso non solo per le sue qualità diuretiche e digestive, ma
anche per l'alto prezzo a cui si vende, lessato che sia si può preparare in
diverse maniere, ma la più semplice e la migliore è quella comune di condirli
con olio finissimo e aceto o agro di limone. Nonostante, per variare, eccovi
altri modi di prepararli, dopo averli lessati a metà. Metteteli interi a
soffriggere alquanto con la parte verde nel burro e, dopo averli conditi con
sale, pepe e un pizzico assai scarso di parmigiano, levateli versandoci sopra il
burro quando avrà preso il rosso. Oppure, dividete la parte verde dalla bianca
e, prendendo un piatto che regga al fuoco, disponeteli in questa guisa:
spolverizzatene il fondo con parmigiano grattato e distendeteci sopra le punte
degli sparagi le une accosto alle altre, conditele con sale, pepe, parmigiano e
pezzetti di burro; fate un altro suolo di sparagi e conditeli al modo istesso
proseguendo finché ne avrete; ma andate scarsi a condimento onde non riescano
nauseanti. Gli strati degli sparagi incrociateli come un fitto graticolato,
metteteli sotto a un coperchio col fuoco sopra per scioglierne il condimento, e
serviteli caldi. Se avete sugo di carne, lessateli a metà e tirateli a cottura
con quello, aggiungendo un poco di burro e una leggiera fioritura di parmigiano.
In un fritto misto potete anche servirvi delle punte verdi degli sparagi
avvolgendole nella pastella del n. 156.
Altri e diversi modi di prepararli vengono indicati nei libri di cucina; ma il
più sovente riescono intrugli non graditi dai buongustai. Nonostante v'indico la
salsa del n. 124, che può piacere, se è mandata calda in tavola in una salsiera
a parte, per condire con essa tanto gli sparagi quanto i carciofi tagliati in
quarti e lessati.
Il cattivo odore prodotto dagli sparagi si può convertire in grato olezzo di
viola mammola, versando nel vaso da notte alcune gocce di trementina.
451. SFORMATO DI ZUCCHINI PASSATI
Zucchini, grammi 600.
Parmigiano, grammi 40.
Uova, n. 4.
Fate un battuto con un quarto di cipolla, sedano, carota e prezzemolo. Mettetelo
al fuoco con olio e quando avrà preso colore versate gli zucchini tagliati a
tocchetti conditi con sale e pepe. Allorché saranno rosolati tirateli a cottura
con acqua, passateli asciutti dallo staccio ed aggiungete il parmigiano e le
uova.
Fate una balsamella con grammi 60 di burro, due cucchiaiate di farina e 4
decilitri di latte. Mescolate ogni cosa insieme e, servendovi di uno stampo
liscio e bucato, cuocetelo a bagno-maria. Sformatelo caldo, riempite il vuoto
con un umido delicato e servitelo.
Questa dose potrà bastare per otto o dieci persone
452. SFORMATO DI FUNGHI
Tutte le qualità di funghi possono fare al caso; ma io ritengo che i porcini
sieno da preferirsi, esclusi però i grossissimi. Nettateli bene dalla terra e
lavateli, poi tritateli minuti alla grossezza di un cece o anche meno. Metteteli
al fuoco con burro, sale e pepe e quando avranno soffritto alquanto, tirateli a
cottura con sugo di carne. Ritirati dal fuoco, legateli con balsamella, uova e
parmigiano e assodate il composto a bagno-maria.
Grammi 600 di funghi in natura con cinque uova faranno uno sformato bastante per
dieci persone.
Servitelo caldo e per tramesso.
453. CAVOLO VERZOTTO PER CONTORNO
Lessatelo a metà, strizzatelo dall'acqua, tritatelo colla lunetta, mettetelo al
fuoco con burro e latte per tirarlo a cottura e salatelo. Quando sarà ben cotto
unitegli della balsamella piuttosto soda; fate che s'incorpori bene sul fuoco
col cavolo e aggiungete parmigiano grattato. Assaggiatelo per sentire se ha
sapore e se è giusto di condimenti e servitelo per contorno al lesso o a un
umido di carne; vedrete che piacerà molto per la sua delicatezza.
454. INSALATA RUSSA
La così detta insalata russa, ora di moda nei pranzi, conservatone il carattere
fondamentale, i cuochi la intrugliano a loro piacere. La presente, fatta nella
mia cucina, nella sua complicazione, è una delle più semplici.
Insalata, grammi 120.
Barbabietole, grammi 100.
Fagiuolini in erba, grammi 70.
Patate, grammi 50.
Carote, grammi 20.
Capperi sotto aceto, grammi 20.
Cetriolini sotto aceto, grammi 20.
Acciughe salate, n. 3.
Uova sode, n. 2.
L'insalata, che può essere di due o tre qualità, come sarebbe insalata romana
(lattugoni), radicchio, lattuga, tagliatela a striscioline. Le barbabietole, i
fagiuolini, le patate e le carote pesatele dopo lessate e tagliatele a piccoli
dadi grossi meno di un cece e così pure le chiare e un rosso delle due uova
assodate. I capperi lasciateli interi e i cetriolini tagliateli alla grossezza
dei medesimi.
Le acciughe, pulite e toltane la spina, tagliatele a pezzettini, e fatto tutto
questo mescolate ogni cosa insieme.
Ora preparate una maionese (vedi n. 126) con due rossi crudi e quello sodo
rimasto e 2 decilitri di olio sopraffine. Quando sarà montata aggiungete l'agro
di un limone, conditela con sale e pepe e versatela nel detto miscuglio
rimestando bene onde lo investa tutto.
Sciogliete al fuoco tre fogli di colla di pesce in due dita, di bicchiere,
d'acqua dopo di averla tenuta in molle qualche ora e, sciolta che sia, versatene
quanto è grosso un soldo sul fondo di uno stampo liscio e il resto mescolatelo
nel composto che poi verserete nel detto stampo per metterlo in ghiaccio. Per
isformarla facilmente, bagnate lo stampo con acqua calda e se volete darle
un'apparenza più bella ed elegante, quando nello stampo avrete versato lo strato
sottile di colla di pesce, prima d'aggiungere il composto ci potrete fare sopra
un ornato a diversi colori coll'erbaggio, le chiare e il rosso delle uova sode
sopraccennate.
Questa dose potrà bastare per otto o dieci persone.
PIATTI DI PESCE
Qualità e stagione dei pesci
Tra i pesci comuni, i più fini sono: lo storione, il dentice, l'ombrina, il
ragno, la sogliola, il rombo, il pesce San Pietro, l'orata, la triglia di
scoglio, la trota d'acqua dolce; ottimi tutto l'anno, ma la sogliola e il rombo
specialmente d'inverno.
Le stagioni per gli altri pesci più conosciuti sono: pel nasello, l'anguilla e i
totani, tutto l'anno; ma l'anguilla è più adatta l'inverno e i totani sono
migliori l'estate.
Pel muggine grosso di mare, il luglio e l'agosto; pel muggine piccolo (cefalo),
l'ottobre e il novembre, ed anche tutto l'inverno. Pei ghiozzi, frittura e
seppie, il marzo, l'aprile e il maggio. Pei polpi, l'ottobre. Per le sarde e le
acciughe, tutto l'inverno fino all'aprile. Per le triglie (barboni), il
settembre e l'ottobre. Pel tonno, dal marzo all'ottobre. Per lo sgombro, la
primavera, specialmente il maggio; questo pesce, per la sua carne dura e
tigliosa, si usa cuocerlo in umido; volendolo fare in gratella sarà bene
metterlo al fuoco sopra un foglio grosso di carta unto e condirlo con olio,
sale, pepe e qualche foglia di ramerino.
Tra i crostacei, uno de' più stimati è l'arigusta, o aragosta, buona tutto
l'anno, ma meglio in primavera, e tra le conchiglie, l'ostrica, la quale ne'
luoghi di ostricultura si raccoglie dall'ottobre all'aprile.
Il pesce, se è fresco, ha l'occhio vivace e lucido; lo ha pallido ed appannato
se non è fresco. Un altro indizio della sua freschezza è il colore rosso delle
branchie; ma queste potendo essere state colorite ad arte col sangue, toccatele
con un dito e portatevelo al naso: l'odore vi farà la spia. Un altro carattere
del pesce fresco è la sodezza delle carni, perché se sta molto nel ghiaccio
diventa frollo e morbido al tatto.
I marinai dicono che, i crostacei e i ricci di mare, sono più pieni pescati
durante il chiaro di luna.
455. CACCIUCCO I
Cacciucco! Lasciatemi far due chiacchiere su questa parola la quale forse non è
intesa che in Toscana e sulle spiagge del Mediterraneo, per la ragione che ne'
paesi che costeggiano l'Adriatico è sostituita dalla voce brodetto. A Firenze,
invece, il brodetto è una minestra che s'usa per Pasqua d'uova, cioè una zuppa
di pane in brodo, legata con uova frullate e agro di limone. La confusione di
questi e simili termini fra provincia e provincia, in Italia, è tale che poco
manca a formare una seconda Babele. Dopo l'unità della patria mi sembrava logica
conseguenza il pensare all'unità della lingua parlata, che pochi curano e molti
osteggiano, forse per un falso amor proprio e forse anche per la lunga e
inveterata consuetudine ai propri dialetti.
Tornando al cacciucco, dirò che questo, naturalmente, è un piatto in uso più che
altrove nei porti di mare, ove il pesce si trova fresco e delle specie
occorrente al bisogno. Ogni pescivendolo è in grado di indicarvi le qualità che
meglio si addicono a un buon cacciucco; ma buono quanto si voglia, è sempre un
cibo assai grave e bisogna guardarsi dal farne una scorpacciata.
Per grammi 700 di pesce, trinciate fine mezza cipolla e mettetela a soffriggere
con olio, prezzemolo e due spicchi d'aglio intero. Appena che la cipolla avrà
preso colore, aggiungete grammi 300 di pomodori a pezzi, o conserva, e condite
con sale e pepe. Cotti che siano i pomodori, versate sui medesimi un dito
d'aceto se è forte, e due se è debole, diluito in un buon bicchier d'acqua.
Lasciate bollire ancora per qualche minuto, poi gettate via l'aglio e passate il
resto spremendo bene. Rimettete al fuoco il succo passato, insieme col pesce che
avrete in pronto, come sarebbero, parlando dei più comuni, sogliole, triglie,
pesce cappone, palombo, ghiozzi, canocchie, che in Toscana chiamassi cicale, ed
altre varietà della stagione, lasciando interi i pesci piccoli e tagliando a
pezzi i grossi. Assaggiate se sta bene il condimento; ma in ogni caso non sarà
male aggiungere un po' d'olio tenendosi piuttosto scarsi nel soffritto. Giunto
il pesce a cottura e fatto il cacciucco, si usa portarlo in tavola in due vassoi
separati; in uno il pesce asciutto, nell'altro tante fette di pane, grosse un
dito, quante ne può intingere il succo che resta, ma prima asciugatele al fuoco
senza arrostirle.
456. CACCIUCCO II
Questo cacciucco, imparato a Viareggio, è assai meno gustoso dell'antecedente,
ma più leggiero e più digeribile.
Per la stessa quantità di pesce pestate in un mortaio tre grossi spicchi d'aglio
e dello zenzero fresco, oppure secco, per ridurlo in polvere. Per zenzero colà
s'intende il peperone rosso piccante, quindi va escluso il pepe. Mettete questo
composto al fuoco in un tegame o pentola di terra con olio in proporzione e
quando avrà soffritto versateci un bicchiere di liquido composto di un terzo di
vino bianco asciutto oppure rosso e il resto acqua. Collocateci il pesce,
salatelo e poco dopo sugo di pomodoro o conserva sciolta in un gocciolo d'acqua.
Fate bollire a fuoco ardente tenendo sempre il vaso coperto, non toccate mai il
pesce per non romperlo, e lo troverete cotto in pochi minuti.
Servitelo come il precedente, con fette di pane a parte che asciugherete prima
al fuoco senza arrostirle.
Se il pesce, prima di cuocerlo, resta crudo per diverse ore, si conserva meglio
salandolo; ma allora è bene di lavarlo avanti di metterlo al fuoco.
457. PESCE AL PIATTO
Ritengo che il pesce, per essere alimento poco nutritivo, sia più igienico
usarlo promiscuamente alla carne anziché cibarsi esclusivamente di esso ne'
giorni magri, ammenoché non vi sentiate il bisogno di equilibrare il corpo per
ripienezza di cibi troppo succolenti. Di più il pesce, in ispecie i così detti
frutti di mare e i crostacei, per la quantità notevole d'idrogeno e di fosforo
che contengono, sono eccitanti e non sarebbero indicati per chi vuol vivere in
continenza.
Meglio è il servirsi per questo piatto di qualità diverse di pesce minuto; ma si
può cucinare nella stessa maniera anche il pesce a taglio in fette sottili.
Quando io l'ho fatto di sogliole e triglie, ho diviso le prime in tre parti.
Dopo che avrete nettato, lavato e asciugato il pesce, ponetelo in un vaso di
metallo o di porcellana che regga al fuoco e conditelo con un battuto d'aglio e
prezzemolo, sale e pepe, olio, agro di limone e vino bianco buono.
Ponete in fondo metà del battuto con un po' d'olio, distendetegli sopra il
pesce, e poi, versando dell'altro olio e il resto degli ingredienti, fate che il
pesce vi sguazzi entro. Cuocetelo con fuoco sotto e sopra; se il vassoio è di
porcellana posatelo sulla cinigia.
Non è piatto difficile a farsi e però vi consiglio di provarlo, persuaso che ve
ne troverete contenti.
458. PESCE MARINATO
Sono parecchie le specie de' pesci che si possono marinare; ma io preferisco le
sogliole e le anguille grosse. Se trattasi di sogliole friggetele prima
nell'olio e salatele; se di anguilla tagliatela a pezzi lunghi circa mezzo dito
e, senza spellarli, cuoceteli in gratella o allo spiedo. Quando hanno gettato il
grasso conditeli con sale e pepe.
Prendete una cazzaruola e in essa versate, in proporzione del pesce, aceto, sapa
(che qui ci sta come il cacio su' maccheroni), foglie di salvia intere, pinoli
interi, uva passolina, qualche spicchio d'aglio tagliato in due per traverso e
del candito a pezzettini. Mancandovi la sapa supplite collo zucchero e
assaggiate per correggere il sapore dell'aceto, se fosse troppo forte. Fate che
questo composto alzi il bollore e poi versatelo sul pesce che avrete collocato
in un tegame di terra, disteso in modo che il liquido lo investa da tutte le
parti. Fategli spiccare un'altra volta il bollore col pesce dentro, poi coprite
il vaso e riponetelo.
Quando lo servite in tavola prendetene quella quantità che vi abbisogna con un
poco dei suo intinto, unendovi anche porzione degli ingredienti che vi sono. Se
col tempo il pesce prosciugasse, rinfrescatelo con un altro poco di marinato.
Anche l'anguilla scorpionata che è messa in commercio, potete prepararla in
questa maniera.
459. PESCE LESSO
Non sarà male avvertire che si usa cuocere il pesce lesso nella seguente
maniera: si mette l'acqua occorrente, non però in molta quantità, al fuoco; si
sala e prima di gettarvi il pesce si fa bollire per circa un quarto d'ora coi
seguenti odori: un quarto o mezza cipolla, a seconda della quantità del pesce,
steccata con due chiodi di garofani, pezzi di sedano e di carota, prezzemolo e
due o tre fettine di limone; oppure (come alcuni credono meglio) si mette al
fuoco con acqua diaccia e con gli odori indicati e, dopo cotto, si lascia in
caldo nel suo brodo fino all'ora di servirlo. Con le fettine di limone
strofinatelo prima tutto da crudo, che così rimane con la pelle più unita.
Il punto della cottura si conosce dagli occhi che schizzano fuori, dalla pelle
che si distacca toccandola e dalla tenerezza che acquista il pesce bollendo.
Mandatelo caldo in tavola, non del tutto asciutto dall'acqua in cui è stato
cotto, e se desiderate vi faccia miglior figura, copritelo di prezzemolo
naturale e collocatelo in mezzo a un contorno misto di barbabietole cotte
nell'acqua se piccole, o in forno se grosse, e di patate lesse, tanto le une che
le altre tagliate a fette sottilissime perché prendano meglio il condimento;
unite, infine, qualche spicchio di uova sode. Non facendogli il contorno potete
servirlo con le salse dei numeri 128, 129, 130, 132, 133 e 134.
Si può anche mandare in tavola il pesce lesso decorato nella seguente maniera
che farà di sé bella mostra. Tagliato a pezzetti e colmatone un vassoio,
intonacarlo tutto di maionese n. 126 e questa ornarla a disegno con filetti di
acciughe salate e di capperi interi.
460. PESCE COL PANGRATTATO
Questo piatto, che può servire anche di tramesso, si fa specialmente quando
rimane del pesce lessato di qualità fine. Tagliatelo a pezzetti, nettatelo bene
dalle spine e dalle lische, poi ponetelo nella balsamella n. 137 e dategli
sapore con sale quanto basta, parmigiano grattato e tartufi tagliati fini.
Mancandovi questi ultimi, servitevi di un pizzico di funghi secchi rammolliti.
Poi prendete un vassoio che regga al fuoco, ungetelo con burro e spolverizzatelo
di pangrattato; versateci il composto e copritelo con un sottile strato pure di
pangrattato. Per ultimo mettete sul mezzo del colmo un pezzetto di burro,
rosolatelo al forno da campagna e servitelo caldo.
461. PESCE A TAGLIO IN UMIDO
Il pesce a taglio di cui potete servirvi per questo piatto di ottimo gusto, può
essere il tonno, l'ombrina, il dentice o il ragno, chiamato impropriamente
bronzino lungo le coste dell'Adriatico. Qualunque sia prendetene un pezzo di
circa grammi 6oo che potrà bastare per cinque persone.
Levategli le scaglie e, lavato ed asciugato, infarinatelo tutto e mettetelo a
rosolare con poco olio. Levatelo asciutto, gettate via il poco olio rimasto e
pulite la cazzaruola. Fate un battuto, tritato molto minuto, con mezza cipolla
di mediocre grandezza, un pezzo di sedano bianco lungo un palmo e un buon
pizzico di prezzemolo; mettetelo al fuoco con olio a sufficienza e conditelo con
sale, pepe e un chiodo di garofano intero. Quando avrà preso colore fermatelo
con molto sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Lasciatelo bollire un
poco e poi collocateci il pesce per finirne la cottura, voltandolo spesso, ma vi
prevengo di servirlo con molto del suo denso intinto onde vi sguazzi dentro.
462. PESCE SQUADRO IN UMIDO
Il pesce squadro o pesce angelo (Rhína Squatina) è affine alle razze per avere
il corpo depresso. La sua pelle, aspra e resistente, serve per pulimentare il
legno e l'avorio e per foderare astucci, guaine di coltelli o di spade e cose
simili. La sua carne è ordinaria, ma trattata nella seguente maniera riesce un
piatto da famiglia non solo mangiabile, ma più che discretamente buono e di poca
spesa, perché trovasi comune da noi.
Componete un battuto, tritato fine, con un buon pizzico di prezzemolo, mezza
carota, un pezzo di sedano, mezzo spicchio d'aglio e, se il pesce fosse grammi
600 circa, cipolla quanto una grossa noce. Ponete il battuto al fuoco con olio
in proporzione e quando sarà rosolato fermatelo con sugo di pomodoro o conserva
sciolta in un mezzo bicchiere d'acqua. Conditelo con sale e pepe e collocateci
sopra il pezzo del pesce che preferibilmente dev'essere dalla parte della coda,
la quale è molto grossa. Cuocetelo adagio e quando sarà giunto a due terzi di
cottura aggiungete, per legare la salsa e per dargli un gusto più delicato, un
pezzetto di burro bene impiastricciato di farina e finite di cuocerlo.
463. NASELLO ALLA PALERMITANA
Prendete un nasello (merluzzo) del peso di grammi 500 a 600, tosategli tutte le
pinne, eccetto quella della coda, lasciandogli la testa. Sparatelo lungo il
ventre per levargli le interiora e la spina, spianatelo e conditelo con poco
sale e pepe. Voltatelo dalla parte della schiena, ungetelo con olio, conditelo
con sale e pepe, panatelo, poi collocatelo supino con due cucchiaiate d'olio
sopra un vassoio che regga al fuoco o sopra una teglia.
Prendete tre grosse acciughe salate, o quattro, se sono piccole, nettatele dalle
scaglie e dalle spine, tritatele e mettetele al fuoco con due cucchiaiate d'olio
per disfarle, badando che non bollano. Con questa salsa spalmate il pesce nella
parte di sopra, cioè sulla pancia e copritela tutta di pangrattato spargendovi
sopra qualche foglia di ramerino, piacendovi. Cuocetelo fra due fuochi e fategli
fare la crosticina, ma badate non risecchisca troppo, anzi perciò spargetegli
sopra dell'altro olio e prima di levarlo strizzategli sopra un grosso mezzo
limone. Credo potrà bastare per quattro o cinque persone se io servite in tavola
contornato da crostini di caviale o di acciughe e burro.
464. ROTELLE DI PALOMBO IN SALSA
Il palombo (Mustelus) è un pesce della famiglia degli squali ossia de'
pescicani, e perciò in alcuni paesi il palombo si chiama pescecane. Questa
spiegazione serva per chi non sapesse cosa è il palombo, il quale prende grandi
dimensioni e la sua carne è forse la migliore tra i pesci del sott'ordine dei
selachi cui appartiene.
Prendete rotelle di palombo grosse mezzo dito; se le lavate, asciugatele dopo in
un canovaccio, spellatele con un coltello che tagli bene, conditele con sale e
pepe e tenetele per diverse ore in infusione nell'uovo frullato. Friggetele
nell'olio, ma prima copritele di pangrattato rituffandole per due volte
nell'uovo.
Ora fate la salsa componendola nella seguente maniera:
Prendete una teglia o un tegame largo ove possano star distese e nel medesimo
ponete olio in proporzione, un pezzetto di burro intriso bene nella farina, la
quale serve per legare la salsa, un pizzico di prezzemolo tritato, sugo di
pomodoro, oppure conserva diluita coll'acqua e una presa di sale e pepe. Quando
questa salsa avrà soffritto un poco sul fuoco, mettete nella medesima le rotelle
di palombo, fritte, voltatele dalle due parti ed aggiungete acqua onde la salsa
riesca liquida. Levatele dal fuoco, spargete sulle medesime un poco di
parmigiano grattato e mandatele in tavola ove saranno molto lodate.
465. SOGLIOLE IN GRATELLA
Quando le sogliole (Solea vulgaris) sono grosse, meglio è cuocerle in gratella e
condirle col lardo invece dell'olio; acquistano in questo modo un gusto più
grato. Sbuzzatele, raschiatene le scaglie, lavatele e poi asciugatele bene. Dopo
spalmatele leggermente di lardo vergine diaccio e che non sappia di rancido;
conditele con sale e pepe ed involtatele nel pangrattato. Sciogliete in un
tegamino un altro poco di lardo ed ungetele con una penna anche quando le
rivoltate sulla gratella.
Le sogliole da friggere quando sono grosse, si possono spellare da ambedue le
parti o anche solo dalla parte scura, infarinandole e tenendole nell'uovo per
qualche ora, prima di gettarle in padella.
Una singolarità di questo pesce, meritevole di essere menzionata, è che esso
nasce, come tutti gli animali bene architettati, con un occhio a destra ed uno a
sinistra; ma a un certo periodo della sua vita l'occhio che era nella parte
bianca, cioè a sinistra, si trasporta a destra e si fissa come quell'altro nella
parte scura. Le sogliole e i rombi nuotano collocati sul lato cieco. Alla
sogliola, per la bontà e delicatezza della sua carne, i Francesi danno il titolo
di pernice di mare; è un pesce facile a digerirsi, regge più di tanti altri alla
putrefazione e non perde stagione. Si trova abbondante nell'Adriatico ove viene
pescato di nottetempo con grandi reti a sacco, fortemente piombate alla bocca,
le quali raschiando il fondo del mare sollevano il pesce insieme colla sabbia e
col fango in cui giace.
Il rombo, la cui carne è poco dissimile da quella della sogliola ed anche più
delicata, è chiamato fagiano del mare.
466. FILETTI DI SOGLIOLE COL VINO
Prendete sogliole che non sieno meno di grammi 150 ciascuna, levate loro la
testa e spellatele. Poi con un coltello che tagli bene separate dalle spine la
carne per ottenere quattro lunghi filetti per ogni sogliola od anche otto se le
sogliole fossero molto grosse. Con la costola del coltello batteteli leggermente
e con la lama del medesimo spianateli per renderli sottili e così conciati
lasciateli per diverse ore nell'uovo frullato condito con sale e pepe.
involtateli poi nel pangrattato e friggeteli nell'olio. Dopo versate in un
tegame o in una teglia, ove possano star distesi, un gocciolo di quell'olio
rimasto nella padella e un pezzetto di burro, disponeteci sopra i filetti,
conditeli ancora un poco con sale e pepe e quando avranno soffritto alquanto,
bagnateli col vino bianco asciutto, fate bollire per cinque minuti insieme con
un poco di prezzemolo tritato e serviteli con la salsa che hanno, spargendoci
sopra un pizzico di parmigiano. È un piatto di molta comparita. Servitelo con
spicchi di limone. Anche i naselli si possono cucinare nella stessa maniera.
La parola asciutto applicata al vino, in questo caso è di rigore perché
altrimenti la pietanza saprebbe troppo di dolce. Una sogliola di comune
grandezza può servire per una persona.
467. CONTORNO DI FILETTI DI SOGLIOLE A UN FRITTO DELLO STESSO PESCE
Prendete un paio di sogliole mezzane oppure una sola, staccatene i filetti dopo
averle spellate, che saranno quattro, e tagliateli per traverso a listarelle
fini come fiammiferi. Se li tagliate in isbieco li otterrete alquanto più lunghi
e sarà meglio. Metteteli in una scodella col sugo di un limone o più se occorre,
e lasciateli così marinare per due o tre ore il che li farà irrigidire, ché
altrimenti riuscirebbero mosci. Poco prima di servire in tavola asciugateli con
un canovaccio, immergeteli nel latte, infarinateli, cercate che non facciano
gomitolo e friggeteli nell'olio; poi salateli leggermente.
468. TRIGLIE COL PROSCIUTTO
Non è sempre vero il proverbio: Muto come un pesce, perché la triglia, l'ombrina
e qualche altro, emettono suoni speciali che derivano dalle oscillazioni di
appositi muscoli, rafforzate da quelle dell'aria contenuta nella vescica
natatoria.
Le triglie più grosse e saporose sono quelle di scoglio; ma per cucinarle in
questa maniera, possono servire triglie di mezzana grandezza che nella regione
adriatica chiamassi rossioli o barboni. Dopo averle nettate e lavate asciugatele
bene con un canovaccio e poi ponetele in una scodella da tavola e conditele con
sale, pepe, olio e agro di limone. Lasciatele così per qualche ora e quando
sarete per cuocerle, tagliate tante fettine sottili di prosciutto grasso e magro
larghe come le triglie e in quantità uguale al numero di esse. Prendete un
vassoio o un tegame di metallo, spargete in fondo al medesimo qualche foglia di
salvia intera, involtate bene le triglie nel pangrattato e disponetele in questa
guisa: addossatele insieme ritte e frapponete le fettine di prosciutto fra l'una
e l'altra, spargendovi sopra altre foglie di salvia.
Per ultimo versate sopra le medesime il condimento rimasto e cuocetele fra due
fuochi. Se volete che questo piatto riesca più signorile, levate la spina alle
triglie da crude aprendole dalla parte davanti, richiudendole poscia.
469. TRIGLIE IN GRATELLA ALLA MARINARA
Dopo averne estratto l'intestino, con la punta di un coltello, dalle branchie,
lavatele ed asciugatele e nel posto dov'era l'intestino collocate un pezzetto
d'aglio. Conditele con sale, pepe, olio, foglie di ramerino e lasciatele così
condite. Quando sarete per cuocerle involtatele nel pangrattato ed ungetele col
condimento allorché saranno sul fuoco. Oppure, dopo averle nettate, lavate ed
asciugate, conditele con poco sale e pepe e cuocetele così naturali a fuoco
ardente. Collocate poi sul vassoio, conditele solo allora con olio, un altro po'
di sale e pepe.
Servitele con spicchi di limone.
470. TRIGLIE DI SCOGLIO IN GRATELLA
Questo bellissimo pesce di color rosso vivace, che raggiunge il peso di 500 a
600 grammi, eccellente al gusto, si suole cuocere in gratella nella seguente
maniera:
Conditelo con olio, sale e pepe, cuocetelo a fuoco ardente e quando lo levate
spalmatelo così a bollore con un composto di burro, prezzemolo trito e agro di
limone preparato avanti. Trattamento questo che può servire anche per altri
pesci grossi cotti in gratella.
Gli antichi Romani stimavano il pesce più delizioso della carne e le specie che
maggiormente apprezzavano erano: lo storione, il ragno, la lampreda, la triglia
di scoglio e il nasello pescato nel mar della Siria senza annoverar le murene
che alimentavano in modo grandioso in appositi vivai e che nutrivano anche con
la carne dei loro schiavi.
Vedio Pollione, noto nella storia per la sua ricchezza e per la sua crudeltà,
mentre cenava con Augusto comandò fosse gettato nel vivaio, alle murene, uno
sventurato servo che aveva rotto disavvedutamente un bicchiere di cristallo.
Augusto, ai cui piedi cadde lo schiavo, invocando la sua intercessione, poté
salvarlo a stento con un ingegnoso suo strattagemma.
Le triglie grosse di scoglio, che raggiungevano il peso non mica di soli grammi
500 a 600, come dico più sopra, ma perfino di 4 a 6 libbre, erano stimate assai
e pagate a prezzi altissimi, favolosi. La mollezza dei costumi e la golosità
avendo nei Romani raffinato il senso del gusto, studiavansi di appagarlo con le
vivande più delicate e perciò avevano inventata una certa salsa chiamata gareleo
nella quale disfacevano e stemperavano la coratella di questo grosso pesce per
intingervi la carne del medesimo.
471. TRIGLIE ALLA LIVORNESE
Fate un battutino con aglio, prezzemolo e un pezzo di sedano; mettetelo al fuoco
con olio a buona misura e quando l'aglio avrà preso colore, unitevi pomodori a
pezzi e condite con sale e pepe. Lasciate che i pomodori cuociano bene,
rimestateli spesso e passatene il sugo. In questo sugo collocate le triglie e
cuocetele. Se sono piccole non hanno bisogno d'esser voltate e se il vaso dove
hanno bollito distese non è abbastanza decente prendetele su a una a una per non
romperle e collocatele in un vassoio.
Poco prima di levarle dal fuoco fioritele leggermente di prezzemolo tritato.
La pesca di questo pesce è più facile e più produttiva di giorno che di notte e
la sua stagione, quando cioè è più grasso, è, come si disse, il settembre e
l'ottobre.
472. TRIGLIE ALLA VIAREGGINA
Se le triglie fossero in quantità di circa mezzo chilogrammo fate un battutino
con due spicchi d'aglio e un buon pizzico di prezzemolo. Mettetelo al fuoco con
olio a buona misura in un tegame o in una teglia ove le triglie possano star
distese e quando il soffritto sarà rosolato fermatelo con sugo di pomodoro
semplice. Lasciate bollire alquanto, poi collocateci le triglie rivoltandole
nell'intinto a una a una. Copritele e fatele bollire adagio e quando avranno
ritirato buona parte dell'umido versateci un dito (di bicchiere) di vino rosso
annacquato con due dita di acqua.
Fatele bollire ancora un poco e servitele.
473. TONNO FRESCO
Il tonno, pesce della famiglia degli sgombri, è proprio del bacino mediterraneo.
In certe stagioni abita le parti più profonde del mare, in altre invece si
accosta alle spiagge, ove ha luogo la pesca che riesce abbondantissima. La sua
carne, per l'oleosità che contiene, rammenta quella del maiale, e perciò non è
di facile digestione. Si vuole che si trovino dei tonni il cui peso raggiunga
fino i 500 chilogrammi. La parte più tenera e delicata di questo pesce è la
pancia, che in Toscana chiamasi sorra.
Tagliatelo a fette grosse mezzo dito e mettetelo al fuoco, sopra un abbondante
soffritto d'aglio, prezzemolo e olio, quando l'aglio comincia a prender colore.
Conditelo con sale e pepe, voltate le fette dalle due parti e, a mezza cottura,
aggiungete sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Cotto che sia
levatelo asciutto e nel suo sugo cuocete i piselli, poi rimettetelo sopra i
medesimi per riscaldarlo e mandatelo in tavola con questo contorno.
474. TONNO IN GRATELLA
Tagliatelo a fette come il precedente, ma preferite la sorra; conditelo con
olio, sale e pepe, involgetelo nel pangrattato e cuocetelo, servendolo con
spicchi di limone.
475. TONNO SOTT’OLIO IN SALSA ALLA BOLOGNESE
Prendete un pezzo tutto unito di tonno sott'olio del peso di grammi 150,
mettetelo al fuoco con acqua bollente e fatelo bollire adagio per mezz'ora
cambiandogli l'acqua ogni dieci minuti, cioè tre volte. Frattanto fate un
battuto tritato fine con mezza cipollina di quelle indicate al n. 409, un quarto
di spicchio d'aglio, due costole di sedano bianco lunghe un palmo ciascuna, un
bel pezzo di carota e un pugno abbondante di prezzemolo.
Ponetelo al fuoco con tre cucchiaiate d'olio e grammi 15 di burro e quando avrà
preso colore fermatelo con due dita (di bicchiere) d'acqua e lasciatelo bollire
un poco. Il tonno, diaccio che sia, tagliatelo a fette più sottili che potete e,
preso un tegame, distendetelo nel medesimo a strati, intercalandolo con la salsa
e grammi 15 di burro sparso a pezzetti. Fategli alzare il bollore al fuoco per
liquefare il burro, strizzategli sopra mezzo limone e servitelo caldo. Potrà
bastare per quattro persone come principio a una colazione di magro o come
tramesso a un desinare di famiglia e non è piatto da disprezzarsi, perché non
aggrava né anche molto lo stomaco.
476. ARIGUSTA
L'aragosta o arigusta è un crostaceo dei più fini e delicati, comune sulle coste
del Mediterraneo. È indizio della freschezza e della buona qualità delle
ariguste, degli astaci e de' crostacei in genere, il loro peso in proporzione
della grossezza; ma sempre è da preferirsi che siano vivi ancora, o almeno che
diano qualche segno di vitalità, nel qual caso si usa ripiegare la coda
dell'arigusta alla parte sottostante e legarla avanti di gettarla nell'acqua
bollente per cuocerla.
A seconda della sua grossezza fatela bollire dai 30 ai 40 minuti; ma prima
aromatizzate l'acqua in cui deve bollire con un mazzetto composto di cipolla,
carote, prezzemolo e due foglie d'alloro, aggiungendo a questo due cucchiai di
aceto e un pizzico di sale. Lasciate che l'arigusta diacci nel suo brodo e
quando la levate, sgrondatela dall'acqua strizzandone la coda e dopo averla
asciugata strofinatela con qualche goccia d'olio per renderla lucida.
Mandatela in tavola con una incisione dal capo alla coda per poterne estrarre
facilmente la polpa e, se non si volesse mangiare condita semplicemente con olio
e agro di limone, accompagnatela con la salsa maionese o con altra salsa
piccante; ma potete servirla pur anche con una salsa fatta con lo stesso pesce
nel seguente modo:
Levate la polpa della testa e questa tritatela ben fine con un rosso d'uovo
assodato e alcune foglie di prezzemolo. Ponete il composto in una salsiera,
conditelo con pepe, poco o punto sale e diluitelo con olio fine e l'agro di
mezzo limone, o aceto.
477. COTOLETTE DI ARIGUSTA
Prendete un'arigusta del peso di grammi 650 circa, lessatela come è indicato
nella ricetta precedente, poi sgusciatela per estrarne tutta la parte interna
che triterete all'ingrosso con la lunetta. Fate una balsamella nelle proporzioni
e come quella del n. 220 e quando la ritirate dal fuoco gettateci dentro
l'arigusta, salatela e dopo aver mescolato bene il composto, versatelo in un
piatto e lasciatelo, per qualche ora, raffreddar bene
Quando sarete per formare le cotolette dividete il composto in dieci parti
eguali e facendole toccare il pangrattato modellatele fra la palma delle mani
alla grossezza un po' più di mezzo dito; tuffatele nell'uovo frullato, panatele
ancora e friggetele nell'olio. Delle lunghe corna dell'arigusta fatene dieci
pezzi che infilerete nelle cotolette quando le mandate in tavola onde facciano
fede della nobile materia di cui le cotolette sono composte. Possono bastare per
cinque persone ed è un piatto molto delicato.
478. CONCHIGLIE RIPIENE
È un piatto delicato di pesce che può servire per principio a una colazione.
I gusci delle conchiglie marine per quest'uso devono essere, nella parte
concava, larghi quanto la palma di una mano onde ognuno, col contenuto suo,
possa bastare a una persona. Appartengono al genere Pecten Iacobaeus, Pettine,
detto volgarmente cappa santa perché si usava dai pellegrini. La carne di questa
conchiglia, buona a mangiarsi, è molto apprezzata pel suo delicato sapore. In
qualche casa signorile usansi conchiglie d'argento e allora possono servire
anche per gelati, ma in questo caso, trattandosi di pesce, mi sembrano più
opportune quelle naturali marine.
Prendete la polpa di un pesce fine lessato, benché possa prestarsi anche il
nasello, il muggine e il palombo, e con questa dose, che potrà bastare per
riempire sei conchiglie, formate il seguente composto:
Pesce lesso, grammi 130.
Parmigiano grattato, grammi 20.
Farina, grammi 20.
Burro, grammi 20.
Rossi d'uovo, n. 2.
Latte, decilitri 2 1/2.
Fate una balsamella col latte, il burro e la farina e quando la ritirate dal
fuoco uniteci il parmigiano e, non più a bollore, i rossi d'uovo e il pesce
tritato, condendolo con sale e pepe. Versatelo nelle conchiglie unte prima col
burro diaccio, rosolatelo appena nel forno da campagna e servitelo.
Si potrebbero riempir le conchiglie anche con la polpa del pollo lesso tritato
conservando le stesse proporzioni.
479. STORIONE
Mi permetta il lettore di fare un po' di storia su questo pesce
interessantissimo.
Lo storione appartiene all'ordine dei Ganoidi, da Ganus che vuol dire lucente,
per la lucentezza delle squame, e al sott'ordine dei Chondrostei per avere lo
scheletro cartilagineo. Costituisce la famiglia degli Acipenser che si qualifica
appunto per questi due distintivi e per la pelle a cinque serie longitudinali di
placche a smalto. È un pesce che ha la bocca posta alla faccia inferiore del
capo, priva di denti e in forma di succhiatoio protrattile, con cirri nasali
ossia tentacoli, per cercare sotto le acque, nel fango, il nutrimento che pare
consista di piccoli animalucci.
Sono animali molto in pregio per le loro carni, per le uova che costituiscono il
caviale e per l'enorme vescica natatoria con cui si forma l'ittiocolla o colla
di pesce. In primavera rimontano i fiumi per deporre le uova in luoghi
tranquilli lungo le sponde.
L'Italia ne alberga diverse specie, la più stimata delle quali, come cibo, è
l’Acipenser sturio (storione comune); lo si riconosce pel muso acuto, pel labbro
inferiore carnoso e nel mezzo diviso, non che pei cirri nasali semplici e tutti
eguali tra loro. Frequenta a preferenza le foci del Ticino e del Po ove, non è
gran tempo, ne fu pescato uno che pesava Kg. 215; ma la specie che prende
maggior sviluppo è l’Acipenser huso, il quale raggiunge fino a due metri e più
di lunghezza, con ovaia grandi un terzo dell'animale, ed è questa
particolarmente che somministra il caviale e l'ittiocolla. Il primo è formato
dalle uova crude degli storioni, passate per setaccio onde levarne i filamenti
che le inviluppano, indi salate e fortemente compresse; la seconda preparasi
sulle spiagge del mar Caspio o sulle coste dei fiumi che vi sboccano, ma più che
altrove ad Astrachan. Non farà meraviglia la quantità straordinaria che se ne
trova in commercio (servendo l'ittiocolla a molti usi) se si considera che
talvolta nel Volga si pescano da quindici a ventimila storioni al giorno; e di
là, cioè dalle provincie meridionali della Russia, ci viene anche il caviale. Fu
annunziato che dei pescatori dei Danubio presero, non ha guari, uno storione del
peso di otto quintali e che la spoglia di questo enorme pesce, lungo metri 3,30,
figura nel Museo di Vienna.
Fra le specie estinte si annovera il Magadictis, che raggiungeva la lunghezza di
10 a 12 metri.
480. STORIONE IN FRICANDÒ
Lo storione è buono in tutte le maniere: lesso, in umido, in gratella. Quanto
all'umido, potete trattarlo nel seguente modo: prendetene un pezzo grosso del
peso almeno di grammi 500, spellatelo e steccatelo con lardelli di lardone
conditi avanti con sale e pepe; poi legatelo in croce, infarinatelo, mettetelo
al fuoco con olio e burro e conditelo ancora con sale e pepe. Quando sarà
rosolato da tutte le parti bagnatelo con brodo per tirarlo a cottura e prima di
levarlo strizzategli sopra un limone per mandarlo in tavola col suo sugo.
481. ACCIUGHE ALLA MARINARA
Questo piccolo pesce dalla pelle turchiniccia e quasi argentata, conosciuto
sulle spiagge dell'Adriatico col nome di sardone, differisce dalla sarda o
sardella in quanto che questa è stiacciata, mentre l'acciuga è rotonda e di
sapor più gentile. Ambedue le specie appartengono alla stessa famiglia, e quando
son fresche, ordinariamente si mangiano fritte. Le acciughe però sono più
appetitose in umido con un battutino d'aglio, prezzemolo, sale, pepe e olio;
quando son quasi cotte si aggiunge un po' d'acqua mista ad aceto.
Già saprete che i pesci turchini sono i meno digeribili fra le specie
vertebrate.
482. ACCIUGHE FRITTE
Se volete dare più bell'aspetto alle acciughe e alle sardine fritte, dopo aver
levata loro la testa e averle infarinate, prendetele a una a una per la coda,
immergetele nell'uovo sbattuto e ben salato, poi di nuovo nella farina, e
buttatele in padella nell'olio a bollore. Meglio ancora se, essendo grosse, le
aprite per la schiena incidendole con un coltello di taglio fine e levate loro
la spina, lasciandole unite per la coda.
483. SARDE RIPIENE
Per questo piatto ci vogliono sarde delle più grosse.
Prendetene da 20 a 24 che tante bastano per la quantità del ripieno qui sotto
descritto. Le sarde lavatele, togliete loro la testa, e con le dita sparatele
dalla parte del buzzo per estrarne la spina.
Formate un composto con:
Midolla di pane, gr. 30;
acciughe salate, n. 3;
un rosso d'uovo;
mezzo spicchio d'aglio;
un pizzico di regamo.
La midolla di pane inzuppatela nel latte e poi strizzatela. Le acciughe
nettatele dalle scaglie e dalla spina, e poi tritate e mescolate ogni cosa
insieme servendovi per ultimo della lama di un coltello per ridurre il composto
ben fine. Spalmate con esso le sarde e richiudetele; indi tuffatele ad una ad
una nella chiara d'uovo rimasta, dopo averla sbattuta, avvolgetele nel
pangrattato, friggetele nell'olio, salatele alquanto e servitele con spicchi di
limone.
484. BROCCIOLI FRITTI
Se vi trovate sulla montagna pistoiese in cerca di clima fresco, di aria pura e
di paesaggi incantevoli, chiedete i broccioli, un pesce d'acqua dolce, dalla
forma del ghiozzo di mare e di sapore delicato quanto ed anche più della trota.
Una signora di mia conoscenza, dopo una lunga passeggiata per quelle montagne,
trovava tanto buone le polpette del prete di Piansinatico che le divorava.
485. TOTANI IN GRATELLA
I totani (Loligo) appartengono all'ordine de' cefalopodi e sono conosciuti nel
litorale adriatico col nome di calamaretti. Siccome quel mare li produce
piccoli, ma polputi e saporiti, cucinati fritti, sono giudicati dai buongustai
un piatto eccellente. Il Mediterraneo, messe a confronto le stesse specie, dà
pesce più grosso, ed ho visto de' totani dell'apparente peso di grammi 200 a
300; ma non sono sì buoni come quelli dell'Adriatico. Questi, anche tagliati a
pezzi, riuscirebbero duri in frittura, quindi meglio è cuocerli in gratella
ripieni, oppure, se sono grossissimi, in umido. Questo pesce racchiude
nell'interno una lamina allungata flessibile, la penna, ch'altro non è se non un
rudimento di conchiglia che va tolto prima di riempirlo.
Tagliate al totano i tentacoli, che sono le sue braccia lasciandogli il sacco e
la testa, e tritateli colla lunetta insieme con prezzemolo e pochissimo aglio.
Mescolate questo battutino con molto pangrattato, conditelo con olio, pepe e
sale, e servitevi di tal composto per riempire il sacco del pesce; per chiudere
la bocca del detto sacco infilzatela con uno stecchino, che poi leverete.
Conditelo con olio, pepe e sale e cuocetelo, come si è detto, in gratella.
Se vi trovate a Napoli non mancate di fare una visita all'Acquario nei giardini
della Villa Nazionale ove, fra le tante meraviglie zoologiche, osserverete con
piacere questo cefalopodo di forme snelle ed eleganti nuotare e guizzare con
moltissima grazia ed ammirerete pur anche la sveltezza e la destrezza che hanno
le sogliole di scomparire a un tratto fra la sabbia, di cui si ricoprono, per
occultarsi forse al nemico che le insegue.
Tornando ai calamaretti, che è un pesce alquanto indigesto, ma ottimo in tutte
le stagioni dell'anno, dopo aver loro levata la penna e strizzati gli occhi,
lavateli, asciugateli, infarinateli e friggeteli nell'olio: ma avvertite non vi
passino di cottura, la qual cosa è facile se non si sta molto attenti.
Streminziscono allora e si rendono ancora più indigesti. Conditeli caldi con
sale e pepe.
486. CICALE RIPIENE
Non crediate che voglia parlarvi delle cicale che cantano su per gli alberi;
intendo dire invece di quel crostaceo, squilla (Squilla mantis), tanto comune
nell'Adriatico e colà cognito col nome di cannocchia.
È un crostaceo sempre gustoso a mangiarsi; ma migliore assai quando in certi
mesi dell'anno, dalla metà di febbraio all'aprile, è più polputo del solito, e
racchiude allora un cannello rosso lungo il dorso, detto volgarmente cera o
corallo, il quale non è altro che il ricettacolo delle uova di quel pesce. È
buono lesso, entra con vantaggio, tagliato a pezzi, nella composizione di un
buon cacciucco ed eccellente è in gratella, condito con olio, pepe e sale; se lo
aggradite anche più appetitoso, sparatelo lungo il dorso, riempitelo con un
battutino di pangrattato, prezzemolo e odore d'aglio e condite tanto il ripieno
che il pesce con olio, pepe e sale.
487. CICALE FRITTE
Alla loro stagione, cioè quando hanno la cera, com'è detto al numero precedente,
si possono friggere nel seguente modo e ne merita il conto.
Dopo averle lavate, lessatele in poca acqua, coperte da un pannolino con un peso
sopra; 15 minuti di bollitura ritengo siano sufficienti. Sbucciatele dopo cotte
e, messa a nudo la polpa, tagliatela in due pezzi, infarinatela, doratela
nell'uovo frullato e salato, e friggetela nell'olio.
488. CICALE IN UMIDO
Se non vi rincresce di adoperare le unghie, d'insudiciarvi le dita e di bucarvi
fors'anche le labbra, eccovi un gustoso e piacevole trastullino.
Prima di cuocerle tenete le cicale nell'acqua fresca, che così non iscolano,
anzi rigonfiano. Fate un battuto con aglio, prezzemolo e olio; rosolato che sia
collocateci le cicale intere e conditele con sale e pepe. Quando avranno preso
il condimento bagnatele con sugo di pomodoro o conserva e servitele sopra a
fette di pane asciugate al fuoco. Prima di mandarle in tavola fate loro
un'incisione con le forbici lungo il dorso per poterle sbucciare più facilmente.
489. SPARNOCCHIE
Le cicale mi rammentano le sparnocchie che, a prima vista, le rassomigliano; ma
esaminato bene questo crostaceo ha la forma di un grosso gambero di mare del
peso comunemente di 50 o 60 grammi. È di sapore più delicato dell'arigusta e,
come questa, si usa mangiarlo lesso; ma perché non perda sapore meglio è di
arrostirlo in gratella, senza condimento alcuno, e dopo sgusciarlo e condirlo
con olio, pepe, sale ed agro di limone. Le sparnocchie piccole si possono anche,
come i gamberi, infarinare e friggerle così naturali, oppure nel modo indicato
per le cicale.
490. ANGUILLA
L’Anguilla vulgaris è un pesce dei più singolari. Benché il valligiano di
Comacchio pretenda di conoscere, da certi caratteri esterni, il maschio e la
femmina non si è riusciti ancora per quanto lo si sia studiato, a distinguerne
il sesso, forse perché la borsa spermatica del maschio è simile all'ovario della
femmina.
L'anguilla comune abita le acque dolci; ma per generare ha bisogno di scendere
in mare. Questa discesa, che chiamasi la calata, ha luogo nelle notti oscure e
principalmente nelle burrascose dei mesi di ottobre, novembre e dicembre, e n'è
allora più facile ed abbondante la pesca. Le anguille neonate lasciano il mare
ed entrano nelle paludi o nei fiumi verso la fine di gennaio e in febbraio, e in
questo ingresso, che dicesi la montata, vengono pescate alla foce de' fiumi in
gran quantità col nome di cieche e la piscicoltura se ne giova per ripopolare
con esse gli stagni ed i laghi, nei quali, se manca la comunicazione con le
acque salse del mare, non si possono riprodurre.
Recenti studi nello stretto di Messina hanno rilevato che questo pesce, e i
murenoidi congeneri, hanno bisogno di deporre le uova negli abissi del mare a
una profondità non minore di 500 metri, e che, a similitudine delle rane,
subiscono una metamorfosi. Il Leptocephalus brevirostris che ha l'aspetto di una
foglia di oleandro, trasparente come il vetro, ritenuto finora una specie a sé,
non è che il primo periodo di vita, la larva di questo essere, che poi si
trasforma in anguilla capillare, le così dette cieche le quali quando rimontano
i fiumi in cerca delle acque dolci, non sono lunghe mai meno di cinquanta
millimetri. Delle vecchie anguille poi, che sono scese al mare, non si sa che ne
avvenga; forse restando nella profonda oscurità degli abissi marini, muoiono
sotto a quella enorme pressione, o si modificano per adattarsi all'ambiente in
cui si trovano.
Un'altra singolarità dei murenoidi in genere è quella del loro sangue, che
iniettato nel torrente della circolazione dell'uomo è velenoso e mortale, mentre
cotto e mangiato è innocuo.
L'anguilla, per la conformazione speciale delle sue branchie, a semplice
fessura, per la sua forma cilindrica e per le squamme assai minute e delicate
può vivere molto tempo fuori dell'acqua: ma ogni qualvolta si sono incontrate a
strisciar sulla terra, il che avviene specialmente di notte, si sono viste
proceder sempre nella direzione di un corso d'acqua, per tramutarsi forse da un
luogo ad un altro, o per cercare, nei prati circostanti alla loro dimora, il
cibo che consta di piccoli animali.
Sono celebri le anguille delle valli di Comacchio, paese della bassa Romagna, il
quale si può dire viva della pesca di questo pesce che, fresco o marinato, si
spaccia non solo in Italia, ma si spedisce anche fuori. È così produttivo quel
luogo che in una sola notte buia e burrascosa dell'ottobre 1905 furono pescati
chilogrammi 150.000 di anguille, e più meraviglioso ancora è il risultato finale
della pesca di quell'annata che troverete descritto alla ricetta n. 688.
In alcuni luoghi d'Italia chiamassi capitoni quando son grosse, e bisatti quando
son piccole ed abitano tutti i fiumi di Europa meno quelli che si versano nel
Mar Nero, non eccettuato il Danubio e i suoi affluenti.
La sola differenza di forma tra l'anguilla d'acqua dolce e quella di mare,
conosciuta col nome di conger o congro, è che la prima ha la mascella superiore
più breve dell'inferiore e l'individuo prende meno sviluppo, imperocché trovansi
dei conger fin di tre metri di lunghezza. Forse, da questo grosso pesce
serpentiniforme, è derivata la favola del serpente di mare, sostenuta un tempo
anche da persone degne di fede che ne esageravano la grandezza, probabilmente
per effetto di allucinazione.
491. ANGUILLA ARROSTO
Potendo, preferite sempre le anguille di Comacchio che sono le migliori d'Italia
se non le superano quelle del lago di Bolsena rammentate da Dante.
Quando l'anguilla è grossa e si voglia cuocere allo spiedo è meglio spellarla.
Tagliatela a rocchi lunghi tre centimetri ed infilateli tra due crostini con
qualche foglia di salvia oppure di alloro se non temete che questo, pel suo
odore troppo acuto, vi torni a gola. Cuocetela in bianco a fuoco moderato e per
ultimo datele una bella fiammata per farle fare la crosticina croccante. Per
condimento sale soltanto e spicchi di limone quando si manda in tavola.
L'anguilla mezzana, a parer mio, riesce più gustosa cotta in gratella con la sua
pelle, la quale, rammollita con agro di limone quando è portata in tavola, può
offrire, succhiandola, un sapore non sgradito. Per condimento sale e pepe
soltanto. I Comacchiesi, per la gratella adoperano anguille mezzane, le spellano
se sono un po' grosse, le ripuliscono soltanto se sottili, le inchiodano con la
testa sopra un'asse, le sparano con un coltello tagliente, levano la spina e
così aperte con le due mezze teste, le mettono in gratella, condite solo di sale
e pepe a mezza cottura. Le mangiano bollenti.
L'anguilla richiede nel pasteggiare vino rosso ed asciutto.
492. ANGUILLE ALLA FIORENTINA
Prendete anguille di mezzana grandezza, sbuzzatele e spellatele praticando una
incisione circolare sotto alla testa, che terrete ferma con un canovaccio onde
non isgusci per l'abbondante mucosità di questo pesce, e tirate giù la pelle che
verrà via tutta intera. Allora tagliatela a pezzi lunghi un dito o poco meno,
che condirete con olio, sale e pepe, lasciandoli stare per un'ora o due.
Per cuocerle servitevi di una teglia o di un tegame di ferro, copritene il fondo
con un velo d'olio, due spicchi d'aglio interi e foglie di salvia; fate
soffriggere per un poco e, presi i pezzi dell'anguilla uno alla volta,
involgeteli nel pangrattato e disponeteli nel tegame uno accanto all'altro
versando lor sopra il resto del condimento. Cuoceteli fra due fuochi e quando
avranno preso colore, versate nel tegame un gocciolo d'acqua.
La carne di questo pesce, assai delicato e gustoso, riesce alquanto indigesta
per la sua soverchia oleosità.
493. ANGUILLA IN UMIDO
Meglio è che per questo piatto le anguille sieno grosse anzi che no, e, senza
spellarle, tagliatele a pezzetti corti. Tritate un battuto piuttosto generoso di
cipolla e prezzemolo, mettetelo al fuoco con poco olio, pepe e sale e quando la
cipolla avrà preso colore gettateci l'anguilla. Aspettate che abbia succhiato il
sapore del soffritto per tirarla a cottura con sugo di pomodoro o conserva
sciolta nell'acqua. Procurate che vi rimanga dell'intinto in abbondanza se
volete servirla in tavola sopra a crostini di pane arrostito appena. Sentirete
un manicaretto delicato, ma non confacente a tutti gli stomachi.
494. ANGUILLA COL VINO
Prendete un'anguilla di circa mezzo chilogrammo, o più d'una, dello stesso peso
in complesso, non essendo necessario per questo piatto che sieno grosse;
strofinatele con la rena per nettarle dalla mucosità, lavatele e tagliatele a
rocchi. Ponete in un tegame uno spicchio d'aglio tagliato a fettine, tre o
quattro foglie di salvia tritata all'ingrosso, la corteccia di un quarto di
limone e non molto olio. Mettetelo al fuoco e, quando il soffritto avrà preso
colore, collocateci le anguille e conditele con sale e pepe. Allorché l'umido
comincia a scemare andate scalzandole con la punta di un coltello onde non si
attacchino e rosolate che sieno versateci sugo di pomodoro o conserva, e
rivoltatele. Rosolate anche dall'altra parte, versateci un buon dito di vino
rosso o bianco asciutto mischiato a due dita d'acqua, copritele e lasciatele
finir di cuocere a fuoco lento. Mandatele in tavola con alquanto del loro
intinto e servitele a quattro persone, a cui potranno bastare.
495. ANGUILLA IN UMIDO ALL’USO DI COMACCHIO
I Comacchiesi non fanno mai uso d'olio per condir l'anguilla in qualunque modo
essa venga cucinata, il che si vede anche da questo umido che potrebbe pur
chiamarsi zuppa o cacciucco di anguille. Infatti codesto pesce contiene tanto
olio in sé stesso che l'aggiungerne guasta anziché giovare. La prova fattane
avendo corrisposto alla ricetta favoritami, ve la descrivo tal quale.
“Per un chilogrammo di anguille prendete tre cipolle, un sedano, una bella
carota, prezzemolo e la buccia di mezzo limone. Tagliate tutto, meno il limone,
a pezzi grossi e fate bollire con acqua, sale e pepe. Tagliate le anguille a
rocchi, lasciando però i rocchi uniti tra loro da un lembo di carne. Prendete un
pentolo adatto e fategli in fondo uno strato di anguilla cui sopraporrete uno
strato delle verdure dette di sopra e quasi cotte (gettando via il limone), poi
un altro strato d'anguilla, un altro di verdura, ecc., fin che ce ne cape.
Coprite tutto coll'acqua dove le verdure bollirono; mettete il pentolo ben
turato a bollire adagio, scuotendolo, girandolo, ma non frugando mai col mestolo
perché spappolereste ogni cosa. Noi usiamo circondare il pentolo di cenere e
brace fin più che a mezzo, davanti a un fuoco chiaro di legna, sempre scuotendo
e girando. Quando i rocchi, che erano uniti per un lembo, si staccano l'un
dall'altro, son presso che cotti. Aggiungete allora un buon cucchiaio di aceto
forte, conserva di pomodoro e assaggiate il brodo per correggerlo di sale e di
pepe (siate generosi); fate dare altri pochi bollori e mandate magari il pentolo
in tavola, perché è vivanda di confidenza. Servite in piatti caldi, su fette di
pane”. Avverto io che qui si tratta di anguille mezzane e non ispellate, che le
cipolle, se sono grosse, due bastano e che due bicchieri d'acqua saranno
sufficienti per cuocere le verdure. Le fette del pane sarà bene di asciugarle al
fuoco senza arrostirle.
496. ANGUILLA COI PISELLI
Mettetela in umido come quella del n. 493 e quando è cotta levatela asciutta per
cuocere i piselli nel suo intinto. Rimettetela poi fra i medesimi per
riscaldarla e servitela. Qui non ha luogo sugo di pomodoro, ma acqua se occorre.
497. CEFALI IN GRATELLA
Le anguille di Comacchio richiamano alla memoria i cefali abitatori delle stesse
valli i quali, quando sono portati ai mercati verso la fine di autunno, sono
belli, grassi e di ottimo sapore. I Comacchiesi li trattano nella seguente
maniera che persuade. Levano a questo pesce le scaglie e le branchie ma non li
sbuzzano perché le interiora, come nella beccaccia, dicono che sono il meglio.
Li condiscono con sale e pepe soltanto, e li pongono sulla gratella a fuoco
ardente. Cotti che siano li mettono tra due piatti caldi non lontani dal fuoco
per cinque minuti. Al momento di servirli rivolgono i piatti, che quel di sopra
vada sotto e il grasso colato rimanga così sparso e steso sopra il pesce,
mandandolo in tavola con limone da strizzare.
Al n. 688 è dato un cenno come li servono in Romagna.
498. TELLINE O ARSELLE IN SALSA D’UOVO
Le arselle non racchiudono sabbia come le telline e però a quelle basta una
buona lavatura nell'acqua fresca.
Tanto le une che le altre mettetele al fuoco con un soffritto di aglio, olio,
prezzemolo e una presa di pepe, scuotetele e tenete coperto il vaso onde non si
prosciughino. Levatele quando saranno aperte ed aggraziatele con la seguente
salsa: uno o più rossi d'uovo, secondo la quantità, agro di limone, un
cucchiaino di farina, brodo e un po' di quel sugo uscito dalle telline.
Cuocetela ad uso crema e versatela sulle medesime quando le mandate in tavola.
Io le preferisco senza salsa e le fo versare sopra fette di pane asciugate al
fuoco. Così si sente più naturale il gusto del frutto di mare. Per la stessa
ragione non lo mettere il pomodoro nel risotto con le telline.
499. ARSELLE O TELLINE ALLA LIVORNESE
Fate un battutino di cipolla e mettetelo al fuoco con olio e una presa di pepe.
Quando la cipolla avrà preso colore unite un pizzico di prezzemolo tritato non
tanto fine e dopo poco gettateci le arselle o le telline con sugo di pomodoro o
conserva. Scuotetele spesso e quando saranno aperte, versatele sopra a fette di
pane arrostito, preparate avanti sopra un vassoio. Le arselle così cucinate sono
buone; ma, a gusto mio, sono inferiori a quelle del numero precedente.
500. SEPPIE COI PISELLI
Fate un battuto piuttosto generoso con cipolla, uno spicchio d'aglio e
prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio, sale e pepe, e quando avrà preso colore
passatelo da un colino strizzando bene. In questo soffritto gettate le seppie
tagliate a filetti, ma prima nettatele com'è indicato al n. 74, bagnatele con
acqua, se occorre, e quando saranno quasi cotte versate i piselli grondanti
dall'acqua fresca in cui li avrete tenuti in molle.
501. TINCHE ALLA SAUTÉ
Questo pesce (Tinca vulgaris) della famiglia dei ciprinoidi, ossia dei carpi,
benché si trovi anche ne' laghi e ne' fiumi profondi, abita di preferenza, come
ognuno sa, le acque stagnanti dei paduli; ma ciò che ignorasi forse da molti si
è che esso, nonché il carpio, offrono un esempio della ruminazione fra i pesci.
Il cibo arrivato nel ventricolo è rimandato nella faringe coi movimenti
antiperistaltici e dai denti faringei, speciali a quest'uso, ulteriormente
sminuzzato e triturato.
Prendete tinche grosse (nel mercato di Firenze vendonsi vive e sono, nella loro
inferiorità fra i pesci, delle migliori), tagliate loro le pinne, la testa e la
coda; apritele per la schiena, levatene la spina e le lische e dividetele in due
parti per il lungo. Infarinatele, poi tuffatele nell'uovo frullato, che avrete
prima condito con sale e pepe; involgetele nel pangrattato, ripetendo per due
volte quest'ultima operazione. Cuocetele nella sauté col burro e servitele in
tavola con spicchi di limone e con un contorno di funghi fritti, alla loro
stagione.
Qui viene opportuno indicare il modo di togliere o attenuare il lezzo dei pesci
di padule. Si gettano nell'acqua bollente, tenendoveli alcuni minuti finché la
pelle comincia a screpolare, e si rinfrescano poi nell'acqua diaccia prima di
cuocerli. Questa operazione è chiamata dai francesi limoner, da limon, fango.
502. PASTICCIO DI MAGRO
Mancherei a un dovere di riconoscenza se non dichiarassi che parecchie ricette
del presente volume le devo alla cortesia di alcune signore che mi favorirono
anche questa, la quale, benché in apparenza accenni ad un vero e proprio
pasticcio, alla prova è riuscita degna di figurare in qualunque pranzo, se
eseguita a dovere.
Un pesce del peso di grammi 300 a 350.
Riso, grammi 200.
Funghi freschi, grammi 150.
Piselli verdi, grammi 300.
Pinoli tostati, grammi 50.
Burro, quanto basta.
Parmigiano, idem.
Carciofi, n. 6.
Uova, n. 2.
Cuocete il riso con grammi 40 di burro e un quarto di cipolla tritata, salatelo,
e quando è cotto con l'acqua occorrente legatelo con le dette uova e grammi 30
di parmigiano.
Fate un soffritto con cipolla, burro, sedano, carota e prezzemolo e in esso
cuocete i funghi tagliati a fette, i piselli, e i carciofi tagliati a spicchi e
mezzo lessati. Tirate queste cose a cottura con qualche cucchiaiata d'acqua
calda e conditele con sale, pepe e gr, 50 di parmigiano grattato quando le
avrete ritirate dal fuoco.
Cuocete il pesce, che può essere un muggine, un ragno o anche pesce a taglio, in
un soffritto d'olio, aglio, prezzemolo, sugo di pomodoro o conserva e conditelo
con sale e pepe. Levate il pesce, passate il suo intinto e in questo sciogliete
i pinoli che prima avrete abbrustoliti e pestati. Togliete al pesce la testa, la
spina e le lische, tagliatelo a pezzetti, rimettetelo nel suo intinto e uniteci
ogni cosa meno che il riso.
Ora che gli elementi del pasticcio sono tutti pronti, fate la pasta per
rinchiudervelo, di cui eccovi le dosi:
Farina, grammi 400.
Burro, grammi 80
Uova, n. 2.
Vino bianco o marsala, due cucchiaiate
Sale, un pizzico.
Prendete uno stampo qualunque, ungetelo col burro e foderatelo colla detta pasta
tirata a sfoglia; poi riempitelo versandovi prima la metà del riso, indi tutto
il ripieno e sopra il ripieno il resto del riso, ricoprendolo alla bocca colla
stessa pasta. Cuocetelo al forno, sformatelo e servitelo tiepido o freddo.
Eseguito nelle dosi indicate basterà per dodici persone.
503. RANOCCHI IN UMIDO
Il modo più semplice è di farli con un soffritto di olio, aglio e prezzemolo,
sale e pepe, e quando sono cotti, agro di limone. Alcuni, invece del limone,
usano il sugo di pomodoro, ma il primo è da preferirsi.
Non li spogliate mai delle uova che sono il meglio.
504. RANOCCHI ALLA FIORENTINA
Togliete i ranocchi dall'acqua fresca dove li avrete posti dopo averli tenuti
per un momento appena nell'acqua calda se sono stati uccisi d'allora.
Asciugateli bene fra le pieghe d'un canovaccio e infarinateli. Ponete una teglia
al fuoco con olio buono e quando questo comincia a grillettare buttate giù i
ranocchi; conditeli con sale e pepe rimuovendoli spesso perché si attaccano
facilmente. Quando saranno rosolati da ambedue le parti, versate sui medesimi
delle uova frullate, condite anch'esse con sale e pepe e sugo di limone
piacendovi; senza toccarle, lasciatele assodare a guisa di frittata e mandate la
teglia in tavola.
Ai ranocchi va sempre tolta la vescichetta del fiele.
Volendoli fritti, infarinateli e, prima di buttarli in padella, teneteli per
qualche ora in infusione nell'uovo, condito con sale e pepe; oppure, dopo
infarinati, rosolateli appena da ambedue le parti e, presi uno alla volta,
immergeteli nell'uovo condito con pepe, sale e agro di limone, rimettendoli
poscia in padella per finire di cuocerli.
505. ARINGA INGENTILITA
Signori bevitori, a questa aringa (Clupea harengus) posate la forchetta; non è
fatta per voi che avete il gusto grossolano.
Ordinariamente si ricerca l'aringa femmina come più appariscente per la copiosa
quantità delle uova; ma è da preferirsi il maschio che, co' suoi spermatofori
lattiginosi, ossia borsa spermatica, è più delicato. Maschio o femmina che sia,
aprite l'aringa dalla parte della schiena, gettatene via la testa e spianatela;
poi mettetela in infusione nel latte bollente e lasciatevela dalle otto alle
dieci ore. Sarebbe bene che in questo spazio di tempo si cambiasse il latte una
volta. Dopo averla asciugata con un canovaccio, cuocetela in gratella come
l'aringa comune e conditela con olio e pochissimo aceto o, se più vi piace, con
olio e agro di limone.
C'è anche quest'altra maniera per togliere all'aringa il sapore troppo salato.
Mettetela al fuoco con acqua diaccia, fatela bollire per tre minuti, poi
tenetela per un momento nell'acqua fresca; asciugatela, gettatene via la testa,
apritela dalla parte della schiena e conditela come la precedente.
La Clupea harengus è il genere tipico dell'importantissima famiglia dei
Clupeini, la quale comprende, oltre alle aringhe, le salacche, i salacchini, le
acciughe, le sarde e l’Alosa vulgaris, o Clupea comune, chiamata cheppia in
Toscana. Questa, in primavera, rimontando i fiumi per deporre le uova, viene
pescata anche in Arno a Firenze.
Le aringhe vivono in numero sterminato nelle profondità dei mari dell'estrema
Europa e si fanno vedere alla superficie solo al tempo della riproduzione, cioè
nei mesi di aprile, maggio e giugno, e dopo deposte le uova scompariscono nella
profondità della loro abituale dimora. Si vede il mare talora per diverse miglia
di seguito luccicante e l'acqua divenir torbida per la fregola e per le squame
che si distaccano. In Inghilterra arrivano dal luglio al settembre e la pesca,
che si fa con reti circolari, n'è sì abbondante sulle spiagge di Yarmouth che
talvolta se ne sono preparate fino a 500 mila barili.
506. BACCALÀ ALLA FIORENTINA
Il baccalà appartiene alla famiglia delle Gadidee il cui tipo è il merluzzo. Le
specie più comuni de' nostri mari sono il Gadus minutus e il Merlucius
esculentus, o nasello, pesce alquanto insipido, ma di facile digestione per la
leggerezza delle sue carni, e indicato ai convalescenti, specialmente se lesso e
condito con olio e agro di limone.
Il genere Gadus morrhua è il merluzzo delle regioni artiche ed antartiche il
quale, dalla diversa maniera di acconciarlo, prende il nome di baccalà o
stoccafisso e, come ognun sa, è dal fegato di questo pesce che si estrae l'olio
usato in medicina. La pesca del medesimo si fa all'amo e un solo uomo ne prende
in un giorno fino a 500, ed è forse il più fecondo tra i pesci, essendosi in un
solo individuo contate nove milioni di uova.
In commercio si conoscono più comunemente due qualità di baccalari, Gaspy e
Labrador. La prima proveniente dalla Gaspesia, ossia dai Banchi di Terra Nuova
(ove sì pescano ogni anno più di 100 milioni di chilogrammi di merluzzi), è
secca, tigliosa e regge molto alla macerazione; la seconda, che si pesca sulle
coste del Labrador, forse a motivo di un pascolo più copioso, essendo grassa e
tenera, rammollisce con facilità ed è assai migliore al gusto.
Il baccalà di Firenze gode buona reputazione e si può dir meritata perché si sa
macerar bene, nettandolo spesso con un granatino di scopa, e perché essendo
Labrador di prima qualità, quello che preferibilmente vi si consuma, grasso di
sua natura, è anche tenero, tenuto conto della fibra tigliosa di questo pesce
non confacente agli stomachi deboli; per ciò io non l'ho potuto mai digerire.
Questo salume supplisce su quel mercato, nei giorni magri, con molto vantaggio
il pesce, che è insufficiente al consumo, caro di prezzo e spesso non fresco.
Tagliate il baccalà a pezzi larghi quanto la palma della mano e infarinatelo
bene. Poi mettete un tegame o una teglia al fuoco con parecchio olio e due o tre
spicchi d'aglio interi, ma un po' stiacciati. Quando questi cominciano a prender
colore buttate giù il baccalà e fatelo rosolare da ambedue le parti,
rimuovendolo spesso affinché non si attacchi. Sale non ne occorre o almeno ben
poco previo l'assaggio, ma una presa di pepe non ci fa male. Per ultimo
versategli sopra qualche cucchiaiata di sugo di pomodoro n. 6, o conserva
diluita nell'acqua; fatelo bollire ancora un poco e servitelo.
507. BACCALÀ ALLA BOLOGNESE
Tagliatelo a pezzi grossi come il precedente e così nudo e crudo mettetelo in un
tegame o in una teglia unta coll'olio. Fioritelo di sopra con un battutino di
aglio e prezzemolo e conditelo con qualche presa di pepe, olio e pezzetti di
burro. Fatelo cuocere a fuoco ardente e voltatelo adagio perché, non essendo
stato infarinato, facilmente si rompe. Quando è cotto strizzategli sopra del
limone e mandatelo al suo destino.
508. BACCALÀ DOLCE-FORTE
Cuocetelo come il baccalà n. 506, meno l'aglio, e quando sarà rosolato da ambe
le parti, versateci su il dolce-forte, fatelo bollire ancora un poco e servitelo
caldo.
Il dolce-forte o l'agro-dolce, se così vi piace chiamarlo, preparatelo avanti in
un bicchiere, e se il baccalà fosse grammi 500 all'incirca, basteranno un dito
di aceto forte, due dita di acqua, zucchero a sufficienza, pinoli e uva
passolina in proporzione. Prima di versarlo sul baccalà non è male il farlo
alquanto bollire a parte. Se vi vien bene sentirete che nel suo genere sarà
gradito.
509. BACCALÀ IN GRATELLA
Onde riesca meno risecchito si può cuocere a fuoco lento sopra un foglio di
carta bianca, consistente, unta avanti. Conditelo con olio, pepe e, se vi piace,
qualche ciocchettina di ramerino.
510. BACCALÀ FRITTO
La padella è l'arnese che in cucina si presta a molte belle cose; ma il baccalà
a me pare vi trovi la fine più deplorevole perché, dovendo prima esser lessato e
involtato in una pastella, non vi è condimento che basti a dargli conveniente
sapore, e però alcuni, non sapendo forse come meglio trattarlo, lo intrugliano
nella maniera che sto per dire. Per lessarlo mettetelo al fuoco in acqua diaccia
e appena abbia alzato il primo bollore levatelo che già è cotto. Senz'altra
manipolazione si può mangiar così condito con olio e aceto; ma veniamo ora
all'intruglio che vi ho menzionato, padronissimi poi di provarlo o di mandare al
diavolo la ricetta e chi l'ha scritta. Dopo lessato mettete in infusione il
pezzo del baccalà tutto intero nel vino rosso e tenetecelo per qualche ora; poi
asciugatelo in un canovaccio e tagliatelo a pezzetti nettandolo dalle spine e
dalle lische. Infarinatelo leggermente e gettatelo in una pastella semplice di
acqua, farina e un gocciolo d'olio senza salarla. Friggetelo nell'olio e
spolverizzatelo di zucchero quando avrà perduto il primo bollore. Mangiato
caldo, l'odor del vino si avverte appena; non pertanto, se lo trovate un piatto
ordinario, la colpa sarà vostra che l'avete voluto provare.
511. COTOLETTE DI BACCALÀ
Si tratta sempre di baccalà, quindi non vi aspettate gran belle cose; però,
preparato in questa maniera sarà meno disprezzabile del precedente; non
foss'altro vi lusingherà la vista col suo aspetto giallo-dorato a somiglianza
delle cotolette di vitella di latte.
Cuocetelo lesso come l'antecedente e, se la quantità fosse di grammi 500,
dategli per compagnia due acciughe e un pizzico di prezzemolo, tritando fine
fine ogni cosa insieme colla lunetta. Poi aggiungerete qualche presa di pepe, un
pugno di parmigiano grattato, tre o quattro cucchiaiate di pappa, composta di
midolla di pane, acqua e burro, per renderlo più tenero, e due uova. Formato
così il composto, prendetelo su a cucchiaiate, buttatelo nel pangrattato,
stiacciatelo colle mani per dargli la forma di cotolette che intingerete
nell'uovo sbattuto, e poi un'altra volta avvolgerete nel pangrattato.
Friggetelo nell'olio e mandatelo in tavola con spicchi di limone o salsa di
pomodoro. Basterà la metà di questa dose per nove o dieci cotolette.
512. BACCALÀ IN SALSA BIANCA
Baccalà ammollito, grammi 400.
Burro, grammi 70.
Farina, grammi 30.
Una patata del peso di circa grammi 150.
Latte, decilitri 3 ½.
Lessate il baccalà e nettatelo dalla pelle, dalle lische e dalla spina. Lessate
anche la patata e tagliatela a tocchetti. Fate una balsamella col latte e la
farina e quando è cotta uniteci un poco di prezzemolo tritato, datele l'odore
della noce moscata, versateci dentro la patata e salatela. Poi aggiungete il
baccalà a pezzi, mescolate e dopo un poco di riposo servitelo che piacerà e sarà
lodato. Se non si tratta di forti mangiatori potrà bastare per quattro persone.
Per adornarlo un poco potreste contornarlo con degli spicchi di uova sode.
513. STOCCAFISSO IN UMIDO
Stoccafisso ammollito, grammi 500 così diviso:
Schiena, grammi 300; pancette, grammi 200.
Levategli la pelle e tutte le lische, poi tagliate la parte della schiena a
fettine sottili e le pancette a quadretti larghi due dita. Fate un soffritto con
olio in abbondanza, un grosso spicchio d'aglio o due piccoli e un buon pizzico
di prezzemolo. Quando sarà colorito gettateci lo stoccafisso, conditelo con sale
e pepe, rimestate per fargli prendere sapore e dopo poco versateci sei o sette
cucchiaiate della salsa di pomodoro del n. 125, oppure pomodori a pezzi senza la
buccia e i semi, fate bollire adagio per tre ore almeno, bagnandolo con acqua
calda versata poco per volta ed unendovi dopo due ore di bollitura una patata
tagliata a tocchetti. Questa quantità è sufficiente per tre o quattro persone. È
piatto appetitoso, ma non per gli stomachi deboli. Un amico mio, certo di fare
cosa gradita, non si perita d'invitare dei gran signori a mangiare questo piatto
da colazione.
514. CIECHE ALLA PISANA
Vedi Anguilla n. 490.
Lavatele diverse volte e quando non faranno più la schiuma, versatele sullo
staccio per scolarle.
Ponete al fuoco, olio, uno spicchio o due d'aglio interi, ma un po' stiacciati,
e alcune foglie di salvia. Quando l'aglio sarà colorito versate le cieche e, se
sono ancor vive, copritele con un testo onde non saltino via. Conditele con sale
e pepe, rimuovetele spesso col mestolo e bagnatele con un poco d'acqua, se
prosciugassero troppo. Cotte che siano, legatele con uova frullate a parte,
mescolate con parmigiano, pangrattato e limone.
Se la quantità delle cieche fosse di grammi 300 a 350, la quale basta per
quattro persone, potrete legarle con:
Uova, n. 2.
Parmigiano, due cucchiaiate.
Pangrattato, una cucchiaiata.
Mezzo limone e un po' d'acqua.
Se le servite nel vaso ove sono state cotte, ponetele per ultimo fra due fuochi
onde facciano alla superficie la crosticina in bianco.
Il chiarissimo prof. Renato Fucini (l'ameno Neri Tanfucio) il quale, a quanto
pare, è un grande amatore di cieche alla salvia, si compiace farmi sapere che
sarebbe una profanazione, un sacrilegio, se queste - benché sembrino teneri
pesciolini - si tenessero a cuocere per un tempo minore di una ventina di minuti
almeno.
515. CIECHE FRITTE I
Cuocetele in umido con olio, aglio intero e salvia, come quelle descritte al
numero precedente; poi, levato l'aglio, tritatele minute. Frullate delle uova in
proporzione, salatele, aggiungete parmigiano, un poco di pangrattato e
mescolateci dentro le cieche per friggerle a cucchiaiate e farne frittelle che
servirete con limone a spicchi, e pochi, mangiandole, si accorgeranno che sia un
piatto di pesce.
516. CIECHE FRITTE II
Ho visto a Viareggio che le cieche si possono friggere come l'altro pesce;
infarinate soltanto con farina di grano o di granturco e gettate in padella. In
questa maniera le avrete più semplici, ma assai meno buone di quelle descritte
al numero antecedente.
517. TINCHE IN ZIMINO
La tinca disse al luccio: - Vai più la mia testa che il tuo buccio. - Buccio per
busto, licenza poetica, per far la rima. Poi c'è il proverbio: “Tinca di maggio
e luccio di settembre”.
Fate un battutino con tutti gli odori, e cioè: cipolla, aglio, prezzemolo,
sedano e carota; mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore, versate
le teste delle tinche a pezzettini e conditele con sale e pepe. Fatele cuocer
bene, bagnandole con sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, poi passate
il sugo e mettetelo da parte. Nettate le tinche, tagliate loro le pinne e la
coda e così intere, ponetele al fuoco con olio quando comincia a soffriggere.
Conditele con sale e pepe e tiratele a cottura col detto sugo versato a poco per
volta. Potrete mangiarle così che sono eccellenti; ma per dare al zimino il suo
vero carattere ci vuole un contorno d'erbaggi, bietola o spinaci a cui, dopo
lessati, farete prender sapore nell'intinto di questo umido. I piselli pure vi
stanno bene. Anche il baccalà in zimino va cucinato così.
518. LUCCIO IN UMIDO
Il luccio è un pesce comune nelle nostre acque dolci che si fa notare per certe
sue particolarità. È molto vorace e siccome si nutre esclusivamente di pesce, la
sua carne riesce assai delicata al gusto; però, essendo fornito di molte lische,
bisogna scegliere sempre individui del peso di 600 a 700 grammi; sono anche da
preferirsi quelli che vivono in acque correnti, i quali si distinguono per la
schiena verdastra e il ventre bianco argentato; mentre quelli delle acque
stagnanti si conoscono dall’oscurità della pelle. Si trovano dei lucci del peso
fino a 10, 15 e anche 30 chilogrammi e di un'età assai elevata; credesi perfino
di oltre 200 anni. Le uova della femmina e gli spermatofori lattiginosi del
maschio non vanno mangiati perché hanno un'azione molto purgativa.
Ammesso che abbiate da cucinare un luccio dell'indicato peso all'incirca,
raschiategli le scaglie, vuotatelo, tagliate via la testa e la coda e dividetelo
in quattro o cinque pezzi, che potranno bastare ad altrettante persone. Ogni
pezzo steccatelo per il lungo con due lardelli di lardone conditi con sale e
pepe, e poi fate un battuto proporzionato con cipolla quanto una grossa noce, un
piccolo spicchio d'aglio, una costola di sedano, un pezzetto di carota e un
pizzico di prezzemolo, il tutto tritato fine perché non occorre passarlo.
Mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore fermatelo con sugo di
pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, sale e pepe per condimento. Poi
condensate alquanto questo intinto con un pezzetto di burro intriso nella
farina, mescolate bene e collocateci il pesce facendolo bollire adagio e
rivoltandolo; per ultimo versateci una cucchiaiata di marsala o, mancando
questa, un gocciolo di vino, e lasciatelo bollire ancora un poco prima di
mandarlo in tavola in mezzo alla sua salsa.
519. PALOMBO FRITTO
Tagliate il palombo in rotelle non tanto grosse e lasciatele in infusione
nell'uovo alquanto salato per qualche ora. Mezz'ora avanti di friggerle
involtatele in un miscuglio formato di pangrattato, parmigiano, aglio e
prezzemolo tritati, sale e pepe. Un piccolo spicchio d'aglio basterà per grammi
500 di pesce. Contornatelo con spicchi di limone.
520. PALOMBO IN UMIDO
Tagliatelo a pezzi piuttosto grossi e poi fate un battuto con aglio, prezzemolo
e pochissima cipolla. Mettetelo al fuoco con olio e, quando avrà soffritto a
sufficienza, collocateci il palombo e conditelo con sale e pepe. Rosolato che
sia versateci un po' di vino rosso, o bianco asciutto, e sugo di pomodoro o
conserva per tirarlo a cottura.
ARROSTI
Gli arrosti allo spiede, eccezion fatta degli uccelli e dei piccioni, ne' quali
sta bene la salvia intera, non si usa più di lardellarli né di pillottarli, né
di steccarli con aglio, ramerino od altri odori consimili che facilmente
stuccano o tornano a gola. Dove l'olio è buono ungeteli con questo liquido,
altrimenti usate lardo o burro ove, per qualche ragione locale, si suol dar la
preferenza all'uno più che all'altro di questi condimenti.
L'arrosto, in generale, si preferisce saporito e però largheggiate alquanto col
sale per le carni di vitella di latte, agnello, capretto, pollame e maiale:
tenetevi più scarsi colle carni grosse e coll'uccellame perché queste sono carni
per sé stesse assai saporite; ma salate sempre a mezza o anche a due terzi di
cottura. Commettono grave errore coloro che salano un arrosto qualunque prima di
infilarlo nello spiede perché il fuoco allora lo prosciuga, anzi lo risecchisce.
Il maiale e le carni di bestie lattanti, come vitella di latte, agnello,
capretto e simili, debbono esser ben cotte per prosciugare la soverchia loro
umidità. Il manzo e il castrato cuoceteli assai meno perché, essendo queste
carni molto asciutte devono restare sugose. Gli uccelli cuoceteli a fiamma, ma
badate di non arrivarli troppo, ché quelle carni perderebbero allora gran parte
del loro aroma; però avvertite che non sanguinino il che potrete conoscere
pungendoli sotto l'ala. Anche dei polli si può conoscere la giusta cottura
quando, pungendoli nella stessa maniera, non esce più sugo.
Le carni di pollo risulteranno più tenere e di miglior colore se le arrostirete
involtate dentro ad un foglio la cui parte aderente alla carne sia prima stata
unta di burro; per evitare che la carta bruci, ungetela spesso all'esterno. A
mezza cottura levate il foglio e terminate di cuocere il pollo, il tacchino o
altro che sia, salandoli ed ungendoli.
In questo caso sarà bene di mettere un po' di sale nel loro interno prima
d'infilarli allo spiede e di steccar con lardone il petto de' tacchini e delle
galline di Faraone. Qui è bene avvertire che il piccione giovane e il cappone
ingrassato, sia arrosto che lesso, sono migliori diacci che caldi e stuccano
meno.
Le carni arrostite conservano meglio, che preparate in qualunque altra maniera,
le loro proprietà alimentari e si digeriscono più facilmente.
521. ROAST-BEEF I
Questa voce inglese è penetrata in Italia col nome volgare di rosbiffe, che vuoi
dire bue arrosto. Un buon rosbíffe è un piatto di gran compenso in un pranzo ove
predomini il genere maschile, il quale non si appaga di bricciche come le donne,
ma vuoi ficcare il dente in qualche cosa di sodo e di sostanzioso.
Il pezzo che meglio si presta è la lombata indicata per la bistecca alla
fiorentina n. 556. Onde riesca tenero, deve essere di bestia giovane e deve
superare il peso di un chilogrammo, perché il fuoco non lo prosciughi, derivando
la bellezza e bontà sua dal punto giusto della cottura indicato dal color roseo
all'interno e dalla quantità del sugo che emette affettandolo. Per ottenerlo in
codesto modo cuocetelo a fuoco ardente e bene acceso fin da principio onde sia
preso subito alla superficie; ungetelo con l'olio, che poi scolerete dalla
leccarda, e per ultimo passategli sopra un ramaiuolo di brodo, il quale, unito
all'unto caduto dal rosbiffe, servirà di sugo al pezzo quando lo mandate in
tavola. Salatelo a mezza cottura tenendovi un po' scarsi perché questa qualità
di carne, come già dissi, è per sé saporita, e abbiate sempre presente che il
benefico sale è il più fiero nemico di una buona cucina.
Mettetelo al fuoco mezz'ora prima di mandare la minestra in tavola, il che è
sufficiente se il pezzo non è molto grosso, e per conoscerne la cottura
pungetelo nella patte più grossa con un sottile lardatoio, ma non bucatelo
spesso perché non dissughi. Il sugo che n'esce non dev'essere né di color del
sangue, né cupo. Le patate per contorno rosolatele a parte nell'olio da crude e
sbucciate, intere se sono piccole, e a quarti se sono grosse.
Il rosbiffe si può anche mandare al forno, ma non viene buono come allo spiede.
In questo caso conditelo con sale, olio e un pezzo di burro, contornatelo di
patate crude sbucciate, e versate nel tegame un bicchiere d'acqua.
Se il rosbiffe avanzato non vi piace freddo, tagliatelo a fette, rifatelo con
burro e sugo di carne o di pomodoro.
522. ROAST-BEEF II
Questa seconda maniera di cuocere il rosbiffe mi sembra che sia da preferirsi
alla prima, perché rimane più sugoso e più profumato. Dopo averlo infilato nello
spiede, involtatelo in un foglio bianco non troppo sottile e bene imburrato con
burro diaccío: legatelo alle due estremità onde resti ben chiuso e mettetelo al
fuoco di carbone molto acceso. Giratelo e quando sarà quasi cotto strappate via
la carta, salatelo e fategli prendere il colore. Tolto dal fuoco, chiudetelo tra
due piatti e dopo dieci minuti servitelo.
523. SFILETTATO TARTUFATO
I macellari di Firenze chiamano sfilettato la lombata di manzo o di vitella a
cui sia stato levato il filetto.
Prendete dunque un pezzo grosso di sfilettato e steccatelo tutto con pezzetti di
tartufi, meglio bianchi che neri, tagliati a punta e lunghi tre centimetri
circa, unendo ad ognuno di questi un pezzetto di burro per riempire il buco che
avrete aperto con la punta del coltello per inserirli. Fate delle incisioni a
traverso la cotenna onde non si ritiri, legatelo ed infilatelo nello spiede per
cuocerlo. A due terzi di cottura dategli un'untatina con olio e salatelo
scarsamente, perché queste carni di bestie grosse sono assai saporite e non
hanno bisogno di molto condimento.
524. ARROSTO DI VITELLA DI LATTE
La vitella di latte si macella in tutti i mesi dell'anno; ma nella primavera e
nell'estate la troverete più grassa, più nutrita e di miglior sapore. I pezzi
che più si prestano per l'arrosto allo spiede sono la lombata e il culaccio, e
non hanno bisogno che d'olio e sale per condimento.
Gli stessi pezzi si possono cuocere in tegame, leggermente steccati d'aglio e
ramerino, con olio, burro e un battutino di carnesecca, sale, pepe e sugo di
pomodoro per cuocere nell'intinto piselli freschi. E questo un piatto che piace
a molti.
525. PETTO DI VITELLA DI LATTE IN FORNO
Se io sapessi chi inventò il forno vorrei erigergli un monumento a mie spese; in
questo secolo di monumentomania credo che ei lo meriterebbe più di qualcun
altro.
Trattandosi di un piatto di famiglia lasciate il pezzo come sta, con tutte le
sue ossa, e se non eccedesse il peso di 600 a 700 grammi potete cuocerlo al
forno da campagna. In questo caso steccatelo con grammi 50 o 60 di prosciutto
più magro che grasso tagliato fine, legatelo onde stia raccolto, spalmatelo
tutto copiosamente di lardo (strutto) e salatelo. Collocatelo in una teglia e
una diecina di minuti prima di levarlo dal fuoco uniteci delle patate che, in
quell'unto, vengono molto buone.
Invece dello strutto potete servirvi di burro e olio e invece del prosciutto
salarlo generosamente.
526. ARROSTO MORTO
Potete fare nella maniera che sto per dire ogni sorta di carne; ma quella che
più si presta, a parer mio, è la vitella di latte. Prendetene un bel pezzo nella
lombata che abbia unita anche la pietra. Arrocchiatelo e legatelo con uno spago
perché stia più raccolto e mettetelo al fuoco in una cazzaruola con olio fine e
burro, ambedue in poca quantità. Rosolatelo da tutte le parti, salatelo a mezza
cottura e finite di cuocerlo col brodo in guisa che vi resti poco o punto sugo.
Sentirete un arrosto che se non ha il profumo e il sapore di quello fatto allo
spiede avrà in compenso il tenero e la delicatezza. Se non avete il brodo
servitevi del sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua. Se vi piace più
saporito aggiungete carnesecca tritata fine.
527. ARROSTO MORTO COLL’ODORE DELL’AGLIO E DEL RAMERINO
Se, piacendovi questi odori, non amate che tornino a gola, non fate come coloro
che steccano un pollo, un pezzo di filetto o altra carne qualunque con pezzi
d'aglio e ramerino; ma regolandovi, quanto alla cucinatura, come nel caso
precedente, gettate nella cazzaruola uno spicchio di aglio intero e due ciocche
di ramerino. Quando mandate l'arrosto in tavola passate il suo sugo ristretto
senza spremerlo e contornate, se credete, il pezzo della carne con patate, od
erbaggi rifatti a parte. In questo caso, piacendovi, potete anche aggraziare la
carne con pochissimo sugo di pomodoro o conserva.
Il cosciotto d'agnello viene assai bene in questa maniera, cotto tra due fuochi.
528. UCCELLI ARROSTO
Gli uccelli devono essere freschi e grassi; ma soprattutto freschi. In que'
paesi dove si vendono già pelati bisogna essere tondi bene per farsi mettere in
mezzo. Se li vedete verdi o col brachiere, cioè col buzzo nero, girate largo; ma
se qualche volta rimaneste ingannati, cucinateli come il piccione in umido n.
276, perché se li mettete allo spiede, oltreché aprirsi tutti durante la
cottura, tramandano, molto più che fatti in umido, quel fetore della
putrefazione, ossia della carne faisandée come la chiamano i Francesi: puzzo
intollerabile alle persone di buon gusto, ma che purtroppo non dispiace in
qualche provincia d'Italia ove il gusto, per lunga consuetudine, si è depravato
fors'anche a scapito della salute.
Un'eccezione potrebbe farsi per le carni del fagiano e della beccaccia, le
quali, quando sono frolle, pare acquistino, oltre alla tenerezza, un profumo
particolare, specialmente poi se il fagiano lasciasi frollare senza pelarlo. Ma
badiamo di non far loro oltrepassare il primo indizio della putrefazione perché
altrimenti potrebbe accadervi come accadde a me quando avendomi un signore
invitato a pranzo in una trattoria molto rinomata, ordinò, fra le altre cose per
farmi onore, una beccaccia coi crostini; ebbene questa tramandava dal bel mezzo
della tavola un tale fetore che, sentendomi rivoltar lo stomaco, non fui capace
neppure di appressarmela alla bocca, lasciando lui mortificato ed io col dolore
di non aver potuto aggradire la cortesia dell'amico.
Gli uccelli dunque, siano tordi, allodole o altri più minuti, non vuotateli mai
e prima d'infilarli acconciateli in questa guisa: rovesciate loro le ali sul
dorso onde ognuna di esse tenga ferme una o due foglie di salvia; le zampe
tagliatele all'estremità ed incrociatele facendone passare una sopra il
ginocchio dell'altra, forando il tendine, e in questa incrociatura ponete una
ciocchettina di salvia. Poi infilateli collocando i più grossi nel mezzo
tramezzandoli con un crostino, ossia una fettina di pane di un giorno grossa un
centimetro e mezzo, oppure, se trovasi, un bastoncino tagliato a sbieco.
Con fettine di lardone, salate avanti e sottili quanto la carta, fasciate il
petto dell'uccello in modo che si possa infilare nello spiede insieme col pane.
Cuoceteli a fiamma e se il loro becco non l'avete confitto nello sterno,
teneteli prima fermi alquanto col capo penzoloni onde facciano, come suol dirsi,
il collo; ungeteli una volta sola coll'olio quando cominciano a rosolare
servendovi di un pennello o di una penna per non toccare i crostini, i quali
sono già a sufficienza conditi dai due lardelli e salateli una volta sola.
Metteteli al fuoco ben tardi perché dovendo cuocere alla svelta c'è il caso che
arrivino presto e risecchiscano. Quando li mandate in tavola sfilateli pari
pari, onde restino uniti sul vassoio e composti in fila, che così faranno più
bella mostra.
Quanto all'arrosto d'anatra o di germano, che sa di selvatico, alcuni gli
spremono sopra un limone quando comincia a colorire e l'ungono con quell'agro e
coll'olio insieme raccolto nella ghiotta.
529. ARROSTO D’AGNELLO ALL’ARETINA
L'agnello comincia ad esser buono in dicembre, e per Pasqua o è cominciata o sta
per cominciare la sua decadenza.
Prendete un cosciotto o un quarto d'agnello, conditelo con sale, pepe, olio e un
gocciolo d'aceto. Bucatelo qua e là colla punta di un coltello e lasciatelo in
questo guazzo per diverse ore. Infilatelo nello spiede e con un ramoscello di
ramerino ungetelo spesso fino a cottura con questo liquido, il quale serve a
levare all'agnello il sito di stalla, se temete che l'abbia, e a dargli un gusto
non disgradevole.
Piacendovi più pronunziato l'odore del ramerino potete steccare il pezzo con
alcune ciocche del medesimo, levandole prima di mandarlo in tavola.
530. COSCIOTTO DI CASTRATO ARROSTO
La stagione del castrato è dall'ottobre al maggio. Dicesi che si deve preferire
quello di gamba corta e di carne color rosso bruno. Il cosciotto arrostito offre
un nutrimento sano e nutriente, opportuno specialmente a chi ha tendenza alla
pinguedine.
Prima di cuocerlo lasciatelo frollare diversi giorni, più o meno a seconda della
temperatura. Prima d'infilarlo allo spiede battetelo ben bene con un mazzuolo di
legno, poi spellatelo e levategli, senza troppo straziarlo, l'osso di mezzo.
Dopo, perché resti tutto raccolto, legatelo e dategli fuoco ardente da
principio, e a mezza cottura diminuite il calore. Quando comincia a gettare il
sugo, che raccoglierete nella leccarda, bagnatelo col medesimo e con brodo
digrassato, nient'altro. Salatelo a cottura quasi completa; ma badate che non
riesca troppo cotto né che sanguini e servitelo in tavola col suo sugo in una
salsiera e perché faccia miglior figura involgete l'estremità dell'osso della
gamba in carta bianca frastagliata.
531. ARROSTO DI LEPRE I
Le parti della lepre (Lepus timidus) adatte per fare allo spiede sono i quarti
di dietro; ma le membra di questa selvaggina sono coperte di pellicole che
bisogna accuratamente levare, prima di cucinarle, senza troppo intaccare i
muscoli.
Avanti di arrostirla tenetela in infusione per dodici o quattordici ore in un
liquido così preparato: mettete al fuoco in una cazzaruola tre bicchieri d'acqua
con mezzo bicchier d'aceto o anche meno in proporzione del pezzo, tre o quattro
scalogni troncati, una o due foglie d'alloro, un mazzettino di prezzemolo, un
pochino di sale e una presa di pepe; fatelo bollire per cinque o sei minuti e
versatelo diaccio sulla lepre. Tolta dall'infusione asciugatela e steccatela
tutta col lardatoio con fettine di lardone di qualità fine. Cuocetela a fuoco
lento, salatela a sufficienza ed ungetela con panna di latte e nient'altro.
Dicono che il fegato della lepre non si deve mangiare perché nocivo alla salute.
532. ARROSTO DI LEPRE II
Se la lepre sarà ben frolla potete arrostire i quarti di dietro senza farli
precedere dall'infusione nella seguente maniera. Levate le pellicole più grosse
dai muscoli esterni e steccate tutto il pezzo di lardelli di lardone che avrete
salati avanti. Infilato allo spiede, avvolgetelo in una carta imburrata e
cosparsa di sale. Quando sarà cotto togliete la carta e con un ramoscello di
ramerino intinto nel burro, ungetelo e fatelo colorire, salandolo ancora un
poco.
533. CONIGLIO ARROSTO
Anche per un arrosto di coniglio allo spiede non si prestano che i quarti di
dietro. Steccatelo di lardone, ungetelo con olio o, meglio, col burro e salatelo
a cottura quasi completa.
534. ARROSTO MORTO LARDELLATO
Prendete, mettiamo, un pezzo corto e grosso di magro, di vitella o di manzo,
nella coscia o nel culaccio, ben frollo e del peso di un chilogrammo
all'incirca; steccatelo con grammi 30 di prosciutto grasso e magro tagliato a
fettine. Legatelo collo spago per tenerlo raccolto e mettetelo in una cazzaruola
con grammi 30 di burro, un quarto di una cipolla diviso in due pezzi, tre o
quattro costole di sedano lunghe meno di un dito ed altrettante strisce di
carota. Condite con sale e pepe e quando la carne avrà preso colore, voltandola
spesso, annaffiatela con due piccoli ramaiuoli d'acqua e tiratela a cottura con
fuoco lento, lasciandole prosciugare molta parte dell'umido, ma badate non vi si
risecchi e diventi nera. Quando la mandate in tavola passate il poco succo
rimasto e versatelo sulla carne che potrete contornar di patate a spicchi,
rosolati nel burro o nell'olio.
Potete anche metter l'arrosto morto al fuoco col solo burro e tirarlo a cottura
con la cazzaruola coperta da una scodella piena d'acqua.
535. PICCIONE A SORPRESA
È una sorpresa de' miei stivali; ma comunque sia è bene conoscerla perché non è
cosa da disprezzarsi.
Se avete un piccione da mettere allo spiede e volete farlo bastare a più di una
persona, riempitelo con una braciuola di vitella o di vitella di latte.
S'intende che questa braciuola dev'essere di grandezza proporzionata.
Battetela bene per renderla più sottile e più morbida, conditela con sale, pepe,
una presina di spezie e qualche pezzetto di burro, arrocchiatela e mettetela
dentro al piccione cucendone l'apertura. Se al condimento suddetto aggiungerete
delle fettine di tartufi sarà meglio che mai. Potete anche cuocere a parte la
cipollina e il fegatino del piccione nel sugo o nel burro, pestarli e con essi
spalmare la braciuola; così l'aroma differente delle due qualità di carne si
amalgama e si forma un gusto migliore.
Ciò che si è detto pel piccione valga per un pollastro.
536. QUAGLIETTE
Servitevi delle bracioline ripiene del n. 307, oppure fate l'involucro con
vitella di latte e quando saranno ripiene, fasciatele con una fettina
sottilissima di lardone e legatele in croce col refe. Infilatele nello spiede
per cuocerle arrosto, ognuna fra due crostini e con qualche foglia di salvia,
ungetele coll'olio, salatele, bagnatele con qualche cucchiaiata di brodo e
scioglietele quando le mandate in tavola.
Anche col filetto di manzo a pezzetti, fasciato di lardone, coll'odore della
salvia e fra due crostini, si ottiene un buonissimo arrosto.
537. BRACIUOLA DI MANZO RIPIENA ARROSTO
Una braciuola di manzo grossa un dito del peso di grammi 500.
Magro di vitella di latte, grammi 200.
Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Lingua salata, grammi 30.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Fegatini di pollo, n. 2.
Uova, n. l.
Una midolla di pane fresco grossa un pugno
Fate un battutino con cipolla quanto una noce, un poco di sedano, carota e
prezzemolo; mettetelo al fuoco col detto burro e, rosolato che sia, gettateci la
vitella di latte a pezzetti e i fegatini, poco sale e pepe per condimento,
tirando la carne a cottura con un po' di brodo. Levatela asciutta per tritarla
fine colla lunetta e nell'intinto che resta fate una pappa soda con la midolla
del pane, bagnandola con brodo se occorre. Ora, fate tutto un impasto, con la
carne tritata, la pappa, l'uovo, il parmigiano, il prosciutto e la lingua
tagliata a dadini. Composto così il ripieno, tuffate appena la braciuola di
manzo nell'acqua, per poterla distender meglio, battetela con la costola del
coltello e spianatela con la lama. Collocateci il ripieno in mezzo e formatene
un rotolo che legherete stretto a guisa di salame prima dalla parte lunga e poi
per traverso. Infilatela nello spiede per la sua lunghezza e arrostitela con
olio e sale. Sentirete un arrosto delicato, il quale potrà bastare per sei o
sette persone.
538. COSTOLETTE DI VITELLA DI LATTE ALLA MILANESE
Tutti conoscete le costolette semplici alla milanese, ma se le aggradite più
saporite trattatele in questa guisa.
Dopo aver denudato l'osso della costola e scartatine i ritagli, spianatele con
la lama di un grosso coltello per allargarle e ridurle sottili. Poi fate un
battuto con prosciutto più grasso che magro, un poco di prezzemolo, parmigiano
grattato, l'odor dei tartufi, se li avete, e poco sale e pepe. Con questo
composto spalmate le costolette da una sola parte, mettetele in infusione
nell'uovo, poi panatele e cuocetele alla sauté col burro, servendole con spicchi
di limone. Per cinque costolette, se non sono molto grosse, basteranno grammi 50
di prosciutto e due cucchiaiate colme di parmigiano.
539. POLLO RIPIENO ARROSTO
Non è un ripieno da cucina fine, ma da famiglia. Per un pollo di mediocre
grandezza eccovi all'incirca la dose
degli ingredienti:
Due salsicce.
Il fegatino, la cresta e i bargigli del pollo medesimo.
Otto o dieci marroni bene arrostiti.
Una pallina di tartufi o, in mancanza di questi, alcuni pezzetti di funghi
secchi.
L'odore di noce moscata.
Un uovo.
Se invece di un pollo fosse un tacchino, duplicate la dose.
Cominciate col dare alle salsicce e alle rigaglie mezza cottura nel burro,
bagnandole con un po' di brodo se occorre; conditele con poco sale e poco pepe a
motivo delle salsicce. Levatele asciutte e nell'umido che resta gettate una
midolla di pane, per ottenere con un po' di brodo due cucchiaiate di pappa soda.
Spellate le salsicce, tritate con la lunetta le rigaglie e i funghi rammolliti,
e insieme colle bruciate, coll'uovo e la pappa pestate ogni cosa ben fine in un
mortaio, meno i tartufi che vanno tagliati a fettine e lasciati crudi. Questo è
il composto col quale riempirete il pollo, il cui ripieno si lascierà tagliar
meglio diaccio che caldo e sarà anche più grato al gusto.
540. CAPPONE ARROSTO TARTUFATO
La cucina è estrosa, dicono i fiorentini, e sta bene perché tutte le pietanze si
possono condizionare in vari modi secondo l'estro di chi le manipola; ma
modificandole a piacere non si deve però mai perder di vista il semplice, il
delicato e il sapore gradevole, quindi tutta la questione sta nel buon gusto di
chi le prepara. Io nell'eseguire questo piatto costoso ho cercato di attenermi
ai precetti suddetti, lasciando la cura ad altri d'indicare un modo migliore.
Ammesso che un cappone col solo busto, cioè vuoto, senza il collo e le zampe,
ucciso il giorno innanzi, sia del peso di grammi 800 circa, lo riempirei nella
maniera seguente:
Tartufi, neri o bianchi che siano poco importa, purché odorosi, grammi 250.
Burro, grammi 80.
Marsala, cucchiaiate n. 5.
I tartufi, che terrete grossi come le noci, sbucciateli leggermente e la buccia
gettatela così cruda dentro al cappone; anche qualche fettina di tartufo crudo
si può inserire sotto la pelle. Mettete il burro al fuoco e quando è sciolto
buttateci i tartufi con la marsala, sale e pepe per condimento e, a fuoco
ardente, fateli bollire per due soli minuti rimuovendoli sempre. Levati dalla
cazzaruola, lasciateli diacciare finché l'unto sia rappreso e poi versate il
tutto nel cappone, per cucirlo tanto nella parte inferiore che nell'anteriore
dove è stato levato il collo.
Serbatelo in luogo fresco per cuocerlo dopo 24 ore dandogli così tre giorni di
frollatura.
Se si trattasse di un fagiano o di un tacchino regolatevi in proporzione.
Questi, d'inverno, è bene conservarli ripieni tre o quattro giorni prima di
cuocerli, anzi pel fagiano bisogna aspettare i primi accenni della putrefazione,
ché allora la carne acquista quel profumo speciale che la distingue. Per la
cottura avvolgeteli in un foglio e trattateli come la gallina di Faraone n. 546.
541. POLLO AL DIAVOLO
Si chiama così perché si dovrebbe condire con pepe forte di Caienna e servire
con una salsa molto piccante, cosicché, a chi lo mangia, nel sentirsi accendere
la bocca, verrebbe la tentazione di mandare al diavolo il pollo e chi l'ha
cucinato. Io indicherò il modo seguente che è più semplice e più da cristiano.
Prendete un galletto o un pollastro giovane, levategli il collo e le zampe e,
apertolo tutto sul davanti, schiacciatelo più che potete. Lavatelo ed
asciugatelo bene con un canovaccio, poi mettetelo in gratella e quando comincia
a rosolare, voltatelo, ungetelo col burro sciolto oppure con olio mediante un
pennello e conditelo con sale e pepe. Quando avrà cominciato a prender colore la
parte opposta, voltatelo e trattatelo nella stessa maniera; e continuando ad
ungerlo e condirlo a sufficienza, tenetelo sul fuoco finché sia cotto.
Il pepe di Caienna si vende sotto forma di una polvere rossa, che viene
dall'Inghilterra in boccette di vetro.
542. POLLO IN PORCHETTA
Non è piatto signorile, ma da famiglia. Riempite un pollo qualunque con fettine
di prosciutto grasso e magro, larghe poco più di un dito, aggiungete tre spicchi
d'aglio interi, due ciocchettine di finocchio e qualche chicco di pepe.
Conditelo all'esterno con sale e pepe e cuocetelo in cazzaruola con solo burro e
fra due fuochi. Al tempo delle salsicce potete sostituire queste al prosciutto
introducendole spaccate per il lungo.
543. ARROSTO MORTO DI POLLO ALLA BOLOGNESE
Mettetelo al fuoco con olio, burro, una fetta di prosciutto grasso e magro
tritato fine, qualche pezzetto d'aglio e una ciocchettina di ramerino. Quando
sarà rosolato, aggiungete pomodori a pezzi netti dai semi, oppure conserva
sciolta nell'acqua. Cotto che sia levatelo e in quell'intinto cuocete patate a
tocchetti, indi rimettetelo al fuoco per riscaldarlo.
544. POLLO ALLA RUDINÌ
Questo pollo, battezzato non si sa perché con tal nome, riesce un piatto
semplice, sano e di sapore delicato, perciò lo descrivo. Prendete un pollastro
giovane, levategli il collo, le punte delle ali, e le zampe tagliatele a due
dita dal ginocchio; poi fatene sei pezzi: due colle ali a ciascuna delle quali
lascerete unita la metà del petto, due colle coscie compresavi l'anca e due col
groppone toltane la parte anteriore. Levate le ossa delle anche e la forcella
del petto; i due pezzi del groppone schiacciateli. Frullate un uovo con acqua
quanta ne stia in un mezzo guscio d'uovo, metteteci in infusione il pollo dopo
averlo infarinato e conditelo col pepe e col sale a buona misura lasciandovelo
fino al momento di cuocerlo. Allora prendete i pezzi a uno per uno, panateli e,
messa la sauté o una teglia di rame al fuoco con gr. 100 di burro, cuoceteli in
questa maniera. Quando comincia a soffriggere il burro collocateci per un
momento i pezzi del pollo dalla parte della pelle, poi rivoltateli, coprite la
sauté con un coperchio e con molto fuoco sopra e poco sotto, lasciateli per
circa dieci minuti. Servitelo con spicchi di limone e sentirete che sarà buono
tanto caldo che freddo.
Per parlare un linguaggio da tutti compreso, la Sacra Scrittura dice che Giosuè
fermò il sole e non la terra e noi si fa lo stesso quando si parla di polli,
perché l'anca dovrebbesi chiamar coscia, la coscia gamba e la gamba tarso:
infatti l'anca ha un osso solo che corrisponde al femore degli uomini, la coscia
ne ha due che corrispondono alla tibia e alla fibula e la zampa rappresenta il
primo osso dei piede, cioè il tarso. Così le ali, per la conformità delle ossa,
corrispondono alle braccia che, dalla spalla al gomito sono di un sol pezzo
(omero) e di due pezzi (radio e ulna) nell'avambraccio; le punte delle ali poi
sono i primi accenni di una mano in via di formazione.
Pare, e se è vero potete accertarvene alla prova, che il pollo cotto appena
ucciso sia più tenero che quando è sopraggiunta la rigidità cadaverica.
545. POLLO VESTITO
Non è piatto da farne gran caso, ma può recare sorpresa in un pranzo famigliare.
Prendete il busto di un pollastro giovane, cioè privo delle zampe, del collo e
delle interiora; ungetelo tutto con burro diaccio, spolverizzatelo di sale, e un
pizzico di questo versatelo nell'interno. Poi, colle ali piegate, lasciatelo con
due larghe e sottili fette di prosciutto più magro che grasso e copritelo con la
pasta descritta nella ricetta n. 277, tirata col matterello alla grossezza di
uno scudo all'incirca. Doratela col rosso d'uovo e cuocete il pollo così vestito
a moderato calore nel forno o nel forno da campagna. Servitelo come sta per
essere aperto e trinciato sulla tavola.
A me sembra migliore diaccio che caldo.
546. GALLINA DI FARAONE
Questo gallinaceo originario della Numidia, quindi erroneamente chiamato gallina
d'India, era presso gli antichi il simbolo dell'amor fraterno. Meleagro, re di
Calidone, essendo venuto a morte, le sorelle lo piansero tanto che furono da
Diana trasformate in galline di Faraone. La Numida meleagris, che è la specie
domestica, mezza selvatica ancora, forastica ed irrequieta, partecipa della
pernice sia nei costumi che nel gusto della carne saporita e delicata. Povere
bestie, tanto belline! Si usa farle morire scannate, o, come alcuni vogliono,
annegate nell'acqua tenendovele sommerse a forza; crudeltà questa, come tante
altre inventate dalla ghiottoneria dell'uomo. La carne di questo volatile ha
bisogno di molta frollatura e, nell'inverno, può conservarsi pieno per cinque o
sei giorni almeno.
Il modo migliore di cucinare le galline di Faraone è arrosto allo spiede. Ponete
loro nell'interno una pallottola di burro impastata nel sale, steccate il petto
con lardone ed involtatele in un foglio spalmato di burro diaccio spolverizzato
di sale, che poi leverete a due terzi di cottura per finire di cuocerle e di
colorirle al fuoco, ungendole coll'olio e salandole ancora.
Al modo istesso può cucinarsi un tacchinotto.
547. ANATRA DOMESTICA ARROSTO
Salatela nell'interno e fasciatele tutto il petto con larghe e sottili fette di
lardone tenute aderenti con lo spago.
Ungetela coll'olio e salatela a cottura quasi completa. Il germano, ossia
l'anatra selvatica, essendo naturalmente magra, getta poco sugo e quindi meglio
sarà di ungerla col burro.
548. OCA DOMESTICA
L'oca era già domestica ai tempi di Omero e i Romani (388 anni av. C.) la
tenevano in Campidoglio come animale sacro a Giunone.
L'oca domestica, in confronto delle specie selvatiche, è cresciuta in volume, si
è resa più feconda e pingue in modo da sostituire il maiale presso gl’Israeliti.
Come cibo io non l'ho molto in pratica, perché sul mercato di Firenze non è in
vendita e in Toscana poco o punto si usa la sua carne; ma l'ho mangiata a lesso
e mi piacque. Da essa sola si otterrebbe un brodo troppo dolce; ma mista al
manzo contribuisce a renderlo migliore se ben digrassato.
Mi dicono che in umido e arrosto si può trattare come l'anatra domestica e che
il petto in gratella si usa steccarlo col prosciutto o con le acciughe salate,
per chi si fa un divieto di quello, e condito con olio, pepe e sale.
In Germania si cuoce arrosto ripiena di mele, vivanda codesta non confacente per
noi Italiani, che non possiamo troppo scherzare coi cibi grassi e pesanti allo
stomaco, come rileverete dal seguente aneddoto.
Un mio contadino, uso a solennizzare la festa di Sant’Antonio abate, volle un
anno, meglio del consueto, riconoscerla coll'imbandire un buon desinare a' suoi
amici, non escludendo il fattore.
Tutto andò bene perché le cose furono fatte a dovere; ma un contadino
benestante, che era degli invitati, sentendosi il cuore allargato, perché al
bere e al mangiare aveva fatto del meglio suo, disse ai commensali:
- Per San Giuseppe, che è il titolare della mia parrocchia, vi voglio tutti a
casa mia e in quel giorno s'ha da stare allegri. - Fu accettato volentieri
l'invito e nessuno mancò al convegno.
Giunta l'ora più desiderata per tali feste, che è quella di sedersi a tavola,
cominciò il bello, perocché si diede principio col brodo che era d'oca; il
fritto era d'oca, il lesso era d'oca, l'umido era d'oca, e l'arrosto di che
credete che fosse? era d'oca!! Non so quel che avvenisse degli altri, ma il
fattore verso sera cominciò a sentirsi qualche cosa in corpo che non gli
permetteva di cenare e la notte gli scoppiò dentro un uragano tale di tuoni,
vento, acqua e gragnuola che ad averlo visto il giorno appresso, così sconfitto
e abbattuto di spirito, faceva dubitare non fosse divenuto anch'esso un'oca.
Sono rinomati i pasticci di Strasburgo di fegato d'oca reso voluminoso mediante
un trattamento speciale lungo e crudele, inflitto a queste povere bestie.
A proposito di fegato d'oca me ne fu regalato uno, proveniente dal veneto, che
col suo abbondante grasso attaccato pesava grammi 600, il cuore compreso, e
seguendo l'istruzione ricevuta, lo cucinai semplicemente in questa maniera.
Prima misi al fuoco il grasso, tagliato all'ingrosso, poi il cuore a spicchi e
per ultimo il fegato a grosse fette. Condimento, sale e pepe soltanto; servito
in tavola, scolato dal soverchio unto, con spicchi di limone. Bisogna convenire
che è un boccone molto delicato.
Vedi fegato d'oca n. 274.
549. TACCHINO
Il tacchino appartiene all'ordine dei Rasores, ossia gallinacci, alla famiglia
della Phasanidae e al genere Meleagris. È originario dell'America
settentrionale, estendendosi la sua dimora dal nord ovest degli Stati Uniti allo
stretto di Panama, ed ha il nome di pollo d'India perché Colombo credendo di
potersi aprire una via per le Indie orientali, navigando a ponente, quelle terre
da lui scoperte furono poi denominate Indie occidentali. Pare accertato che gli
Spagnuoli portassero quell'uccello in Europa al principio nel 1500 e dicesi che
i primi tacchini introdotti in Francia furono pagati un luigi d'oro.
Siccome quest'animale si ciba di ogni sudiceria in cui si abbatte, la sua carne,
se è mal nutrito, acquista talvolta un gusto nauseante, ma diviene ottima e
saporosa se alimentato di granturco e di pastoni caldi di crusca. Si può
cucinare in tutti i modi: a lesso, in umido, in gratella e arrosto; la carne
della femmina è più gentile di quella del maschio. Dicono che il brodo di questo
volatile sia caloroso, il che può essere, ma è molto saporito e si presta bene
per le minestre di malfattini, riso con cavolo o rapa, gran farro e farinata di
granturco aggraziate e rese più gustose e saporite con due salsicce sminuzzate
dentro. La parte da preferirsi per lesso è l'anteriore compresa l'ala, che è il
pezzo più delicato. Per l'arrosto morto e per l'arrosto allo spiede si prestano
meglio i quarti di dietro. Trattandosi del primo è bene steccarlo leggermente di
aglio e ramerino e condirlo con un battuto di carnesecca o lardone, un poco di
burro, sale e pepe, sugo di pomodoro o conserva sciolta nell'acqua, onde poter
rosolare nel suo intinto delle patate per contorno. Arrosto allo spiede si unge
coll'olio e, piacendo, si serve con un contorno di polenta fritta. Il petto poi,
spianato alla grossezza di un dito e condito qualche ora avanti a buona misura,
con olio, sale e pepe, è ottimo anche in gratella, anzi è un piatto gradito ai
bevitori, i quali vi aggiungono, conciati nella stessa maniera, il fegatino e il
ventriglio tagliuzzato perché prenda meglio il condimento.
Vi dirò per ultimo che un tacchinotto giovane del peso di due chilogrammi
all'incirca, cotto intero, allo spiede come la gallina di Faraone, può fare
eccellente figura in qualsiasi pranzo, specialmente se è primiticcio.
550. PAVONE
Ora che nella serie degli arrosti vi ho nominati alcuni volatili di origine
esotica, mi accorgo di non avervi parlato del pavone, Pavo cristatus, che mi
lasciò ricordo di carne eccellente per individui di giovane età.
Il più splendido, per lo sfarzo dei colori, fra gli uccelli dell'ordine dei
gallinacei, il pavone abita le foreste delle Indie orientali e trovasi in stato
selvatico a Guzerate nell'Indostan, a Cambogia sulle coste del Malabar, nel
regno di Siam e nell'isola di Giava. Quando Alessandro il Macedone, invasa
l'Asia minore, vide questi uccelli la prima volta dicesi rimanesse così colpito
dalla loro bellezza da interdire con severe pene di ucciderli. Fu quel monarca
che li introdusse in Grecia ove furono oggetto di tale curiosità che tutti
correvano a vederli; ma poscia, trasportati a Roma sulla decadenza della
repubblica, il primo a cibarsene fu Quinto Ortensio l'oratore, emulo di Cicerone
e, piaciuti assai, montarono in grande stima dopo che Aufidio Lurcone insegnò la
maniera d'ingrassarli, tenendone un pollaio dal quale traeva una rendita di
millecinquecento scudi la qual cosa non è lontana dal vero se si vendevano a
ragguaglio di cinque scudi l'uno.
551. MAIALE ARROSTITO NEL LATTE
Prendete un pezzo di maiale nella lombata del peso di grammi 500 circa, salatelo
e mettetelo in cazzaruola con decilitri 2½ di latte. Copritelo e fatelo bollire
adagio, finché il latte sarà consumato; allora aumentate il fuoco per rosolarlo
e, ottenuto questo, scolate via il grasso e levate il pezzo della carne per
aggiungere in quei rimasugli di latte coagulato un gocciolo di latte fresco.
Mescolate, fategli alzare il bollore e servitevene per ispalmare delle fettine
di pane, appena arrostite, onde servirle per contorno al maiale quando lo
manderete caldo in tavola.
Tre decilitri di latte in tutto potranno bastare. Cucinato così il maiale riesce
di gusto delicato e non istucca.
552. PESCE DI MAIALE ARROSTO
Il pesce di maiale è quel muscolo bislungo posto ai lati della spina dorsale,
che a Firenze si chiama lombo di maiale. Colà si usa distaccarlo insieme colla
pietra e in cotesto modo si presta per un arrosto eccellente. Tagliatelo a
pezzetti e infilatelo nello spiede, tramezzandolo di crostini e salvia come si
usa cogli uccelli, e ungetelo, come questi, coll'olio.
553. AGNELLO ALL’ORIENTALE
Dicono che la spalla d'agnello arrostita ed unta con burro e latte, era e sia
tuttavia una delle più ghiotte leccornie per gli Orientali; perciò io l'ho
provata e ho dovuto convenire che si ottiene tanto da essa che dal cosciotto un
arrosto allo spiede tenero e delicato. Trattandosi del cosciotto, io lo
preparerei in questa maniera, la quale mi sembra la più adatta: steccatelo tutto
col lardatoio di lardelli di lardone conditi con sale e pepe, ungetelo con burro
e latte o con latte soltanto e salatelo a mezza cottura.
554. PICCIONE IN GRATELLA
La carne di piccione per la quantità grande di fibrina e di albumina che
contiene, è molto nutriente ed è prescritta alle persone deboli per malattia o
per altra qualunque cagione. Il vecchio Nicomaco nella Clizia del Machiavelli,
per trovarsi abile a una giostra amorosa, proponevasi di mangiare uno pippíone
grosso, arrosto così verdemezzo che sanguigni un poco.
Prendete un piccione grosso, ma giovine, dividetelo in due parti per la sua
lunghezza e stiacciatele bene colle mani. Poi mettetele a soffriggere nell'olio
per quattro o cinque minuti, tanto per assodarne la carne. Conditelo così caldo
con sale e pepe, e poi condizionatelo in questa maniera: disfate al fuoco, senza
farlo bollire, 40 grammi di burro; frullate un uovo e mescolate l'uno e l'altro
insieme. Intingete bene il piccione in questo miscuglio e dopo qualche tempo
involtatelo tutto nel pangrattato. Cuocetelo in gratella a lento fuoco e
servitelo con una salsa o con un contorno.
555. FEGATELLI IN CONSERVA
Tutti sanno fare i fegatelli di maiale conditi con olio, pepe e sale, involtati
nella rete e cotti in gratella, allo spiede o in una teglia; ma molti non
sapranno che sì possono conservare per qualche mese come si pratica nella
campagna Aretina e forse anche altrove, ponendoli dopo cotti in un tegame e
riempiendo questo di lardo strutto e a bollore. Si levano poi via via che se ne
vuoi far uso e si riscaldano. È una cosa che può far comodo a chi sala il maiale
in casa, perché si avranno allora meno frattaglie da consumare.
Alcuni usano cuocere i fegatelli fra due foglie di alloro, oppure, come in
Toscana, di aggiungere al condimento un po' di seme di finocchio; ma sono odori
acuti che molti stomachi non tollerano, e tornano a gola.
556. BISTECCA ALLA FIORENTINA
Da beef-steak parola inglese che vale costola di bue, è derivato il nome della
nostra bistecca, la quale non è altro che una braciuola col suo osso, grossa un
dito o un dito e mezzo, tagliata dalla lombata di vitella. I macellari di
Firenze chiamano vitella il sopranno non che le altre bestie bovine di due anni
all'incirca; ma, se potessero parlare, molte di esse vi direbbero non soltanto
che non sono più fanciulle, ma che hanno avuto marito e qualche figliuolo.
L'uso di questo piatto eccellente, perché sano, gustoso e ricostituente, non si
è ancora generalizzato in Italia, forse a motivo che in molte delle sue
provincie si macellano quasi esclusivamente bestie vecchie e da lavoro. In tal
caso colà si servono del filetto, che è la parte più tenera, ed impropriamente
chiamano bistecca una rotella del medesimo cotta in gratella.
Venendo dunque al merito della vera bistecca fiorentina, mettetela in gratella a
fuoco ardente di carbone, così naturale come viene dalla bestia o tutt'al più
lavandola e asciugandola; rivoltatela più volte, conditela con sale e pepe
quando è cotta, e mandatela in tavola con un pezzetto di burro sopra. Non deve
essere troppo cotta perché il suo bello è che, tagliandola, getti abbondante
sugo nel piatto. Se la salate prima di cuocere, il fuoco la risecchisce, e se la
condite avanti con olio o altro, come molti usano, saprà di moccolaia e sarà
nauseante.
557. BISTECCA NEL TEGAME
Se avete una grossa bistecca che, per esser di bestia non tanto giovane o
macellata di fresco, vi faccia dubitare della sua morbidezza, invece di cuocerla
in gratella, mettetela in un tegame con un pezzetto di burro e un gocciolino
d'olio, e regolandovi come al n. 527, datele odore di aglio e ramerino.
Aggiungete, se occorre, un gocciolo di brodo o d'acqua, oppure sugo di pomodoro
e servitela in tavola con patate a tocchetti cotti nel suo intinto, e se questo
non basta, aggiungete altro brodo, burro e conserva di pomodoro.
558. ARNIONI ALLA PARIGINA
Prendete un rognone, ossia una pietra di vitella, digrassatela, apritela e
copritela d'acqua bollente. Quando l'acqua sarà diacciata, asciugatela bene con
un canovaccio ed infilatela per lungo e per traverso con degli stecchi puliti
onde stia aperta (a Parigi si usano spilloni di argento), conditela con grammi
30 di burro liquefatto, sale e pepe, e lasciatela così preparata per un'ora o
due.
Dato che la pietra sia del peso di 600 o 700 grammi, prendete altri 30 grammi di
burro ed un'acciuga grossa o due piccole, nettatele, tritatele e schiacciatele
colla lama di un coltello insieme col burro e formatene una pallottola. Cuocete
la pietra in gratella, ma non troppo onde resti tenera, ponetela in un vassoio,
spalmatela così bollente colla pallottola di burro e d'acciuga e mandatela in
tavola.
PASTICCERIA
559. STRUDEL
Non vi sgomentate se questo dolce vi pare un intruglio nella sua composizione e
se dopo cotto vi sembrerà qualche cosa di brutto come un'enorme sanguisuga, o un
informe serpentaccio, perché poi al gusto vi piacerà.
Mele reínettes, o mele tenere di buona qualità, gr. 500.
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 100.
Uva di Corinto, grammi 85.
Zucchero in polvere, grammi 85.
Raschiatura di un limone.
Cannella in polvere due o tre prese.
Spegnete la farina con latte caldo, burro, quanto una noce, un uovo e un pizzico
di sale per farne una pasta piuttosto soda che lascerete riposare un poco prima
di servirvene. Tirate con questa pasta una sfoglia sottile come quella dei
taglierini e, lasciando gli orli scoperti, distendetevi sopra le mele che avrete
prima sbucciate, nettate dai torsoli e tagliate a fette sottili. Sul suolo delle
mele spargete l'uva, la raschiatura di limone, la cannella, lo zucchero e infine
i 100 grammi di burro liquefatto, lasciandone un po' indietro per l'uso che
sentirete. Ciò fatto avvolgete la sfoglia sopra sé stessa per formarne un rotolo
ripieno che adatterete in una teglia di rame, già unta col burro, assecondando
per necessità la forma rotonda della medesima; col burro avanzato ungete tutta
la parte esterna del dolce e mandatelo al forno. Avvertite che l'uva di Corinto,
o sultanina, è diversa dall'uva passolina. Questa è piccola e nera; l'altra è il
doppio più grossa, di colore castagno chiaro e senza vinacciuoli anch'essa. Il
limone raschiatelo con un vetro.
560. PRESNITZ
Eccovi un altro dolce di tedescheria e come buono! Ne vidi uno che era fattura
della prima pasticceria di Trieste, lo assaggiai e mi piacque. Chiestane la
ricetta la misi alla prova e riuscì perfettamente; quindi, mentre ve lo
descrivo, mi dichiaro gratissimo alla gentilezza di chi mi fece questo favore.
Uva sultanina, grammi 160.
Zucchero, grammi 130.
Noci sgusciate, grammi 130.
Focaccia rafferma, grammi 110.
Mandorle dolci sbucciate, grammi 60.
Pinoli, grammi 60.
Cedro candito, grammi 35.
Arancio candito, grammi 35.
Spezie composte di cannella, garofani e macis, grammi 5.
Sale, grammi 2.
Cipro, decilitri l.
Rhum, decilitri l.
L'uva sultanina, dopo averla nettata, mettetela in infusione nel cipro e nel
rhum mescolati insieme; lasciatela così diverse ore e levatela quando comincia a
gonfiare. I pinoli tagliateli in tre parti per traverso, i frutti canditi
tagliateli a piccolissimi dadi, le noci e le mandorle tritatele con la lunetta
alla grossezza del riso all'incirca, e la focaccia, che può essere una pasta
della natura dei brioches o del panettone di Milano, grattatela o sbriciolatela.
L'uva lasciatela intera e poi mescolate ogni cosa insieme, il rhum e il cipro
compresivi.
Questo è il ripieno; ora bisogna chiuderlo in una pasta sfoglia per la quale può
servirvi la ricetta del n. 155 nella proporzione di farina gr. 160 e burro gr.
80. Tiratela stretta, lunga e della grossezza poco più di uno scudo.
Distendete sulla medesima il ripieno e fatene un rocchio a guisa di salsicciotto
tirando la sfoglia sugli orli per congiungerla. Dategli la circonferenza di 10
centimetri circa, schiacciatelo alquanto o lasciatelo tondo, ponetelo entro a
una teglia di rame unta col burro avvolto intorno a sé stesso come farebbe la
serpe; però non troppo serrato. Infine, con un pennello, spalmatelo con un
composto liquido di burro sciolto e un rosso d'uovo.
Invece di uno potete farne due, se vi pare, con questa stessa dose, la metà
della quale io ritengo che basterebbe per sette od otto persone.
561. KUGELHUPF
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 200.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 50.
Uva sultanina, grammi 50.
Lievito di birra, grammi 30.
Uova, uno intero e due rossi.
Sale, un pizzico.
Odore di scorza di limone.
Latte, quanto basta.
Intridete il lievito col latte tiepido e un pugno della detta farina per formare
un piccolo pane piuttosto sodo; fategli un taglio in croce e ponetelo in una
cazzarolina con un velo di latte sotto, coperta e vicina al fuoco, badando che
questo non la scaldi troppo.
D'inverno sciogliete il burro a bagno-maria poi lavoratelo alquanto coll'uovo
intero, indi versate lo zucchero e poi la farina, i rossi d'uovo, il sale e
l'odore, mescolando bene. Ora, aggiungete il lievito che nel frattempo avrà già
gonfiato e con cucchiaiate di latte tiepido, versate una alla volta, lavorate il
composto con un mestolo entro a una catinella per più di mezz'ora riducendolo a
una consistenza alquanto liquida, non però troppo. Per ultimo versate l'uva e
mettetelo in uno stampo liscio imburrato e spolverizzato di zucchero a velo
misto a farina, ove il composto non raggiunga la metà del vaso che porrete ben
coperto in caldana o in un luogo di temperatura tiepida a lievitare, al che ci
vorranno due o tre ore.
Quando sarà ben cresciuto da arrivare alla bocca del vaso, mettetelo in forno a
calore non troppo ardente, sformatelo diaccio, spolverizzatelo di zucchero a
velo o se credete (questo è a piacere) annaffiatelo col rhum.
562. KRAPFEN II
Fatti nel seguente modo riescono più gentili di quelli del n. 182, specialmente
se devono servire come piatto dolce, e prenderanno la figura di palle lisce
senza alcuna impressione sopra.
Farina d'Ungheria, grammi 200.
Burro, grammi 50.
Lievito di birra, grammi 20.
Latte o panna meno di un decilitro, onde il composto riesca sodettino.
Rossi d'uovo, n. 3.
Zucchero, un cucchiaino.
Sale, una buona presa.
Mettete in una tazza il lievito con una cucchiaiata della farina e,
stemperandolo con un poco del detto latte tiepido, ponetelo a lievitare vicino
al fuoco. Poi in una catinella versate il burro, sciolto d'inverno a bagnomaria,
e lavoratelo con un mestolo, gettandovi i rossi d'uovo uno alla volta, indi
versate il resto della farina, il lievito quando sarà cresciuto del doppio, il
latte a poco per volta, il sale e lo zucchero, lavorando il composto con una
mano fino a che non si distacchi dalla catinella. Fatto ciò stacciatevi sopra un
sottil velo di farina comune e mettetelo a lievitare in luogo tiepido entro al
suo vaso e quando il composto sarà cresciuto versatelo sulla spianatoia sopra a
un velo di farina e leggermente col matterello assottigliatelo alla grossezza di
mezzo dito; indi, servendovi dello stampo della ricetta n. 7, tagliatelo in 24
dischi sulla metà dei quali porrete, quanto una piccola noce, conserva di frutta
o crema pasticcera. Bagnate questi dischi all'ingiro con un dito intinto nel
latte per coprirli e appiccicarli coi 12 rimasti vuoti; lievitateli e friggeteli
in molto unto, olio o strutto che sia, spolverizzateli di zucchero a velo quando
non saranno più a bollore e serviteli. Se trattasi di doppia dose, grammi 30 di
lievito potranno bastare.
563. SAVARIN
Ad onore forse di Brillat-Savarin fu applicato a questo dolce un tal nome.
Contentiamoci dunque di chiamarlo alla francese, e di raccomandarlo per la sua
bontà ed eleganza di forma, ad ottenere la quale occorre uno stampo a forma
rotonda, col buco nel mezzo, convesso alla parte esterna e di capacità doppia
del composto che deve entrarvi.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 180.
Burro, grammi 60.
Zucchero, grammi 40.
Mandorle dolci, grammi 40,
Latte, decilitri 2.
Uova, due rossi e una chiara.
Una presa di sale.
Lievito di birra, quanto un piccolo uovo.
Ungete lo stampo con burro diaccio, spolverizzatelo di farina comune mista con
zucchero a velo e spargete in fondo al medesimo le dette mandorle sbucciate e
tagliate a filetti corti. Se le tostate, farete meglio.
Stemperate ed impastate il lievito con un gocciolo del detto latte tiepido e con
un buon pizzico della farina d'Ungheria per fare un piccolo pane che porrete a
lievitare come quello del Babà n. 565. Ponete il resto della farina e gli altri
ingredienti meno il latte che va aggiunto a poco per volta in una catinella, e
cominciate a lavorarli col mestolo; poi uniteci il lievito e quando il composto
sarà lavorato in modo che si distacchi bene dalla catinella, versatelo nello
stampo sopra le mandorle. Ora mettetelo a lievitare in luogo appena tiepido e
ben riparato dall'aria, prevenendovi che per questa seconda lievitatura
occorreranno quattro o cinque ore. Cuocetelo al forno comune o al forno da
campagna e frattanto preparate il seguente composto: fate bollire grammi 30 di
zucchero in due dita, di bicchiere, d'acqua e quando l'avrete ridotto a sciroppo
denso, ritiratelo dal fuoco e, diaccio che sia, aggiungete un cucchiaino di
zucchero vanigliato e due cucchiaiate di rhum oppure di kirsch; poi sformate il
savarin e così caldo, con un pennello, spalmatelo tutto di questo sciroppo,
finché ne avrete. Servite il dolce caldo o diaccio a piacere.
Questa dose, benché piccola, può bastare per cinque o sei persone. Se vedete che
l'impasto diventasse troppo liquido con l'intera dose del latte, lasciatene
indietro un poco. Si può fare anche senza le mandorle.
564. GÂTEAU À LA NOISETTE
A questo dolce diamogli un titolo pomposo alla francese, che non sarà del tutto
demeritato.
Farina di riso, grammi 125.
Zucchero, grammi 170.
Burro, grammi 100.
Mandorle dolci, grammi 50.
Nocciuole sgusciate, grammi 50.
Uova, n. 4.
Odore di vainiglia.
Le nocciuole (avellane) sbucciatele coll'acqua calda come le mandorle e le une e
le altre asciugatele bene al sole o al fuoco. Poi, dopo averle pestate
finissime, con due cucchiaiate del detto zucchero mescolatele alla farina di
riso. Lavorate bene le uova col resto dello zucchero, indi versateci dentro la
detta miscela e dimenate molto colla frusta il composto. Infine aggiungete il
burro liquefatto e tornate a lavorarlo. Ponetelo in uno stampo liscio di forma
rotonda e alquanto stretta onde venga alto quattro o cinque dita, e cuocetelo in
forno a moderato calore. Servitelo freddo.
Questa dose potrà bastare per sei o sette persone.
565. BABÀ
Questo è un dolce che vuol vedere la persona in viso, cioè per riuscir bene
richiede pazienza ed attenzione. Ecco le dosi:
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 250.
Burro, grammi 70.
Zucchero in polvere, grammi 50.
Uva sultanina, detta anche uva di Corinto, grammi 50.
Uva malaga a cui vanno levati gli acini, grammi 30.
Lievito di birra, grammi 30.
Latte o, meglio, panna, decilitri 1 circa.
Uova, n. 2 e un rosso.
Marsala, una cucchiaiata.
Rhum o cognac, una cucchiaiata.
Candito tagliato a filetti, grammi 10.
Sale, un pizzico.
Odore di vainiglia.
Con un quarto della detta farina e con un gocciolo del detto latte tiepido,
s'intrida il lievito di birra e se ne formi un pane di giusta sodezza. A questo
s'incida col coltello una croce, non perché esso e gli altri così fregiati
abbiano paura delle streghe; ma perché a suo tempo diano segno del rigonfiamento
necessario, ad ottenere il quale si pone a lievitare vicino al fuoco, a
moderatissimo calore, entro a un vaso coperto in cui sia un gocciolo di latte.
Intanto che esso lievita, per il che ci vorrà mezz'ora circa, scocciate le uova
in una catinella e lavoratele collo zucchero; aggiungete dipoi il resto della
farina, il panino lievitato, il burro sciolto e tiepido, la marsala e il rhum, e
se l'impasto riuscisse troppo sodo, rammorbiditelo col latte tiepido. Lavoratelo
molto col mestolo finché il composto non si distacchi dalla catinella, per
ultimo gettateci l'uva e il candito, e mettetelo a lievitare. Quando avrà
rigonfiato rimuovetelo un poco col mestolo e versatelo in uno stampo unto col
burro e spolverizzato di zucchero a velo misto a farina.
La forma migliore di stampo, per questo dolce, è quella di rame a costole; ma
badate ch'esso dev'essere il doppio più grande del contenuto. Copritelo con un
testo onde non prenda aria e ponetelo in caldana o entro un forno da campagna,
pochissimo caldo, per lievitarlo; al che non basteranno forse due ore. Se la
lievitatura riesce perfetta si vedrà il composto crescere del doppio, e cioè
arrivare alla bocca dello stampo. Allora tirate a cuocerlo, avvertendo che nel
frattempo non prenda aria. La cottura si conosce immergendo un fuscello di
granata che devesi estrarre asciutto; nonostante lasciatelo ancora a prosciugare
in forno a discreto calore, cosa questa necessaria a motivo della sua grossezza.
Quando il Babà è sformato, se è ben cotto, deve avere il colore della corteccia
del pane; spolverizzatelo di zucchero a velo.
Servitelo freddo.
566. SFOGLIATA DI MARZAPANE
Fate una pasta sfoglia nella quantità e proporzione del n. 154. Quando è
spianata tagliatene due tondi della dimensione di un piatto comune, a grandi
smerli sugli orli. Sopra ad uno di essi, lasciandovi un po' di margine,
distendete il composto di marzapane del n. 579, che dovrebbe riuscire
dell'altezza di un centimetro circa; poi sovrapponetegli l'altro tondo di pasta
sfoglia, attaccandoli insieme sugli orli con un dito intinto nell'acqua.
Dorate la superficie della sfogliata coi rosso d'uovo, cuocetela al forno o al
forno da campagna e dopo spolverizzatela di zucchero a velo. Questa dose basterà
a sette od otto persone e sentirete che questo dolce sarà molto lodato per la
sua delicatezza.
567. BUDINO DI NOCCIUOLE (AVELLANE)
Latte, decilitri 7.
Uova, n. 6.
Nocciuole sgusciate, grammi 200.
Zucchero, grammi 180.
Savoiardi, grammi 150.
Burro, grammi 20.
Odore di vainiglia.
Sbucciate le nocciuole nell'acqua calda ed asciugatele bene al sole o al fuoco,
indi pestatele finissime nel mortaio collo zucchero versato poco per volta.
Mettete il latte al fuoco e quando sarà entrato in bollore sminuzzateci dentro i
savoiardi e fateli bollire per cinque minuti, aggiungendovi il burro. Passate il
composto dallo staccio e rimettetelo al fuoco con le nocciuole pestate per
isciogliervi dentro lo zucchero. Lasciatelo poi ghiacciare per aggiungervi le
uova, prima i rossi, dopo le chiare montate; versatelo in uno stampo unto di
burro e spolverizzato di pangrattato, che non venga del tutto pieno, cuocetelo
in forno o nel fornello e servitelo freddo.
Questa dose potrà bastare per nove o dieci persone.
568. BISCOTTI CROCCANTI I
Farina, grammi 500.
Zucchero in polvere, grammi 220.
Mandorle dolci, intere e sbucciate frammiste a qualche pinolo, grammi 120.
Burro, grammi 30.
Anaci, un pizzico.
Uova, n. 5.
Sale, una presa.
Lasciate indietro le mandorle e i pinoli per aggiungerli dopo ed intridete il
tutto con quattro uova, essendo così sempre in tempo di servirvi del quinto, se
occorre per formare una pasta alquanto morbida. Fatene quattro pani della
grossezza di un dito e larghi quanto una mano; collocateli in una teglia unta
col burro e infarinata, e dorateli sopra.
Non cuoceteli tanto per poterli tagliare a fette, il che verrà meglio fatto il
giorno appresso, ché la corteccia rammollisce. Rimettete le fette al forno per
tostarle appena dalle due parti, ed eccovi i biscotti croccanti.
569. BISCOTTI CROCCANTI II
Farina, grammi 400.
Zucchero, grammi 200.
Burro, grammi 80.
Mandorle, grammi 40.
Uva sultanina, grammi 30.
Pinoli, grammi 20.
Cedro, o zucca candita, grammi 20.
Anaci, un pizzico.
Spirito di vino, cucchiaiate n. 2.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino scarso.
Uova, uno intero e tre rossi.
Questi biscotti sono più fini dei precedenti; e ritengo non lascino nulla a
desiderare. Le mandorle sbucciatele, e tanto queste che i pinoli lasciateli
interi. Il candito tagliatelo a pezzettini. Fate una buca nel monte della farina
e collocateci le uova, lo zucchero, il burro, lo spirito e il bicarbonato.
Intridete il composto senza troppo lavorarlo, poi apritelo ed allargatelo per
aggiungervi il resto, e tirate un bastone alquanto compresso, lungo un metro,
che dividerete in quattro o cinque parti, onde possa entrar nella teglia;
doratelo e cuocetelo al forno. Cotto che sia tagliatelo nella forma dei biscotti
a fette poco più grosse di un centimetro. e tostateli leggermente da ambe le
parti.
570. BASTONCELLI CROCCANTI
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 60.
Zucchero a velo, grammi 60.
Un uovo.
Odore di buccia di limone grattata.
Fatene un pastone senza dimenarlo troppo, poi tiratelo sottile per poter
ottenere due dozzine di bastoncelli della lunghezza di dieci centimetri che
cuocerete al forno da campagna, entro a una teglia, senza alcuna preparazione.
Si possono accompagnare col the o col vino da bottiglia.
571. BISCOTTI TENERI
Per questi biscotti bisognerebbe vi faceste fare una cassettina di latta larga
10 centimetri e lunga poco meno del diametro del vostro forno da campagna per
poterci entrare, se siete costretti di servirvi di esso e non del forno comune.
Così i biscotti avranno il cantuccio dalle due parti e, tagliati larghi un
centimetro e mezzo, saranno giusti di proporzione.
Farina di grano, grammi 40.
Farina di patate, grammi 30.
Zucchero, grammi 90.
Mandorle dolci, grammi 40.
Candito (cedro o arancio), grammi 20.
Conserva di frutte, grammi 20.
Uova, n. 3.
Le mandorle sbucciatele, tagliatele a metà per traverso ed asciugatele al sole o
al fuoco. I pasticcieri, per solito, le lasciano colla buccia, ma non è uso da
imitarsi perché spesso quella si attacca al palato ed è indigesta. Il candito e
la conserva, che può essere di cotogne o d'altra frutta, ma soda, tagliateli a
piccoli dadi.
Lavorate prima molto, ossia più di mezz'ora, i rossi d'uovo collo zucchero e un
poco della detta farina, poi aggiungete le chiare montate ben sode e dopo averle
immedesimate uniteci la farina, facendola cadere da un vagliettino. Mescolate
adagio e spargete nel composto le mandorle, il candito e la conserva. La
cassettina di latta ungetela con burro e infarinatela; i biscotti tagliateli il
giorno appresso, tostandoli, se vi piace, dalle due parti.
572. BISCOTTI DA FAMIGLIA
Sono biscotti di poca spesa, facili a farsi e non privi di qualche merito perché
posson servire sia pel the sia per qualunque altro liquido, inzuppandosi a
maraviglia.
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 50.
Zucchero a velo, grammi 50.
Ammoniaca in polvere, grammi 5.
Una presa di sale.
Odore di vainiglia con zucchero vanigliato.
Latte tiepido, un decilitro circa.
Fate una buca nel monte della farina, poneteci gl'ingredienti suddetti meno il
latte, del quale vi servirete per intridere questa pasta, che deve riuscir
morbida e deve essere dimenata molto onde si affini; poi tiratene una sfoglia
grossa uno scudo, spolverizzandola di farina, se occorre, e per ultimo passateci
sopra il mattarello rigato, oppure servitevi della grattugia o di una forchetta
per farle qualche ornamento. Dopo tagliate i biscotti nella forma che più vi
piace, se non volete farne delle strisce lunghe poco più di un dito e larghe due
centimetri come fo io. Collocateli senz'altro in una teglia di rame e cuoceteli
al forno o al forno da campagna.
573. BISCOTTI DELLA SALUTE
State allegri, dunque, ché con questi biscotti non morirete mai o camperete gli
anni di Mathusalem. Infatti io, che ne mangio spesso, se qualche indiscreto,
vedendomi arzillo più che non comporterebbe la mia grave età mi dimanda quanti
anni ho, rispondo che ho gli anni di Mathusalem, figliuolo di Enoch.
Farina, grammi 350.
Zucchero rosso, grammi 100.
Burro, grammi 50.
Cremor di tartaro, grammi 10.
Bicarbonato di soda, grammi 5.
Uova, n. 2.
Odore di zucchero vanigliato.
Latte, quanto basta.
Mescolate lo zucchero alla farina, fate a questa una buca per porvi il resto e
intridetela con l'aggiunta di un poco di latte per ottenere una pasta alquanto
morbida, a cui darete la forma cilindrica un po' stiacciata e lunga mezzo metro.
Per cuocerla al forno o al forno da campagna ungete una teglia col burro, e
questo bastone perché possa entrarvi, dividetelo in due pezzi, tenendoli
discosti poiché gonfiano molto. il giorno appresso, tagliateli in forma di
biscotti, di cui ne otterrete una trentina, e tostateli.
574. BISCOTTO ALLA SULTANA
Il nome è ampolloso, ma non del tutto demeritato.
Zucchero in polvere, grammi 150.
Farina di grano, grammi 100.
Farina di patate, grammi 50.
Uva sultanina, grammi 80.
Candito, grammi 20.
Uova, n. 5.
Odore di scorza di limone.
Rhum o cognac, due cucchiaiate.
Ponete prima al fuoco l'uva e il candito tagliato della grandezza dei semi di
cocomero con tanto cognac o rhum quanto basta a coprirli; quando questo bolle,
accendetelo e lasciatelo bruciare fuori del fuoco finché il liquore sia
consumato; poi levate questa roba e mettetela ad asciugare fra le pieghe di un
tovagliuolo. Fatta tale operazione, lavorate ben bene con un mestolo per
mezz'ora lo zucchero e i rossi d'uovo ove avrete posta la raschiatura di limone.
Montate sode le chiare colla frusta, e versatele nel composto; indi aggiungete
le due farine facendole cadere da un vagliettino e in pari tempo mescolate
adagio adagio perché si amalgami il tutto, senza tormentarlo troppo. Aggiungete
per ultimo l'uva, il candito e le due cucchiaiate di rhum o di cognac menzionate
e versate il miscuglio in uno stampo liscio o in una cazzaruola che diano al
dolce una forma alta e rotonda. Ungete lo stampo col burro e spolverizzatelo di
zucchero a velo e farina, avvertendo di metterlo subito in forno onde evitare
che l'uva e il candito precipitino al fondo. Se ciò avviene, un'altra volta
lasciate indietro una chiara. Si serve freddo.
575. BRIOCHES
Farina d'Ungheria, grammi 300.
Burro, grammi 150.
Lievito di birra, grammi 30.
Zucchero, grammi 20.
Sale, grammi 5.
Uova, n. 6
Stemperate il lievito di birra con acqua tiepida nella quarta parte della detta
farina; formatene un panino rotondo di giusta consistenza, fategli un taglio in
croce e ponetelo a lievitare in luogo tiepido entro una cazzarolina con un velo
di farina sotto.
Alla farina che resta fateci una buca in mezzo, poneteci lo zucchero, il sale e
un uovo, e con le dita assimilate insieme queste tre cose, poi aggiungete il
burro a pezzetti e incominciate a intridere la farina, prima servendovi della
lama di un coltello e poi delle mani, per formare un pastone che porrete in una
catinella per lavorarlo meglio. Unite a questo il panino lievitato, quando sarà
cresciuto del doppio, e servendovi della mano per lavorarlo molto, aggiungete le
altre uova una alla volta. Poi la catinella ponetela in luogo tiepido e ben
chiuso, e quando l'impasto sarà lievitato disfatelo alquanto e con esso riempite
a metà una ventina di stampini di latta rigati, che avanti avrete unti con burro
liquido o lardo e spolverizzati con farina mista a zucchero a velo.
Rimetteteli a lievitare, poi dorateli e cuoceteli al forno o al forno da
campagna.
576. PASTA MARGHERITA
Avendo un giorno, il mio povero amico Antonio Mattei di Prato (del quale avrò
occasione di riparlare), mangiata in casa mia questa pasta ne volle la ricetta,
e subito, da quell'uomo industrioso ch'egli era, portandola a un grado maggiore
di perfezione e riducendola finissima, la mise in vendita nella sua bottega. Mi
raccontava poi essere stato tale l'incontro di questo dolce che quasi non si
faceva pranzo per quelle campagne che non gli fosse ordinato. Così la gente
volenterosa di aprirsi una via nel mondo coglie a volo qualunque occasione per
tentar la fortuna, la quale, benché dispensi talvolta i suoi favori a capriccio,
non si mostra però mai amica agl'infingardi e ai poltroni.
Farina di patate, grammi 120.
Zucchero, in polvere, grammi 120.
Uova, n. 4.
Agro di un limone.
Sbattete prima ben bene i rossi d'uovo collo zucchero, aggiungete la farina e il
succo di limone e lavorate per più di mezz'ora il tutto. Montate per ultimo le
chiare, unitele al resto mescolando con delicatezza per non ismontar la fiocca.
Versate il composto in uno stampo liscio e rotondo, ossia in una teglia
proporzionata, imburrata e spolverizzata di zucchero a velo e farina, e
mettetela subito in forno. Sformatela diaccia e spolverizzatela di zucchero a
velo vanigliato.
577. TORTA MANTOVANA
Farina, grammi 170.
Zucchero, grammi 170.
Burro, grammi 150.
Mandorle dolci e pinoli, grammi 50.
Uova intere, n. l.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di scorza di limone.
Si lavorano prima per bene col mestolo, entro una catinella, le uova collo
zucchero; poi vi si versa a poco per volta la farina, lavorandola ancora, e per
ultimo il burro liquefatto a bagno-maria. Si mette il composto in una teglia di
rame unta col burro e spolverizzata di zucchero a velo e farina o di pangrattato
e si rifiorisce al disopra con le mandorle e i pinoli. I pinoli tagliateli in
due pel traverso e le mandorle, dopo averle sbucciate coll'acqua calda e
spaccate per il lungo, tagliatele di traverso, facendone d'ogni metà quattro o
cinque pezzetti. Badate che questa torta non riesca più grossa di un dito e
mezzo o due al più onde abbia modo di rasciugarsi bene nel forno, che va tenuto
a moderato calore.
Spolverizzatela di zucchero a velo e servitela diaccia, che sarà molto
aggradita.
578. TORTA RICCIOLINA I
Vi descrivo la torta ricciolina con due ricette distinte perché la prima
avendola fatta fare, me presente, da un cuoco di professione, pensai di
modificarla, in modo che riescisse più gentile di aspetto e di gusto più
delicato.
Mandorle dolci con alcune amare, sbucciate, grammi 120.
Zucchero in polvere, grammi 170.
Candito, grammi 70
Burro, grammi 60.
Scorza di limone.
Intridete due uova di farina e fatene taglierini eguali a quelli più fini che
cuocereste per la minestra nel brodo. In un angolo della spianatoia fate un
monte colle mandorle, collo zucchero, col candito tagliato a pezzetti e colla
buccia del limone raschiata e questo monticello di roba, servendovi della
lunetta e del matterello, stiacciatelo e tritatelo in modo da ridurlo minuto
come i chicchi del grano. Prendete allora una teglia di rame e così al naturale,
senza ungerla, cominciate a distendere in mezzo alla medesima, se è grande, un
suolo di taglierini e conditeli cogl'ingredienti sopra descritti, distendete un
altro suolo di taglierini e conditeli ancora, replicando l'operazione finché vi
resta roba e procurando che la torta risulti rotonda e grossa due dita almeno.
Quando sarà così preparata versatele sopra il burro liquefatto servendovi di un
pennello per ungerla bene alla superficie e perché il burro penetri eguale in
tutte le parti.
Cuocetela in forno o nel forno da campagna; anzi, per risparmio di carbone, può
bastare il solo coperchio di questo. Spolverizzatela abbondantemente di zucchero
a velo quando è calda e servitela diaccia.
579. TORTA RICCIOLINA II
Fate una pasta frolla con:
Farina, grammi 170.
Zucchero, grammi 70.
Burro, grammi 60.
Lardo, grammi 25.
Uova, n. l.
Distendetene una parte, alla grossezza di uno scudo, nel fondo di una teglia di
rame del diametro di 20 o 21 centimetri (prima unta di burro) e sopra alla
medesima versate un marzapane fatto nelle seguenti proporzioni:
Mandorle dolci con tre amare, sbucciate, grammi 120.
Zucchero, grammi 100.
Burro, grammi 15.
Arancio candito, grammi 15.
Un rosso d'uovo.
Pestate nel mortaio le mandorle collo zucchero, aggiungete dopo l'arancio a
pezzettini, e col burro, il rosso d'uovo e una cucchiaiata d'acqua fate tutto un
impasto. Col resto della pasta frolla formate un cerchio e con un dito intinto
nell'acqua attaccatelo giro giro agli orli della teglia; distendete il marzapane
tutto eguale e copritelo con un suolo alto mezzo dito di taglierini sottilissimi
perché questi devono essere come una fioritura, non la base del dolce, ed
ungeteli con grammi 20 di burro liquefatto, servendovi di un pennello. Cuocete
la torta in forno a moderato calore e dopo spargetele sopra grammi 10 di cedro
candito a piccoli pezzettini; spolverizzatela con zucchero a velo vanigliato e
servitela un giorno o due dopo cotta, perché il tempo la rammorbidisce e la
rende più gentile. Dei taglierini fatene per un uovo, ma poco più della metà
basteranno.
580. TORTA FRANGIPANE
Un signore veneziano, dai tratti di vero gentiluomo, mi suggerisce questa torta,
che è di grato e delicato sapore.
Farina di patate, grammi 120.
Zucchero a velo, grammi 120.
Burro, grammi 80.
Uova, n. 4.
Cremor di tartaro, grammi 5.
Bicarbonato di soda, grammi 3.
Odore di scorza di limone grattata.
Lavorate da prima i rossi d'uovo con lo zucchero, dopo uniteci la farina di
patate e proseguite a dimenare col mestolo; versateci poi il burro sciolto e per
ultimo le chiare montate e le polveri. Servitevi di una teglia piccola onde
possa restar alta due dita; ungetela col burro e spolverizzatela di farina mista
con lo zucchero. Potete cuocerla in casa nel forno da campagna.
581. TORTA ALLA MARENGO
Fate una pasta frolla metà dose del n. 589, ricetta A.
Fate una crema nelle seguenti proporzioni:
Latte, decilitri 4.
Zucchero, grammi 60.
Farina, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 3.
Odore di vainiglia.
Prendete grammi 100 di pan di Spagna e tagliatelo a fette della grossezza di
mezzo centimetro. Servitevi di una teglia di rame di mezzana grandezza, ungetela
col burro e copritene il fondo con una sfoglia della detta pasta; poi
sovrapponete giro giro a questa un orlo della stessa pasta largo un dito ed alto
due e, per attaccarlo bene, bagnate il giro con un dito intinto nell'acqua.
Dopo aver fatto alla teglia questa armatura, coprite la pasta del fondo colla
metà delle fette di pan di Spagna intinte leggermente in rosolio di cedro. Sopra
le medesime distendete la crema e coprite questa con le rimanenti fette di pan
di Spagna egualmente asperse di rosolio. Ora montate colla frusta due delle tre
chiare rimaste dalla crema e quando saranno ben sode unitevi a poco per volta
grammi 130 di zucchero a velo e mescolate adagio per aver così la marenga colla
quale coprirete la superficie del dolce, lasciando scoperto l'orlo della pasta
frolla per dorarlo col rosso d'uovo. Cuocetela al forno o al forno da campagna e
quando la marenga si sarà assodata copritela con un foglio onde non prenda
colore.
La torta sformatela fredda e spolverizzatela leggermente di zucchero a velo.
Coloro a cui non istucca il dolciume, giudicheranno questo piatto squisito.
582. TORTA COI PINOLI
Questa è una torta che alcuni pasticcieri vendono a ruba. Chi non è pratico di
tali cose crederà che l'abbia inventata un dottore della Sorbona; io ve la do
qui imitata perfettamente.
Latte, mezzo litro.
Semolino di grana mezzana, grammi 100.
Zucchero, grammi 65
Pinoli, grammi 50.
Burro, grammi 10.
Uova, n. 2.
Sale, una presa.
Odore di vainiglia.
La quantità del semolino non è di tutto rigore, ma procurate che riesca alquanto
sodo. I pinoli tritateli colla lunetta alla grossezza di un mezzo granello di
riso.
Quando il semolino è cotto nel latte aggiungete tutto il resto e per ultimo le
uova mescolandole con sveltezza.
Fate una pasta frolla con:
Farina, grammi 200.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Uova, n. 1.
Se questo non basta per intridere la farina, servitevi di un gocciolo di vino
bianco o marsala.
Prendete una teglia nella quale il dolce non venga più alto di due dita,
ungetela col burro e copritene il fondo con una sfoglia sottile di detta pasta;
versateci il composto e fategli sopra colla stessa pasta tagliata a listarelle
un reticolato a mandorle. Doratelo, cuocete la torta al forno e servitela
diaccia spolverizzata di zucchero a velo.
583. TORTA SVIZZERA
Sia o non sia svizzera, io ve la do per tale e sentirete che non è cattiva.
Fate una pasta di giusta consistenza con:
Farina, grammi 300.
Burro, grammi 100,
Sale, quanto basta.
Odore di scorza di limone.
Latte, quanto basta per intriderla, e lasciatela per un poco in riposo.
Prendete una teglia di mezzana grandezza, ungetela col burro e copritene il
fondo colla detta pasta tirata alla grossezza di due monete da 5 lire. Col resto
della pasta formate un orlo all'ingiro e collocatevi dentro grammi 500 di mele
reinettes, o altre di qualità tenera, sbucciate e tagliate a tocchetti grossi
quanto le noci. Sopra le medesime spargete grammi 100 di zucchero mescolato a
due prese di cannella in polvere e grammi 20 di burro liquefatto. Mandatela in
forno e servitela calda o diaccia a sette od otto persone, ché a tante potrà
bastare.
La cannella in polvere, l'odore della scorza di limone e il burro liquefatto
sopra alle mele sono aggiunte mie; ma stando a rigore, non ci vorrebbero.
584. BOCCA DI DAMA I
La faccia chi vuole senza farina: io la credo necessaria per darle più
consistenza.
Zucchero in polvere, grammi 250.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 150.
Mandorle dolci con alcune amare, grammi 50.
Uova intere, n. 6, e rossi n. 3.
Odore di scorza di limone.
Le mandorle, dopo averle sbucciate e asciugate bene, pestatele in un mortaio con
una cucchiaiata del detto zucchero e mescolatele alla farina in modo che non
appariscano bozzoli. Il resto dello zucchero ponetelo in una catinella coi rossi
d'uovo e la raschiatura del limone, lavorandoli con un mestolo per un quarto
d'ora; versate la farina e lavorate ancora per più di mezz'ora. Montate con la
frusta, in un vaso a parte, le sei chiare e quando saranno ben sode da sostenere
un pezzo da due lire d'argento, versatele nella menzionata catinella e mescolate
adagino adagino ogni cosa insieme.
Per cuocerla versatela in una teglia di rame unta col burro e spolverizzata di
zucchero a velo e farina, oppure in un cerchio di legno da staccio, il cui fondo
sia stato chiuso con un foglio.
585. BOCCA DI DAMA II
Zucchero, grammi 250.
Farina finissima, grammi 100.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 50.
Uova, n. 9.
Odore di scorza di limone.
Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o al fuoco, pestatele finissime
con una cucchiaiata del detto zucchero e mescolatele alla farina.
Il resto dello zucchero e i rossi delle uova uniteli insieme in una bacinella di
rame o di ottone, e sopra al fuoco, a poco calore, batteteli colla frusta per
più di un quarto d'ora. Versateci poscia, fuori del fuoco, la farina preparata
con le mandorle, la scorza di limone grattata e, dopo averla lavorata ancora,
aggiungete le chiare ben montate e mescolate adagio. Ponete il composto in una
teglia unta col burro e spolverizzata di farina mista con zucchero a velo per
mandarla in forno.
586. DOLCE ALLA NAPOLETANA
Questo è un dolce di bell'apparenza e molto gentile.
Zucchero, grammi 120.
Farina d'Ungheria, grammi 120.
Mandorle dolci, grammi 100.
Uova, n. 4.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele al sole o al fuoco e, scegliendone un terzo
delle più grosse, dividete queste in due parti nei due lobi naturali; le altre
tagliatele in filetti sottili. Montate le uova e lo zucchero in una bacinella di
rame o di ottone, sul fuoco, alla temperatura di 20 gradi, battendole con la
frusta più di un quarto d'ora. Ritirato il composto dal fuoco uniteci la farina
mescolando leggermente e versatelo in uno stampo liscio, tondo od ovale poco
importa, che avrete prima imburrato e spolverizzato con un cucchiaino di
zucchero a velo ed uno di farina uniti insieme; ma sarebbe bene che lo stampo
fosse di grandezza tale che il dolce, quando è cotto, riuscisse alto quattro
dita circa. Cuocetelo al forno o al forno da campagna a moderato calore e dopo
corto e ben diaccio tagliatelo all'ingiro a fette sottili un centimetro. Fate
una crema con:
Rossi d'uovo, n. 2.
Latte, decilitri 3.
Zucchero, grammi 60.
Farina, grammi 15.
Burro, grammi 10.
Odore di vainiglia,
e con questa a bollore spalmate da una sola parte le fette del dolce e
ricomponetelo, cioè collocatele insieme una sopra l'altra.
Verrà meglio la crema se metterete al fuoco prima il burro con la farina per
cuocerla senza farle prender colore; poi, resa tiepida, vi aggiungerete i rossi,
il latte e lo zucchero rimettendola al fuoco.
Ora bisogna intonacare tutta la parte esterna del dolce con una glassa, ossia
crosta, e a questo effetto mettete a bollire in una piccola cazzaruola grammi
230 di zucchero in un decilitro di acqua fino al punto che, preso il liquido fra
le dita, appiccichi un poco, ma senza filo, ed avrete un altro indizio della sua
giusta cottura quando avrà cessato di fumare e produrrà larghe gallozzole.
Allora ritiratelo dal fuoco e quando comincia a diacciare spremetegli un quarto
di limone e lavoratelo molto col mestolo per ridurlo bianco come la neve; ma se
v'indurisse fra mano versateci un poco d'acqua per ridurlo scorrevole come una
crema alquanto densa. Preparata così la glassa, buttateci dentro le mandorle a
filetti, mescolate e intonacate il dolce, e colle altre divise in due parti
rifioritelo al disopra infilandole ritte.
Invece della crema potete usare una conserva di frutta, ma con la crema riesce
un dolce squisito e perciò vi consiglio a provarlo.
587. DOLCE TEDESCO
Farina d'Ungheria, grammi 250.
Burro, grammi 100.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Uova, n. 4.
Latte, cucchiaiate n. 4.
Odore di zucchero vanigliato.
Lavorate dapprima ed insieme per mezz'ora il burro, lo zucchero e i rossi
d'uovo. Aggiungete la farina e il latte e lavorate ancora bene il composto.
Per fare alzare nella cottura questo e consimili dolci ora viene dalla Germania
e dall’Inghilterra una polvere bianca, inodora, che in quantità di grammi 10 si
mescola nel composto insieme con le chiare montate. Se nel vostro paese non la
trovate supplite con grammi 5 di bicarbonato di soda e grammi 5 di cremor di
tartaro mescolati insieme. Versate il dolce in uno stampo liscio, imburrato
soltanto, e di doppia tenuta, e cuocetelo in forno o nel forno da campagna. Si
serve diaccio.
588. PASTA GENOVESE
Zucchero, grammi 200.
Burro, grammi 150.
Farina di patate, grammi 170.
Farina di grano, grammi 110.
Rossi d'uovo, n. 12.
Chiare, n. 7.
Odore di scorza di limone.
Si lavorano primieramente ben bene in una catinella i rossi d'uovo col burro e
lo zucchero, poi si aggiungono le due farine e quando queste avranno avuto
mezz'ora circa di lavorazione, si versano nel composto le chiare montate.
Mandate al forno la pasta in una teglia di rame preparata al solito con una
untatina di burro e infarinata. Tenetela all'altezza di un dito circa,
tagliatela a mandorle quando è cotta e spolverizzatela di zucchero a velo.
589. PASTA FROLLA
Vi descrivo tre differenti ricette di pasta frolla per lasciare a voi la scelta
a seconda dell'uso che ne farete; ma, come più fine, vi raccomando specialmente
la terza per le crostate.
RICETTA A
Farina, grammi 500.
Zucchero bianco, grammi 220.
Burro, grammi 180.
Lardo, grammi 70.
Uova intere, n. 2 e un torlo.
RICETTA B
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 125.
Zucchero bianco, grammi 110.
Uova intere, n. 1 e un torlo.
RICETTA C
Farina, grammi 270.
Zucchero, grammi 115.
Burro, grammi 90.
Lardo, grammi 45.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di scorza di arancio.
Se volete tirar la pasta frolla senza impazzamento, lo zucchero pestatelo
finissimo (io mi servo dello zucchero a velo) e mescolatelo alla farina; e il
burro, se è sodo, rendetelo pastoso lavorandolo prima, con una mano bagnata,
sulla spianatoia. Il lardo, ossia strutto, badate che non sappia di rancido.
Fate di tutto un pastone maneggiandolo il meno possibile, ché altrimenti vi si
brucia, come dicono i cuochi; perciò, per intriderla, meglio è il servirsi da
principio della lama di un coltello. Se vi tornasse comodo fate pure un giorno
avanti questa pasta, la quale cruda non soffre, e cotta migliora col tempo
perché frolla sempre di più.
Nel servirvene per pasticci, crostate, torte, ecc., assottigliatela da prima col
matterello liscio e dopo, per più bellezza, lavorate con quello rigato la parte
che deve stare di sopra, dorandola col rosso d'uovo. Se vi servite dello
zucchero a velo la tirerete meglio. Per lavorarla meno, se in ultimo restano dei
pastelli, uniteli insieme con un gocciolo di vino bianco o di marsala, il quale
serve anche a rendere la pasta più frolla.
590. PASTE DI FARINA GIALLA I
Farina di granturco, grammi 200.
Detta di grano, grammi 150.
Zucchero in polvere, grammi 150.
Burro, grammi 100.
Lardo, ossia strutto, grammi 50.
Anaci, grammi 10.
Uova, n. l.
Mescolate insieme le due farine, lo zucchero e gli anaci ed intridete col burro,
il lardo e l'uovo, quella quantità che potrete, formandone un pane che metterete
da parte. I rimasugli intrideteli con un poco di vino bianco e un poco d'acqua e
formatene un altro pane, poi mescolate insieme i due pani e lavorateli il meno
possibile, procurando che la pasta riesca piuttosto morbida. Spianatela col
matterello alla grossezza di mezzo dito, spolverizzandola di farina mista, onde
non si attacchi sulla spianatoia, e tagliatela cogli stampini di latta a diverse
forme e grandezze. Ungete una teglia col lardo, infarinatela e collocateci le
paste, doratele coll'uovo, cuocetele al forno e spolverizzatele di zucchero a
velo.
591. PASTE DI FARINA GIALLA II
Queste riescono assai più gentili delle precedenti.
Farina di granturco, grammi 200.
Burro, grammi 100.
Zucchero a velo, grammi 80.
Fiori secchi del sambuco comune, grammi l0.
Rossi d'uovo, n. 2.
Se nell'intridere la pasta riuscisse troppo soda, rammorbiditela con un gocciolo
d'acqua. Spianatela col matterello alla grossezza poco più di uno scudo e
tagliatela a dischetti come quelli del n. 634, perché anche questi si possono
servire col the, e per renderli più appariscenti si possono nella stessa maniera
screziare alla superficie con le punte di una forchetta o con la grattugia.
I fiori e le foglie del sambuco hanno virtù diuretica e diaforetica, e cioè,
perché tutti intendano senza tanto velo di pudicizia, fanno orinare e sudare e
si trovano in vendita dai semplicisti.
592. GIALLETTI I
Signore mamme, trastullate i vostri bambini con questi gialletti; ma avvertite
di non assaggiarli se non volete sentirli piangere pel caso molto probabile che
a loro ne tocchi la minor parte.
Farina di granturco, grammi 300.
Detta di grano, grammi 100.
Zibibbo, grammi 100.
Zucchero, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Lardo, grammi 30.
Lievito di birra, grammi 20.
Un pizzico di sale.
Con la metà della farina di grano e col lievito di birra, intrisi con acqua
tiepida, formate un panino e ponetelo a lievitare. Frattanto impastate con acqua
calda le due farine mescolate insieme con tutti gl'ingredienti suddetti, eccetto
l'uva. Aggiungete al pastone il panino quando sarà lievitato, lavoratelo
alquanto e per ultimo uniteci l'uva. Dividetelo in quindici o sedici parti
formandone tanti panini in forma di spola, e con la costola di un coltello
incidete sulla superficie d'ognuno un graticolato a mandorla. Poneteli a
lievitare in luogo tiepido, poi cuoceteli al forno o al forno da campagna a
moderato calore onde restino teneri.
593. GIALLETTI II
Se non vi grava la spesa potete farli più gentili con la seguente ricetta nella
quale non occorre né il lievito, né l'acqua per impastarli.
Farina di granturco, grammi 300.
Detta di grano, grammi 150.
Zucchero in polvere, grammi 200.
Burro, grammi 150.
Lardo, grammi 70.
Zibibbo, grammi 100.
Uova, n. 2.
Odore di scorza di limone.
Di questi, tenendoli della grossezza di mezzo dito, ne farete una ventina; ma
potete anche dar loro la forma che più vi piace e invece di 20, tenendoli
piccoli, farne 40. Cuoceteli come i precedenti e per impastarli regolatevi come
se si trattasse di pasta frolla.
594. ROSCHETTI
Farina, grammi 200.
Zucchero a velo, grammi 100.
Mandorle dolci, grammi 100.
Burro, grammi 80.
Strutto, grammi 30.
Uova, uno intero e un rosso.
Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o al fuoco, tostatele color
nocciuola e tritatele alla grossezza di mezzo chicco di riso; poi mescolate
tanto queste che lo zucchero fra la farina.
Nella massa così formata fate una buca per metterci il resto, ed intridetela
lavorandola il meno possibile; indi lasciatela qualche ora in riposo nella forma
di un pane rotondo.
Infarinate leggermente la spianatoia e tirate il pane suddetto, prima col
matterello liscio poi con quello rigato, alla grossezza poco meno di un
centimetro.
Se lo tagliate col disco del n. 162 o con altro consimile otterrete circa 50 di
queste pastine che potrete cuocere nel forno da campagna, dopo averle collocate
in una teglia unta appena col burro diaccio.
595. CENCI
Farina, grammi 240.
Burro, grammi 20.
Zucchero in polvere, grammi 20.
Uova, n. 2.
Acquavite, cucchiaiate n. l.
Sale, un pizzico.
Fate con questi ingredienti una pasta piuttosto soda, lavoratela moltissimo con
le mani e lasciatela un poco in riposo, infarinata e involtata in un canovaccio.
Se vi riuscisse tenera in modo da non poterla lavorare, aggiungete altra farina.
Tiratene una sfoglia della grossezza d'uno scudo, e col coltello o colla
rotellina a smerli, tagliatela a strisce lunghe un palmo circa e larghe due o
tre dita. Fate in codeste strisce qualche incisione per ripiegarle o
intrecciarle o accartocciarle onde vadano in padella (ove l'unto, olio o lardo,
deve galleggiare) con forme bizzarre. Spolverizzatele con zucchero a velo quando
non saranno più bollenti. Basta questa dose per farne un gran piatto. Se il pane
lasciato in riposo avesse fatta la crosticina, tornatelo a lavorare.
596. STIACCIATA COI SICCIOLI
Nel mondo bisognerebbe rispettar tutti e non disprezzare nessuno per da poco
ch'ei sia, perché, se ben vorrete considerarla, può pure codesta persona da poco
essere dotata di qualche qualità morale che non la renda indegna.
Questo in massima generale; ma venendo al particolare, benché il paragone non
regga e si tratti di cosa meschina, vi dirò che della stiacciata di cui mi
pregio parlarvi sono debitore a una rozza serva che la faceva a perfezione.
Lievito, grammi 650.
Zucchero in polvere, grammi 200.
Siccioli, grammi 100.
Burro, grammi 40.
Lardo, grammi 40.
Uova, n. 5.
Odore di scorza di arancio o di limone.
Per lievito qui intendo quello che serve per impastare il pane.
Lavoratela la sera avanti; prima sulla spianatoia il lievito senza i condimenti,
poi in una catinella per più di mezz'ora con una mano, aggiungendo a poco per
volta gli ingredienti e le uova. Poi copritela bene e ponetela in luogo tiepido
perché lieviti durante la notte. La mattina appresso rimpastatela e poi
versatela in una teglia di rame unta e infarinata ove stia nella grossezza non
maggiore di due dita. Fatto questo, mandatela in caldana per la seconda
lievitatura e passatela al forno. Si può anche compiere tutta l'operazione in
casa e cuocerla nel forno da campagna; ma vi prevengo che questa è una pasta
alquanto difficile a riuscir bene, specialmente se la stagione è molto fredda.
Meglio è che per farla aspettiate il dolco ma non vi sgomentate alla prima
prova.
Nel brutto caso che la mattina avesse lievitato poco o punto, aggiungete lievito
di birra in quantità poco maggiore di una noce, facendolo prima lievitare a
parte con un pizzico di farina e acqua tiepida.
597. STIACCIATA UNTA
La chiameremo stiacciata unta per distinguerla dalla precedente. Se quella ha il
merito di riuscire più grata al gusto, questa ha l'altro di una più facile
esecuzione.
La dose di questa stiacciata e la ricetta della torta mantovana mi furono
favorite da quel brav'uomo, già rammentato, che fu Antonio Mattei di Prato; e
dico bravo, perch'egli aveva il genio dell'arte sua ed era uomo onesto e molto
industrioso; ma questo mio caro amico, che mi rammentava sempre il Cisti fornaio
di messer Giovanni Boccaccio, morì l'anno 1885, lasciandomi addoloratissimo. Non
sempre sono necessarie le lettere e le scienze per guadagnarsi la pubblica
stima; anche un'arte assai umile, accompagnata da un cuor gentile ed esercitata
con perizia e decoro, ci può far degni del rispetto e dell'amore del nostro
simile.
Sotto rozze maniere e tratti umili
Stanno spesso i bei cuori e i sensi puri;
Degli uomini temiam troppo gentili,
Quai marmi son: lucidi, lisci e duri.
Ma veniamo all'ergo:
Pasta lievita da pane, grammi 700.
Lardo, grammi 120.
Zucchero, grammi 100.
Siccioli, grammi 60.
Rossi d'uovo, n. 4.
Un pizzico di sale.
Odore della scorza d'arancio o di limone.
Si lavori moderatamente perché potrebbe perder la forza. Fatta la sera e
lasciata in luogo tiepido si lievita da sé; fatta la mattina avrà bisogno di tre
ore di caldana in terra.
Se la volete senza siccioli aggiungete altri due rossi d'uovo ed altri grammi 30
di lardo.
Metà di questa dose basta per cinque o sei persone.
598. STIACCIATA ALLA LIVORNESE
Le stiacciate alla livornese usansi per Pasqua d'uovo forse perché il tepore
della stagione viene in aiuto a farle lievitar bene e le uova in quel tempo
abbondano. Richiedono una lavorazione lunga, forse di quattro giorni, perché
vanno rimaneggiate parecchie volte. Eccovi la nota degl'ingredienti necessari
per farne tre di media grandezza, o quattro più piccole:
Uova, n. 12.
Farina finissima, chilogrammi 1,800.
Zucchero, grammi 600.
Olio sopraffine, grammi 200.
Burro, grammi 70.
Lievito di birra, grammi 30.
Anaci, grammi 20.
Vin santo, decilitri 11/2.
Marsala, 1/2 decilitro.
Acqua di fior d'aranci, decilitri l.
Mescolate le due qualità di vino e in un po' di questo liquido ponete in fusione
gli anaci dopo averli ben lavati. A tarda sera potrete fare questa.
1a Operazione. Intridete il lievito di birra con mezzo bicchiere di acqua
tiepida, facendogli prender la farina che occorre per formare un pane di giusta
consistenza, che collocherete sopra il monte della farina, entro a una
catinella, coprendolo con uno strato della medesima farina. Tenete la catinella
riparata dall'aria e in cucina, se non avete luogo più tiepido nella vostra
casa.
2a Operazione. La mattina, quando il detto pane sarà ben lievitato, ponetelo
sulla spianatoia, allargatelo e rimpastatelo con un uovo, una cucchiaiata
d'olio, una di zucchero, una di vino e tanta farina da formare un'altra volta un
pane più grosso, mescolando ogni cosa per bene senza troppo lavorarlo.
Ricollocatelo sopra la farina e copritelo come l'antecedente.
3a Operazione. Dopo sei o sette ore, che tante occorreranno onde il pane torni a
lievitare, aggiungete tre uova, tre cucchiaiate d'olio, tre di zucchero, tre di
vino, e farina bastante per formare il solito pane e lasciatelo lievitar di
nuovo, regolandovi sempre nello stesso modo. Per conoscere il punto della
fermentazione calcolate che il pane deve aumentare circa tre volte di volume.
4a Operazione. Cinque uova, cinque cucchiaiate di zucchero, cinque d'olio,
cinque di vino e la farina necessaria.
5a ed ultima operazione. Le tre rimanenti uova e tutto il resto, sciogliendo il
burro al fuoco, si mescoli ben bene per rendere la pasta omogenea. Se il pastone
vi riuscisse alquanto morbido, il che non è probabile, aggiungete altra farina
per renderlo di giusta consistenza.
Dividetelo in tre o quattro parti formandone delle palle e ponete ognuna di esse
in una teglia sopra un foglio di carta che ne superi l'orlo, unta col burro, ove
stia ben larga; e siccome via via che si aumenta la dose degli ingredienti, la
fermentazione è più tardiva, l'ultima volta, se volete sollecitarla, ponete le
stiacciate a lievitare in caldana e quando saranno ben gonfie e tremolanti
spalmatele con un pennello prima intinto nell'acqua di fior di arancio, poi nel
rosso d'uovo. Cuocetele in forno a temperatura moderatissima, avvertendo che
quest'ultima parte è la più importante e difficile perché, essendo grosse di
volume, c'è il caso che il forte calore le arrivi subito alla superficie, e
nell'interno restino mollicone. Con questa ricetta, eseguita con accuratezza, le
stiacciate alla livornese fatte in casa, se non avranno tutta la leggerezza di
quelle del Burchi di Pisa, saranno in compenso più saporite e di ottimo gusto.
599. PANE DI SPAGNA
Uova, n. 6.
Zucchero fine in polvere, grammi 170.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 170.
Odore di scorza di limone a chi piace.
Dimenate prima i rossi d'uovo con lo zucchero, poi aggiungete la farina,
asciugata al fuoco o al sole, e dopo una lavorazione di circa mezz'ora versateci
due cucchiaiate delle sei chiare montate per rammorbidire il composto, indi il
resto mescolando adagio.
Potreste anche montare le uova sul fuoco come nel Dolce alla napoletana n. 586.
Cuocetelo al forno.
600. BISCOTTO
Uova, n. 6.
Zucchero a velo, grammi 250.
Farina di grano, grammi 100.
Detta di patate, grammi 50.
Burro, grammi 30.
Odore di scorza di limone.
Lavorate per mezz'ora almeno i rossi d'uovo collo zucchero e una cucchiaiata
delle dette farine, servendovi di un mestolo. Montate le chiare ben sode ed
aggiungetele; mescolate adagio e, quando saranno immedesimate, fate cadere da un
vagliettino le due farine, che prima avrete asciugate al sole o al fuoco.
Cuocetelo al forno o al forno da campagna in una teglia ove venga alto tre dita
circa, ma prima ungetela col burro diaccio e spolverizzatela di zucchero a velo
misto a farina. In questi dolci con le chiare montate si può anche tenere il
seguente metodo, e cioè: dimenar prima i rossi d'uovo con lo zucchero, poi
gettarvi la farina e dopo una buona lavorazione montar sode le chiare, versarne
due cucchiaiate per rammorbidire il composto, indi le rimanenti, per
incorporarvele adagio adagio.
601. BISCOTTO DI CIOCCOLATA
Uova, n. 6.
Zucchero in polvere, grammi 200.
Farina di grano, grammi 150.
Cioccolata alla vainiglia, grammi 50.
Grattate la cioccolata e mettetela in una catinella con lo zucchero e i rossi
d'uovo e dimenateli con un mestolo; poi aggiungete la farina e lavorate il
composto per più di mezz'ora; per ultimo le chiare montate mescolando adagio.
Cuocetelo come l'antecedente.
602. FOCACCIA COI SICCIOLI
Farina, grammi 500.
Zucchero in polvere fine, grammi 200.
Burro, grammi 160.
Siccioli, grammi 150.
Lardo, grammi 60.
Marsala o vino bianco, cucchiaiate n. 4.
Uova, due intere e due rossi.
Odore di scorza di limone.
Formata che avrete la pasta, lavorandola poco, uniteci i siccioli sminuzzati,
ungete una teglia di rame col lardo e versatecela pigiandola colle nocche delle
dita onde venga bernoccoluta; ma non tenetela più alta di un dito.
Prima di passarla al forno fatele, se dopo cotta volete servirla a pezzi, dei
tagli quadrati colla punta d'un coltello, ripetendoli a mezza cottura perché
facilmente si chiudono, e quando sarà cotta spolverizzatela di zucchero a velo.
603. FOCACCIA ALLA TEDESCA
Zucchero, grammi 120.
Candito a pezzettini, grammi 30.
Pangrattato fine, grammi 120.
Uva sultanina, grammi 30.
Uova, n. 4.
Odore di scorza di limone.
Lavorate prima i rossi d'uovo con lo zucchero finché siano divenuti quasi
bianchi; aggiungete il pangrattato, poi il candito e l'uva, e per ultimo le
chiare montate ben sode. Mescolate adagio per non smontarle e quando il composto
sarà tutto unito, versatelo in una teglia imburrata e infarinata o spolverizzata
di pangrattato, ove alzi due dita circa e cuocetela al forno; questo dolce
prenderà l'apparenza del pan di Spagna che spolverizzerete, dopo cotto, di
zucchero a velo.
Se dovesse servire per dieci o dodici persone raddoppiate la dose.
604. PANETTONE MARIETTA
La Marietta è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io
intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei.
Farina finissima, grammi 300.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 80.
Uva sultanina, grammi 80.
Uova, uno intero e due rossi.
Sale, una presa.
Cremor di tartaro, grammi 10.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino, ossia grammi 5 scarsi.
Candito a pezzettini, grammi 20.
Odore di scorza di limone.
Latte, decilitri 2 circa.
D'inverno rammorbidite il burro a bagno-maria e lavoratelo colle uova;
aggiungete la farina e il latte a poco per volta, poi il resto meno l'uva e le
polveri che serberete per ultimo; ma, prima di versar queste, lavorate il
composto per mezz'ora almeno e riducetelo col latte a giusta consistenza, cioè,
né troppo liquido, né troppo sodo. Versatelo in uno stampo liscio più alto che
largo e di doppia tenuta onde nel gonfiare non trabocchi e possa prendere la
forma di un pane rotondo. Ungetene le pareti col burro, spolverizzatelo con
zucchero a velo misto a farina e cuocetelo in forno. Se vi vien bene vedrete che
cresce molto formando in cima un rigonfio screpolato. È un dolce che merita di
essere raccomandato perché migliore assai del panettone di Milano che si trova
in commercio, e richiede poco impazzamento.
605. PANE BOLOGNESE
Questo è un pane che farà onore alla classica cucina bolognese perché gustoso a
mangiarsi solo e atto a essere servito per inzupparlo in qualunque liquido.
Farina di grano, grammi 500.
Zucchero a velo, grammi 180
Burro, grammi 180.
Zibibbo, grammi 70.
Pinoli tritati all'ingrosso, grammi 50.
Cedro candito a piccoli filetti, grammi 30.
Cremor di tartaro, grammi 8.
Bicarbonato, grammi 4
Uova, n. 2.
Latte, decilitri I.
Mescolate lo zucchero con la farina e fatene un monte sulla spianatoia; nella
buca che gli farete poneteci il burro, le uova e il latte, ma questo tiepido con
le due polveri, dentro, le quali già vedrete che cominciano a fermentare.
Impastate ogni cosa insieme e quando il pastone è divenuto omogeneo apritelo per
aggiungervi i pinoli, il candito e l'uva.
Rimaneggiatelo, onde queste cose vengano sparse egualmente per formarne due pani
a forma di spola alti poco più di un dito, dorateli col rosso d'uovo e cuoceteli
subito al forno od anche al forno da campagna.
606. CIAMBELLE OSSIA BUCCELLATI I
Farina finissima, chilogrammi 1,700.
Zucchero, grammi 300.
Lievito, grammi 200.
Burro, grammi 150.
Lardo, grammi 50.
Latte, decilitri 4.
Marsala, decilitri 2.
Rhum, due cucchiaiate.
Uova, n. 6.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino.
Un pizzico di sale.
Odore di scorza di limone.
Se siete precisi colle dosi indicate, la farina basterà per l'appunto ad
ottenere una pasta di giusta sodezza.
Per lievito, come ho detto altra volta, intendo quella pasta, già preparata, che
serve di fermento al pane.
Il limone da grattare dev'essere di giardino.
Sciogliete il lievito in una catinella colla metà del latte, facendogli prendere
tanta farina da farne un pane di giusta consistenza. Dopo formato lasciatelo
stare in mezzo alla farina in modo che ne sia circondato da uno strato più alto
di un dito. Ponete la catinella in luogo non freddo, riparato dall'aria, e
quando quel pane sarà ben lievitato, per il che accorreranno, a seconda della
stagione, otto o dieci ore, guastatelo e rifatelo più grande col resto del latte
e della farina occorrente. Aspettate che abbia di nuovo lievitato e che sia ben
rigonfiato, per il che ci vorrà altrettanto tempo; versatelo allora sulla
spianatoia ed impastatelo col resto della farina e con tutti gl'ingredienti
citati; ma lavoratelo ben bene e con forza onde la pasta si affini e divenga
tutta omogenea.
Preparate dei teglioni di ferro o delle teglie di rame stagnate, unte col lardo
e infarinate, e nelle medesime collocate le ciambelle che farete grandi a
piacere, ma in modo che vi stiano assai larghe. Lasciatele lievitare in cucina o
in altro luogo di temperatura tiepida, ed allorché saranno ben rigonfiate, ma
non passate di lievito, fate loro colla punta di un coltello delle lunghe
incisioni alla superficie, doratele coll'uovo e spargeteci sopra dello zucchero
cristallino pestato grosso.
Cuocetele in forno a moderato calore.
Vi avverto che d'inverno sarà bene impastare il lievito col latte tiepido e
mandare le ciambelle a lievitare nella caldana. Colla metà dose potete ottenere
quattro belle ciambelle di grammi 350 circa ciascuna, quando non vogliate farle
più piccole.
607. CIAMBELLE OSSIA BUCCELLATI II
Queste ciambelle da famiglia sono di più semplice fattura delle precedenti.
Farina d'Ungheria, grammi 500.
Zucchero, grammi 180.
Burro, grammi 90.
Cremor di tartaro, grammi 15.
Bicarbonato di soda, grammi 5.
Uova, n. 2.
Odore di buccia di limone o di anaci od anche di cedro candito in pezzettini.
Fate una buca nella farina per metterci il burro sciolto, le uova e lo zucchero.
Intridete la farina con questi ingredienti e col latte che occorre per formare
una pasta di giusta consistenza e dimenatela molto.
Le due polveri e gli odori aggiungeteli in ultimo.
Invece di una sola ciambella potete farne due e tenerle col buco largo, che
vengono grosse abbastanza. Fate loro qualche incisione alla superficie, doratele
col rosso d'uovo e cuocetele al forno o al forno da campagna ungendo la teglia
con burro o lardo. Anche con la metà delle dosi si ottiene una discreta
ciambella.
608. PASTA MADDALENA
Zucchero, grammi 130.
Farina fine, grammi 80.
Burro, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 4.
Chiare, n. 3.
Una presa di bicarbonato di soda.
Odore di scorza di limone.
Lavorate prima i rossi d'uovo collo zucchero, e quando saranno diventati
biancastri, aggiungete la farina e lavorate ancora per più di un quarto d'ora.
Unite al composto il burro liquefatto se è d'inverno, e per ultimo le chiare
montate.
La farina asciugatela al fuoco, o al sole, se d'estate.
A questa pasta potete dare forme diverse, ma tenetela sempre sottile e di poco
volume. Si usa metterla in degli stampini lavorati, unti col burro e infarinati,
oppure in teglia alla grossezza di un dito scarso, tagliandola dopo in forma di
mandorle che spolverizzerete di zucchero a velo. Potete anche farla della
grossezza di mezzo dito e appiccicare insieme le mandorle a due per due con
conserve di frutta.
609. PIZZA ALLA NAPOLETANA
Pasta frolla metà della ricetta A del n. 589, oppure l'intera ricetta B dello
stesso numero.
Ricotta, grammi 150.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 70.
Zucchero, grammi 50.
Farina, grammi 20
Uova, n. 1 e un rosso.
Odore di scorza di limone o di vainiglia.
Latte, mezzo bicchiere.
Fate una crema col latte, collo zucchero, colla farina, con l'uovo intero
sopraindicato e quando è cotta ed ancor bollente aggiungete il rosso e datele
l'odore. Unite quindi alla crema la ricotta e le mandorle sbucciate e pestate
fini. Mescolate il tutto e riempite con questo composto la pasta frolla disposta
a guisa di torta, e cioè fra due sfoglie della medesima ornata di sopra e dorata
col rosso d'uovo. S'intende già che dev'essere cotta in forno, servita fredda e
spolverizzata di zucchero a velo. A me sembra che questo riesca un dolce di
gusto squisito.
610. PIZZA GRAVIDA
Servitevi del seguente composto, uso crema:
Latte, un quarto di litro.
Zucchero, grammi 60.
Amido, grammi 30.
Rossi d'uovo, n. 2.
Odore che più aggradite.
Aggiungete quando la ritirate dal fuoco:
Pinoli interi, grammi 30.
Uva passolina, grammi 80.
Riempite con questo composto una pasta frolla come avete fatto per la pizza alla
napoletana e cuocetela come la precedente.
611. QUATTRO QUARTI ALL’INGLESE
Uova n. 5 e del loro peso, compreso il guscio, altrettanto zucchero ed
altrettanta farina.
Uva passolina, grammi 200.
Burro, grammi 200.
Candito a pezzettini, grammi 30.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino.
Lavorate prima le uova con lo zucchero, aggiungete la farina e continuate a
lavorare con un mestolo per mezz'ora all'incirca. Lasciate il composto in riposo
per un'ora o due, indi unite al medesimo il burro sciolto a bagnomaria, il
bicarbonato, l'uva e il candito; versatelo in una teglia o in una forma liscia,
unta col burro e spolverizzata di zucchero a velo misto a farina e cuocetelo al
forno.
L'uva passolina lavatela prima, onde nettarla dalla terra che ordinariamente
contiene, ed asciugatela. Qui viene a proposito uno sfogo contro la proverbiale
indolenza degl'Italiani i quali sono soliti di ricorrere ai paesi esteri anche
per quelle cose che avrebbero a portata di mano nel proprio. Nelle campagne
della bassa Romagna si raccoglie un'uva nera a piccolissimi chicchi e senza
seme, colà chiamata uva romanina, che io, per uso di casa mia, ho messo talvolta
a profitto perché non si distingue dalla passolina se non per essere di qualità
migliore e priva d'ogni sozzura. Per seccarla distendete i grappoli in un
graticcio, tenetela in caldana per sette od otto giorni, nettandola dai raspi
quando sarà secca.
612. QUATTRO QUARTI ALL’ITALIANA
Questo dolce si fa nella stessa maniera del precedente eccetto che si
sostituisce al candito l'odore della buccia di limone, e all'uva passolina gr.
100 di mandorle dolci con alcune amare. Usando anche qui il bicarbonato di soda,
il dolce riescirà più leggiero. Le mandorle, dopo averle sbucciate, asciugatele
al sole o al fuoco, pestatele fini con due cucchiaiate dello zucchero della
ricetta e mescolatele alla farina prima di gettarle nel composto. Se non usate
questa precauzione c'è il caso di trovar le mandorle tutte ammassate insieme. È
un dolce che ha bisogno di essere lavorato molto, tanto prima che dopo averci
versato il burro; e il mio cuoco ha sperimentato che riesce meglio tenendo la
catinella immersa nell'acqua calda, mentre si lavora, cosa questa che si può
dire anche per le altre paste consimili. Se fatto con attenzione sarà giudicato
un dolce squisito.
613. DOLCE DI MANDORLE
Uova, n. 3.
Zucchero, il peso dell'uova.
Farina di patate, grammi 125.
Burro, grammi 125.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 125.
Odore di buccia di limone grattata.
Sbucciate le mandorle, asciugatele al sole o al fuoco e pestatele finissime nel
mortaio con un terzo del detto zucchero. Lavorate con un mestolo i tre rossi
delle uova colla rimanenza dello zucchero e la buccia del limone, finché saranno
divenuti biancastri; uniteci dopo la farina di patate, poi le mandorle pestate e
il burro liquefatto, lavorando ancora il composto. Per ultimo versateci le
chiare montate e quando sarà amalgamata ogni cosa insieme cuocetelo nel forno da
campagna, spolverizzandolo di zucchero a velo diaccio che sia.
Se vi servirete di una teglia, il cui fondo sia del diametro di centimetri 22
circa, il dolce verrà giusto di altezza. Potete servirvi dello stesso burro per
unger la teglia, la quale, come sapete, va spolverizzata con zucchero a velo
misto a farina. È un dolce di gusto delicato che può bastare per otto persone.
614. OFFELLE DI MARMELLATA
La parola offella, in questo significato, è del dialetto romagnolo e, se non
isbaglio, anche del lombardo, e dovrebbe derivare dall'antichissima offa,
focaccia, schiacciata composta di farro e anche di varie altre cose.
Dar l'offa al cerbero è una frase che ha il merito dell'opportunità parlandosi
di coloro, e non son pochi oggigiorno, che danno la caccia a qualche carica onde
aver modo di riceverla e mangiare sul tesoro pubblico a quattro ganascie. Ma
torniamo alle offelle, che sarà meglio.
Mele rose, grammi 500.
Zucchero in polvere, grammi 125.
Candito, grammi 30.
Cannella in polvere, due cucchiaini.
Tagliate le mele in quattro spicchi, sbucciateli e levate loro la loggia del
torsolo. Tagliate questi spicchi a fette più sottili che potete e ponetele al
fuoco in una cazzaruola con due bicchieri d'acqua, spezzettandole col mestolo.
Queste mele sono di pasta dura e per cuocerle hanno bisogno d'acqua; anzi, se
bollendo rimanessero troppo asciutte, aggiungetene dell'altra. Aspettate che
siano spappolate per gettarvi lo zucchero e poi assaggiate se il dolce è giusto,
perché le frutta in genere, a seconda della maturità, possono essere più o meno
acide. Per ultimo aggiungete il candito a piccoli pezzettini e la cannella.
Servitevi della pasta frolla n. 589 nel quantitativo della ricetta A,
distendetela col matterello alla grossezza di uno scudo e tagliatela collo
stampo rotondo e smerlato come quello segnato [in questa pagina]; un disco sotto
e un disco sopra, quest'ultimo tirato col matterello rigato, e in mezzo la
marmellata, umettando gli orli perché si attacchino. Dorate le offelle col rosso
d'uovo e mandatele al forno, spolverizzandole dopo di zucchero a velo.
615. OFFELLE DI MARZAPANE
Servitevi della pasta frolla n. 589 nel quantitativo della ricetta A,
distendetela col matterello alla grossezza di uno scudo e tagliatela collo
stampo rotondo e smerlato come quello segnato [in questa pagina]; un disco sotto
e un disco sopra, quest'ultimo tirato col matterello rigato, e in mezzo la
marmellata, umettando gli orli perché si attacchino. Dorate le offelle col rosso
d'uovo e mandatele al forno, spolverizzandole dopo di zucchero a velo.
616. CROSTATE
Per crostate io intendo quelle torte che hanno per base la pasta frolla e per
ripieno le conserve di frutta o la crema.
Prendete la dose intera della ricetta del B n. 589, o la metà della ricetta A, e
in ambedue servitevi, come si è detto, di un uovo intero e un torlo; ma prima di
metterli nella pasta frullateli a parte e, per risparmio, lasciate indietro un
po’ d'uovo che servirà per dorare la superficie della crostata. Alla pasta
frolla che deve servire a quest'uso sarà bene dare un qualche odore come quello
di scorza di limone o d'acqua di fior d'arancio; il meglio sarebbe servirsi
esclusivamente della ricetta C.
Per formar la crostata spianate col matterello liscio una metà della pasta per
avere una sfoglia rotonda della grossezza di uno scudo all'incirca e ponetela in
una teglia unta col burro. Sopra la medesima distendete la conserva oppure la
crema od anche l'una e l'altra, tenendole però separate. Se la conserva fosse
troppo soda rammorbiditela al fuoco con qualche cucchiaiata d'acqua. Sopra la
conserva distendete a eguale distanza l'una dall'altra tante strisce di pasta
tirata col matterello rigato, larghe un dito scarso, e incrociatele in modo che
formino un mandorlato; indi coprite l'estremità delle strisce con un cerchio
all'ingiro fatto colla pasta rimanente, inumiditelo coll'acqua per attaccarlo
bene. Dorate coll'uovo lasciato a parte la superficie della pasta frolla, e
cuocete la crostata in forno o nel forno da campagna. Migliora dopo un giorno o
due.
617. CROCCANTE
Mandorle dolci, grammi 120.
Zucchero in polvere, grammi 100
Sbucciate le mandorle, distaccatene i lobi, cioè le due parti nelle quali sono
naturalmente congiunte, e tagliate ognuno dei lobi in filetti o per il lungo o
per traverso come più vi piace. Ponete queste mandorle così tagliate al fuoco ed
asciugatele fino al punto di far loro prendere il colore gialliccio, senza però
arrostirle. Frattanto ponete lo zucchero al fuoco in una cazzaruola
possibilmente non istagnata e quando sarà perfettamente liquefatto, versatevi
entro le mandorle ben calde, e mescolate. Qui avvertite di gettare una palettata
di cenere sulle bragi, onde il croccante non vi prenda l'amaro, passando di
cottura, il punto preciso della quale si conosce dal color cannella che acquista
il croccante. Allora versatelo a poco per volta in uno stampo qualunque, unto
prima con burro od olio, e pigiandolo con un limone contro le pareti,
distendetelo sottile quanto più potete. Sformatelo diaccio e se ciò vi riescisse
difficile, immergete lo stampo nell'acqua bollente. Si usa anche seccar le
mandorle al sole, tritarle fini colla lunetta, unendovi un pezzo di burro quando
sono nello zucchero.
618. SALAME INGLESE
Questo dolce, che si potrebbe più propriamente chiamare pan di Spagna ripieno e
che fa tanto bella mostra nelle vetrine de' pasticcieri, sembra, per chi è
ignaro dell'arte, un piatto d'alta credenza: ma non è niente affatto difficile
ad eseguirsi.
Fate un pan di Spagna colle seguenti dosi e per cuocerlo al forno distendetelo
all'altezza di mezzo dito in un teglione possibilmente rettangolare, unto col
burro e spolverizzato di farina.
Zucchero in polvere, grammi 200.
Farina finissima, grammi 170.
Uova, n. 6.
In questo e consimili casi, alcuni trattati dell'arte suggeriscono di asciugar
bene la farina al sole o al fuoco prima di adoperarla, per renderla forse più
leggiera.
Lavorate i rossi d'uovo collo zucchero per circa mezz'ora; unite ai medesimi le
chiare ben montate e dopo averle mescolate adagino fate cadere la farina da un
vagliettino, oppure tenetevi al metodo indicato al n. 588.
Levato dal forno, tagliate dal medesimo, quando è ancora caldo, un numero
sufficiente di strisce, larghe 2 centimetri circa e lunghe quanto il pezzo di
pan di Spagna, al quale devono servire di ripieno; ma perché queste strisce
facciano un bell'effetto, devono prendere colori diversi; quindi alcune
aspergetele di rosolio bianco e resteranno gialle; altre di alkermes e
figureranno rosse, e alle ultime fate prendere il nero con un rosolio bianco ove
sia stata infusa della cioccolata. Questi filetti così preparati disponeteli uno
sopra l'altro, alternandoli, nel mezzo del pezzo di pan di Spagna rimasto
intero, la superficie del quale avrete prima spalmata di una liquida conserva di
frutta e spalmati pure i filetti, onde stiano uniti. Tirate i lembi del pan di
Spagna sopra i medesimi e formate un rotolo tutto unito il quale, tagliato poi a
fette, presenterà per ripieno una scacchiera a diversi colori.
Questo dolce si può far più semplice per uso di famiglia nel seguente modo,
bastando la metà della dose anche per una teglia grande.
Spalmate il pan di Spagna con rosolio e conserva di frutta, sia di cotogne, di
albicocche o di pesche poco importa, distendete sulla medesima delle fettine
sottili di candito e rotolate come un foglio il pezzo intero sopra sé stesso; ma
nell'una o nell'altra maniera sarebbe bene, per dargli più bell'aspetto, di
ornare la superficie o con un ricamo di zucchero o con una crosta di cioccolata
come usano i pasticcieri; ma codesti signori, per fare tali cose a perfezione,
hanno certi loro segreti particolari che non insegnano volentieri. Conosco,
però, così alto alto, un loro processo speciale che troverete descritto al n.
789. Frattanto contentatevi del seguente, che è più semplice ma non del tutto
perfetto:
Intridete dello zucchero a velo con chiara d'uovo, facendolo molto sodo, e
distendetelo sopra al dolce uniformemente, oppure mettetelo in un cartoccio
foggiato a forma di cornetto, e strizzandolo, per farlo uscire dal piccolo buco
in fondo, giratelo sul dolce per formare il disegno che più vi piace. Se la
crosta la fate nera, prendete gr. 60 di zucchero a velo e gr. 30 di cioccolata
in polvere, mescolate, intridete ugualmente con chiara d'uovo e distendete
l'intriso sul dolce. Se non si asciuga naturalmente, ponetelo sotto l'azione di
un moderato calore.
619. CAVALLUCCI DI SIENA
I dolci speciali a Siena sono il panforte, i ricciarelli, i cavallucci e le
cupate. I cavallucci sono pastine in forma di mostacciuoli della dimensione
segnata qui sotto; quindi vedete che la figura di un cavallo non ci ha niente
che fare, e perché siano così chiamati credo non si sappia neanche a Siena di
tre cose piena: di torri, di campane e di quintane.
Con questa ricetta intendo indicarvi il modo di poterli imitare, ma non di farli
del tutto precisi perché se nel sapore all'incirca ci siamo, la manipolazione
lascia a desiderare, ed è cosa naturale. Dove si lavora in grande e con processi
che sono un segreto ai profani, l'imitazione zoppica sempre.
Farina, grammi 300.
Zucchero biondo, grammi 300.
Noci sgusciate, grammi 100.
Arancio candito, grammi 50.
Anaci, grammi 15.
Spezie e cannella in polvere, grammi 5.
Le noci tritatele alla grossezza della veccia all'incirca.
L'arancio tagliatelo a dadettini.
Lo zucchero mettetelo al fuoco con un terzo del suo peso di acqua e quando è
ridotto a cottura di filo gettate in esso tutti gli ingredienti, mescolate e
versate il composto caldo nella spianatoia sopra la farina per intriderla; ma
per far questo vedrete che vi occorrerà dell'altra farina, la quale serve a
ridurre la pasta consistente. Formate allora i cavallucci, dei quali, con questa
dose, ne otterrete oltre a 40, e siccome, a motivo dello zucchero, questa pasta
appiccica, spolverizzateli di farina alla superficie. Collocateli in una teglia
e cuoceteli in bianco a moderato calore. State molto attenti alla cottura dello
zucchero, perché se cuoce troppo diventa scuro. Quando, prendendone una goccia
tra il pollice e l'indice, comincia a filare, basta per questo uso.
620. RICCIARELLI DI SIENA
Zucchero bianco fine, grammi 220.
Mandorle dolci, grammi 200.
Dette amare, grammi 20.
Chiare d'uovo, n. 2.
Odore di buccia d'arancio.
Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o al fuoco e pestatele finissime
nel mortaio con due cucchiaiate del detto zucchero, versato in diverse volte;
poi uniteci il resto dello zucchero mescolando bene.
Montate le chiare in un vaso qualunque e versateci le mandorle così preparate e
la buccia dell'arancio grattata. Mescolate di nuovo con un mestolo e versate il
composto sulla spianatoia sopra a un leggiero strato di farina per fargliene
prendere soltanto quella ben poca quantità che occorre per tirare leggermente
col matterello una stiacciata morbida, grossa mezzo dito. Allora tagliateli con
la forma qui sotto segnata e ne otterrete da 16 a 18 per cuocerli nel seguente
modo:
Prendete una teglia, fatele uno strato di crusca alto quanto uno scudo e
copritelo tutto di cialde per posarvi su i ricciarelli e cuocerli al forno a
moderato calore onde restino teneri. in mancanza del forno, che sarebbe il più
opportuno, servitevi del forno da campagna.
Dopo cotti tagliate via la cialda che sopravanza agli orli di queste paste, che
riescono di qualità fine.
621. CIALDONI
Ponete in un pentolo:
Farina, grammi 80.
Zucchero biondo, grammi 30.
Lardo vergine e appena tiepido, grammi 20.
Acqua diaccia, sette cucchiaiate.
Sciogliete prima, coll'acqua, la farina e lo zucchero, poi aggiungete il lardo.
Ponete sopra un fornello ardente il ferro da cialde e quando è ben caldo
apritelo e versatevi sopra ogni volta mezza cucchiaiata della detta pastella;
stringete le due parti del ferro insieme, passatelo sul fuoco da una parte e
dall'altra, levate le sbavature con un coltello ed apritelo quando conoscerete
che la cialda ha preso il color nocciuola. Allora distaccatela alquanto da una
parte col coltello e subito così calda sopra il ferro medesimo o sopra a un
canovaccio disteso sul focolare arrotolatela con un bocciuolo di canna o
semplicemente colle mani. Quest'ultima operazione bisogna farla molto svelti
perché se la cialda si diaccia non potrete più avvolgerla su sé stessa. Se le
cialde restassero attaccate al ferro ungetelo a quando a quando col lardo, e se
non venissero tutte unite, aggiungete un po' di farina.
Sapete già che i cialdoni si possono servir soli; ma è meglio accompagnarli con
la panna o con la crema montata ed anche col latte brûlé o col latte alla
portoghese.
622. FAVE ALLA ROMANA O DEI MORTI
Queste pastine sogliono farsi per la commemorazione dei morti e tengono luogo
della fava baggiana, ossia d'orto, che si usa in questa occasione cotta
nell'acqua coll'osso di prosciutto. Tale usanza deve avere la sua radice
nell'antichità più remota poiché la fava si offeriva alle Parche, a Plutone e a
Proserpina ed era celebre per le cerimonie superstiziose nelle quali si usava.
Gli antichi Egizi si astenevano dal mangiarne, non la seminavano, né la
toccavano colle mani, e i loro sacerdoti non osavano fissar lo sguardo sopra
questo legume stimandolo cosa immonda. Le fave, e soprattutto quelle nere, erano
considerate come una funebre offerta, poiché credevasi che in esse si
rinchiudessero le anime dei morti, e che fossero somiglianti alle porte
dell'inferno.
Nelle feste Lemurali si sputavano fave nere e si percuoteva nel tempo stesso un
vaso di rame per cacciar via dalle case le ombre degli antenati, i Lemuri e gli
Dei dell'inferno.
Festo pretende che sui fiori di questo legume siavi un segno lugubre e l'uso di
offrire le fave ai morti fu una delle ragioni, a quanto si dice, per cui
Pitagora ordinò a' suoi discepoli di astenersene; un'altra ragione era per
proibir loro di immischiarsi in affari di governo, facendosi con le fave lo
scrutinio nelle elezioni.
Varie sono le maniere di fare le fave dolci; v'indicherò le seguenti: le due
prime ricette sono da famiglia, la terza è più fine.
PRIMA RICETTA
Farina, grammi 200.
Zucchero, grammi 100.
Mandorle dolci, grammi 100.
Burro, grammi 30.
Uova, n. l.
Odore di scorza di limone, oppure di cannella, o d'acqua di fior d'arancio.
SECONDA RICETTA
Mandorle dolci, grammi 200.
Farina, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Burro, grammi 30.
Uova, n. l.
Odore, come sopra.
TERZA RICETTA
Mandorle dolci, grammi 200.
Zucchero a velo, grammi 200.
Chiare d'uovo, n. 2.
Odore di scorza di limone o d'altro.
Per le due prime sbucciate le mandorle e pestatele collo zucchero alla grossezza
di mezzo chicco di riso. Mettetele in mezzo alla farina insieme cogli altri
ingredienti e formatene una pasta alquanto morbida con quel tanto di rosolio o
d'acquavite che occorre. Poi riducetela a piccole pastine, in forma di una
grossa fava, che risulteranno in numero di 60 o 70 per ogni ricetta. Disponetele
in una teglia di rame unta prima col lardo o col burro e spolverizzata di
farina; doratele coll'uovo. Cuocetele al forno o al forno da campagna,
osservando che, essendo piccole, cuociono presto. Per la terza seccate le
mandorle al sole o al fuoco e pestatele fini nel mortaio con le chiare d'uovo
versate a poco per volta. Aggiungete per ultimo lo zucchero e mescolando con una
mano impastatele. Dopo versate la pasta sulla spianatoia sopra a un velo
sottilissimo di farina per poggiarla a guisa di un bastone rotondo, che
dividerete in 40 parti o più per dar loro la forma di fave che cuocerete come le
antecedenti.
623. COTOGNATA
Mele cotogne, chilogrammi 3.
Zucchero bianco fine, chilogrammi 2.
Mettete al fuoco le mele coperte d'acqua e quando cominciano a screpolare,
levatele, sbucciatele e grattatele alla meglio per levarne tutta la polpa che
passerete poi dallo staccio. Rimettetela al fuoco collo zucchero e rimestatela
sempre onde non si attacchi. Sette od otto minuti di bollitura basteranno; ma
poi, se presa su col mestolo comincia a cadere a stracci, levatela. Se la
mettete in vasi potrà servirvi come conserva e fatta in tal modo resterà più
bianca di quella che vi descriverò al n. 741, ma con meno fragranza, perché una
parte dell'odore particolare a questo frutto si sperde nell'acqua.
Per ridurla a cotognata distendetela sopra un'asse alla grossezza poco più di
uno scudo ed asciugatela al sole coperta di un velo perché le mosche e le vespi
ne sono ghiottissime. Quando è asciutta di sopra tagliatela in forma di
tavolette di cioccolata e passandole sotto un coltello per distaccarla
dall'asse, rivoltatela dalla parte opposta.
Se poi vi piacesse di darle forme bizzarre procuratevi degli stampini di latta
vuoti dalle due parti, riempiteli, lisciateli e distaccando la marmellata dagli
orli con delicatezza, ponetela ugualmente sull'asse ed asciugatela nella stessa
maniera.
Potete anche crostarla, volendo, e allora mettete a struggere grammi 100 di
zucchero bianco con due cucchiaiate d'acqua e quando avrà bollito tanto da fare
il filo (presane una goccia fra due dita) spalmate ogni pezzo con un pennello.
Se lo zucchero vi si rappiglia durante l'operazione (che è bene fare in una
giornata non umida) rimettetelo al fuoco con un altro gocciolo d'acqua e fatelo
bollire di nuovo. Quando lo zucchero è asciutto da una parte e sugli orli,
spalmate la parte opposta.
624. TORTELLI DI CECI
Eccovi un piatto che si usa fare in quaresima.
Ceci secchi (dico secchi perché in Toscana si vendono rammolliti nell'acqua del
baccalà), grammi 300.
Metteteli in molle la sera nell'acqua fresca e la mattina unite ai medesimi 7 o
8 marroni secchi e poneteli al fuoco con acqua ugualmente fresca entro a una
pentola di terra con grammi 3 di carbonato di soda legato in una pezzettina.
Questo il popolo lo chiama il segreto e serve a facilitare la cottura dei ceci.
Invece del carbonato di soda si può usare la rannata. La sera avanti mettete i
ceci in un vaso qualunque, copritene la bocca con un canovaccio ove abbiate
messo una palettata di cenere; fate passare attraverso la medesima dell'acqua
bollente fino a che i ceci restino coperti e la mattina, levati dalla rannata,
prima di metterli al fuoco lavateli bene coll'acqua fresca. Cotti che siano,
levateli asciutti e passateli per istaccio caldi, bollenti, insieme coi marroni;
e se, nonostante il segreto o la rannata, fossero rimasti duri per la qualità
dell'acqua, pestateli nel mortaio. Quando li avrete passati, conditeli ed
aggraziateli con un pizzico di sale, con sapa nella quantità necessaria a
rendere il composto alquanto morbido, mezzo vasetto di mostarda di Savignano, o
di quella descritta al n. 788, grammi 40 di candito a piccoli pezzettini, un
poco di zucchero, se la sapa non li avesse indolciti abbastanza, e due
cucchiaini di cannella pesta.
In difetto di cavalli, si cerca di far trottare gli asini, si va alla busca di
compensi; e in questo caso, se vi mancassero la sapa e la mostarda (la migliore
al mio gusto è quella di Savignano in Romagna), si supplisce alla prima con
grammi 80 di zucchero e alla seconda con grammi 7 di senapa in polvere sciolta
nell'acqua calda degli stessi ceci. Ora passiamo alla pasta per chiuderli, in
merito alla quale potete servirvi di quella de' Cenci n. 595, metà dose di detta
ricetta, oppure della seguente:
Farina, grammi 270.
Burro, grammi 20.
Zucchero, grammi 15.
Uova, n. l.
Vino bianco, o marsala, cucchiaiate n. 3 circa.
Sale, un pizzico.
Tiratene una sfoglia della grossezza di mezzo scudo all'incirca e tagliatela
collo stampo rotondo smerlato del n. 614. Fate che nei dischi il ripieno abbondi
ed avrete, riunendone i lembi, i tortelli in forma di un quarto di luna.
Friggeteli nel lardo o nell'olio e quando non sono più a bollore spolverizzateli
di zucchero a velo.
Colla broda de' ceci potete fare una zuppa o cuocervi, come si usa in Toscana,
le strisce di pasta comperata.
Questi tortelli riescono così buoni che nessuno saprà indovinare se sono di
ceci.
625. FOCACCIA ALLA PORTOGHESE
Questo ve lo do per un dolce assai delicato e gentile.
Mandorle dolci, grammi 150.
Zucchero, grammi 150.
Farina di patate, grammi 50.
Uova, n. 3.
Aranci. n. 1½
Lavorate dapprima i rossi d'uovo collo zucchero, aggiungete la farina, poi le
mandorle sbucciate e pestate fini con una cucchiaiata del detto zucchero, e dopo
il sugo passato dagli aranci e la buccia superficiale raschiata di un solo
arancio. Per ultimo unite al composto le chiare montate, versatelo in una
scatola di carta unta di burro, alla grossezza di un dito e mezzo e cuocetelo al
forno a moderatissimo calore. Dopo cotta, copritela di una crosta bianca come al
n. 789.
626. AMARETTI I
Zucchero bianco in polvere, grammi 250.
Mandorle dolci, grammi 100.
Mandorle amare, grammi 50.
Chiare d'uovo, n. 2.
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al fuoco, poi tritatele finissime
con la lunetta. Lavorate col mestolo lo zucchero e le chiare per mezz'ora
almeno, e aggiungete le mandorle per formarne una pasta soda in modo da farne
delle pallottole grosse quanto una piccola noce; se riuscisse troppo morbida
aggiungete altro zucchero e se troppo dura un'altra po' di chiara, questa volta
montata. Se vi piacesse dare agli amaretti un colore tendente al bruno,
mescolate nel composto un po' di zucchero bruciato.
Via via che formate le dette pallottole, che stiaccerete alla grossezza di un
centimetro, ponetele sopra le ostie, o sopra pezzetti di carta, oppure in una
teglia unta col burro e spolverizzata di metà farina e metà zucchero a velo; ma
a una discreta distanza l'una dall'altra perché si allargano molto e gonfiano,
restando vuote all'interno. Cuocetele in forno a moderato calore.
627. AMARETTI II
Eccovi un'altra ricetta di amaretti che giudico migliori dei precedenti e di più
facile esecuzione.
Zucchero bianco a velo, grammi 300.
Mandorle dolci, grammi 180.
Mandorle amare, grammi 20.
Chiare d'uovo, n. 2.
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al fuoco; poi pestatele fini nel
mortaio con una chiara versata in più volte. Fatto questo mescolateci la metà
dello zucchero, mantrugiando il composto con una mano. Dopo versatelo in un vaso
e, mantrugiando sempre perché s'incorpori, aggiungete una mezza chiara, poi
l'altra metà dello zucchero e appresso l'ultima mezza chiara.
Otterrete, così lavorato, un impasto omogeneo e di giusta consistenza che
potrete foggiare a bastone per tagliarlo a pezzetti tutti eguali. Prendeteli su
a uno a uno con le mani bagnate alquanto per formarne delle pallottole grosse
come le noci. Stiacciatele alla grossezza di un centimetro e pel resto
regolatevi come per i precedenti, ma spolverizzateli leggermente di zucchero a
velo prima di metterli in forno a calore ardente, e dico forno perché il forno
da campagna non sarebbe al caso per questa pasta. Con questa dose otterrete una
trentina di amaretti.
628. PASTICCINI DI MARZAPANE
Fate una pasta frolla colla ricetta C del n. 589.
Fate un marzapane come quello del n. 579 nelle seguenti proporzioni:
Mandorle dolci con tre amare, sbucciate, grammi 180.
Zucchero, grammi 150.
Burro, grammi 25.
Arancio candito, grammi 25.
Un rosso d'uovo.
Diverse cucchiaiate d'acqua.
Servitevi degli stampini da brioches o alquanto più piccoli, che sarebbe meglio;
ungeteli col burro, foderateli di pasta frolla sottile quanto uno scudo,
riponeteci il marzapane, ripiegategli sopra i lembi della pasta, bagnate l'orlo
coll'acqua, copriteli colla stessa pasta frolla, dorateli alla superficie,
cuoceteli in forno o nel forno da campagna e dopo spolverizzateli di zucchero a
velo.
Con questa dose potrete farne da 16 a 18.
629. PASTICCINI DI SEMOLINO
Semolino, grammi 180.
Zucchero, grammi 100.
Pinoli, grammi 50.
Burro, grammi 20.
Latte, decilitri 8.
Uova, n. 4.
Sale, una presa.
Odore di scorza di limone.
Cuocete il semolino nel latte e quando comincia a stringere versate i pinoli
pestati nel mortaio insieme con lo zucchero; poi il burro e il resto, meno le
uova, che serberete per ultimo quando il composto sarà diaccio. Pel resto
regolatevi come i pasticcini di riso del n. 630.
Con questa dose ne farete da 18 a 20.
Prima di servirli spolverizzateli di zucchero a velo.
630. PASTICCINI DI RISO
Riso, grammi 150.
Zucchero, grammi 70.
Burro, grammi 30.
Candito, grammi 30.
Latte, decilitri 8.
Uova, n. 3
Rhum, cucchiaiate n. 2.
Sale, una presa.
Cuocete moltissimo il riso rimuovendolo spesso col mestolo perché non si
attacchi. A due terzi di cottura versate lo zucchero, il burro, il sale e il
candito tagliato a pezzettini. Quando sarà cotto e diaccio aggiungete il rhum, i
rossi d'uovo prima e le chiare montate dopo.
Prendete gli stampini da brioches, ungeteli bene col burro, spolverizzateli di
pangrattato, riempiteli e cuoceteli al forno da campagna. Sono migliori caldi
che diacci.
Con questa dose ne farete 12 o 14.
631. PASTICCINI DI PASTA BEIGNET
Acqua, grammi 150.
Farina, grammi 100,
Burro, grammi 10.
Uova, n. 3 e un rosso.
Sale, quanto basta.
Quando bolle l'acqua versate la farina tutta a un tratto e, rimestando subito,
aggiungete il burro e tenetela sul fuoco per 10 minuti, seguitando sempre a
rimestaria. Deve riuscire una pasta dura che distenderete alla grossezza di un
dito e pesterete nel mortaio insieme con un uovo per rammorbidirla alquanto. Ciò
ottenuto, mettetela in una catinella per lavorarla col mestolo, aggiungendo le
altre uova uno per volta, montando le chiare. Non vi stancate di lavorarla
finché non sia ridotta come un unguento; lasciatela in riposo per qualche ora, e
quindi mettetela a cucchiaiate (le quali riusciranno dieci o dodici) in una
teglia, unta col burro. Frullate un rosso d'uovo con un po' di chiara per
renderlo più sciolto, dorateli e lisciateli con un pennellino (ma questo
supplemento non è necessario), poi metteteli in un forno che sia ben caldo.
Quando sono cotti fate loro col temperino un'incisione da una parte, o in forma
di mezzo cerchio nella parte di sotto, per riempirli di crema o di conserve di
frutta, spolverizzateli di zucchero a velo e serviteli.
Vi avverto che quando lavorate paste che devono rigonfiare, il mestolo invece di
girarlo in tondo è meglio muoverlo dal sotto in su.
632. BRIGIDINI
È un dolce o meglio un trastullo speciale alla Toscana ove trovasi a tutte le
fiere e feste di campagna e lo si vede cuocere in pubblico nelle forme da
cialde.
Uova, n. 2.
Zucchero, grammi 120.
Anaci, grammi 10.
Sale, una presa.
Farina, quanto basta.
Fatene una pasta piuttosto soda, lavoratela colle mani sulla spianatoia e
formatene delle pallottole grosse quanto una piccola noce. Ponetele alla
stiaccia nel ferro da cialde a una debita distanza l'una dall'altra e, voltando
di qua e di là il ferro sopra il fornello ardente con fiamma di legna, levatele
quando avranno preso colore.
633. DOLCE DI CHIARE D’UOVO
Se avete d'occasione delle chiare d'uovo, che non sappiate come consumare,
potreste fare un dolce nel seguente modo, che riesce buono.
Chiare d'uovo, n. 8 o 9.
Farina d'Ungheria, grammi 300.
Zucchero a velo, grammi 150.
Burro, grammi 150.
Uva sultanina, grammi 100.
Cremor di tartaro, grammi 10.
Bicarbonato di soda, grammi 5.
Odore di zucchero vanigliato.
Montate le chiare e versate nelle medesime la farina e lo zucchero; mescolate e
poi aggiungete il burro liquefatto. Quando il composto sarà tutto unito
aggiungete le polveri e per ultimo l'uva. Versate il composto in una teglia unta
col burro e spolverizzata di zucchero a velo e farina, ove il dolce riesca alto
almeno due dita, cuocetelo al forno o al forno da campagna e servitelo diaccio.
634. PASTINE PEL THE
Mistress Wood, un'amabile signora inglese, avendomi offerto un the con pastine
fatte con le sue proprie mani, ebbe la cortesia, rara nei cuochi pretenzionosi,
di darmi la ricetta che vi descrivo, dopo averla messa alla prova.
Farina d'Ungheria o finissima, grammi 440.
Farina di patate, grammi 160.
Zucchero a velo, grammi 160
Burro, grammi 160.
Due chiare d'uovo.
Latte tiepido, quanto basta.
Formate un monticello sulla spianatoia con le due farine e lo zucchero mescolati
insieme. Fategli una buca in mezzo, collocateci le chiare e il burro a pezzetti
e, colla lama di un coltello prima e con le mani dopo, servendovi del latte,
intridetelo e lavoratelo mezz'ora circa per ottenere un pastone piuttosto
tenero. Tiratelo col matterello in una sfoglia della grossezza di uno scudo,
tagliatela a dischi rotondi, come quello del n. 7, bucherellateli con le punte
di una forchetta e cuoceteli al forno o al forno da campagna in una teglia unta
col burro. Con sola mezza dose della ricetta se ne ottengono assai.
635. LINGUE DI GATTO
Sono pastine pel the, tolte da una ricetta venuta da Parigi.
Burro, grammi 100.
Zucchero bianco a velo, grammi 100.
Farina d'Ungheria, grammi 100.
Una chiara d'uovo.
Ponete in un vaso il burro così naturale e cominciate a dimenarlo col mestolo;
poi versateci lo zucchero, indi la farina e per ultimo la chiara d'uovo,
lavorando sempre il composto per ridurlo una pasta omogenea. Ponetela nella
siringa con un disco di buco rotondo o quadro della grandezza di circa un
centimetro, e spingetela in una teglia, unta leggermente col burro, in forma di
pezzetti lunghi un dito, tenendoli radi perché, squagliandosi, allargano.
Cuoceteli al forno da campagna a moderato calore. Con questa dose ne otterrete
una cinquantina.
636. PANE DI SABBIA
Anche il pane di sabbia è un dolce tedesco, così chiamato perché si sfarina in
bocca come la sabbia e però si usa servirlo col the che lo rende più piacevole
al gusto. Non vi spaventate nel sentire che per manipolarlo occorrono due ore di
lavorazione non interrotta in luogo riparato da correnti d'aria, girando il
mestolo sempre per un verso. Le signore, che sono di natura pazienti e quelle
particolarmente che si dilettano d'improvvisare dolci, non si sgomenteranno per
questo, se si procurano l'aiuto di due braccia robuste.
Burro fresco, grammi 185.
Zucchero a velo, grammi 185.
Farina di riso, grammi 125.
Farina d'amido, grammi 125.
Farina di patate, grammi 60.
Uova, n. 4.
L'agro di un quarto di limone.
Cognac, una cucchiaiate.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino.
Odore di vainiglia.
La farina d'amido non è altro che l'amido comune di buona qualità ridotto in
polvere fine.
Lavorate prima il burro da solo, poi aggiungete i rossi ad uno ad uno, girando
il mestolo sempre per un verso; indi versate lo zucchero, poi il cognac e l'agro
di limone; dopo le farine e, per ultimo, il bicarbonato di soda e le chiare
montate; ma di quest'ultime versatene prima due cucchiaiate per rammorbidire il
composto, e mescolate adagio il restante. Versate il composto in una teglia
proporzionata, unta col burro e spolverizzata di zucchero a velo e farina, e
cuocetelo in forno o nel forno da campagna, a moderato calore. Un'ora di cottura
potrà bastare.
TORTE E DOLCI AL CUCCHIAIO
Non per farmene bello, ma per divertire il lettore ed appagare il desiderio di
un incognito, che si firma un ammiratore, pubblico la seguente lettera giuntami
il 14 luglio 1906, da Portoferraio, mentre stavo correggendo in questo punto le
bozze di stampa della decima edizione.
Stimat.mo Sig. Artusi,
Un poeta mi regala un esemplare del suo bel libro La scienza in cucina,
aggiungendovi alcuni versi, che le trascrivo, perché possano servirle in caso di
una nuova ristampa, che le auguro prossima.
Ecco i versi:
Della salute è questo il breviario,
L'apoteosi è qui della papilla:
L'uom mercè sua può viver centenario
Centellando la vita a stilla a stilla.
Il solo gaudio uman (gli altri son giuochi)
Dio lo commise alla virtù de' cuochi;
Onde sé stesso ogni infelice accusi
Che non ha in casa il libro dell'Artusi;
E dieci volte un asino si chiami
Se a mente non ne sa tutti i dettami.
UN AMMIRATORE
637. TORTA DI NOCI
Noci sgusciate, grammi 140.
Zucchero in polvere, grammi 140.
Cioccolata in polvere o grattata, grammi 140.
Cedro candito, grammi 20.
Uova, n. 4.
Odore di zucchero vanigliato.
Pestate fini in un mortaio le noci insieme collo zucchero, poi versatele in un
vaso per aggiungervi la cioccolata, l'odore della vainiglia, le uova, ponendo
prima i rossi e poi le chiare montate, e per ultimo il candito tritato
minutissimo.
Prendete una teglia ove il dolce non riesca più alto di due dita, imburratela e
cospargetela di pangrattato per cuocerla al forno o al forno da campagna a
moderato calore. Dai miei commensali questo è stato giudicato un dolce squisito.
638. TORTA DI RISO
Latte, un litro.
Riso, grammi 200.
Zucchero, grammi 150.
Mandorle dolci con 4 amare, grammi 100.
Cedro candito, grammi 30.
Uova intere, n. 3.
Rossi d'uovo, n. 5.
Odore di scorza di limone.
Una presa di sale.
Le mandorle sbucciatele e pestatele nel mortaio con due cucchiaiate del detto
zucchero.
Il candito tagliatelo a piccolissimi dadi.
Cuocete il riso ben sodo nel latte, versateci dopo il condimento e, quando sarà
diaccio, le uova. Mettete il composto in una teglia unta col burro e
spolverizzata di pangrattato, assodatelo al forno o tra due fuochi, il giorno
appresso tagliate la torta a mandorle e solo quando la mandate in tavola
spolverizzatela di zucchero a velo.
639. TORTA DI RICOTTA
Questa torta riesce di gusto consimile al Budino di ricotta n. 663, ma più
delicata ed è il dolce che si imbandisce di preferenza alle nozze dei contadini
in Romagna e che, per merito, può dar molti punti a tanti dolci raffazzonati dai
pasticcieri.
Ricotta, grammi 500.
Zucchero, grammi 150.
Mandorle dolci, grammi 150.
Dette amare, n. 4 o 5.
Uova intere, n. 4; rossi, n. 4.
Odore di vainiglia.
Si prepara come il detto Budino n. 663; ma le mandorle, dopo pestate con una
chiara d'uovo, è bene passarle per istaccio. Ungete abbondantemente una teglia
col lardo e rivestitela di una sfoglia di pasta matta, n. 153, e sopra alla
medesima versate il composto alla grossezza di un dito e mezzo all'incirca,
cuocendolo fra due fuochi o nel forno. Raccomando il calore moderatissimo e la
precauzione di un foglio sopra unto col burro, perché la bellezza di questa
torta è che sia cotta in bianco. Quando sarà ben diaccia tagliatela a mandorle
in modo che ogni pezzo abbia la sua pasta matta sotto, la quale si mangia o no
secondo il piacer d'ognuno, essendosi essa usata al solo scopo di ornamento e di
pulizia.
Potrà bastare per dodici o più persone.
640. TORTA DI ZUCCA GIALLA
Questa torta si fa d'autunno o d'inverno, quando la zucca gialla si trova in
vendita dagli ortolani.
Zucca, chilogrammi l.
Mandorle dolci, grammi 100'.
Zucchero, grammi 100.
Burro, grammi 30.
Pangrattato, grammi 30.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 3.
Una presa di sale.
Odore di cannella in polvere.
Sbucciate la zucca, pulitela dai filamenti superficiali e grattatela sopra un
canovaccio. Prendete le quattro punte di questo per raccoglierla insieme e
strizzatela in modo da toglierle buona parte dell'acquosità che contiene. Il
chilogrammo si ridurrà a circa 300 grammi. Mettetela allora a bollire nel latte
fino a cottura, che si può ottenere dai 25 ai 40 minuti, secondo la qualità
della zucca. Pestate frattanto le mandorle, già sbucciate, insieme collo
zucchero, in un mortaio, riducendole finissime, e quando la zucca è cotta
uniteci tutti gl'ingredienti meno le uova, che aggiungerete quando il composto è
diaccio. Pel resto regolatevi come per la Torta di ricotta del numero
precedente.
641. TORTA DI PATATE
Trattandosi di patate, non ridete del nome ampolloso perché come vedrete alla
prova, non è demeritato. Se i vostri commensali non distinguono al gusto
l'origine plebea di questa torta, occultatela loro, perché la deprezzerebbero.
Molta gente mangia più con la fantasia che col palato e però guardatevi sempre
dal nominare, almeno finché non siano già mangiati e digeriti, que' cibi che
sono in generale tenuti a vile per la sola ragione che costano poco o
racchiudono in sé un'idea che può destar ripugnanza; ma che poi, ben cucinati o
in qualche maniera manipolati, riescono buoni e gustosi. A questo proposito vi
racconterò che trovandomi una volta ad un pranzo di gente famigliare ed amica,
il nostro ospite, per farsi bello, all'arrosto, scherzando, uscì in questo
detto: “Non potrete lagnarvi che io non vi abbia ben trattati quest'oggi;
perfino tre qualità di arrosto: vitella di latte, pollo e coniglio”. Alla parola
coniglio diversi dei commensali rizzarono il naso, altri rimasero come
interdetti, ed uno di essi, intimo della famiglia, volgendo lo sguardo con
orrore sul proprio piatto, rispose: “Guarda quel che ti è venuto in capo di
darci a mangiare! almeno non lo avessi detto! mi hai fatto andar via
l'appetito”.
A un'altra tavola essendo caduto per caso il discorso sulla porchetta (un maiale
di 50 a 60 chilogrammi, sparato, ripieno di aromi e cotto intero nel forno), una
signora esclamò: “Se io avessi a mangiare di quella porcheria non sarebbe
possibile”. il padrone di casa piccato dell'offesa che si faceva a un cibo che
nel suo paese era molto stimato, convitò la signora per un'altra volta e le
imbandì un bel pezzo di magro di quella vivanda. Essa non solo la mangiò, ma
credendola fosse vitella di latte, trovava quell'arrosto di un gusto eccellente.
Molti altri casi consimili potrei narrare; ma non voglio tacere di un signore
che giudicando molto delicata una torta, ne mangiò per due giorni; saputo poi
ch'ella era composta di zucca gialla non ne mangiò più non solo, ma la guardava
bieco come se avesse ricevuto da lei una grave offesa.
Eccovi la ricetta:
Patate grosse e farinacee, grammi 700.
Zucchero, grammi 150.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 70.
Uova, n. 5.
Burro, grammi 30.
Una presa di sale.
Odore di scorza di limone.
Lessate le patate (meglio cotte a vapore), sbucciatele e passatele dallo staccio
quando sono ancora ben calde. Sbucciate e pestate finissime, insieme collo
zucchero, le mandorle, versatele nelle patate cogli altri ingredienti, lavorando
il tutto con un mestolo per un ora intera e aggiungendo le uova una alla volta e
il burro sciolto.
Versate il composto in una teglia unta di lardo o burro ed aspersa di
pangrattato, cuocetela in forno e servitela diaccia.
642. TORTA MILANESE
Per la stranezza della sua composizione sono stato a lungo incerto se dovevo
farvi conoscere questa torta, la quale non ha bastanti meriti per figurare in
una tavola signorile e per piatto di famiglia è alquanto costoso. Non è per
altro da disprezzarsi, e siccome potrebbe anche piacere, come so che piace a una
famiglia di mia conoscenza, che la fa spesse volte, ve la descrivo.
Carne tutta magra lessa o arrosto, di manzo o di vitella, netta da pelletiche o
tenerume, grammi 200.
Cioccolata, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Burro, grammi 50.
Pinoli, grammi 50.
Uva sultanina, grammi 50.
Cedro candito a pezzettini, grammi 25.
La carne tritatela finissima con la lunetta.
I pinoli tostateli.
L'uva tenetela alquanto in molle nella marsala e levatela asciutta prima di
usarla.
Mettete la carne a soffriggere nel detto burro, rimestandola continuamente onde
non si attacchi, e quando avrà preso un colore alquanto rossiccio levatela dal
fuoco per lasciarla diacciare.
Sciogliete al fuoco la detta cioccolata, grattata o a pezzetti, in tre
cucchiaiate d'acqua, e sciolta che sia uniteci lo zucchero e poi versatela nella
carne, aggiungendovi i pinoli, l'uva e il candito e mescolando il tutto.
Ora formate una pasta frolla per rinchiudervi la torta come appresso:
Farina di grano, grammi 170.
Farina di granturco, grammi 80.
Zucchero a velo, grammi 80.
Burro, grammi 70.
Lardo vergine, grammi 25.
Un uovo.
Vino bianco o marsala, quanto basta per poterla intridere.
Prendete una teglia proporzionata ove il composto non riesca più alto di un
dito, ungetela col burro o col lardo, e con una sfoglia sotto ed un'altra sopra,
quest'ultima tirata col matterello rigato, chiudetelo in mezzo.
Dorate la superficie col rosso d'uovo, cuocetela al forno o al forno da campagna
e servitela diaccia.
643. TORTA DI SEMOLINO
Latte, un litro.
Semolino di grana fine, grammi 130.
Zucchero, grammi 130.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Uova, n. 4.
Raschiatura di un limone.
Una presa di sale.
Sbucciate le mandorle nell'acqua calda e pestatele finissime in un mortaio con
tutto lo zucchero, che metterete a una cucchiaiata per volta.
Cuocete il semolino nel latte e prima di ritirarlo dal fuoco aggiungete il burro
e le mandorle, le quali, per essere mescolate allo zucchero, si sciolgono
facilmente. Poi salatelo ed aspettate che sia tiepido per unirvi le uova
frullate a parte. Versate il composto in una teglia unta di burro, aspersa di
pangrattato e di grandezza tale che la torta risulti alta un dito e mezzo o al
più due. Mettetela in forno o nel forno da campagna, sformatela diaccia e
servitela tutta intera o tagliata a mandorle.
644. TORTA DI PANE BRUNO ALLA TEDESCA
Una torta che merita e vi consiglio a provarla.
Mandorle dolci, grammi 125.
Zucchero, grammi 125.
Cognac, cucchiaiate n. 4.
Corteccia di pane di segala grattato, cucchiaiate colme n. 3.
Uova, n. 5.
Prima lavorate lo zucchero con due delle dette uova intere, poi aggiungete le
mandorle sbucciate e pestate fini con una cucchiaiata del detto zucchero;
tornate a lavorare il composto, indi versate il pangrattato e tre rossi, in
ultimo il cognac. Montate le tre chiare rimaste ed unitele. Preparate una teglia
proporzionata, ungetela col burro e aspergetela di zucchero a velo e farina.
Dopo averla cotta al forno o al forno da campagna copritela con una crosta
tenera come quella del n. 645, oppure con un intonaco di cioccolata in questa
maniera:
Mettete al fuoco grammi 30 di burro e grammi 100 di cioccolata a pezzetti e
quando sarà bene sciolta aggiungete grammi 30 di zucchero a velo e distendete il
composto sul dolce quando non sarà più a bollore.
Se non temessi di seccare il lettore, qui verrebbe opportuna un'altra
digressione sulla cucina tedesca.
Mi resterà memorabile finché vivo il trattamento della tavola rotonda di un
grande albergo ai bagni di Levico. Cominciando dal fritto o dal lesso fino
all'arrosto inclusivo tutti i piatti nuotavano in un abbondante sugo sempre
eguale, dello stesso gusto e sapore, con qual delizia dello stomaco potete
immaginarlo e, come se ciò fosse poco al suo tormento, quei piatti spesso spesso
venivano in tavola accompagnati da un timballo di capellini, - di capellini,
capite! - che in questo modo devono sottostare a doppia e lunga cottura: un vero
impiastro.
Quanta differenza dal gusto nostro! Ai capellini in brodo il mio cuoco ha
l'ordine di far alzare appena il bollore, ed io li prevengo aspettandoli in
tavola.
La cucina italiana, che può rivaleggiare con la francese, e in qualche punto la
supera, per la grande affluenza oggigiorno di forestieri in Italia che, si
vuole, vi lascino da trecento milioni all'anno e, secondo calcoli
approssimativi, con un crescendo eccezionale di altri duecento milioni in oro
nell'anno santo 1900, va a perdere, a poco a poco, in questo miscuglio turbinoso
di popoli viaggianti, il suo carattere particolare e questa modificazione nel
vitto già è cominciata a manifestarsi più specialmente nelle grandi città e nei
luoghi più battuti dai forestieri. Ebbi a persuadermene di recente a Pompei,
ove, entrato con un mio compagno di viaggio in un ristoratore in cui ci aveva
preceduto una comitiva di tedeschi, uomini e donne, ci fu servito il medesimo
trattamento di loro. Venuto poi il padrone a chiederci gentilmente se noi
eravamo rimasti contenti, io mi permisi di fargli qualche osservazione, sullo
sbrodolo nauseoso dei condimenti ed ei mi rispose: “Bisogna bene che la nostra
cucina appaghi il gusto di questi signori forestieri, essendo quelli che ci
danno il guadagno”. Forse per la stessa ragione, sento dire che la cucina
bolognese ha subíto delle variazioni e non è più quella famosa di una volta.
645. TORTA TEDESCA
Eccovi un'altra torta della stessa nazione e buona anche questa, anzi
eccellente.
Raccontavano i nostri nonni che quando, sullo scorcio del XVIII secolo, i
Tedeschi invasero l'Italia, avevano nei loro costumi qualche cosa del bruto; e
facevano inorridire a vederli preparare, ad esempio, un brodo colle candele di
sego che tuffavano in una pentola d'acqua a bollore, strizzandone i lucignoli;
ma quando nel 1849 sfortunatamente ci ricascarono addosso, furono trovati assai
rinciviliti e il sego non era visibile che ne' grandi baffi delle milizie croate
col quale li inzafardavano, facendoli spuntare di qua e di là dalle gote, lunghi
un dito e ritti interiti. Però, a quanto dicono i viaggiatori, una predilezione
al sego predomina ancora nella loro cucina, la quale dagl'Italiani è trovata di
pessimo gusto e nauseabonda per untumi di grasso d'ogni specie e per certe
minestre sbrodolone che non sanno di nulla. Al contrario tutti convengono che i
dolci in Germania si sanno fare squisiti e voi stessi potrete, così alto alto,
giudicare del vero, da questo che vi descrivo e dagli altri del presente
trattato che portano il battesimo di quella nazione.
Zucchero, grammi 250.
Farina, grammi 125.
Mandorle dolci, grammi 125.
Burro, grammi 100.
Cremor di tartaro, grammi 15.
Bicarbonato di soda, grammi 5.
Rossi d'uovo, n. 8.
Chiare, n. 5.
Odore di vainiglia.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele bene al sole o al fuoco e pestatele
finissime in un mortaio con una delle dette chiare. Lavorate prima il burro da
solo con un mestolo, rammorbidendolo un poco d'inverno a bagnomaria, aggiungete
i rossi ad uno ad uno, indi lo zucchero e lavorate queste cose insieme almeno
mezz'ora. Unite al composto le mandorle e rimestate ancora, poi le quattro
chiare montate e la farina fatta cadere da un vagliettino, mescolando adagio.
Per ultimo versate le polveri che servono per rendere il dolce più soffice e più
leggiero e cuocetelo al forno in una teglia, non troppo piena, unta col burro
diaccio e spolverizzata di zucchero a velo e di farina.
Per isciogliere bene le mandorle nel composto non vi è altro mezzo che versare
una porzione di questo sopra le medesime, macinandole col pestello.
Ora che è fatta la cappa bisogna pensare al cappuccio, che è una crosta tenera
che le si distende al disopra. Occorre per la medesima:
Burro, grammi 100.
Zucchero a velo, grammi 100.
Caffè in polvere, grammi 30.
Fate bollire la detta polvere in pochissima acqua per ottenere due o tre
cucchiaiate soltanto di caffè chiaro, ma potentissimo. Lavorate il burro per
circa mezz'ora, rammorbidito d'inverno a bagno-maria, girando il mestolo sempre
per un verso; aggiungete lo zucchero e lavoratelo ancora molto, per ultimo il
caffè a mezzi cucchiaini per volta arrestandovi quando sentite che il gusto del
caffè è ben pronunziato. Versate il composto sopra la torta quando sarà diaccia
e distendetelo pari pari con un coltello da tavola; ma per averlo bene eguale ed
unito passategli sopra a poca distanza una paletta infocata.
A vostra norma, questa crosta di gusto delicatissimo, deve avere il colore del
caffè latte. Al caffè, volendo, si può sostituire la cioccolata infusa, come
quella descritta nella torta precedente, di pane bruno alla tedesca.
646. TORTA DI MANDORLE E CIOCCOLATA
Per chi ama la cioccolata, questa, se non m'inganno, è una torta squisita.
Mandorle, grammi 150.
Zucchero, grammi 150.
Cioccolata, grammi 100.
Farina di patate, grammi 60.
Burro, grammi 50.
Latte, decilitri 3.
Uova, n. 4.
Odore di vainiglia.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele bene al sole o al fuoco e pestatele
finissime nel mortaio insieme con un terzo del detto zucchero. Fate un intriso
al fuoco col detto burro, la farina di patate e il latte versato a poco per
volta. Quando sarà giunto a consistenza versate la cioccolata grattata, lo
zucchero rimasto e, dopo essersi sciolti bene l'uno e l'altra, aggiungete le
mandorle pestate, rimestando continuamente. Quando il composto sarà bene
amalgamato dategli l'odore collo zucchero vanigliato e lasciatelo diacciare per
unirvi le uova frullate a parte.
Con grammi 100 di farina fate la pasta matta del n. 153 e con la medesima,
regolandovi come nella Torta di ricotta n. 639, versatela in una teglia ove
riesca della grossezza di oltre un dito, per cuocerla nel forno da campagna. Va
tagliata a mandorle come quella, quando sarà ben diaccia.
647. PASTICCINI DI PASTA BEIGNET COPERTI DI CIOCCOLATA
Servitevi della ricetta n. 631, ma teneteli più piccoli onde ottenerne da 20 a
23. Riempiteli con crema, o panna montata, o conserva di frutte.
Frullate nella cioccolatiera sul fuoco questo composto:
Cioccolata, grammi 120.
Zucchero in polvere, grammi 50.
Acqua, decilitri l.
Quando sarà ben frullato, come la cioccolata che si serve in tazza, versatelo
così a bollore sui pasticcini a suolo per suolo che disporrete in bella mostra
sopra un vassoio ove facciano la colma.
È un piatto che è bene farlo il giorno stesso che deve esser servito, perché
altrimenti indurisce.
Questa dose potrà bastare per sei persone.
648. DOLCE ROMA
Un signore, che non ho il bene di conoscere, ebbe la gentilezza di mandarmi da
Roma questa ricetta, della quale gli sono grato sì perché trattasi di un dolce
di aspetto e di gusto signorile e sì perché era descritto in maniera da farmi
poco impazzire alla prova. C'era però una lacuna da riempire, e cioè di dargli
un nome, ché non ne aveva; ed io, vista la nobile sua provenienza, ho creduto
mio dovere metterlo in compagnia del Dolce Torino e del Dolce Firenze, dandogli
il nome della città che un giorno riempirà di fama il mondo come in antico.
Scegliete mele di qualità fine, non troppo mature e di media grossezza. Pesatene
600 grammi, che non potranno essere più di cinque o sei di numero; levate loro
il torsolo col cannello di latta e sbucciatele. Poi mettetele a cuocere con
decilitri due di vino bianco alcoolico e gr. 130 di zucchero, avvertendo che non
si rompano bollendo e voltandole, e che non passino troppo di cottura. Levatele
asciutte, collocatele col foro verticale in un vaso decente da potersi portare
in tavola e che regga al fuoco, e versatevi sopra una crema fatta con:
Latte, decilitri n. 4.
Rossi d'uovo, n. 3.
Zucchero, grammi 70.
Farina, grammi 20.
Odore di zucchero vanigliato.
Ora montate con la frusta le tre chiare rimaste, quando saranno ben sode uniteci
grammi 20 di zucchero a velo e con queste coprite la crema; indi ponete il dolce
nel forno da campagna, o soltanto sul fornello del focolare col solo coperchio
del medesimo, con fuoco sopra e poco sotto per rosolare la superficie, e prima
di mandarlo in tavola spalmatelo mediante un pennello col sciroppo ristretto
rimasto dalla cottura delle mele.
Potrà bastare per sette od otto persone.
649. DOLCE TORINO
Formate questo dolce sopra un vassoio o sopra un piatto e dategli la forma
quadra.
Savoiardi, grammi 100.
Cioccolata, grammi 100.
Burro fresco, grammi 100.
Zucchero a velo, grammi 70.
Un rosso d'uovo.
Latte, cucchiaiate n. 2.
Odore di zucchero vanigliato.
Tagliate i savoiardi in due parti per il lungo e bagnateli col rosolio, oppure,
il che sarebbe meglio, metà col rosolio e metà con l'alkermes, per poterli
alternare onde facciano più bella mostra. Lavorate dapprima il burro con lo
zucchero e il rosso d'uovo; ponete al fuoco la cioccolata, grattata o a
pezzetti, col latte, e quando sarà bene sciolta versatela calda nel burro
lavorato, uniteci l'odore e formate così una poltiglia mescolando bene.
Disponete sul vassoio un primo strato dei detti savoiardi e spalmateli
leggermente con la detta poltiglia; indi sovrapponete un altro strato di
savoiardi, poi un terzo strato ancora, spalmandoli sempre leggermente. Il resto
della poltiglia versatelo tutto sopra ed ai lati pareggiandolo meglio che
potete. Il giorno dopo, prima di servirlo, lisciatelo tutto alla superficie con
la lama di un coltello scaldata al fuoco, e in pari tempo, piacendovi, ornatelo
con una fioritura di pistacchi oppure di nocciuole leggermente tostate, gli uni
e le altre tritate finissime. Grammi 40 di nocciuole pesate col guscio o grammi
15 di pistacchi potranno bastare. Già saprete che questi semi vanno sbucciati
coll'acqua calda.
È una dose per sei o sette persone.
650. DOLCE FIRENZE
Avendolo trovato nell'antica e bella città dei fiori senza che alcuno siasi
curato di dargli un nome, azzarderò chiamarlo dolce Firenze; e se, per la sua
modesta natura, esso non farà troppo onore alla illustre città, può scusarsi col
dire: Accoglietemi come piatto da famiglia e perché posso indolcirvi la bocca
con poca spesa.
Zucchero, grammi 100.
Pane sopraffino, grammi 60.
Uva sultanina, grammi 40.
Uova, n. 3.
Burro, quanto basta.
Latte, mezzo litro.
Odore di scorza di limone.
Il pane tagliatelo a fette sottili, arrostitele leggermente, imburratele calde
da ambedue le parti e collocatele in un vaso concavo e decente da potersi
portare in tavola. Sopra le fette del pane spargete l'uva e la buccia grattata
del limone. Frullate bene le uova in un pentolo con lo zucchero, poi uniteci il
latte e questo miscuglio versatelo nel vaso sopra gl'ingredienti postivi, senza
toccarli. Per cuocerlo posate il vaso sopra un fornello del focolare con poco
fuoco, copritelo col coperchio del forno da campagna col fuoco sopra, e
servitelo caldo.
Potrà bastare per cinque persone.
651. SFORMATO COGLI AMARETTI COPERTO DI ZABAIONE
Amaretti, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Farina di patate, grammi 80.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 3.
Ponete lo zucchero e la farina di patate in una cazzaruola e versateci il latte
diaccio a poco per volta, mescolando.
Pestate gli amaretti nel mortaio per ridurli in polvere, e se per la loro
qualità ciò non avviene, bagnateli con un gocciolo di latte, passateli dallo
staccio e indi uniteli al composto che metterete al fuoco per assodarlo. Tolto
dal fuoco, quando sarà tiepido versateci le uova, prima i rossi, poi le chiare
montate. Ungete col burro diaccio uno stampo col buco in mezzo e versateci il
composto per cuocerlo nel forno da campagna; cotto che sia riempitelo e
copritelo con lo zabaione del n. 684 e mandatelo in tavola.
652. SFORMATO DI FARINA DOLCE
Un signore di Barga di onorevole casato, che non ho il piacere di conoscere
personalmente, invaghito (com'egli dice), per bontà sua, di questo mio libro, ha
voluto gratificarsi meco, mandandomi la presente ricetta che credo meritevole di
essere pubblicata ed anche lodata.
Farina dolce, ossia di castagne, grammi 200.
Cioccolata, grammi 50.
Zucchero, grammi 30.
Burro, grammi 25.
Cedro candito, grammi 20.
Mandorle dolci, n. 12 e qualche pistacchio
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 3.
Panna montata coll'odore di vainiglia, grammi 150.
Prima sbucciate le mandorle e i pistacchi; questi tagliateli a metà, quelle a
filetti o a pezzetti e tostatele. Anche il candito foggiatelo a pezzettini.
Sciogliete al fuoco la cioccolata in un decilitro del detto latte, poi uniteci
lo zucchero e il burro e lasciatela da parte.
Ponete la farina in un tegame e versateci il resto del latte a poco per volta,
mescolando bene onde non si formino bozzoli; poi unitela alla cioccolata e
mettete il composto al fuoco per cuocerlo.
Cotto che sia lasciatelo freddare per aggiungere le uova, prima i rossi, poi le
chiare montate, e per ultimo le mandorle, i pistacchi e il candito.
Ora prendete uno stampo col buco in mezzo, ungetelo col burro diaccio e
versateci il composto per assodarlo a bagno-maria. Prima di sformarlo
contornatelo tutto di ghiaccio trito frammisto a sale per gelarlo, e mandatelo
in tavola col ripieno della panna surricordata.
Potrà bastare per sette od otto persone.
653. DOLCE DI MARRONI CON PANNA MONTATA
Marroni sani e grossi una trentina circa, grammi 500.
Zucchero a velo, grammi 130.
Cioccolata, grammi 60.
Rosolio di cedro, cucchiaiate n. 3.
Cuocete i marroni nell'acqua come fareste per le ballotte, sbucciateli e
passateli caldi. La cioccolata riducetela in polvere e poi con tutti
gl'ingredienti formate un impasto. Prendete un piatto grande, tondo e decente,
collocateci in mezzo un piattino da caffè rovesciato e con lo staccio di crine
sopra passate tutto il composto girando via via il piatto onde venga distribuito
egualmente. Compita l'operazione, levate in bel, modo, nettandolo, il piattino
da caffè ed il vuoto che resta in mezzo riempitelo con grammi 300 di panna
montata.
È tanto da poter bastare ad otto persone.
654. BISCOTTINI PUERPERALI
Il sesso che, a buon diritto, porta il titolo di gentile, non tanto per la
gentilezza delle maniere quanto per quel delicato senso morale che lo rende
naturalmente proclive a tutto ciò che può recare un vantaggio, un conforto
all'umanità, ha molto contribuito a che l'elenco delle mie ricette riuscisse più
copioso e svariato.
Una signora di Conegliano mi scrive, quasi meravigliandosi, che non ha trovato
nel mio libro la pinza dell'Epifania e (non ridete) i biscottini puerperali; due
cose, secondo lei, di non poca importanza. Racconta la detta signora che la sera
della vigilia di quella festa, in tutte le colline e la pianura della bella
Conegliano, i componenti di ogni famiglia di contadini, dopo aver fatto fuochi e
grandi baldorie nell'aia del podere e recitate orazioni per invocare dal Cielo
ubertoso il futuro raccolto, si ritirano in casa, tutti felici e contenti, ove
li aspetta la pinza sotto il camin annaffiata con del buon vin.
Mentre quei buoni contadini mangiano la pinza, - che per essere, più che ad
altri, dicevole a quelle genti e a quel clima, io non descrivo, - secondo i
dettami della signora rivolgerò le mie cure ai biscottini puerperali, perché
essa li giudica nutrienti e delicati, opportuni a riparare la spossatezza di chi
ha dato alla luce un figliuolo.
Rossi d'uovo, n. 8.
Zucchero a velo, grammi 150.
Cacao in polvere, grammi 40.
Burro, grammi 40.
Odore di vainiglia mediante zucchero vanigliato.
Ponete questi ingredienti in un vaso e, con un mestolo, lavorateli per oltre un
quarto d'ora; poi versate il composto in quattro scatole di carta, lunghe otto e
larghe sei centimetri circa. Collocate le medesime in una teglia di rame
coperta, posatela sopra un fornello con pochissimo fuoco sotto e sopra onde il
composto assodi alquanto senza fare la crosticina perché si deve prender su a
cucchiaini: quindi è affatto improprio il nome di biscottini.
655. RIBES ALL’INGLESE
Ribes, grammi 300.
Zucchero, grammi 120,
Acqua, decilitri 2.
Nettate il ribes dai gambi, mettetelo al fuoco colla detta acqua e quando avrà
alzato il bollore versate lo zucchero. Due minuti di bollitura bastano, dovendo
il ribes restare intero. Versatelo in una compostiera e servitelo diaccio come
frutta cotta. I semi, se non si vogliono inghiottire, si succhiano e si sputano.
Nella stessa guisa si possono condizionare le ciliege marasche senza levare il
nocciolo e facendole bollire con un pezzetto di cannella.
656. PRUGNE GIULEBBATE
Prendete prugne secche di Bosnia che sono grosse, lunghe e polpute a differenza
delle prugne di Marsiglia piccole, tonde, magre, coperte da quel velo bianco che
a Firenze chiamasi fiore, le quali non farebbero al caso. Per una quantità di
grammi 500, dopo averle lavate e tenute in molle per due ore nell'acqua fresca,
levatele asciutte e mettetele al fuoco con:
Vino rosso buono, decilitri 4.
Acqua, decilitri 2.
Marsala, un bicchierino.
Zucchero bianco, grammi 100.
Un pezzetto di cannella.
Fatele bollire adagio per mezz'ora a cazzaruola coperta, che può bastare, ma
prima di toglierle dal fuoco accertatevi che siansi rammorbidite abbastanza,
perché il più o il meno di cottura può dipendere dalla qualità della frutta.
Levatele asciutte collocandole nel vaso dove volete servirle, e lo sciroppo che
resta fatelo restringere al fuoco per otto o dieci minuti a cazzaruola scoperta
e poi versatelo anch'esso nel vaso sopra le prugne. All'odore della cannella,
che mi sembra quello che più si addice, potete sostituire la vainiglia o la
scorza di cedro o di arancio.
È un dolce che si conserva a lungo e di gusto delicato, aggradito specialmente
dalle signore. Non vorrei passare per il sior Todero Brontolon se anche qui
tocco il tasto dell'industria nazionale nel vedere che si potrebbe coltivare in
Italia la specie di susina che si presta meglio ad essere seccata e messa in
commercio a quest'uso.
657. BUDINO DI SEMOLINO
Dosi precise:
Latte, decilitri 8.
Semolino, grammi 150.
Zucchero, grammi 100.
Uva passolina, grammi 100.
Burro, grammi 20.
Uova, n. 4.
Rhum, 3 cucchiaiate.
Sale, una presa.
Odore di scorza di limone.
Alcuni aggiungono pezzetti di candito, ma il troppo condimento talvolta guasta.
Dopo averlo preparato e tolto dal fuoco cuocetelo in uno stampo liscio o
lavorato, unto prima col burro e spolverizzato di pangrattato. Mancando il forno
comune o da campagna, i budini possono cuocersi bene anche in un fornello del
focolare. Questo budino servitelo caldo.
658. BUDINO DI SEMOLINO E CONSERVE
Latte, mezzo litro.
Semolino, grammi 130.
Zucchero, grammi 70.
Burro, grammi 15.
Uova, n. 2.
Una presa di sale.
Odore di scorza di limone.
Diverse conserve di frutta.
Cuocete il semolino nel latte; aggiungete lo zucchero e il burro quando è
bollente; l'odore e il sale quando lo ritirate dal fuoco; scocciate le uova
quando è ancora caldo e mescolate ben bene. Preparate uno stampo da budino,
liscio o lavorato, unto col burro e cosparso di pangrattato, e versateci a poco
per volta il composto diaccio, rifiorendolo via via di conserve a pezzetti o a
cucchiaini secondo che esse sieno liquide o sode; però avvertite che non vadano
a toccare le pareti dello stampo, perché vi si attaccherebbero, e che non sieno
troppo in abbondanza, ché stuccherebbero. Servitelo caldo dopo averlo cotto nel
fornello.
Le conserve che, a mio gusto, più si prestano per questo dolce sono quelle di
lampone e di cotogne; ma possono andare anche quelle di albicocche, di ribes e
di pesche.
Per otto o dieci persone raddoppiate la dose.
659. BUDINO DI FARINA DI RISO
Questo dolce nella sua semplicità è, a mio parere, di un sapore assai delicato
e, benché cognito forse ad ognuno, non dispiacerà di sentirne stabilite le dosi
nelle seguenti proporzioni, che io credo non abbisognino di essere né aumentate
né diminuite.
Latte, litri 1.
Farina di riso, grammi 200.
Zucchero, grammi 120.
Burro, grammi 20.
Uova, n. 6.
Una presa di sale.
Odore di vainiglia.
Sciogliete prima la farina con la quarta parte del latte diaccio, aggiungetene
un poco del caldo quando è a bollore e versatela nel resto del latte quando
bolle; così impedirete che si formino bozzoli. Quando è cotta aggiungete lo
zucchero, il burro e il sale; ritiratela dal fuoco e aspettate che sia tiepida
per mescolarvi entro le uova e l'odore. Cuocete questo budino come
l'antecedente.
La composizione di questo dolce, il quale probabilmente non è di data molto
antica, mi fa riflettere che le pietanze pur anche vanno soggette alla moda e
come il gusto de' sensi varia seguendo il progresso e la civiltà. Ora si
apprezza una cucina leggiera, delicata e di bell'apparenza e verrà forse un
giorno che parecchi di questi piatti da me indicati per buoni, saranno
sostituiti da altri assai migliori. I vini sdolcinati di una volta hanno
lasciato libero il passo a quelli generosi ed asciutti, e l'oca cotta in forno
col ripieno d'aglio e di mele cotogne, giudicato piatto squisito nel 1300, ha
ceduto il posto al tacchino ingrassato in casa, ripieno di tartufi, e al cappone
in galantina. In antico, nelle grandi solennità, si usava servire in tavola un
pavone lesso o arrosto con tutte le sue penne, spellato prima di cuocerlo e
rivestito dopo, contornato di gelatine a figure colorate con polveri minerali
nocive alla salute, e pei condimenti odorosi si ricorreva al comino e al
bucchero che più avanti vi dirò cos'era.
Le paste dolci si mantennero in Firenze di una semplicità e rozzezza primitiva
fin verso la fine del secolo XVI, nel qual tempo arrivò una compagnia di
Lombardi, che si diede a fare pasticci, offelle, sfogliate ed altre paste
composte d'uova, burro, latte, zucchero o miele; ma prima d'allora nelle memorie
antiche sembra che sieno ricordati soltanto i pasticci ripieni di carne d'asino
che il Malatesta regalò agli amici nel tempo dell'assedio di Firenze quando la
carestia, specialmente di companatico, era grande.
Ora, tornando al bucchero, vi fu un tempo che, come ora la Francia, era la
Spagna che dava il tòno alle mode, e però ad imitazione del gusto suo, al
declinare del secolo XVII e al principio del XVIII, vennero in gran voga i
profumi e le essenze odorose. Fra gli odori, il bucchero infanatichiva e tanto
se ne estese l'uso che perfino gli speziali e i credenzieri, come si farebbe
oggi della vainiglia, lo cacciavano nelle pasticche e nelle vivande. Donde si
estraeva questo famoso odore e di che sapeva? Stupite in udirlo e giudicate
della stravaganza dei gusti e degli uomini! Era polvere di cocci rotti e il suo
profumo rassomigliava a quello che la pioggia d'estate fa esalare dal terreno
riarso dal sole; odor di terra, infine, che tramandavano certi vasi detti
buccheri, sottili e fragili, senza vernice, dai quali forse ha preso nome il
color rosso cupo; ma i più apprezzati erano di un nero lucente. Codesti vasi
furono portati in Europa dall'America meridionale la prima volta dai Portoghesi
e servivano per bervi entro e per farvi bollir profumi e acque odorose, poi se
ne utilizzavano i frantumi nel modo descritto.
Nell'Odíssea d'Omero, traduzione d'Ippolito Pindemonte, Antinoo dice:
... Nobili Proci,
Sentite un pensier mio. Di que'ventrigli
Di capre, che di sangue e grasso empiuti
Sul fuoco stan per la futura cena,
Scelga qual più vorrà chi vince, e quindi
D'ogni nostro convito a parte sia.
Nel Tom. 6° dell'Osservatore Fiorentino si trova la descrizione di una cena, la
quale, per la sua singolarità, merita di riferirne alcuni passi:
“Tra i piatti di maggior solennità si contava ancora il pavone, cotto a lesso
con le penne, e la gelatina, formata e colorita a figure. Un certo senese,
trattando a cena un Cortigiano di Pio II (alla metà del 1400 all'incirca) per
nome Goro, fu sí mal consigliato in preparar questi due piatti, che si fece dar
la baia per tutta Siena; tantopiù che non avendo potuto trovar pavoni, sostituì
oche salvatiche, levato loro i piedi ed il becco.
“Venuti in tavola i pavoni senza becco e ordinato uno che tagliasse; il quale
non essendo più pratico a simile uffizio, gran pezzo si affaticò a pelare, e non
poté far sì destro, che non empiesse la sala e tutta la tavola di penne, e gli
occhi e la bocca, e il naso e gli orecchi a Messer Goro e a tutti...
“Levata poi questa maledizione di tavola, vennero molti arrosti pure con assai
comino; non pertanto tutto si sarebbe perdonato, ma il padrone della casa, co'
suoi consiglieri, per onorare più costoro, aveva ordinato un piatto di gelatina
a lor modo, e vollero farvi dentro, come si fa alle volte a Firenze e altrove,
l'arme del Papa, e di Messer Goro con certe divise, e tolsero orpimento, biacca,
cinabro, verderame, ed altre pazzie, e fu posta innanzi a Messer Goro per festa
e cosa nuova, e Messer Goro ne mangiò volentieri e tutti i suoi compagni per
ristorare il gusto degli amari sapori del comino, e delle strane vivande.
“E per poco mancò poi la notte, che non distendessero le gambe alcun di loro, e
massime Messer Goro ebbe assai travaglio di testa e di stomaco, e rigettò forse
la piumata delle penne selvatiche. Dopo questa vivanda diabolica o pestifera
vennero assai confetti, e fornissi la cena”.
660. BUDINO ALLA TEDESCA
Midolla di pane sopraffine, grammi 140.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 80.
Uova, n. 4.
Odore di scorza di limone.
Una presa di sale.
Se trovate del pane in forma, uso inglese, servitevi di questo che è meglio
d'ogni altro. La midolla sminuzzatela o tagliatela a fette e bagnatela con latte
diaccio. Quando sarà bene inzuppata strizzatela da un canovaccio e passatela
dallo staccio. Il burro, d'inverno, struggetelo a bagnomaria e lavoratelo con un
mestolo insieme coi rossi d'uovo finché l'uno e gli altri siansi incorporati;
aggiungete le chiare, la midolla e lo zucchero e rimestate ancora. Versate il
composto in uno stampo unto col burro e spolverizzato di pangrattato e cuocetelo
come gli altri budini; cioè nel fornello. Se lo fate con attenzione vi riescirà
di bell'aspetto e di gusto delicato. Si serve caldo.
661. BUDINO DI PATATE
La patata è il tubero di una pianta della famiglia delle solanacee originaria
dell'America meridionale d'onde fu introdotta in Europa verso la fine del secolo
XVI; ma non si cominciò a coltivarla in grande che al principio del XVIII a
motivo della ostinatissima opposizione del volgo sempre alieno alle novità.
A poco per volta venne poi bene accetta nel desco del povero come alla mensa del
ricco perocché, buona al gusto e saziante la fame, essa si presta ad essere
cucinata in tante mai maniere; però ha lo stesso difetto del riso: di essere
cioè un alimento che ingrassa e gonfia lo stomaco, ma nutre pochissimo.
Sono cibi che non danno albumina, né grasso fosforato al cervello, né fibrina ai
muscoli.
Patate grosse farinacee, grammi 700.
Zucchero, grammi 150.
Burro, grammi 40.
Farina, grammi 20.
Latte, decilitri 2.
Uova, n. 6.
Una presa di sale.
Odore di cannella o di scorza di limone.
Cuocete le patate nell'acqua o a vapore, sbucciatele e passatele calde dallo
staccio. Rimettetele al fuoco col burro, la farina e il latte, versato a poco
per volta, lavorandole bene col mestolo; indi aggiungete lo zucchero, il sale e
l'odore e lasciatele stare tanto che s'incorporino bene insieme tutte queste
cose.
Ritirate dal fuoco, quando saranno tiepide o diacce, gettateci i rossi e poi le
chiare montate.
Cuocetelo come tutti gli altri budini; cioè nel fornello o nel forno e servitelo
caldo.
662. BUDINO DI RISO
Latte, un litro.
Riso, grammi 160.
Zucchero, grammi 100.
Uva di Corinto (sultanina), grammi 80.
Candito, grammi 30.
Uova, due intere e due rossi.
Rhum o cognac, un bicchierino.
Odore della vainiglia.
Cuocete bene il riso nel latte e a mezza cottura gettate dentro al medesimo lo
zucchero, l'uva, il candito a pezzetti piccolissimi, una presa di sale, e burro
quanto un uovo scarso. Cotto che sia, ritiratelo dal fuoco e ancora caldo, ma
non bollente, aggiungete le uova, il rhum e la vainiglia, mescolando bene ogni
cosa. Poi versatelo in uno stampo da budino unto bene col burro e spolverizzato
di pangrattato; cuocetelo al forno o in casa e servitelo caldo.
Lasciate indietro un terzo del latte per aggiungerlo, occorrendo, via via che il
riso assoda.
Basterà per otto persone.
663. BUDINO DI RICOTTA
Ricotta, grammi 300.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Mandorle dolci, grammi 100 e tre o quattro amare.
Uova, n. 5.
Odore di scorza di limone.
Sbucciate le mandorle nell'acqua calda e pestatele finissime nel mortaio con una
delle chiare delle uova suddette. Mescolatele bene colla ricotta, passando prima
questa dallo staccio se fosse troppo dura o bozzoluta Aggiungete lo zucchero e
le uova dopo averle frullate a parte e versate il composto in uno stampo da
budino che avrete prima unto col burro e cosparso di pangrattato. Cuocetelo in
forno o tra due fuochi in un fornello e servitelo freddo.
Può bastare per sei o sette persone.
664. BUDINO ALLA NAPOLETANA
Cuocete del semolino in tre bicchieri di latte, badando che non riesca troppo
sodo. Ritirato dal fuoco dosatelo con zucchero, una presa di sale e l'odore
della scorza di limone; quando non sarà più bollente, aggiungete tre rossi
d'uovo e due chiare, mescolando il tutto ben bene. Prendete una teglia di rame
di mezzana grandezza, ungetela col burro o col lardo, e rivestitela di una
sfoglia di pasta frolla grossa uno scudo (metà dose del n. 589 ricetta A può
bastare). Versate nella teglia un terzo del semolino e spargete sopra il
medesimo, a qualche distanza l'uno dall'altro dei pezzetti, o cucchiaini di
conserve di frutta diverse, quali sarebbero lampone, cotogne, albicocche, ecc.;
sopra questo primo strato ponetene un secondo ed un terzo, sempre rifiorendoli
delle dette conserve.
Ricoprite il disopra del budino con una sfoglia della stessa pasta e inumidite
gli orli con un dito intinto nell'acqua perché si attacchino fra loro. Fategli
qualche ornato, doratelo con rosso d'uovo e cuocetelo al forno. Quando lo
sformate, spolverizzatelo di zucchero a velo e servitelo freddo.
Alle conserve si può sostituire uva sultanina e candito a pezzetti.
665. BUDINO NERO
Questo budino si fa talvolta per consumare le chiare d'uovo, e non è da
disprezzarsi.
Chiare d'uovo, n. 6.
Mandorle dolci, grammi 170.
Zucchero in polvere, grammi 170.
Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o al fuoco, tritatele colla
lunetta e mettetele al fuoco in una cazzaruola quando sarà sciolto lo zucchero.
Dopo che il miscuglio avrà preso il colore del croccante, ossia della buccia di
mandorla, versatelo in un mortaio e, diaccio che sia, riducetelo in polvere.
Mescolate questa polvere alle sei chiare montate, mettete il composto in uno
stampo unto con solo burro diaccio e cuocetelo a bagno-maria per servirlo
freddo.
666. BUDINO DI LIMONE
Un grosso limone di giardino.
Zucchero, grammi 170.
Mandorle dolci con tre amare, grammi 170.
Uova, n. 6.
Un cucchiaino di rhum o cognac.
Cuocete il limone nell'acqua, per il che saranno sufficienti due ore; levatelo
asciutto e passatelo per istaccio. Però prima di passarlo assaggiatelo, ché se
sapesse troppo di amaro bisognerebbe tenerlo nell'acqua fresca finché non avesse
perduto quell'ingrato sapore. Aggiungete ad esso lo zucchero, le mandorle
sbucciate e pestate finissime, i sei rossi delle uova e il rhum. Mescolate bene
il tutto, montate le sei chiare ed unitele al composto che verserete in uno
stampo per cuocerlo nel fornello o nel forno. Si può servire tanto caldo che
diaccio.
667. BUDINO DI CIOCCOLATA
Latte, decilitri 8.
Zucchero, grammi 80.
Cioccolata, grammi 60.
Savoiardi, grammi 60.
Uova, n. 3.
Odore di vainiglia.
Grattate la cioccolata, mettetela nel latte e quando questo comincia a bollire
gettateci lo zucchero e i savoiardi, sminuzzandoli colle dita. Mescolate di
quando in quando, onde il composto non si attacchi al fondo e dopo mezz'ora di
bollitura passatelo per istaccio. Quando è diaccio aggiungete le uova frullate e
la vainiglia, versatelo in uno stampo liscio, il cui fondo avrete prima
ricoperto di un velo di zucchero liquefatto, e cuocetelo a bagnomaria.
Grammi 50 di zucchero bastano per ricoprire il fondo dello stampo. Si serve
freddo.
668. DOLCE DI CIOCCOLATA
Pane di Spagna, grammi 100.
Cioccolata, grammi 100.
Burro, grammi 50.
Zucchero, grammi 30.
Rosolio, quanto basta.
Tagliate a fettine il pan di Spagna. Grattate la cioccolata.
Fate liquefare il burro a bagno-maria e nel medesimo versate lo zucchero e la
cioccolata, lavorando il composto con un mestolo finché non lo avrete ridotto
ben fine. Con questo e il pan di Spagna intinto nel rosolio riempite a strati
uno stampo che avrete prima bagnato con lo stesso rosolio per poter meglio
sformare il dolce. D'estate tenete lo stampo nel ghiaccio onde si assodi il
composto.
Questa dose potrà bastare per sei persone.
669. BUDINO DI MANDORLE TOSTATE
Latte, decilitri 8, pari a grammi 800.
Zucchero, grammi 100.
Savoiardi, grammi 60.
Mandorle dolci, grammi 60.
Uova, n. 3.
Prima preparate le mandorle, cioè sbucciatele nell'acqua calda e abbrustolitele
al fuoco sopra una lastra di pietra o di ferro; poscia pestatele riducendole
quasi impalpabili e, messo il composto al fuoco senza le uova, aggiungeteci le
mandorle e dopo poca cottura passatelo dallo staccio. Ora uniteci le uova
frullate e assodatelo a bagno-maria con un velo di zucchero fuso in fondo allo
stampo. Non occorre nessun odore. La tostatura delle mandorle farà prendere a
questo budino il color cenerino e gli darà un sapore così grato da meritarsi il
plauso degli uomini e più quello delle donne di gusto delicato. Tanto questo che
il budino di cioccolata si possono mettere in gelo prima di servirli, come pure,
per dar loro più bell'apparenza, si possono coprire con una crema fiorita di
confetti a colori, oppure con panna montata.
670. BUDINO GABINETTO
Questo è un budino che sa di diplomazia; il nome lo indica e lo indicano altresì
la composizione sua e il suo sapor multiforme; lo dedico perciò al più grande
dei diplomatici, all'idolo del giorno. Il mondo, già si sa, vuole sempre un
idolo da adorare; se non l'ha se lo forma, esagerandone i meriti all'infinito;
ma io che sono incredulo per natura, e un poco anche per esperienza, dico come
diceva colui: Dammelo morto e poi ne ragioneremo. Quanti ne abbiamo visti
nell'età nostra degl'idoli o astri di grande splendore, che poi tramontarono
presto o caddero ignominiosamente! Quando scrissi questo articolo ne brillava
uno ammirato da tutti, ora scomparso dall'orizzonte.
DOSE PER DIECI PERSONE
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 100.
Savoiardi, grammi 100.
Uva malaga, grammi 80.
Uva sultanina, grammi 50.
Conserva di albicocche, grammi 50.
Detta di cotogne, grammi 50.
Candito, grammi 20.
Kirsch, mezzo decilitro.
Rossi d'uovo, n. 6.
Chiare d'uovo, n. 4.
Fate bollire il latte per mezz'ora collo zucchero dentro.
All'uva malaga levate i semi; il candito tagliatelo a piccoli dadi e così le
conserve, se fossero sode, il che, in questo caso, sarebbe meglio.
Bruciate le uve e il candito col rhum come nel Biscotto alla sultana n. 574.
Dopo che il latte avrà bollito, lasciatelo diacciare e poi aggiungeteci le uova
frullate e il kirsch. Prendete uno stampo liscio a cilindro, ungetelo tutto col
burro diaccio e riempitelo nel seguente modo: copritene il fondo con uno strato
di detta frutta e sopra distendete un suolo di savoiardi, poi altra frutta e
conserve, poi altri savoiardi e così di seguito finché avrete roba. Per ultimo
versate adagio adagio il latte preparato nel modo anzidetto, cuocete il dolce a
bagno-maria e servitelo caldo.
Qualcuno dice che questo budino, se non vuol defraudare il suo titolo di
gabinetto, deve comparire in tavola tutto chiuso, cioè tener nascosto, il
ripieno come si tengono occulti i segreti della politica. Se lo fate in questa
maniera prendete grammi 140 di savoiardi, dovendosi con essi coprire il fondo,
cingere lo stampo all'intorno e intramezzare, con quelli che restano, le frutta
all'interno.
Vi avverto poi che quando il latte entra nella composizione di un piatto,
malamente si possono dare indicazioni precise; esso è di natura tale che spesso
e volentieri forma la disperazione dei cuochi.
671. PUDDING CESARINO
Ve lo do per un buon ragazzo, questo Cesarino, e ve lo vendo col nome strano con
cui lo comprai da una giovane e piuttosto bella signora, religiosa ed onesta,
uno di quei tipi che, senza volerlo, sono capaci, per leggerezza, di
compromettere le persone che li avvicinano.
Midolla di pane fine, grammi 200.
Zucchero, grammi 250.
Altro zucchero per lo stampo, circa grammi 100.
Uva malaga, grammi 125.
Uva sultanina, grammi 125,
Latte, mezzo litro.
Marsala e rhum, in tutto tre cucchiaiate.
Uova, n. 5.
Tagliate la midolla di pane a fette sottili e gettatela nel latte. Aspettando
che questa inzuppi, nettate l'uva, levate i semi alla malaga e preparate la
forma per cuocerlo, che sarà quella pei budini, di rame lavorata. Disfate al
fuoco in una cazzaruola i suddetti grammi 100 circa di zucchero e preso che
abbia il color nocciuola, versatelo nello stampo per intonacarlo tutto; quando
poi sarà diaccio ungete l'intonaco dello zucchero con burro fresco.
Alla midolla inzuppata unite i detti grammi 250 di zucchero, i rossi delle uova
e i liquori, rimestando bene ogni cosa. Per ultimo aggiungete l'uva e le chiare
montate. Cuocetelo a bagno-maria per tre ore intere, ponendovi il fuoco sopra
soltanto nell'ultima ora. Servitelo caldo e in fiamme e perciò annaffiatelo
abbondantemente di rhum e dategli fuoco con una cucchiaiata di spirito acceso.
Potrà bastare per dieci o dodici persone.
672. PLUM-PUDDING
Parola inglese che vorrebbe dire budino di prugne, benché queste non c'entrino
affatto. Fate un composto nel quale, per ogni uovo che serve a legarlo, entri la
quantità dei seguenti ingredienti:
Zucchero in polvere, grammi 30.
Zibibbo, grammi 30.
Uva sultanina, grammi 30.
Midolla di pane fine, grammi 30.
Grasso d'arnione di castrato, grammi 30.
Cedro candito, grammi 15.
Arancio candito, grammi 15,
Rhum, una cucchiaiata.
Allo zibibbo levate i semi. I frutti canditi tagliateli a filetti corti e
sottili. Il grasso d'arnione, se non potete averlo di castrato, prendetelo di
vitella, e tanto questo che la midolla di pane tagliateli a dadini minutissimi,
levando al grasso le pellicole.
Fate un miscuglio d'ogni cosa, avendo frullate prima le uova a parte, e
lasciatelo in riposo per qualche ora; poi mettetelo in un tovagliuolo e legatelo
bene stretto con uno spago per formare una palla. Ponete al fuoco una pentola
d'acqua e quando bolle immergetelo nella medesima, in modo che non tocchi il
fondo del vaso, lasciandolo bollire adagio tante ore quante sono le uova.
Levatelo dal tovagliuolo con riguardo, fategli al disopra una pozzetta e,
versato in essa un bicchierino o due di cognac o di rhum che si spanda per tutto
il dolce, dategli fuoco e così caldo e in fiamme mandatelo in tavola per esser
tagliato a fette e mangiato quando la fiamma è estinta. Tre uova basteranno per
sei persone.
673. PLUM-CAKE
È un dolce della stessa famiglia del precedente, mentitore anch'egli del nome
suo.
Zucchero, grammi 250.
Burro, grammi 250.
Farina finissima, grammi 250.
Candito, grammi 80.
Uva malaga, grammi 80.
Detta sultanina, grammi 80.
Detta passolina, grammi 80.
Uova intere, n. 5.
Rossi d'uovo, n. 4.
Rhum, un decilitro scarso, ossia cinque cucchiaiate.
Odore di scorza di limone o vainiglia.
Il candito tagliatelo a filetti sottili e levate i semi all'uva malaga. Lavorate
prima il burro da solo con un mestolo, rammorbidendolo al fuoco se occorre,
aggiungete lo zucchero e seguitate a lavorarlo finché sia divenuto bianco.
Scocciate le uova una alla volta mescolando, poi la farina e per ultimo il
rimanente. Versate il composto in uno stampo liscio che sia stato prima foderato
di carta unta col burro dalla parte interna e cuocetelo al forno.
Potete servirlo caldo spolverizzato di zucchero a velo, ed anche freddo, che è
buono egualmente.
La carta serve per impedire che le uve si attacchino allo stampo. Questa dose
basterà per dodici persone.
674. BAVARESE LOMBARDA
Questo dolce, a cui danno diversi nomi, si potrebbe chiamare il piatto dolce del
giorno visto che è bene accetto ed usato spesso in molte famiglie.
Burro di buona qualità e ben fresco, grammi 180.
Zucchero a velo, grammi 180.
Savoiardi lunghi o pan di Spagna, circa grammi 150.
Rossi d'uovo assodati, n. 6.
Zucchero vanigliato, quanto basta per dargli l'odore.
Rosolio, quanto occorre per intingere leggermente i savoiardi.
Fate bollire le uova per soli sette minuti, e levatine i rossi, stemperateli nel
burro, poi passateli dal setaccio, indi aggiungete lo zucchero a velo e il
vanigliato, e lavorate molto il composto col mestolo per mantecarlo. Prendete
uno stampo, possibilmente a costole, bagnatelo col rosolio, tagliate a metà, per
il lungo, i savoiardi, intingeteli leggermente nel rosolio, oppure metà nel
rosolio e metà nell'alkermes e con questi foderate lo stampo alternando i due
colori. Poi versate nel mezzo il composto, copritelo con altri savoiardi intinti
anche questi, lasciatelo per tre ore almeno nel ghiaccio e servitelo. La
composizione, se tornasse comodo, può farsi un giorno per l'altro e questa
quantità basta per otto persone. È un dolce molto fine.
675. ZUPPA INGLESE
In Toscana - ove, per ragione del clima ed anche perché colà hanno avvezzato
così lo stomaco, a tutte le vivande si dà il carattere della leggerezza e
l'impronta, dov'è possibile, della liquidità - la crema si fa molto sciolta,
senza amido né farina e si usa servirla nelle tazze da caffè. Fatta in questo
modo riesce, è vero, più delicata, ma non si presta per una zuppa inglese nello
stampo e non fa bellezza.
Eccovi le dosi della crema pasticcera, così chiamata dai cuochi per distinguerla
da quella fatta senza farina.
Latte, decilitri 5.
Zucchero, grammi 85.
Farina o, meglio, amido in polvere, grammi 40.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di vainiglia.
Lavorate prima lo zucchero coi rossi d'uovo, aggiungete la farina e per ultimo
il latte a poco per volta. Potete metterla a fuoco ardente girando il mestolo di
continuo; ma quando la vedrete fumare coprite la brace con una palettata di
cenere o ritirate la cazzaruola sull'angolo del fornello se non volete che si
formino bozzoli. Quando s'è già ristretta continuate a tenerla sul fuoco otto o
dieci minuti e poi lasciatela diacciare.
Prendete una forma scannellata, ungetela bene con burro freddo e cominciate a
riempirla nel seguente modo: se avete una buona conserva di frutta, come sarebbe
di albicocche, di pesche od anche di cotogne, gettate questa, per la prima, in
fondo alla forma e poi uno strato di crema ed uno di savoiardi intinti in un
rosolio bianco. Se, per esempio, le scannellature della forma fossero diciotto,
intingete nove savoiardi nell'alkermes e nove nel rosolio bianco e coi medesimi
riempite i vuoti, alternandoli. Versate dell'altra crema e sovrapponete alla
medesima degli altri savoiardi intinti nel rosolio e ripetete l'operazione fino
a riempirne lo stampo.
I savoiardi badate di non inzupparli troppo nel rosolio perché lo
rigetterebbero; se il liquore fosse troppo dolce, correggetelo col rhum o col
cognac. Se il tempo avesse indurita la conserva di frutta (della quale in questo
dolce si può fare anche a meno), rammorbiditela al fuoco con qualche cucchiaiata
di acqua, ma nello stampo versatela diaccia.
Questa dose può bastare per sette od otto persone.
Nell'estate potete tenerla nel ghiaccio e per isformarla immergete per un
momento lo stampo nell'acqua calda onde il burro si sciolga.
Saranno sufficienti grammi 120 a 130 di savoiardi.
676. ZUPPA TARTARA
Prendete grammi 200 di ricotta, rammorbiditela alquanto col latte e aggraziatela
con grammi 30 di zucchero a velo e due prese di cannella in polvere, mescolando
bene.
Prendete uno stampo lavorato e bagnatene le pareti interne con rosolio oppure
ungetele col burro; intingete nel rosolio o nell'alkermes de' savoiardi e,
cominciando da questi, o da una conserva di frutta non troppo liquida, coprite
il fondo dello stampo. Poi riempitelo, alternando a suoli, con la ricotta, i
savoiardi e la conserva, che può essere di albicocche o di pesche. Sformatela
dopo qualche ora e, se l'avrete disposta con garbo, oltre al gusto resteranno
anche appagati gli occhi de' commensali. La ricotta si può rammorbidire col
rosolio di cedro, invece del latte, e allora non occorre la cannella.
È un dolce da piacer molto.
677. DOLCE DI CILIEGE
Come dolce da famiglia è assai buono e merita di occuparsene.
Ciliege more, crude, intere e senza gambo, grammi 200.
Zucchero a velo, grammi 100.
Pangrattato di segala, grammi 50.
Mandorle dolci, grammi 40.
Uova, n. 4.
Rosolio, cucchiaiate n. 2.
Odore di vainiglia o scorza di limone.
Mancando il pane di segala servitevi del pane comune. Le mandorle sbucciatele,
asciugatele e tritatele minutamente per ridurle a metà circa di un chicco di
riso.
Lavorate prima i rossi d'uovo con lo zucchero finché sieno divenuti spumosi,
aggiungete il pangrattato, il rosolio, l'odore e continuate a lavorare ancora un
poco il composto. Uniteci le chiare ben montate, mescolando adagio e versatelo
in uno stampo liscio che avrete prima ben unto con burro freddo e cosperso
tutto, e più nel fondo, con le dette mandorle. Infine buttateci le ciliege, ma
per evitare che queste pel loro peso calino a fondo, mescolate fra il composto
le mandorle che vi restano. Cuocetelo al forno o al forno da campagna e
servitelo caldo o freddo a quattro o cinque persone.
678. ZUPPA DI VISCIOLE
Questa zuppa si può fare con lettine sottili di pane fine arrostito, oppure con
pan di Spagna o con savoiardi. Levate il nocciolo a quella quantità di ciliege
visciole che credereste sufficienti e mettetele al fuoco con pochissima acqua e
un pezzetto di cannella che poi getterete via. Quando cominciano a bollire
aggiungete zucchero quanto basta, mescolate adagino per non guastarle e allorché
cominciano a siroppare assaggiatele se hanno zucchero a sufficienza e levatele
dal fuoco quando le vedrete aggrinzite ed avranno perduto il crudo. Dopo che
avrete leggermente intinto le fette del pane o i savoiardi nel rosolio,
collocateli suolo per suolo, insieme con le ciliege, in un piatto o in un
vassoio in modo che facciano la colma. Potete anche dare a questa zuppa la forma
più regolare in uno stampo liscio, e tenerlo in ghiaccio avanti di sformarla,
giacché nella stagione delle ciliege si cominciano a gradire i cibi
refrigeranti. Un terzo di zucchero del peso lordo delle ciliege è sufficiente.
679. ZUPPA DI LIMONE
Questo dolce, che dalla sua provenienza giudicherei di origine francese, non è
molto nelle mie grazie; nonostante ve lo descrivo nel caso non aveste di meglio
a fare e vi trovaste le chiare a disposizione.
Zucchero, grammi 135.
Rossi d'uovo, n. 2.
Chiare d'uovo, n. 5.
Sugo di un grosso limone.
Acqua, mezzo bicchiere.
Farina, un cucchiaio scarso.
Stemperate la farina coll'acqua frullandola bene, versatela in una cazzaruola ed
aggiungete il resto. Rimestate ogni cosa e ponete il composto al fuoco
rimuovendo continuamente il mestolo come si fa per la crema. Quando sarà
condensato passatelo dallo staccio, se occorre, poi versatene parte in un
vassoio, distendeteci sopra dei savoiardi o del pan di Spagna, e col resto del
composto copritelo. Servitela fredda..
Può bastare per quattro o cinque persone.
680. SFORMATO DI CONSERVE
Prendete uno stampo da budino a costole o scannellato, ungetelo bene con burro
freddo e riempitelo di savoiardi o di pan di Spagna intinti nel rosolio e di
conserve di frutta, regolandovi in tutto come al n. 675, senza alcun uso di
crema. Dopo alcune ore, le quali occorrono perché il composto si compenetri,
sformatelo, immergendo prima, per un istante, lo stampo nell'acqua bollente,
onde il burro si sciolga.
681. BIANCO MANGIARE
Mandorle dolci con tre amare, grammi 150.
Zucchero in polvere, grammi 150.
Colla di pesce in fogli, grammi 20.
Panna, o fior di latte, mezzo bicchiere a buona misura.
Acqua, un bicchiere e mezzo.
Acqua di fior d'arancio, due cucchiaiate.
Prima preparate la colla di pesce ed è cosa semplice; pigiatela colle dita in
fondo a un bicchiere, e coperta di acqua, lasciatela stare onde abbia tempo di
rammollire, e quando ve ne servirete, gettate via l'acqua e lavatela. Sbucciate
e pestate le mandorle in un mortaio, bagnandole di quando in quando con un
cucchiaino d'acqua, e quando le avrete ridotte finissime, diluitele con l'acqua
suddetta e passatele da un canovaccio forte e rado, procurando di estrarne tutta
la sostanza. A tal punto, preparate uno stampo qualunque della capacità
conveniente; poi mettete al fuoco in una cazzaruola il latte delle mandorle, la
panna, lo zucchero, la colla, l'acqua di fior di arancio; mescolate il tutto e
fatelo bollire per qualche minuto. Ritiratelo dal fuoco e quando avrà perduto il
calore, versatelo nello stampo immerso nell'acqua fresca o nel ghiaccio. Per
isformarlo basta passare attorno allo stampo un cencio bagnato nell'acqua
bollente.
La bollitura è necessaria onde la colla di pesce si incorpori col resto;
altrimenti c'è il caso di vederla precipitare in fondo allo stampo.
682. SGONFIOTTO DI FARINA GIALLA
Questo piatto
I francesi lo chiaman soufflet
E lo notano come entremet,
Io sgonfiotto, se date il permesso,
Che servire potrà di tramesso.
Latte, mezzo litro.
Farina di granturco, grammi 170.
Zucchero, grammi 30.
Burro, grammi 30.
Uova: chiare n. 6; rossi n. 3.
Un pizzico di sale.
Fate una farinata, cioè versate la farina nel latte quando questo bolle o,
meglio, se volete preservarla dai bozzoli, stemperate prima la farina con un
poco di latte freddo e versatela nel latte bollente mescolandola bene. Fatela
bollir poco, e quando la ritirate dal fuoco, aggiungete il burro, lo zucchero e
il sale. Allorché sarà diaccia disfate nella medesima i rossi d'uovo e per
ultimo versate le chiare montate ben sode; mescolate con garbo e versate il
composto in uno stampo liscio o in una cazzaruola che avrete unta col burro e
spolverizzata di farina di grano. Cuocetelo in un fornello con fuoco sotto e
sopra e quando avrà montato, servitelo subito onde, se è possibile, resti ben
soffice e non s'acquatti. Meglio è, a mio avviso, far questo piatto in un
vassoio che regga al fuoco e portarlo in tavola senza muoverlo.
Questa dose basterà per sei persone.
683. BISCOTTO DA SERVIRSI CON LO ZABAIONE
Farina di patate, grammi 50.
Detta di grano, grammi 20.
Zucchero in polvere, grammi 90.
Uova, n. 3. Odore di scorza di limone.
Lavorate prima per quasi mezz'ora i rossi d'uovo collo zucchero, aggiungete le
chiare montate ben sode e fate cadere la farina da un vagliettino mescolando il
tutto in bel modo onde il composto rimanga soffice. Versatelo in uno stampo col
buco in mezzo che avrete prima unto col burro e spolverizzato di farina e di
zucchero a velo. Mettetelo subito in forno o nel forno da campagna per cuocerlo,
e sformato diaccio versate nel buco del medesimo lo zabaione del n. 684 e
mandatelo subito in tavola.
È una dose che può bastare per cinque o sei persone.
684. SFORMATO DI SAVOIARDI CON LO ZABAIONE
Savoiardi, grammi 100.
Uva malaga, grammi 70.
Detta sultanina, grammi 50.
Cedro candito, grammi 30.
Marsala, quanto basta.
All'uva malaga togliete i semi. Il cedro candito tagliatelo a pezzettini.
Prendete uno stampo col buco in mezzo ed ungetelo col burro diaccio, poi
intingete leggermente e solo alla superficie i savoiardi nella marsala e con
questi riempite lo stampo intramezzandoli a suoli con le uve e il candito.
Fate una crema con:
Latte, decilitri 2.
Uova intere, n. 2.
Zucchero, grammi 50.
Odore di vainiglia.
Così cruda versatela nello stampo sopra i savoiardi. Cuocetelo a bagno-maria,
sformatelo caldo e, prima di mandarlo in tavola, riempite traboccante il buco
con uno zabaione, che lo investa tutto, composto di
Uova intere, n. 2.
Marsala, decilitri 1 1/2.
Zucchero, grammi 50.
Il composto dello zabaione montatelo colla frusta in una bacinella sopra al
fuoco. Alle uve potete sostituire frutte giulebbate, oppure un misto delle une e
delle altre, come pure un misto di cedro e di arancio candito. Potrà bastare per
sei persone. È un dolce che piace.
685. CREMA
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 200.
Rossi d'uovo, n. 8.
Odore di vainiglia.
Lavorate prima i rossi d'uovo collo zucchero e poi versate il latte a poco per
volta. Per sollecitarne la cottura potete mettere il composto a fuoco ardente,
ma appena lo vedrete fumare rallentate il calore onde non avesse a impazzire. Se
questo avviene passate la crema per istaccio. La cottura si conosce quando la
crema si attacca al mestolo, il quale va mosso continuamente all'ingiro. L'odore
dateglielo poco prima di levarla dal fuoco.
Questa crema, senza farina od amido, nella proporzione suddetta, si presta
mirabilmente per gelati di crema, tantoché sentirete un gelato che difficilmente
troverete ai caffè. Può servire anche per una zuppa inglese liquida, unendovi,
quando è diaccia, delle fette di pari di Spagna o dei savoiardi leggermente
bagnati nel rosolio; ma se volete renderla ancor più grata, aggiungete
pezzettini di candito tagliati sottilissimi.
686. LE TAZZINE
È un dolce molto delicato che si serve, come tutti gli altri dolci, verso la
fine di un pranzo in tazze più piccole di quelle da caffè; una per persona, e
perciò chiamasi Le tazzine. Dose per dieci persone:
Zucchero, grammi 300.
Mandorle dolci, grammi 60.
Rossi d'uovo, n. 10.
Acqua, decilitri 1.
Odore di acqua di fior d'arancio.
Cannella in polvere, quanto basta.
Le mandorle sbucciatele, tostatele a color nocciuola, pestatele finissime e
lasciatele da parte.
Fate bollire lo zucchero con l'acqua suddetta per un minuto o due, non dovendo
prender colore, e dopo, quando sarà tiepido, cominciate a buttarci i rossi
d'uovo, uno o due alla volta e, sopra a un calore moderatissimo, lavoratelo
continuamente girando il mestolo sempre per un verso. Quando il composto si sarà
alquanto condensato da non esservi più pericolo che impazzisca, potete allora,
onde rigonfi meglio, batterlo con la frusta dal basso in alto fino a tanto che i
rossi non abbiano perduto il colore acceso e preso l'aspetto di una densa crema.
Allora dategli l'odore ed uniteci le mandorle mescolando bene. Poi versatelo
nelle tazzine e sulla superficie di ognuna, nel mezzo, poneteci una presa della
detta cannella, la quale, mescolata al dolce da chi deve mangiarlo, acquisterà
più profumo.
È un dolce che preparato anche qualche giorno avanti non soffre. Con le chiare,
piacendovi, potete fare il Budino nero nelle proporzioni di quello descritto al
n. 665, oppure il Dolce di chiare d'uovo n. 633.
687. PALLOTTOLE DI MANDORLE
Mandorle dolci, grammi 140.
Zucchero a velo, grammi 140.
Cioccolata grattata o in polvere, circa grammi 40.
Rosolio Maraschino, cucchiaiate n. 4.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele al sole o al fuoco e pestatele finissime
con due cucchiaiate del detto zucchero. Dal mortaio versatele in un vaso,
aggiungete lo zucchero rimasto ed impastate il composto col detto rosolio.
Distesa poi la cioccolata sulla spianatoia formate col suddetto composto tante
pallottole grosse poco più delle nocciole, di cui ne otterrete oltre a 30;
involtatele sulla cioccolata onde ne restino ben coperte, e potrete serbarle per
molto tempo.
688. CREMA ALLA FRANCESE
Eravamo nella stagione in cui i cefali delle Valli di Comacchio sono ottimi in
gratella, col succo di melagrana, e nella quale i variopinti e canori augelli,
come direbbe un poeta, cacciati dai primi freddi attraversano le nostre campagne
in cerca di clima più mite, ed innocenti quali sono, povere bestioline, si
lasciano cogliere alle tante insidie e infilare nello spiede:
... e io sol uno
M'apparecchiava a sostener la guerra
Sì del cammino e sì de la pietate,
Che ritrarrà la mente che non erra.
La guerra del cammino, percorrendo 200 chilometri per andare a villeggiare da un
amico sopra un colle amenissimo; e la pietate per quei graziosi animalini perché
sentivo una stretta al cuore, ogni volta che dal casotto del paretaio li vedevo
insaccarsi nelle maglie traditrici delle sue reti. Ma poi, non appartenendo io
alla setta de' pitagorici e avendo la ferma convinzione che al male, quando non
ha riparo, per amore o per forza bisogna acconciarvisi e, se è possibile, trarne
profitto, procurai di cattivarmi la benevolenza del cuoco insegnandogli a
cucinar con più garbo ch'ei non faceva la cacciagione, e di condirla e cuocerla
in modo da renderla più grata al gusto; ed egli in contraccambio di ciò e di
qualche altro precetto di culinaria, fece in presenza mia questo e i seguenti
due piatti dolci che vi descrivo.
La cacciagione e la selvaggina in genere, se mai non lo sapeste, è un alimento
aromatico, nutritivo e leggermente eccitante; so di un medico di bella fama il
cui cuoco ha ordine di preferirla a qualunque altra carne, quando la può
trovare; e in quanto ai cefali vi dirò che quando io ero nella bella età in cui
si digeriscono anche i chiodi, la serva ci portava questo pesce in tavola con un
contorno di cipolle bianche tagliate in due, arrostite in gratella ed anch'esse
condite con olio, sale, pepe e succo di melagrana.
La mangia, ossia la stagione dei muggini delle valli di Comacchio, è
dall'ottobre a tutto febbraio. A proposito di questo luogo di pesca qui viene in
acconcio di aggiungere (come cosa meravigliosa e degna a sapersi) che la pesca
nelle valli comacchiesi, a tutto il 1° novembre 1905, diede quell'anno i
seguenti risultati:
Anguille Kg 487,653
Cefali Kg. 59,451
Acquadelle Kg. 105,580
Dopo l'esordio la predica, per dirvi come sia composta questa così detta Crema
alla francese:
Latte, mezzo litro.
Zucchero, grammi 150.
Uova, uno intero e rossi n. 4.
Colla di pesce, fogli n. 2.
Odore di vainiglia o di scorza di limone.
Mescolate bene insieme lo zucchero colle uova, aggiungete il latte a poco per
volta e per ultimo la colla in natura. Ponete la cazzaruola al fuoco, girando
continuamente il mestolo sempre da una parte e quando la crema comincia a
condensare, attaccandosi al mestolo, levatela. Prendete uno stampo liscio, col
buco in mezzo, tale che la quantità della crema possa riempirlo, ungetelo col
burro oppure col rosolio, in modo che ne resti in fondo un sottile strato e
versatela nel medesimo. D'estate ponete lo stampo nel ghiaccio e d'inverno
nell'acqua fresca e sformatela sopra a un tovagliuolo ripiegato sul vassoio.
Se non vi fidate troppo del latte, dategli una bollitura almeno di un quarto
d'ora prima di far la crema, oppure aumentate un foglio di colla.
689. CREMA MONTATA
Rossi d'uovo, n. 6.
Zucchero in polvere, grammi 70.
Colla di pesce, grammi 15, pari a fogli 6 o 7.
Acqua, tre quarti di un bicchiere da tavola.
Odore, tre foglie di lauro ceraso intere od altro che più vi piaccia.
Sbattete in una cazzaruola i rossi d'uovo e lo zucchero, aggiungete l'acqua e le
dette foglie e mettetela al fuoco girando il mestolo, finché sia cotta, la qual
cosa, come vi ho già detto, si conosce dal condensarsi e attaccarsi al mestolo.
Allora versatela in una catinella e così calda battetela forte con la frusta
finché abbia montato; levate le foglie e continuando sempre a batterla,
aggiungete, quando sarà montata, la colla di pesce a poco per volta. Prendete
uno stampo lavorato, ungetelo d'olio, circondatelo di ghiaccio e versatevi la
crema montata, fra mezzo la quale, se vi pare, potete mettere savoiardi intinti
nel rosolio o spalmati di conserva di frutta. Lasciatela nel ghiaccio più di
un'ora, e se non vuole sformarsi naturalmente, passate intorno allo stampo un
cencio bagnato nell'acqua calda.
La colla di pesce si prepara avanti così: si mette prima in molle, poi al fuoco
con due dita di un bicchier d'acqua, si fa bollire finché l'acqua, evaporando in
parte, si formi un liquido alquanto denso, che appiccichi fra le dita, e così
bollente si versa nella crema alla quale si può dare il gusto dell'alkermes, del
caffè o della cioccolata.
Questa dose potrà bastare per cinque o sei persone.
690. CROCCANTE A BAGNO-MARIA
Zucchero, grammi 150.
Mandorle dolci, grammi 85.
Rossi d'uovo, n. 5.
Latte, decilitri 4.
Sbucciate le mandorle e con la lunetta riducetele della grossezza dei chicchi di
grano all'incirca. Mettete al fuoco grammi 110 del detto zucchero e quando sarà
tutto liquefatto, versate le mandorle e muovetele continuamente col mestolo
finché abbiano preso il color cannella. Gettatele allora in una teglia unta col
burro e, quando saranno diacce, pestatele nel mortaio coi rimanenti grammi 40 di
zucchero e riducetele finissime.
Aggiungete i rossi d'uovo e poi il latte, mescolate bene e versate il composto
in uno stampo col buco in mezzo, che avrete prima unto col burro. Cuocetelo a
bagnomaria e dopo, se d'estate, tenete lo stampo nel ghiaccio. Se doveste servir
questo dolce a più di sei persone raddoppiate la dose, e se non vi fidate troppo
del latte, fatelo bollire prima da solo per un quarto d'ora almeno.
691. UOVA DI NEVE
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 150.
Uova, n. 6.
Zucchero a velo, quanto basta.
Odore di vainiglia.
Mettete il latte al fuoco in una cazzaruola larga e mentre questo scalda,
battete con la frusta le chiare che avrete già separate dai torli; ma gettate
nelle medesime una presa di sale se è vero che serva a rafforzare la
consistenza. Quando le chiare saranno ben montate, prendete il bossolo traforato
ove ordinariamente si tiene lo zucchero a velo e, continuando sempre a batterle,
gettatene tanto da renderle alquanto dolci. Grammi 20 o 30 di zucchero a velo
potranno bastare, ma è meglio assaggiarle. Ciò fatto prendete su la fiocca con
un cucchiaio da tavola, e dandole la forma approssimativa di un uovo, gettatela
nel latte quando bolle. Voltate queste così dette uova per cuocerle da tutte le
parti e quando le vedrete assodate, prendetele colla mestola forata e mettetele
a sgrondare in uno staccio. Passate quindi quel latte e, quando sarà diaccio,
fate col medesimo, coi rossi e collo zucchero una crema come quella del n. 685,
dandole l'odore di vainiglia. Disponete in un vassoio le uova di neve in bella
mostra, le une sulle altre, versateci sopra la crema e servitele fredde.
Questa dose può bastare per otto o dieci persone.
692. LATTE BRÛLÉ
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 180.
Rossi d'uovo, n. 8 e due chiare.
Mettete al fuoco il latte con 100 grammi del detto zucchero e fatelo bollire per
un'ora intera, poi ritiratelo dal fuoco perché diacci. Sciogliete in una
cazzaruola a parte gli 80 grammi di zucchero che resta e quando sarà ben
liquefatto versatene in uno stampo liscio tanto che ne ricuopra il fondo come di
un velo; quello che rimane nella cazzaruola continuate a tenerlo al fuoco finché
sia diventato nero. Allora fermatelo con un ramaiolino d'acqua e lo sentirete
stridere aggrumandosi; ma continuate a tenerlo al fuoco girando il mestolo per
ottenere un liquido denso e scuro. Mettetelo da parte e frullate in un pentolo
le dette uova, poi mescolate ogni cosa insieme, cioè: il latte, le uova e lo
zucchero bruciato. Assaggiatelo se è dolce a sufficienza, passatelo da un
colatoio di latta non tanto fitto e versatelo nello stampo già preparato.
Cuocetelo a bagno-maria con fuoco sopra e quando la superficie comincia a
colorarsi ponete sotto al coperchio un foglio unto col burro. Per accertarsi
della cottura, immergete uno steccolino di granata e se questo esce pulito ed
asciutto sarà segno che va tolto dal fuoco. Lasciatelo diacciar bene e prima di
versarlo nel vassoio, con tovagliuolo o senza, distaccatelo giro giro con un
coltello sottile. In estate, prima di sformarlo, potete gelarlo col ghiaccio. Lo
stampo da preferirsi è di forma ovale e sarebbe bene che avesse un orlo
all'ingiro largo un dito, onde non vi schizzasse l'acqua dentro quando bolle,
Questa dose potrà bastare per dieci persone.
693. LATTE ALLA PORTOGHESE
È del tutto simile all'antecedente, meno lo zucchero bruciato. Dunque anche per
questo:
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 100.
Rossi d'uovo, n. 8 e due chiare.
Odore di vainiglia, o di coriandoli, o di caffè, che sono quelli che più si
addicono.
Se preferite quest'ultimo, macinate diversi chicchi di caffè tostato; se
aggradite l'odore de' coriandoli, che è grato quanto quello di vainiglia,
soppestatene un pizzico e, tanto l'uno che gli altri, metteteli a bollire nel
latte che poi passerete. Se il latte non è di molta sostanza, fatelo bollire
anche un'ora e un quarto.
Non dimenticate mai il velo di zucchero fuso in fondo allo stampo.
694. LATTERUOLO
È un dolce molto delicato che in qualche luogo di Romagna, e forse anche altrove
in Italia, i contadini portano in regalo al padrone per la festa del Corpus
Domini.
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 100.
Rossi d'uovo, n. 8.
Chiare d'uovo, n. 2.
Odore di vainiglia o di coriandoli.
Fate bollire il latte con lo zucchero per un'ora ed anche un'ora e un quarto se
non siete ben sicuri della sua legittimità. Se per odore vi servite dei
coriandoli, adoperateli come è indicato nel numero precedente. Al latte rompete
di quando in quando la tela col mestolo, passatelo da un colino per più
precauzione, e quando sarà diaccio, mescolatelo bene alle uova frullate.
Preparate una teglia foderata di pasta matta n. 153, disponetela come nel
migliaccio di Romagna n. 702, versateci il composto, cuocetelo con fuoco sotto e
sopra a moderato calore e perché non ròsoli al disopra, copritelo di carta unta
col burro. Aspettate che sia ben diacciato per tagliarlo a mandorle colla
sfoglia sotto come il detto migliaccio.
695. LATTERUOLO SEMPLICE
Questo è un latteruolo meno delicato del precedente, ma è indicatissimo come
piatto dolce da famiglia e come eccellente nutrimento, in ispecie per i bambini.
Latte, un litro.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Uova, n. 6.
odore di scorza di limone.
La fragranza degli agrumi, essendo il prodotto di un olio volatile racchiuso in
cellule superficiali, basterà di tagliare col temperino un nastro sottilissimo
della loro buccia, lungo almeno un palmo, e farlo bollire nel liquido che
vorrete aromatizzare.
Dalla superficie di un limone levate col temperino una striscia di scorza di una
certa lunghezza e mettetela nel latte, che farete bollire per mezz'ora collo
zucchero dentro. Quando sarà diaccio levate la scorza di limone e mescolateci le
uova frullate. Cuocetelo come il precedente o, se credete meglio, senza la pasta
sotto; ma in tal caso, onde non si attacchi al fondo della teglia, ungetela
abbondantemente col burro freddo.
696. MELE IN GELATINA
Prendete mele reinettes o di altra qualità fine, non tanto mature e grosse.
Levatene il torsolo col cannello di latta, sbucciatele e via via gettatele
nell'acqua fresca ove sia stato spremuto mezzo limone. Se tutte insieme fossero
un quantitativo di grammi 650 a 700, mettete a disfare al fuoco grammi 120 di
zucchero in mezzo litro d'acqua unita a una cucchiaiata di kirsch e versatela
sopra le mele che avrete collocate avanti in una cazzaruola tutte a un pari.
Cuocetele in modo che restino intere, poi levatele asciutte, ponetele in una
fruttiera, e quando saranno diacce riempite e colmate i buchi lasciati dal
torsolo con della Gelatina di ribes n. 739 che, essendo rossa, spicca sul bianco
delle mele e fa belluria. Restringete al fuoco il liquido rimasto nella
cazzaruola per ridurlo a siroppo, indi passatelo da un pannolino bagnato,
aggiungete al medesimo un'altra cucchiaiata di kirsch e versatelo attorno alle
mele preparate nel modo anzidetto, che servirete diacce.
Se non avete kirsch, servitevi di rosolio e se vi manca la gelatina di ribes
supplite colle conserve.
697. PESCHE RIPIENE
Pesche spicche grosse, poco mature, n. 6.
Savoiardi piccoli, n. 4.
Zucchero in polvere, grammi 80.
Mandorle dolci con tre mandorle di pesca, grammi 50.
Cedro o arancio candito, grammi 10.
Mezzo bicchiere scarso di vino bianco buono.
Dividete le pesche in due parti, levate i noccioli ingrandendo alquanto i buchi
ove stavano colla punta di un coltello; la polpa che levate unitela alle
mandorle, già sbucciate, le quali pesterete finissime in un mortaio con grammi
50 del detto zucchero. A questo composto unite i savoiardi fatti in bricioli, e
per ultimo il candito tagliato a piccolissimi dadi. Eccovi il ripieno col quale
riempirete e colmerete i buchi delle dodici mezze pesche che poi collocherete
pari pari e col ripieno all'insù in una teglia di rame. Versate nella medesima
il vino e i rimanenti grammi 30 di zucchero e cuocetele fra due fuochi per
servirle calde o diacce a piacere e col loro sugo all'intorno. Se vengono bene
devono far bella mostra di sé sul vassoio, e per una crosticina screpolata
formatasi alla superficie del ripieno, prenderanno aspetto di pasticcini.
698. FRITTATA A SGONFIOTTO OSSIA MONTATA
È l’omelette soufflée de' Francesi che può servire come piatto dolce di ripiego,
se non v'è di meglio, e quando rimangono chiare d'uovo.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Rossi d'uovo, n. 3.
Chiare, n. 6.
Odore della scorza di limone.
Sbattete prima per diversi minuti i rossi collo zucchero, poi montate le chiare
ben sode ed unite le une e gli altri insieme mescolando adagino. Ungete un
vassoio che regga al fuoco con burro diaccio, versate nel medesimo il composto
in modo che vi faccia la colma e ponetelo subito nel forno da campagna tenuto
pronto ben caldo. Dopo cinque minuti che è nel forno fategli alcune incisioni
col coltello e spolverizzatelo di zucchero a velo, quindi terminate di cuocerlo,
al che si richiederanno dieci o dodici minuti in tutto. Badate che non bruci
alla superficie e mandatela subito in tavola. Perché gonfi meglio, alcuni
aggiungono un poco d'agro di limone nel composto.
699. GNOCCHI DI LATTE
Dose per sei persone.
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 240.
Amido ridotto in polvere, grammi 120.
Rossi d'uovo, n. 8.
Odore di vainiglia.
Mescolate il tutto nel modo stesso che fareste per una crema e mettetelo al
fuoco in una cazzaruola, girando continuamente il mestolo. Quando il composto
sarà divenuto sodo, tenetelo ancora qualche minuto al fuoco e poi versatelo in
una teglia o in un piatto all'altezza di un dito e mezzo e tagliatelo a mandorle
quando sarà diacciato. Disponete questi tagliuoli uno sopra l'altro con
simmetria su di un vassoio di rame o di porcellana che regga al fuoco,
intramezzandoli con alcuni pezzetti di burro, e rosolateli alquanto nel forno da
campagna per servirli caldi.
700. CIARLOTTA
Fate una crema con:
Latte, decilitri 2.
Zucchero, grammi 30.
Farina, mezza cucchiaiata.
Uova, n. 1.
Odore di scorza di limone.
Fate un siroppo con:
Acqua, decilitri 2.
Zucchero, grammi 50,
lasciando bollire lo zucchero nell'acqua per dieci minuti; quando è diaccio
strizzategli dentro un limone. Prendete grammi 300 di pan di Spagna e col
medesimo, tagliato a fette, con conserve di frutta e con la detta crema,
riempite uno stampo da budino ben lavorato. Per ultimo versateci dentro il detto
siroppo per inzuppare il pan di Spagna, o savoiardi che sieno, e dopo diverse
ore sformatelo e servitelo.
È una dose che potrà bastare per otto persone.
701. CIARLOTTA DI MELE
Mele reinettes, grammi 500.
Zucchero in polvere, grammi 125.
Midolla di pane raffermo, quanto basta.
Burro fresco di buona qualità, quanto basta.
Un pezzetto di cannella intera.
Mezzo limone.
Si preferiscono le mele reinettes perché morbide ed odorose; in mancanza di
queste, servitevi di altra qualità consimile. Se questa marmellata si dovesse
conservar lungo tempo, ci vorrebbe il doppio di zucchero; ma trattandosi di
adoperarla subito, un quarto del peso delle mele in natura è a sufficienza.
Sbucciate le mele, tagliatele a quarti, levate i semi e le logge che li
contengono e gettatele in acqua fresca dove sia stato spremuto il limone. Levate
quindi questi quarti di mela asciutti, e tagliateli per traverso a fette
sottili, che porrete al fuoco in una cazzaruola, senz'acqua e col pezzetto di
cannella. Quando cominciano a liquefarsi, aggiungete lo zucchero e mescolate,
muovendole spesso finché non sieno cotte, il che si conosce facilmente. Allora
levate la cannella e servitevene come appresso.
Disfate al fuoco il burro e quando è a bollore, cioè ben caldo, intingetevi
tante fette di midolla di pane quante occorrono, grosse meno di un centimetro,
le quali avrete preparate innanzi. Con esse coprite il fondo di uno stampo
liscio e tondo e foderatene le pareti, in modo che non restino vuoti. Versate
nel mezzo la marmellata e copritela delle stesse fette di pane intinte nel
burro. Cuocetela come i budini, con fuoco sopra, avvertendo che per la cottura
basta di rosolare appena il pane, e servitela calda.
È un dolce che si può complicare e variare quanto si vuole. Si può, ad esempio,
fare un buco in mezzo alla marmellata e riempirlo di conserva di albicocche, si
può intramezzare la marmellata con altre conserve od anche disporla a suoli con
le stesse fette di pane.
Si potrebbe anche incassarla nella pasta frolla.
702. MIGLIACCIO DI ROMAGNA
Se il maiale volasse
Non ci saria danar che lo pagasse,
diceva un tale; e un altro: “Il maiale, colle sue carni e colle manipolazioni a
cui queste si prestano, vi fa sentire tanti sapori diversi quanti giorni sono
nell'anno”. Al lettore il decidere quale dei due sproloqui sia il più esatto: a
me basta darvi un cenno delle così dette nozze del maiale, perché anche questo
immondo animale fa ridere, ma solo, come l'avaro, il giorno della sua morte.
In Romagna le famiglie benestanti e i contadini lo macellano in casa,
circostanza in cui si sciala più dell'usato e i ragazzi fanno baldoria. Questa è
anche l'occasione opportuna per ricordarsi agli amici, a' parenti, alle persone
colle quali si abbia qualche dovere da compiere, imperocché ad uno, per esempio,
si mandano tre o quattro braciuole della lombata, ad un altro un'ala di fegato,
ad un terzo un piatto di buon migliaccio; e la famiglia che queste cose riceve,
si rammenta di fare, alla sua volta, altrettanto. “È pane da rendere e farina da
imprestare”, direte voi; ma frattanto son usi che servono a tener deste le
conoscenze e le amicizie fra le famiglie.
Dopo tale preambolo, venendo a nocco, ecco la ricetta del migliaccio di Romagna
il quale, per la sua nobiltà, non degnerebbe di riconoscere neppur per prossimo
quello di farina dolce che girondola per le strade di Firenze:
Latte, decilitri 7.
Sangue di maiale disfatto, grammi 330.
Sapa, oppure miele sopraffine, grammi 200.
Mandorle dolci sbucciate, grammi 100.
Zucchero, grammi 100.
Pangrattato finissimo, grammi 80.
Candito, grammi 50.
Burro, grammi 50.
Spezie fini, due cucchiaini.
Cioccolata, grammi 100.
Noce moscata, un cucchiaino.
Una striscia di scorza di limone.
Pestate in un mortaio le mandorle insieme col candito, che avrete prima tagliato
a pezzetti, bagnatele di tanto in tanto con qualche cucchiaino di latte e
passatele per istaccio. Ponete il latte al fuoco con la buccia di limone, che
poi va levata, e fatelo bollire per dieci minuti; uniteci la cioccolata
grattata, e quando questa sarà sciolta, levatelo dal fuoco e lasciatelo freddare
un poco.
Poi versate nello stesso vaso il sangue, già passato per istaccio, e tutti gli
altri ingredienti serbando per ultimo il pangrattato, del quale, se fosse
troppo, si può lasciare addietro una parte.
Mettete il composto a cuocere a bagno-marla e rimuovetelo spesso col mestolo
onde non si attacchi al vaso. La cottura e il grado di densità che fa d'uopo, si
conoscono dal mestolo che, lasciato in mezzo al composto, deve rimanere ritto.
Se ciò non avviene, aggiungete il resto del pangrattato, supposto non l'abbiate
versato tutto. Pel resto regolatevi come alla Torta di ricotta n. 639, cioè
versatelo in una teglia foderata di Pasta matta n. 153 e, quando sarà ben
diaccio, tagliatelo a mandorle. Cuocete poco la pasta matta per poterla tagliar
facilmente e non lasciate risecchire il migliaccio al fuoco, ma levatelo quando
si estrae pulito un fuscello di granata immersovi.
Se vi servite del miele invece della sapa, assaggiate avanti di aggiungere lo
zucchero onde non riesca troppo dolce, e notate che uno de' pregi di questo
piatto è che sia mantecato, cioè di composizione ben fine.
Il timore di non essere inteso da tutti, nella descrizione di queste pietanze,
mi fa scendere spesso a troppo minuti particolari, che risparmierei volentieri.
Nonostante pare che ciò non basti perché una cuoca di un paese di Romagna mi
scrisse: “Ho fatto ai miei padroni il migliaccio che sta stampato nel suo
pregiatissimo Manuale di cucina; è piaciuto assai, solo che le mandorle col
candito non ho saputo come farle passare per lo staccio: avrebbe la bontà
d'indicarmelo?”.
Grato alla domanda io le risposi: “Non so se sappiate che si trovano, per uso di
cucina, degli stacci appositi di crine, forti e radi, e di fil di ferro
finissimo. Con questi, un buon mortaio e olio di schiena si possono passare
anche le cose più difficili”.
703. SOUFFLET DI CIOCCOLATA
Zucchero, grammi 120.
Farina di patate, grammi 80.
Cioccolata, grammi 80.
Burro, grammi 30.
Latte, decilitri 4.
Uova, n. 3.
Rhum, una cucchiaiata.
Mettete il burro al fuoco e quando è sciolto versate la cioccolata grattata;
liquefatta che sia anche questa, versate la farina di patate e poi il latte
caldo a poco per volta e, rimestando sempre con forza, aggiungete lo zucchero.
Immedesimato che sia il composto e cotta la farina lasciatelo diacciare. Per
ultimo aggiungete il rhum e le uova, prima i rossi, poi le chiare montate; e se
queste fossero più di tre, il dolce verrebbe anche meglio.
Ungete di burro un vassoio che regga al fuoco, versateci il composto, ponetelo
nel forno da campagna o semplicemente sopra un fornello tra due fuochi, e quando
sarà rigonfiato servitelo caldo.
È una dose sufficiente per sei persone.
704. SOUFFLET DI LUISETTA
Provatelo che ne vale la pena, anzi vi dirò che sarà giudicato squisito.
Latte, mezzo litro.
Zucchero, grammi 80.
Farina, grammi 70.
Burro, grammi 50.
Mandorle dolci, grammi 30.
Uova, n. 3.
Odore di zucchero vanigliato.
Sbucciate le mandorle, asciugatele e pestatele fini fini con una cucchiaiata del
detto zucchero.
Fate una balsamella col burro, la farina e il latte versato caldo. Prima di
levarla dal fuoco aggiungete le mandorle, lo zucchero e l'odore. Diaccia che sia
uniteci le uova, prima i rossi e poi le chiare montate. Ungete col burro un
vassoio che regga al fuoco, versateci il composto e terminate di cuocerlo al
forno da campagna. Potrà bastare per cinque o sei persone.
705. SOUFFLET DI FARINA DI PATATE
Zucchero, grammi 100.
Farina di patate, grammi 80.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 3 e due o tre chiare.
Odore di vainiglia o di scorza di limone.
Ponete lo zucchero e la farina in una cazzaruola e versateci il latte diaccio a
poco per volta, mescolando. Mettete il composto al fuoco affinché assodi,
girando il mestolo, senza curarvi di farlo bollire. Aggiungete la vainiglia, o
la scorza di limone, e quando sarà tiepido mescolateci i tre rossi delle uova,
poi montate le chiare ed unitecele bel bello. Versatelo in un vassoio di metallo
e collocato sopra il fornello, copritelo col coperchio del forno da campagna fra
due fuochi e aspettate che gonfi e ròsoli leggermente. Allora spolverizzatelo di
zucchero a velo e mandatelo subito in tavola che sarà lodato per la sua
delicatezza e, se ne resta, sentirete che è buono anche diaccio. Questa dose
potrà bastare per cinque persone.
706. SOUFFLET DI RISO
Riso, grammi 100.
Zucchero, grammi 80.
Latte, decilitri 6.
Uova, n. 3.
Un pezzetto di burro.
Rhum, una cucchiaiata.
Odore di vainiglia.
Fate bollire il riso nel latte, ma se non lo cuocete moltissimo non farete
niente di buono. A mezza cottura versate il burro e lo zucchero, compreso quello
vanigliato per l'odore, e dopo cotto, e diaccio che sia, mescolategli dentro i
rossi, il rhum e le chiare montate.
Pel resto regolatevi come pel soufflet di farina di patate. È una dose che potrà
bastare per quattro persone.
707. SOUFFLET DI CASTAGNE
Marroni dei più grossi, grammi 150
Zucchero, grammi 90.
Burro, grammi 40.
Uova, n. 5.
Latte, decilitri 2.
Maraschino, cucchiaiate 2.
Odore di vainiglia.
Fate bollire i marroni nell'acqua per soli cinque minuti, ché tanti bastano per
sgusciarli caldi e per levar loro la pellicola interna. Dopo metteteli a cuocere
nel detto latte e passateli, indi dosateli collo zucchero, il burro sciolto, il
maraschino e la vainiglia. Per ultimo aggiungete le uova, prima i rossi, poi le
chiare ben montate.
Ungete col burro un vassoio che regga al fuoco, versateci il composto, cuocetelo
al forno da campagna e prima di mandarlo in tavola spolverizzatelo di zucchero a
velo.
Basterà per cinque persone.
708. ALBICOCCHE IN COMPOSTA
Albicocche poco mature, grammi 600.
Zucchero in polvere, grammi 100.
Acqua, un bicchiere.
Fate un'incisione nelle albicocche per estrarne il nocciolo, in modo che non si
guastino, e mettetele al fuoco coll'acqua suddetta. Quando questa comincia a
bollire, versate lo zucchero e scuotendo di tratto in tratto la cazzaruola
lasciatele cuocere. Divenute morbide e alquanto grinzose, levatele una per una
con un cucchiaio e ponetele in una compostiera; scolate l'umido che hanno
portato seco dalla cazzaruola e lasciate restringere al fuoco l'acqua rimastavi,
che verserete nella compostiera sopra le albicocche, quando sarà condensata come
un siroppo. Servitele diacce.
709. PERE IN COMPOSTA I
Pere, grammi 600.
Zucchero fine in polvere, grammi 120.
Acqua, due bicchieri.
Mezzo limone.
Se sono perine lasciatele intere col loro gambo; se sono grosse tagliatele a
spicchi: sì le une che le altre via via che le sbucciate gettatele nell'acqua
suddetta in cui avrete spremuto il mezzo limone. Questo serve per conservare la
bianchezza al frutto. Fatele bollire nella stessa acqua passata dal colino,
versate lo zucchero quando entra in bollore e pel resto regolatevi come per le
albicocche. Servitele diacce.
710. PERE IN COMPOSTA II
Questo secondo modo di preparare le pere in composta è, per il resultato, poco
dissimile alla ricetta del numero precedente, ma sono fatte con più accuratezza.
Perine poco mature, grammi 600.
Zucchero, grammi 120.
Acqua, due bicchieri.
Mezzo limone.
Spremete il limone nell'acqua e lasciatela da parte.
Mettete le pere al fuoco coperte d'acqua e fatele bollir per quattro o cinque
minuti; poi gettatele nell'acqua fresca, sbucciatele, tagliate loro la metà del
gambo e via via gettatele nell'acqua preparata col limone. Ciò fatto prendete la
stessa acqua, passatela dal colino, mettetela al fuoco e quando entra in bollore
versate lo zucchero e fatela bollire alquanto. Poi gettatevi le pere per
cuocerle, ma in modo che non si disfacciano. Levatele asciutte, mettetele in una
compostiera, fate restringere il siroppo e versatelo sulle pere, facendolo
passare un'altra volta dal colino.
Se sono pere molto grosse, tagliatele a spicchi dopo che avranno subito la prima
bollitura. Sono pur anche buone cotte, come si usa comunemente nelle famiglie,
col vino rosso, lo zucchero e un pezzetto di cannella intera. Servitele diacce.
711. COMPOSTA DI COTOGNE
Sbucciate le mele cotogne e tagliatele a spicchi non tanto grossi ai quali
leverete quella parte di mezzo che faceva parte del torsolo. Dato che siano
grammi 500, mettetele al fuoco con un bicchiere e mezzo d'acqua e quando avranno
bollito a cazzaruola coperta per un quarto d'ora, versate nella medesima grammi
180 di zucchero fine. Appena cotte levatele asciutte e ponetele nel vaso che
vorrete mandare in tavola; fate restringere il succo che resta per ridurlo a
siroppo, quindi versatelo sopra alle cotogne e servitele diacce.
712. RISO IN COMPOSTA
Se non vi pare che a questo dolce sia proprio il nome di riso in composta
chiamatelo, se più vi piace, composta nel riso.
Latte, decilitri 7.
Riso, grammi 100.
Zucchero, grammi 50.
Burro, grammi 20.
Sale, una presa.
Odore di scorza di limone.
Cuocete il riso in sei decilitri di latte e a mezza cottura versate nel medesimo
gl'ingredienti suddetti. Rimuovetelo spesso col mestolo perché si attacca
facilmente e quando si sarà ristretto levatelo dal fuoco ed aggiungete il
decilitro di latte lasciato addietro. Prendete uno stampo liscio col buco in
mezzo, nel quale il composto venga alto due dita almeno, e versategli in fondo e
attorno grammi 50 di zucchero sciolto al fuoco, ove gli farete prendere il
colore marrone chiaro. Versate il riso in questo stampo e rimettetelo al fuoco a
bagno-maria che così assoda ancora e scioglie lo zucchero del fondo. Per
sformarlo aspettate che sia diaccio.
Ora bisogna riempire il vuoto che è in mezzo al riso con una composta che può
essere di qualunque frutta; ma supponiamo di mele o prugne secche.
Se di mele, preferite le mele rose che sono dure e odorose. Basteranno grammi
200 in natura. Sbucciatele, tagliatele a spicchiettini, togliendo via la parte
del torsolo, e gettatele via via nell'acqua fresca ove sia stato spremuto del
limone, per mantenerle bianche. Mettete queste mele in una cazzaruola con
tant'acqua che le ricopra appena e quando hanno avviato a bollire versate nelle
medesime grammi 70 di zucchero e una cucchiaiata di kirsch. Cotte che sieno
levatele asciutte e ristringete il liquido rimasto per ridurlo a siroppo nel
quale verserete, quando sarà diaccio, un'altra cucchiaiata di kirsch per unirlo
alle mele e per riempire con questo il buco del dolce quando lo mandate in
tavola.
Se vi servite delle prugne, bastano gr. 120 e gr. 60 di zucchero; ma prima di
metterle a bollire tenetele in molle nell'acqua per cinque o sei ore. Pel resto
regolatevi come nella cottura delle mele, non dimenticando il kirsch.
Se il dolce dovesse servire per dieci o dodici persone raddoppiate la dose. Si
serve diaccio.
713. PASTICCIO A SORPRESA
Latte, un litro.
Farina di riso, grammi 200.
Zucchero, grammi 120.
Burro, grammi 20.
Uova, n. 6.
Sale, una presa.
Odore di vainiglia.
Prendete una cazzaruola e nella medesima a poco per volta versate le uova, lo
zucchero, la farina e il latte mescolando via via onde non si formino bozzoli:
ma del latte lasciatene addietro alquanto per aggiungerlo dopo, se occorre.
Mettete la cazzaruola al fuoco e, girando il mestolo continuamente come nella
crema, cuocete il composto aggiungendovi, prima di levarlo, il burro, la
vainiglia e il sale. Lasciatelo diacciare, e poi versatelo in un piatto di
metallo o in un vassoio di terra che regga al fuoco, disposto in modo che faccia
la colma.
Copritelo colla pasta frolla n. 589, ricetta B o ricetta C, fategli qualche
lavoro per bellezza, doratelo col rosso d'uovo, cuocetelo al forno e servitelo
caldo, spolverizzato di zucchero a velo.
714. GELATINA DI ARANCIO IN GELO
Zucchero, grammi 150.
Colla di pesce, grammi 20.
Acqua, decilitri 4.
Alkermes, quattro cucchiaiate.
Rhum, due cucchiaiate.
Un arancio dolce grosso.
Un limone.
Mettete la colla in molle e cambiando una volta l'acqua, lasciatevela per un'ora
o due.
Fate bollire lo zucchero nella metà dell'acqua suddetta per dieci minuti e
passatelo per un pannolino.
Spremete in questo siroppo l'arancio e il limone, passandone il sugo dallo
stesso pannolino.
Levate la colla già rinvenuta e fate che alzi il bollore nei due decilitri
dell'acqua rimasta e versate anche questa nel detto siroppo. Aggiungete al
medesimo l'alkermes e il rhum, mescolate ogni cosa e quando comincia a freddare
versatelo nello stampo tenuto nel ghiaccio d'estate e nell'acqua fredda
d'inverno.
Gli stampi di questa sorte di dolci sono di rame tutti lavorati a guglie, alcuni
col buco in mezzo, altri senza, onde ottenere un bell'effetto in tavola. Per
isformarla bene ungete leggermente, prima di versare il composto, lo stampo con
olio ed immergetelo poi per un momento nell'acqua calda o strofinatelo con un
cencio bollente. La colla di pesce non è nociva; ma ha l'inconveniente di
riuscire alquanto pesante allo stomaco.
715. GELATINA DI FRAGOLE IN GELO
Fragole molto rosse e ben mature, grammi 300.
Zucchero, grammi 200.
Colla di pesce, grammi 20.
Acqua, decilitri 3.
Rhum, tre cucchiaiate.
L'agro di un limone.
Strizzate le fragole in un pannolino per estrarne tutto il sugo. Fate bollire lo
zucchero per dieci minuti in due decilitri della detta acqua e questo siroppo
unitelo al sugo delle fragole; aggiungete il limone e tornate a passare il tutto
da un pannolino fitto. Alla colla di pesce, dopo averla tenuta in molle come
quella del numero precedente, fate spiccare il bollore nel rimanente decilitro
d'acqua e versatela così bollente nel predetto miscuglio; aggiungete per ultimo
il rhum, mescolate e versate il composto nello stampo per metterlo in gelo.
Questa gelatina sarà molto gradita dalle signore.
716. GELATINA DI MARASCHE O DI VISCIOLE IN GELO
Ciliege marasche o visciole, grammi 400.
Zucchero, grammi 200.
Colla di pesce, grammi 20.
Acqua, decilitri 3.
Rhum, tre cucchiaiate.
Un pezzetto di cannella.
Levate il gambo alle ciliege e disfatele colle mani unendovi qualche nocciolo
pestato. Lasciatele così qualche ora e poi passatene il sugo da un pannolino,
strizzando bene; tenetelo ancora in riposo e poi ripassatelo più volte, magari
per carta o per cotone, onde rimanga chiaro. Fate bollir lo zucchero per dieci
minuti in due decilitri della detta acqua con la cannella dentro, passate anche
questo dal pannolino e mescolatelo al sugo delle ciliege. Aggiungete la colla
sciolta nel rimanente decilitro di acqua e per ultimo il rhum, regolandovi come
per le precedenti gelatine.
717. GELATINA DI RIBES IN GELO
Ribes, grammi 300.
Zucchero, grammi 130.
Colla di pesce, grammi 20.
Acqua, decilitri 2.
Marsala, quattro cucchiaiate.
Odore di vainiglia.
Regolatevi in tutto come nella gelatina di marasche del numero precedente.
Ordinariamente l'odore di vainiglia si dà alle vivande collo zucchero
vanigliato; ma in questo e consimili casi meglio è servirsi del baccello
naturale di quella pianta, facendone bollire un pezzetto insieme collo zucchero
nell'acqua. A vostra norma, se comprate qualcuno di questi baccelli osservate
che sieno grassi, cioè non risecchiti, e conservateli ben chiusi framezzo a
zucchero biondo a cui comunicheranno il profumo e servirà anch'esso ad
aromatizzar qualche piatto.
Questa pianta della famiglia delle orchidee, la quale si arrampica come
l'ellera, è originaria delle foreste intertropicali di America. Il polline della
vainiglia, essendo vischioso e non potendo perciò esser trasportato dai venti,
lo trasportano gl'insetti; la qual cosa, essendo stata conosciuta dall'uomo
soltanto nella prima metà del secolo passato, eseguisce egli stesso l'operazione
e feconda le piante che si coltivano ne' tepidari; esse avanti il 1837, anno in
cui si ottennero i primi frutti nel Belgio, erano infruttifere.
718. GELATINA DI LAMPONE IN GELO
Se avete del siroppo di lampone n. 723 potete fare, all'occorrenza, una buona
gelatina da servire per dolce in un pranzo. Sciogliete grammi 20 di colla di
pesce al fuoco in tre decilitri d'acqua e mescolate in essa:
Siroppo, decilitri 2.
Marsala, decilitri l.
Rhum, una cucchiaiata.
Zucchero non occorre o, se mai, pochissimo, essendo molto dolce il siroppo. Pel
resto regolatevi come nelle antecedenti gelatine. Se invece del siroppo la fate
col lampone in natura servitevi delle dosi della gelatina di fragole n. 715, e
tenete la stessa regola.
719. UN UOVO PER UN BAMBINO
Non sapete come quietare un bambino che piange perché vorrebbe qualche leccornia
per colazione? Se avete un uovo fresco sbattetene bene il torlo in una tazza in
forma di ciotola con due o tre cucchiaini di zucchero in polvere, poi montate
soda la chiara ed unitela mescolando in modo che non ismonti. Mettete la tazza
avanti al bambino con fettine di pane da intingere, colle quali si farà i baffi
gialli e lo vedrete contentissimo.
E magari i pasti dei bambini fossero tutti innocui come questo, ché per certo ci
sarebbero allora meno isterici e convulsionari nel mondo! Voglio dire degli
alimenti che urtano i nervi, come il caffè, il the, il vino, e di altri
prodotti, fra cui il tabacco, i quali, per solito, più presto che non
converrebbe, entrano a far parte nel regime della vita domestica.
720. BUDINO DI PANE E CIOCCOLATA
È un budino da famiglia; non vi aspettate quindi di sentire cosa squisita.
Pane comune fine, grammi 100.
Zucchero, grammi 70.
Cioccolata, grammi 40.
Burro, grammi 20.
Latte, decilitri 4.
Uova, n. 3.
Versate il latte bollente sopra il pane tagliato a fette sottili. Dopo due ore
circa d'infusione passatelo dallo staccio per renderlo tutto unito; poi
mettetelo al fuoco collo zucchero, il burro e la cioccolata grattata. Rimestate
il composto spesso, fatelo bollire alquanto e lasciatelo diacciare. Aggiungete
allora le uova, mettendo prima i rossi e quindi le chiare montate; cuocetelo a
bagnomaria in uno stampo liscio unto col burro e servitelo freddo. Per dargli
più bell'aspetto non sarebbe male di coprirlo, dopo sformato, con una crema.
Questa dose potrà bastare per cinque persone.
721. MELE ALL’INGLESE
Questo piatto potreste anche chiamarlo pasticcio di mele, ché il nome non
sarebbe improprio.
Prendete mele rose o di altra qualità duràcine, levate loro il torsolo con un
cannello di latta, sbucciatele e tagliatele a fette rotonde e sottili. Poi
mettetele al fuoco con l'acqua sufficiente a cuocerle e un pezzetto di cannella.
Quando saranno a mezza cottura versate tanto zucchero da renderle dolci e un
poco di candito a pezzettini.
Prendete un piatto di rame od un vassoio di porcellana che regga al fuoco,
versatele nel medesimo, copritele con pasta frolla, mettetele in forno o nel
forno da campagna, e servitele calde per dolce.
722. ZABAIONE
Rossi d'uovo, n. 3.
Zucchero in polvere, grammi 30.
Vino di Cipro, di Marsala, o di Madera, decilitri 1½ pari a nove cucchiaiate
circa. Doppia dose potrà bastare per otto persone. Se lo desiderate più
spiritoso aggiungete una cucchiaiata di rhum; anche un cucchiaino di cannella in
polvere non ci sta male. Lavorate prima con un mestolo i rossi d'uovo collo
zucchero finché sieno divenuti quasi bianchi, aggiungete il liquido, mescolate,
ponetelo sopra un fuoco ardente frullandolo continuamente e guardandovi dal
farlo bollire perché impazzirebbe; levatelo appena comincia ad alzare.
Meglio, io credo, sia il servirsi della cioccolatiera.
SIROPPI
I siroppi di frutta acidule, sciolti nell'acqua fresca o gelata, sono bibite
piacevoli e refrigeranti, molto opportune negli estivi ardori; ma è bene farne
uso dopo compiuta la digestione perché, essendo alquanto pesanti allo stomaco
pel molto zucchero che contengono, facilmente la disturbano.
723. SIROPPO DI LAMPONE
La delicata fragranza di questo frutto (il framboise dei Francesi) lo
costituisce il re dei siroppi. Dopo avere disfatto bene il frutto colle mani, si
opera nella stessa guisa del n. 725 colle stesse proporzioni di zucchero e
d'acido citrico; se non che, contenendo questo frutto meno glutine del ribes, il
periodo della fermentazione sarà più breve. Se poi mi domandaste perché questi
siroppi richiedono tanto zucchero, risponderei che ciò è necessario per la loro
conservazione; e che per correggere il soverchio dolciume, si è ricorso
all'acido citrico.
724. ACETOSA DI LAMPONE
Questa acetosa si forma sostituendo all'acido citrico aceto di vino d'ottima
qualità, che va versato nel siroppo di lampone quando si leva dal fuoco. La dose
dell'aceto regolatela coll'assaggio, ponendone cioè, poco da prima ed
assaggiando il siroppo in due dita d'acqua per aumentarne la dose al bisogno.
Questa bibita riescirà più rinfrescante delle altre ed ugualmente piacevole.
725. SIROPPO DI RIBES
Questo frutto, contenendo in sé molto glutine, richiede una lunga fermentazione;
tantoché se sciogliete dello zucchero nel succo del ribes appena spremuto e lo
mettete al fuoco, otterrete non uno siroppo, ma una gelatina.
Disfate il ribes ne' suoi grappolini come fareste ammostando l'uva e lasciatelo
in luogo fresco entro un vaso di terra o di legno. Quando avrà cominciato a
fermentare (il che può avvenire anche dopo tre o quattro giorni) affondatene il
cappello e rimestatelo con un mestolo due volte al giorno, continuando questa
operazione finché avrà cessato di alzare. Poi passatelo per canovaccio a poco
per volta, strizzandolo bene colle mani, se non avete uno strettoio, e passate
il succo spremuto da un filtro anche due o tre volte, e più se occorre, per
ottenere un liquido limpidissimo. Ponetelo quindi al fuoco e, quando comincia ad
entrare in bollore, versate lo zucchero e l'acido citrico nelle seguenti
proporzioni:
Liquido, chilogrammi 3.
Zucchero in polvere bianchissimo, chilogrammi 4.
Acido citrico, grammi 30.
Girate continuamente il mestolo onde lo zucchero non si attacchi, fatelo bollir
forte per due o tre minuti, assaggiatelo per aggiungere altro acido citrico, se
occorre, e quando è diaccio imbottigliatelo e conservatelo in cantina.
Vi avverto che il bello di questi siroppi, è la limpidezza e per ottenerla è
bene abbondare nella fermentazione.
726. SIROPPO DI CEDRO
Limoni di giardino, n. 3.
Zucchero bianco fine, grammi 600.
Acqua, un bicchiere da tavola che corrisponde a decilitri 3 circa.
Levate dai limoni, senza strizzarla, la polpa interna nettandola bene dalle
pellicole e dai semi.
Mettete l'acqua al fuoco colla buccia di uno dei detti limoni tagliata a nastro
e sottilmente col temperino e quando comincia a bollire versate lo zucchero.
Aspettate che dia qualche bollore, poi levate la buccia e versate la polpa dei
limoni. Fate bollire finché il siroppo siasi ristretto e cotto al punto, il che
si conosce dalla perla che fa bollendo e dal colore di vino bianco che acquista.
Conservatelo in vaso possibilmente di vetro, per prenderlo a cucchiaiate e
scioglierlo nell'acqua fresca: si ottiene cosi una bibita eccellente e
rinfrescante la quale resto meravigliato che manchi fra le bibite dei caffè, in
diverse province d'Italia.
727. MARENA
Prendete ciliege marasche vere, le quali, benché mature, devono essere molto
agre. Levatene i gambi e disfatele come l'uva quando si pigia per fare il vino;
poi mettete da parte una manciata di noccioli per l'uso che vi dirò in appresso
e riponete le ciliege con un bel pezzo di cannella intera in luogo fresco, entro
a un vaso di terra per aspettarne la fermentazione, la quale deve durare almeno
quarantott'ore; ma dal momento che le ciliege hanno cominciato ad alzare,
affondatele e mescolatele di quando in quando. Ora occorrerebbe uno strettoio
per estrarne il sugo; ma, se manca, servitevi delle mani strizzando le ciliege a
poche per volta entro a un canovaccio rado.
Il bello di questi siroppi, come vi ho detto, è la limpidezza, e però quando il
sugo ha riposato decantate la parte chiara, e l'altra che resta passatela più
volte per filtro di lana. Ottenuto così il liquido depurato, mettetelo al fuoco
nelle seguenti proporzioni e col rammentato pezzo di cannella.
Sugo depurato, chilogrammi 6.
Zucchero bianchissimo in polvere, chilogrammi 8.
Acido citrico, grammi 50.
Per versare lo zucchero e l'acido citrico aspettate che il liquido sia ben caldo
e poi mescolate spesso onde lo zucchero non si depositi in fondo e non prenda di
bruciato. La bollitura dev'esser breve; quattro o cinque minuti sono bastanti a
incorporare lo zucchero nel liquido.
Una bollitura prolungata farebbe perdere l'aroma al frutto, mentre che una
insufficiente produrrebbe col tempo la deposizione dello zucchero. Quando levate
la marena dal fuoco, versatela in vaso di terra e imbottigliatela diaccia.
Tappate le bottiglie con sughero senza catrame e conservatele in cantina dove
tanto la marena che i siroppi si manterranno inalterati anche per qualche anno.
Per ultimo v'indicherò l'uso dei noccioli su ricordati, Questi asciugateli al
sole, poi stiacciateli e levatene grammi 30 di mandorle, le quali pesterete
finissimo in un mortaio e mescolerete alle ciliege prima della fermentazione.
Col loro grato amarognolo queste mandorle servono a dar più grazia al siroppo.
728. MARENA DA TRASTULLARSI
La marena più signorile è quella sopra descritta, ma se la desiderate da bere e
da mangiare, come usa in alcuni paesi, mescolate in quella precedentemente
descritta delle ciliege giulebbate nella proporzione seguente.
Ciliege marasche, chilogrammi 1,500.
Zucchero finissimo in polvere, chilogrammi 2.
Levate i gambi alle ciliege e tenetele al sole per cinque o sei ore. Poi
mettetele al fuoco con un pezzetto di cannella e quando avranno buttato una
certa quantità di umido, versate in esse lo zucchero, avvertendo di mescolare
adagio per conservare le ciliege intere. Quando saranno divenute grinzose ed
avranno preso il color bruno levatele e servitevene per l'uso indicato.
729. ORZATA
Mandorle dolci con 10 o 12 amare, grammi 200.
Acqua, grammi 600.
Zucchero bianco, fine, grammi 800.
Acqua di fior d'arancio, due cucchiaiate.
Sbucciate le mandorle e pestatele nel mortaio, bagnandole ogni tanto coll'acqua
di fior d'arancio.
Allorché saranno ridotte a pasta impalpabile, scioglietele con un terzo della
detta acqua e passatene il sugo da un canovaccio strizzandolo bene. Rimettete
nel mortaio la pasta asciutta rimasta nel canovaccio, macinatela col pestello;
poi scioglietela con un altro terzo dell'acqua e passatene il sugo. Ripetete la
stessa operazione per la terza volta, mettete al fuoco tutto il liquido
ottenuto, e quando sarà ben caldo versate lo zucchero, rimestatelo e fatelo
bollire per venti minuti circa. Diaccio che sia, imbottigliatelo e conservatelo
in luogo fresco. Se fatta in questo modo, vedrete che l'orzata non fermenta e
potrete conservarla a lungo, ma però non quanto i siroppi di frutta. Oltre a ciò
viene di tale sostanza che pochissima, sciolta in un bicchier d'acqua, basta per
ottenere una bibita eccellente e rinfrescante. Fatta coi semi di popone, viene
anche più delicata.
730. CLARET CUP (BIBITA INGLESE)
Per questa bibita, che merita di esser descritta perché piacevole e di facile
esecuzione, occorre vino rosso di ottima qualità. Può servire tanto il bordò
quanto il chianti, il sangiovese e simili.
Vino, decilitri 5.
Acqua, decilitri 5.
Limoni, n. 5.
Zucchero bianco, grammi 500.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua cinque minuti. Tolto dal fuoco, strizzate in
questo siroppo i limoni e versateci il vino, poi passatelo da un pannolino.
Rimettetelo al fuoco per farlo bollire adagio 25 minuti e diaccio che sia
imbottigliatelo. Servitevene allungato coll'acqua e raffrescato col ghiaccio in
estate. Dovendolo conservare a lungo, tenetelo in cantina.
731. SAPA
La sapa, ch'altro non è se non un siroppo d'uva, può servire in cucina a diversi
usi poiché ha un gusto speciale che si addice in alcuni piatti. È poi sempre
gradita ai bambini che nell'inverno, con essa e colla neve di fresco caduta,
possono improvvisar dei sorbetti.
Ammostate dell'uva bianca, possibilmente di vigna, di buona qualità e ben
matura, e quando sarà in fermentazione da circa ventiquattr'ore, estraetene il
mosto e passatelo da un canovaccio. Mettete questo mosto al fuoco e fatelo
bollire per molte ore fino a consistenza di siroppo, che conserverete in
bottiglie.
CONSERVE
Le conserve e le gelatine di frutta fanno molto comodo nelle famiglie, perché
entrano spesso nella composizione dei piatti dolci, sono gustate dalle signore
alla fine di una colazione e, spalmate sul pane, sono un ottimo spuntino,
nutriente e salubre, pei bambini.
732. CONSERVA DI POMODORO SENZA SALE
Se questo prezioso frutto della famiglia delle solanacee (Solanum Lycopersicum),
originario dell'America meridionale, fosse più raro, costerebbe quanto e più dei
tartufi. Il suo sugo si marita con tante vivande e fa ad esse così ottima
compagnia, che merita conto di spendere qualche fatica per ottenerne una buona
conserva. Molti sono i metodi per farla ed ognuno dà la preferenza al suo: io vi
descriverò quello da me adottato e che seguo da molti anni perché me ne trovo
bene.
Prendete pomodori di campo, perché quelli d'orto sono più acquosi, e preferite i
piccoli ai grossi. Stiacciateli così all'ingrosso e metteteli al fuoco di legna
in una caldaia di rame non stagnata e non abbiate paura perché l'acido non
attacca il rame se non quando è fuori dal fuoco e perde il calore
dell'ebollizione. Se non fosse così, io avrei sentito i sintomi del veleno
almeno un centinaio di volte. Quando saranno cotti disfatti versateli in un
sacco a spina ben fitto tenuto sospeso e gettata che abbiano l'acqua passateli
per istaccio onde nettarli dai semi e dalle bucce strizzandoli bene.
Lavate con accuratezza la caldaia e rimetteteli al fuoco per restringerli quanto
basta, e per conoscere poi il punto preciso della consistenza che deve avere la
conserva (e qui sta la difficoltà) versatene qualche goccia in un piatto e se
vedrete che non iscorre e non presenta sierosità acquosa all'intorno, vorrà dire
che codesto è il punto giusto della cottura. Allora imbottigliatela e anche qui
avrete un'altra prova della sua sufficiente densità, se la vedrete scendere con
difficoltà per l'imbuto.
Per avere una conserva con meno cottura, e quindi più liquida e naturale, viene
usato l'acido salicilico che nella proporzione di grammi 3 ogni litri 2,1/3 di
sugo, si dice innocuo, ma io finora mi ero astenuto dal farne uso, sapendo che
il Governo, per misura igienica, ne aveva vietato lo smercio. Facendone uso
quotidiano prudenza vorrebbe di non usarlo.
Le bottiglie preferitele piccole per consumarle presto; ma possono star
manomesse anche 12 o 13 giorni senza che la conserva ne soffra. Io mi servo di
quelle bianche che vengono in commercio coll'acqua di Recoaro e in mancanza di
queste, di mezze bottiglie nere da birra. Turatele con tappi di sughero messi a
mano, ma che sigillino bene e legateli con lo spago, avvertendo di lasciare un
po' d'aria fra il tappo e il liquido. Qui l'operazione sembrerebbe finita, ma
c'è un'appendice la quale benché breve è pur necessaria. Collocate le dette
bottiglie in una caldaia framezzo a fieno, a cenci o ad altre cose simili, onde
stiano strette fra loro, e versate nella caldaia tanta acqua che arrivi fino al
collo delle bottiglie e fatele fuoco sotto. State osservando che presto il tappo
delle bottiglie darà cenno di alzare e di schizzar via se non fosse legato e
allora cessate il fuoco, ché l'operazione è davvero finita. Levate le bottiglie
quando l'acqua è diaccia o anche prima, ripigiate con un dito i tappi smossi per
rimetterli al posto e conservate le bottiglie in cantina. Non hanno bisogno di
essere incatramate perché se la conserva è fatta bene non fermenta; ma se
fermentasse e le bottiglie scoppiassero, dite pure che vi è rimasta tropp'acqua
per poca cottura.
Ho sentito dire che mettendo a riscaldare le bottiglie vuote entro a una stufa e
riempiendole quando sono ben calde non occorre far bollire la conserva nelle
bottiglie; ma questa prova io non l'ho fatta.
Vi raccomando molto la conserva di pomodoro fatta in questa maniera, perché vi
sarà di gran vantaggio nella cucina; però meglio di questo è il sistema detto
preparazione nel vuoto, mediante il quale si conservano freschi ed interi i
pomodori in vasi di latta. A questa piccola industria, che dava saggio di buona
riuscita in Forlì, ove erasi iniziata, auguravo prospera sorte; ma ohimé che
nacque un guaio! Il Fisco le saltò subito addosso con una tassa, e il povero
industriale mi disse che pensava di smettere.
733. CONSERVA DOLCE DI POMODORO
Sembra dal titolo una conserva delle più strane, ma alla prova non riesce men
degna di molte altre.
Ch' ogni erba si conosce per lo seme,
dice Dante, e però se in questa conserva non rimane qualche semino, che ne
faccia la spia, nessuno indovinerà di che sia composta.
Pomodori, chilogrammi 1.
Zucchero bianco, grammi 300.
Il sugo di un limone.
Odore di vainiglia e di scorza di limone.
I pomodori per quest'uso devono essere molto maturi, polputi e possibilmente
rotondi. Metteteli in molle nell'acqua ben calda per poterli sbucciar
facilmente, dopo sbucciati, tagliateli per metà e col manico di un cucchiaino
levate i semi. Sciogliete lo zucchero al fuoco in due dita (di bicchiere)
d'acqua, poi gettateci i pomodori, il sugo del limone e un poco della sua buccia
grattata. Durante la bollitura a fuoco lento e a cazzaruola scoperta, andate
rimestando alquanto, e se apparisse qualche seme rimasto levatelo. Per ultimo
datele l'odore con zucchero vanigliato e levatela quando sarà giunta alla
consistenza delle conserve comuni.
In questa conserva è difficile precisare la quantità dello zucchero, perché
dipende dalla più o meno acquosità dei pomodori. Fatene doppia dose perché scema
di molto.
734. CONSERVA DI ALBICOCCHE
Se la conserva di susine è la peggiore di tutte, questa è invece una delle più
gentili e però incontra il gusto generale.
Prendete albicocche ben mature e di buona qualità, essendo un errore il credere
che con frutta scadente si possa ottenere lo stesso effetto; levate loro il
nocciolo, mettetele al fuoco senz'acqua e mentre bollono disfatele col mestolo
per ridurle a poltiglia. Quando avranno bollito mezz'ora circa, passatele dallo
staccio onde nettarle dalle bucce e dai filamenti; poi rimettetele al fuoco con
zucchero bianco fine e in polvere nella proporzione di otto decimi e cioè grammi
800 di zucchero per ogni chilogrammo di albicocche passate. Rimovetele spesso
col mestolo fino alla consistenza di conserva, la quale si conosce versandone di
quando in quando una cucchiaiatina in un piatto, sul quale dovrà scorrere
lentamente. Versatela calda nei vasi e quando sarà diaccia copritela con la
carta oliata dei salumai aderente alla conserva, e turate la bocca del vaso con
carta grossa legata con lo spago all'intorno.
La conserva di pesche si fa nella stessa maniera con pesche burrone ben mature.
735. CONSERVA DI SUSINE
Benché la conserva di susine sia una delle meno apprezzate, pure, vedendo che
molti l'usano, non sarà male indicarvi come si può fare.
Qualunque varietà può essere al caso, ma sono da preferirsi susine claudie
mature. Levate alle medesime il nocciolo e dopo pochi minuti di bollitura
passatele dallo staccio e rimettetele al fuoco con zucchero bianco in polvere
nella proporzione di grammi 60 di zucchero per ogni 100 grammi di susine in
natura, cioè come vengono dalla pianta.
Se dopo un certo tempo le conserve vi fanno la muffa, sarà indizio certo di poca
cottura; allora riparate con rimetterle al fuoco. Io le invecchio talvolta fino
a 4 o 5 anni senza che perdano, o ben poco, di perfezione.
736. CONSERVA DI MORE
Questa conserva ha la rinomanza di calmare il dolor di gola ed è piacevole a
mangiarsi.
More, chilogrammi 1.
Zucchero bianco, grammi 200.
Le more disfatele con le mani e mettetele a bollire per circa dieci minuti. Poi
passatele dallo staccio e rimettetele al fuoco col detto zucchero per ridurle a
consistenza delle conserve di frutta.
737. CONSERVE DI RIBES E LAMPONE
Per la conserva di ribes avete la ricetta della Gelatina di ribes n. 739 e
questa basta. Per la conserva di lampone mettetelo al fuoco così naturale senza
fermentazione e quando avrà bollito una ventina di minuti passatelo dallo
staccio, pesatelo così netto dai semi e rimettetelo al fuoco con altrettanto
zucchero bianco in polvere, facendolo bollire fino a cottura di conserva che
conoscerete con le norme già indicatevi.
La conserva di lampone, messa in poca quantità, a me sembra che si presti più
d'ogni altra per ripieno ai pasticcini di pasta sfoglia.
738. GELATINA DI COTOGNE
Prendete cotogne di buccia gialla, che sono più mature delle verdi, tagliatele a
fette grosse mezzo dito, escludendo il torsolo. Ponetele al fuoco coperte
d'acqua e, senza toccarle mai col mestolo, fatele bollire coperte finché non
sieno ben cotte. Versatele allora in uno staccio fitto fitto sopra una catinella
per raccogliere tutta l'acqua senza strizzarle. Pesate cotest'acqua e
rimettetela al fuoco con altrettanto zucchero bianco fine e fatela bollire a
cazzaruola scoperta, nettandola dalla schiuma, fino al condensamento, il che si
conosce dalla piccola perla che comincia a fare lo zucchero, oppure se,
versatane qualche goccia su di un piatto, non iscorra di troppo.
Con le cotogne rimaste potete fare una conserva come quella del n. 742, cioè con
altrettanto zucchero quanto saranno di peso dopo averle passate; ma vi prevengo
che riesce poco saporita e poco odorosa.
Le gelatine di frutta stanno bene nei vasetti di vetro ove apparisce meglio il
loro colore; come questa, per esempio, che prende un bel colore granato.
739. GELATINA DI RIBES
Come si disse parlando del siroppo di ribes al n. 725 questo frutto contenendo
molto glutine, se ne spremete il sugo da un canovaccio e lo mettete al fuoco
senza farlo fermentare con 80 parti di zucchero bianco fine per ogni 100 di
sugo, ne otterrete, senza troppo farlo bollire, la condensazione in forma di
gelatina, la quale, conservata in vasi come le conserve, si presta a guarnir
piatti dolci ed è nutrimento leggiero e sano per i convalescenti.
740. CONSERVA DI AZZERUOLE
Le azzeruole, che in alcuni paesi chiamassi pomi reali, sono frutta che maturano
verso la fine di settembre; ve ne sono delle rosse e delle bianche. Per la
conserva preferite le bianche e scegliete le più grosse e le più mature, cioè
quelle che hanno perduto il colore verdastro.
Azzeruole, chilogrammi l.
Zucchero bianco, grammi 800.
Acqua, decilitri 7.
Gettate le azzeruole nell'acqua bollente col loro gambo attaccato, fatele
bollire per dieci minuti e, ancora calde, con la punta di un temperino levate
loro i noccioli dalla parte del fiore e se qualcuna si sforma rassettatela con
le dita e sbucciatele senza levare il gambo. Sciogliete lo zucchero nei 7
decilitri di acqua, che può servire anche quella dove hanno bollito, versateci
le azzeruole e quando il siroppo, preso col mestolo, comincia a dar cenno di
cadere a goccie levatele col loro liquido e conservatele in vasi. Restano come
candite e sono molto buone.
741. CONSERVA SODA DI COTOGNE
Le mamme provvide dovrebbero far buon conto delle conserve di frutta non
foss'altro per appagar qualche volta la golosità dei loro bambini, spalmandole
sopra fette di pane.
Alcuni suggeriscono di mettere le cotogne al fuoco colla buccia onde conservino
più fragranza; ma non mi sembra cosa necessaria perché dell'odore questo frutto
ne dà ad esuberanza e poi ci si risparmia l'incomodo di passarle.
Mele cotogne, nette dalla buccia e dal torsolo, grammi 800.
Zucchero bianco fine, grammi 500.
Sciogliete lo zucchero al fuoco con mezzo bicchiere di acqua, fatelo bollire un
poco e lasciatelo da parte.
Tagliate le mele cotogne a sottilissime fette e mettetele al fuoco con un
bicchiere d'acqua in una cazzaruola di rame. Tenetele coperte, ma rimestatele
spesso cercando di tritarle e schiacciarle col mestolo. Quando saranno divenute
tenere per cottura, versateci il già preparato siroppo di zucchero, mescolate
spesso e lasciate bollire a cazzaruola scoperta finché la conserva sia fatta, il
che si conosce quando comincia a cadere a stracci presa su col mestolo.
742. CONSERVA LIQUIDA DI COTOGNE
Fatta nella seguente maniera si può conservar liquida per distenderla sul pane.
Tagliate le cotogne a spicchi, levate la parte dura del torsolo, lasciate loro
la buccia e dopo averle pesate mettetele al fuoco coperte d'acqua.
Quando saranno ben cotte passatele e rimettetele al fuoco con l'acqua ove hanno
bollito e tanto zucchero bianco in polvere quanto era il loro peso da crude,
aspettando di versarlo quando sono in bollore. Rimestate spesso e allorché
(versatane qualche gocciola in un piatto) non la vedrete scorrer troppo,
levatela.
743. CONSERVA DI ARANCI
Aranci, n. 12.
Un limone di giardino.
Zucchero bianco fine, quanto è il peso degli aranci.
Acqua, metà del peso degli aranci.
Rhum genuino, quattro cucchiaiate.
Con le punte di una forchetta bucate tutta la scorza degli aranci, poi teneteli
in molle per tre giorni cambiando l'acqua sera e mattina. Il quarto giorno
tagliateli a metà ed ogni metà a filetti grossi mezzo centimetro circa,
gettandone via i semi. Pesateli e solo allora regolatevi per lo zucchero e per
l'acqua nelle proporzioni indicate. Metteteli al fuoco da prima colla sola acqua
e dopo dieci minuti di bollitura aggiungete il limone tagliato come gli aranci.
Subito dopo versate lo zucchero e rimestate continuamente finché il liquido non
avrà ripreso il forte bollore, perché altrimenti lo zucchero precipita al fondo
e potrebbe attaccarsi alla cazzaruola.
Per cogliere il punto della cottura, versatene a quando a quando qualche goccia
su di un piatto, soffiateci sopra e se stenta a scorrere levatela subito.
Aspettate che sia tiepida per aggiungere il rhum, e versatela nei vasi per
custodirla come tutte le altre conserve di frutta, avvertendovi che questa ha il
merito di possedere una virtù stomatica.
Del limone si può fare anche a meno.
744. CONSERVA DI ARANCI FORTI
Vediamo se mi riesce di appagare anche coloro che desiderano sapere come
regolarsi se si trattasse di conserva di aranci forti, i quali sanno tanto di
amaro.
Fate bollire gli aranci forti nell'acqua finché si lascino passar facilmente da
parte a parte con uno stecco. Tolti dall'acqua bollente gettateli nella fredda e
teneteceli per due giorni, cambiando spesso l'acqua. Tagliateli poi come i
precedenti, nettandoli dai semi e da quei filamenti bianchi che si trovano
nell'interno. Dopo pesateli e metteteli al fuoco senz'acqua con grammi 150 di
zucchero bianco fine per ogni 100 grammi di frutto. Fate bollire adagio e state
attenti che il siroppo non si condensi troppo, ché altrimenti gli aranci
induriscono.
745. CONSERVA DI ROSE
La rosa, questa regina dei fiori, che in Oriente ha la sua splendida reggia, fra
i molti suoi pregi non sapevo che avesse pur quello singolare di trasformarsi in
una buona e profumata conserva.
Fra le tante sue specie e varietà, quella che io apprezzo e ammiro di più è la
rosa dalla borraccina poiché, quando i suoi boccioli cominciano a schiudersi e
li considero bene, risvegliano in me, come probabilmente negli altri, l'idea
simbolica della pudica verginella e forse furono essi che ispirarono all'Ariosto
le bellissime ottave:
La verginella è simile alla rosa,
Ch'in bel giardin sulla nativa spina
Mentre sola e sicura si riposa,
Né gregge né pastor se le avvicina:
L'aura soave e l'alba rugiadosa,
L'acqua, la terra al suo favor s'inchina;
Giovani vaghi e donne innamorate
Amano averne e seni e tempie ornate.
Ma non sì tosto dal materno stelo
Rimossa viene, e dal suo ceppo verde,
Che quanto avea dagli uomini e dal cielo
Favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che 'l fior, di che più zelo
Che de' begli occhi e della vita aver de',
Lascia altrui corre, il pregio ch'avea innanti
Perde nel cor di tutti gli altri amanti.
Una buona e vecchia signora, la cui memoria porto scolpita nel cuore, coltivava
a preferenza questa specie di rose nel suo giardino, e sapendo la mia
predilezione per quei vaghi e poetici fiori, ogni anno a maggio me ne donava. La
stagione più opportuna per fare questa conserva è quando le rose sono in piena
fioritura dai 15 di maggio ai 10 di giugno. Occorrono rose dette maggesi, che
sono di colore roseo ed odorose. Sfogliatele e recidete ad ogni foglia la punta
gialliccia che trovasi in fondo alla medesima gettandola via e, per far questa
operazione con meno perdita di tempo, prendete con la sinistra tutto il ciuffo,
ossia la corolla della rosa, e con la destra, armata di forbici, tagliatela giro
giro poco più sopra della base del calice. Ecco le dosi:
Zucchero bianco, fine, grammi 600.
Foglie di rose al netto, grammi 200.
Acqua, decilitri 6.
Un mezzo limone.
Breton, un cucchiaino.
Ponete le rose in una catinella con grammi 200 del detto zucchero e il sugo del
mezzo limone e con le mani strofinatele, tritatele più che potete per ridurle
quasi una pasta. Sciogliete al fuoco il resto dello zucchero nell'acqua suddetta
e gettatecele per farle bollire fino a che il siroppo sia condensato, il che si
conosce se, prendendone una goccia fra le dita, comincia ad appiccicare; ma
badate che non arrivi a fare il filo. Prima di ritirarle dal fuoco date loro il
colore col breton, del quale potete fare anche a meno, se al bel colore non ci
tenete. E il breton un liquido vegetale rosso, innocuo, così chiamato dal suo
inventore, per colorire ogni sorta di dolci.
Codesto, che vi ho descritto, è il modo più semplice e da me preferito per fare
la conserva di rose, ma le foglie rimangono durettine. Volendole più tenere
bisognerebbe farle bollir prima nell'acqua indicata per cinque minuti, levarle,
strizzarle e pestarle nel mortaio il più possibile coi 200 grammi dello zucchero
e il sugo del limone, poi sciogliere nella stessa acqua il rimanente zucchero,
gettarvi le rose pestate e pel resto regolarsi come si è detto.
Quando la conserva è diaccia ponetela nei vasetti per conservarla come tutte le
altre consimili.
LIQUORI
746. ROSOLIO DI PORTOGALLO
Zucchero bianco finissimo, grammi 650.
Acqua, grammi 360.
Spirito di vino a gradi 36, grammi 250.
Zafferano, una presa.
Aranci, n. l.
Levate col temperino la buccia superficiale all'arancio e ponetela nello spirito
collo zafferano, entro a un vaso coperto di carta perforata, lasciandovela per
tre giorni. Versate in un altro vaso lo zucchero nell'acqua, agitandolo di
quando in quando onde si sciolga bene e nel quarto giorno mescolate i due
liquidi insieme e lasciateli in riposo per altri otto giorni; al termine di
questi passate il rosolio per pannolino, filtratelo per carta o per cotone e
imbottigliatelo.
747. ROSOLIO DI CEDRO
Zucchero bianco fine in polvere, grammi 800.
Acqua piovana oppure di fonte, litri l.
Spirito forte, decilitri 8.
Limoni di giardino alquanto verdognoli, n. 3.
Versate lo zucchero nell'acqua e agitatelo ogni giorno finché sia sciolto.
Grattate in pari tempo la scorza dei limoni e tenetela infusa in due decilitri
del detto spirito per otto giorni; per tre o quattro giorni rimescolatela
spesso, e d'inverno serbatela in luogo riparato dal freddo. Dopo otto giorni
passate l'infuso dei limoni da un pannolino bagnato, strizzatelo bene e
l'estratto mescolatelo coi restanti sei decilitri di spirito e lasciatelo
riposare per ventiquattr'ore. Il giorno appresso mescolate ogni cosa insieme,
versate il liquido in un fiasco, che a quando a quando andrete scuotendo, e dopo
quindici giorni passatelo per carta oppure più volte per cotone. Questo va messo
in fondo all'imbuto e in mezzo ad esso fateci passare uno stecco di scopa a più
rami nella parte superiore onde dia adito al liquido di passare.
748. ROSOLIO D’ANACI
Si fa nella stessa guisa del precedente. L'infuso invece di scorza di limone
fatelo con grammi 50 d'anaci di Romagna, e dico di Romagna perché questi, per
grato sapore e forte fragranza sono, senza esagerazione, i migliori del mondo;
ma prima di servirvene gettateli nell'acqua per nettarli dalla terra che
probabilmente contengono, essendovi a bella posta frammista per adulterar quella
merce. Fu uno scellerato che io ho conosciuto, perché era dagli onesti segnato a
dito, colui il quale trovò pel primo quella infame industria, saranno ormai
sessant'anni. Coloro che seguono le sue traccie, e sono molti, si servono di una
terra cretacea del colore stesso degli anaci, la mettono in forno a seccare, poi
la vagliano per ridurla in granelli della grossezza medesima e la mescolano a
quella merce nella proporzione del 10 e fino del 20 per cento.
Qui verrebbe opportuna una tiratina di orecchi a coloro che adulterano per un
vile e malinteso guadagno, i prodotti del proprio paese, senza riflettere al
male che fanno, il quale ridonda il più delle volte a danno di loro stessi. Non
pensano allo scredito che recano alla merce, alla diffidenza che nasce e al
pericolo di alienarsi i committenti. Ho sempre inteso dire che l'onestà è
l'anima del commercio, e Beniamino Franklin diceva che se i bricconi
conoscessero tutti i vantaggi derivanti dall'esser onesti sarebbero galantuomini
per speculazione.
La mia lunga esperienza della vita mi ha dimostrato che l'onestà, nel commercio
e nelle industrie, è la più gran virtù per far fortuna nel mondo.
Un soldato del primo impero mi diceva di aver letto sul barattolo di uno
speziale a Mosca: Anaci di Forlì. Non so se fuori d'Italia sieno conosciuti con
questo nome; ma i territori ove si coltiva questa pianta della famiglia delle
ombrellifere, sono esclusivamente quelli di Meldola, di Bertinoro e di Faenza,
verso Brisighella.
749. ROSOLIO TEDESCO
Non vi sgomenti la composizione strana di questo rosolio, che vi riuscirà facile
alla prova, chiaro come l'acqua e di gusto gradevole.
Spirito di vino del migliore, grammi 500.
Zucchero bianco a velo, grammi 500.
Latte, mezzo litro.
Un limone di giardino.
Mezzo baccello di vainiglia.
Sminuzzate tutto intero il limone togliendone i semi e unendovi la buccia che
avrete grattata in precedenza, dividete in piccoli pezzetti la vainiglia,
mescolate poi tutto il resto insieme entro a un vaso di vetro e vedrete che
subito il latte impazzisce. Agitate il vaso una volta al giorno e dopo otto
giorni passatelo per pannolino e filtratelo per carta.
750. NOCINO
Il nocino è un liquore da farsi verso la metà di giugno, quando le noci non sono
ancora giunte a maturazione. È grato di sapore ed esercita un'azione stomatica e
tonica.
Noci (col mallo), n. 30.
Spirito, litri uno e mezzo.
Zucchero in polvere, grammi 750.
Cannella regina tritata, grammi 2.
Chiodi di garofano interi, 10 di numero.
Acqua, decilitri 4.
La corteccia di un limone di giardino a pezzetti.
Tagliate le noci in quattro spicchi e mettetele in infusione con tutti i
suddetti ingredienti in una damigiana od un fiasco della capacità di quattro o
cinque litri. Chiudetelo bene e tenetelo per quaranta giorni in luogo caldo
scuotendo a quando a quando il vaso.
Colatelo da un pannolino e poi, per averlo ben chiaro, passatelo per cotone o
per carta, ma qualche giorno prima assaggiatelo, perché se vi paresse troppo
spiritoso potete aggiungervi un bicchier d'acqua.
751. ELISIR DI CHINA
Non tutte le ricette che io provo le espongo al pubblico: molte ne scarto
perocché non mi sembrano meritevoli; ma questo elisir che mi ha soddisfatto
molto, ve lo descrivo.
China peruviana contusa, grammi 50.
Corteccia secca di arancio amaro contusa, grammi 5.
Spirito di vino, grammi 700.
Acqua, grammi 700.
Zucchero bianco, grammi 700.
Mescolate dapprima grammi 250 del detto spirito con grammi 150 della detta
acqua, e in questa miscela mettete in infusione la china e la corteccia
d'arancio, tenendola in luogo tiepido una diecina di giorni, agitando il vaso
almeno una volta al giorno. Poi passatela da un pannolino strizzando forte onde
n'esca tutta la sostanza, e filtratela per carta. Fatto ciò sciogliete lo
zucchero al fuoco nei rimanenti grammi 550 di acqua senza farlo bollire e
passatelo dal setaccio, o meglio da un pannolino, per nettarlo da qualche
impurità se vi fosse. Aggiungete i rimanenti grammi 450 di spirito, mescolate
ogni cosa insieme e l'elisir sarà fatto. Prima di filtrarlo assaggiatelo e se vi
paresse troppo forte aggiungete acqua.
752. PONCE DI ARANCIO
Rhum, litri 1 1/2.
Spirito, litri 1.
Acqua, litri 1.
Zucchero bianco fine, chilogrammi l.
Sugo di tre aranci.
La buccia grattata di un limone di giardino tenuta in infusione per tre giorni
in un decilitro del detto spirito. Mettete al fuoco l'acqua con lo zucchero e
fatelo bollire per cinque o sei minuti. Quando sarà diaccio uniteci il rhum, il
sugo degli aranci e lo spirito, compreso quello dell'infusione passato per
pannolino.
Filtratelo come gli altri liquori e imbottigliatelo. Si usa servirlo acceso in
bicchierini.
GELATI
Leggevasi in un giornale italiano che l'arte del gelare appartiene eminentemente
all'Italia, che l'origine dei gelati è antica e che i primi gelati a Parigi
furono serviti a Caterina dei Medici nel 1533. Aggiungeva che il segreto restò
al Louvre poiché i pasticcieri, cucinieri e ghiacciatori fiorentini della
reggia, non diedero ad alcuno conoscenza della loro arte, di modo che i parigini
attesero più di un secolo ancora per gustare il gelato.
Per quante ricerche io abbia fatto onde appurare tali notizie, non mi è riuscito
di venirne a capo. Ciò che vi è di positivo su tale argomento è questo, e cioè:
che l'uso delle bibite ghiacciate, con l'aiuto della neve e del ghiaccio in
conserva, è di origine orientale e rimonta alla più remota antichità e che la
moda dei gelati fu introdotta in Francia verso il 1660 da un tal Procopio
Coltelli palermitano, il quale apri sotto il suo nome - Café Procope - una
bottega a Parigi di faccia al teatro della Comédie française ed era quello il
luogo di ritrovo di tutti i begli ingegni parigini. La rapida fortuna di questo
caffè, ove ai gelati si cominciò a dar la forma di un uovo e di un ovaiuolo al
bicchiere che li conteneva, spinse i venditori di limonate e bibite diverse a
imitare il suo esempio, e fra essi va ricordato il Tortoni che colla voga dei
suoi deliziosi gelati riuscì ad avviare un caffè di fama europea e ad
arricchire.
Secondo Ateneo e Seneca attestano, gli antichi costruivano le ghiacciaie per
conservare la neve e il ghiaccio, nel modo all'incirca che usiamo noi, cioè:
scavando profondamente il terreno e coprendo la neve e il ghiaccio, dopo averli
ben pigiati, con rami di quercia e di paglia; ma non conoscevano ancora la virtù
del sale che congiunto al ghiaccio rinforza meravigliosamente la sua azione per
ridurre in sorbetti ogni qualità di liquori.
Sarete quasi sicuri di dar nel gusto a tutti i vostri commensali se alla fine di
un pranzo offrite loro dei sorbetti, oppure un pezzo gelato, specialmente nella
stagione estiva. Il gelato, oltre ad appagare il gusto, avendo la proprietà di
richiamare il calore allo stomaco, aiuta la digestione. Ora poi che, essendo
venute in uso le sorbettiere americane a triplice movimento senza bisogno di
spatola, si può gelare con meno impazzamento di prima e con maggiore
sollecitudine, sarebbe peccato il non ricorrere spesso al voluttuoso piacere di
questa grata bevanda.
Per risparmio di spesa si può recuperare il sale, facendo evaporare al fuoco
l'acqua uscita dalla congelazione.
753. PEZZO IN GELO (BISCUIT)
Fate una crema con:
Acqua, grammi 140.
Zucchero, grammi 50.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di vainiglia.
Mettetela al fuoco, rimestandola continuamente, e quando comincerà ad attaccarsi
al mestolo, levatela e montatela colla frusta; se mettesse troppo tempo a
montare, tenete la catinella sul ghiaccio, poi versateci a poco per volta due
fogli di colla di pesce sciolti al fuoco in un gocciolo d'acqua. Montata che
sia, unite alla medesima, adagino, grammi 150 di panna montata e ponete il
composto in uno stampo fatto apposta pei pezzi in gelo od anche in una
cazzaruola o vaso di rame tutto coperto, lasciandolo gelare per tre ore almeno,
framezzo a un grosso strato di ghiaccio e sale. Questa dose potrà bastare per
sette od otto persone e sarà un dolce molto gradito.
754. GELATO DI LIMONE
Zucchero bianco fine, grammi 300.
Acqua, mezzo litro.
Limoni, n. 3.
Potendo, è meglio servirsi di limoni di giardino che hanno gusto più grato e
maggiore fragranza di quelli forestieri, i quali sanno spesso di ribollito.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua, con qualche pezzetto di scorza di limone,
per 10 minuti a cazzaruola scoperta. Quando questo siroppo sarà diaccio,
spremetegli dentro i limoni, uno alla volta, assaggiando il composto per
regolarvi coll'agro; passatelo e versatelo nella sorbettiera.
Questa dose potrà bastare per sei persone.
755. GELATO DI FRAGOLE
Fragole ben mature, grammi 300.
Zucchero bianco fine, grammi 300
Acqua, mezzo litro.
Un grosso limone di giardino.
Un arancio.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per 10 minuti a cazzaruola scoperta. Passate
dallo staccio le fragole e il sugo dell'arancio e del limone, aggiungete il
siroppo dopo aver passato anche questo, mescolate ogni cosa e versate il
composto nella sorbettiera.
Questa dose potrà bastare per otto persone.
756. GELATO DI LAMPONE
Il lampone essendo un frutto che, ad eccezione del suo aroma tutto speciale, è
quasi identico alla fragola, per gelarlo regolatevi nella stessa guisa ed
escludete l'arancio.
757. GELATO DI PESCHE
Pesche burrone ben mature, del peso, compreso il nocciolo, di grammi 400.
Zucchero, grammi 250.
Acqua, mezzo litro.
Un limone di giardino.
Tre anime tolte dai noccioli delle medesime.
Queste pestatele fra lo zucchero e mettetele a bollire nell'acqua per 10 minuti.
Passate la polpa delle pesche, strizzateci il limone e, mescolato ogni cosa,
tornate a passare il tutto da uno staccio ben fitto.
Potrà bastare per sei persone.
758. GELATO DI ALBICOCCHE
Albicocche saporose e ben mature, pesate col nocciolo, grammi 300.
Zucchero bianco fine, grammi 200.
Acqua, mezzo litro.
Un limone di giardino.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per 10 minuti, uniteci, quando è diaccio, la
polpa delle albicocche passata dallo staccio e il sugo del limone, Tornate a
passare il composto avanti di metterlo nella sorbettiera.
Questa è una dose abbondante per quattro persone.
759. GELATO DI CREMA
Servitevi della ricetta n. 685, e cioè fate una crema con
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 200.
Rossi d'uovo, n. 8.
Odore di vainiglia.
Sentirete un gelato squisito, mantecato e ben sodo, se saprete manipolarlo.
Questa dose potrà bastare per dieci persone.
Invece dell'odore di vainiglia potete dare alla crema quello de' coriandoli o
del caffè bruciato o della mandorla tostata. Pei coriandoli, vedi Latte alla
portoghese, n. 693; pel caffè fatene bollire a parte nel latte diversi chicchi
contusi, per la mandorla tostata fate un poco di Croccante come quello del n.
617, alquanto più cotto, con grammi 100 di mandorle e grammi 80 di zucchero;
pestatelo fine, fatelo bollire a parte in un poco di latte, passatelo ed unitelo
alla crema.
760. GELATO DI AMARETTI
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 200.
Amaretti, grammi 100.
Rossi d'uovo, n. 6.
Odore di zucchero vanigliato.
Pestate finissimi nel mortaio gli amaretti e dopo poneteli in una cazzaruola
unendoci lo zucchero, i rossi e l'odore; mescolate e versateci il latte a poco
per volta. Mettete la cazzaruola al fuoco per condensare il composto come
fareste per la crema, indi versatelo nella sorbettiera per gelarlo.
Sentirete un gelato squisito che può bastare, a buona misura, per otto persone.
La metà dose può servire per quattro ed anche per cinque persone.
761. GELATO DI CIOCCOLATA
Latte, un litro.
Cioccolata fine, grammi 200.
Zucchero, grammi 100.
Grattate la cioccolata e mettetela al fuoco collo zucchero e con quattro
decilitri del detto latte in una cazzaruola ove stia ristretta. Fatela bollire
per qualche minuto, frullandola sempre onde si affini. Ritiratela dal fuoco,
aggiungete il resto del latte e versate il composto nella sorbettiera quando
sarà ghiaccio.
Anche questa dose potrà bastare per dieci persone. Se volete questo gelato più
sostanzioso portate la dose dello zucchero a 120 grammi ed uniteci due rossi
d'uovo quando ritirate la cioccolata dal fuoco e non è più a bollore. Mescolate,
e rimettetela sul fornello per qualche minuto e poi, come si è detto, aggiungete
il resto del
latte.
762. GELATO DI CILIEGE VISCIOLE
Ciliege visciole, chilogrammi 1.
Zucchero, grammi 250.
Acqua, decilitri 2.
Odore di cannella.
Levate i noccioli a grammi 150 delle dette ciliege senza guastarle troppo e
mettetele al fuoco con grammi 50 del detto zucchero e con un pezzetto di
cannella intera, che poi getterete via. Quando saranno siroppate, cioè quando
avranno perduto il crudo e le vedrete aggrinzite, mettetele da parte. Guastate
colle mani i restanti grammi 850 di ciliege, pestate nel mortaio un pugnello de'
loro noccioli e rimetteteli tramezzo. Passate poche per volta da un canovaccio,
strizzando forte, queste ciliege disfatte, per estrarne il sugo, e gli scarti
che restano metteteli al fuoco per dissugarli coi suddetti due decilitri
d'acqua, fateli bollire 4 o 5 minuti, poi passateli dallo stesso canovaccio ed
il liquido estratto unitelo al precedente. Mettete tutto questo sugo al fuoco
con due prese di cannella in polvere e quando sarà per alzare il bollore versate
i restanti 200 grammi di zucchero, mescolate, fatelo bollire per due minuti e
passatelo dallo staccio, Mettete il sugo passato nella sorbettiera e quando sarà
ben gelato mescolategli tramezzo le ciliege siroppate in modo che vengano sparse
egualmente, servite il gelato in bicchierini e vedrete che per la sua bontà sarà
da tutti gradito.
Questa dose basterà per otto persone.
763. GELATO DI ARANCI
Aranci grossi, n. 4.
Limoni di giardino, n. l.
Acqua, decilitri 6.
Zucchero, grammi 300.
Strizzate gli aranci e il limone e passatene il sugo. Fate bollire lo zucchero
nell'acqua per 10 minuti, versatelo nel sugo, passate il composto dallo staccio
un'altra volta e ponetelo nella sorbettiera. Servitelo in bicchierini a calice
colla colmatura, o tutto in un pezzo.
Questa dose basterà per otto persone.
764. GELATO DI RIBES
Ve lo do, nel suo genere, per un gelato senza eccezione.
Ribes, grammi 500.
Zucchero, grammi 300.
Ciliege more, grammi 150.
Acqua, mezzo litro.
Un grosso limone di giardino.
Disfate colle mani il ribes e le ciliege, aggiungete il sugo del limone e
passate il tutto dallo staccio spremendo bene. Fate bollire lo zucchero
nell'acqua per 10 minuti a cazzaruola scoperta per ottenere il siroppo, e quando
sarà diaccio mescolatelo nel composto descritto e versatelo nella sorbettiera.
Potrà bastare per sette od otto persone, servendolo in bicchierini. Le ciliege,
oltre al sapore loro speciale, servono a dare al gelato più bel colore.
765. GELATO DI TUTTI I FRUTTI
Di tutti i frutti per modo di dire, ma bastano tre o quattro qualità, come
vedete nella seguente ricetta, sufficiente per quattro persone.
Zucchero, grammi 200.
Albicocche ben mature, pesate col nocciolo, grammi 100.
Lampone, grammi 100.
Ribes, grammi 100.
Cedro candito, grammi 20.
Acqua, mezzo litro.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per dieci minuti, uniteci dopo la polpa
delle dette frutta passata dallo staccio, poi il cedro candito tagliato a
pezzettini.
Invece delle albicocche possono servire le pesche burrone, e al ribes si possono
sostituire le fragole.
766. GELATO DI BANANE
Il banano, musa paradisiaca di Linneo, nel suo paese nativo è volgarmente
chiamato Fico di Adamo, o Albero del paradiso terrestre perché il volgo crede
che quello fosse il famoso frutto proibito e che le sue ampie foglie abbiano
servito a coprire la nudità di Adamo ed Eva dopo il peccato della disubbidienza.
Nasce nelle due Indie ed il suo frutto è in forma di un grosso baccello simile,
in apparenza, ad un cetriuolo di buccia verde, ma liscia, triangolare e falcata.
La sua polpa interna è di sapore delicato, ma quando non è giunta ancora a
perfetta maturità ha un'azione alquanto astringente; per farne gelati scegliete
frutti di buccia giallognola, che allora sono maturi.
Eccovi le dosi di un gelato che ha servito per sei persone.
Banane, n. 4, che sono riuscite, nette dal guscio, grammi 240.
Zucchero bianco, grammi 200.
Un limone di giardino.
Acqua, mezzo litro.
Passate la polpa delle banane dallo staccio, aggiungete a questa il sugo del
limone, fate bollire lo zucchero nell'acqua per cinque minuti a cazzaruola
scoperta, mescolate ogni cosa insieme e versate il composto nella sorbettiera,
non facendo economia di ghiaccio e sale.
767. GELATO DI PISTACCHI
Latte, decilitri 8.
Zucchero, grammi 150.
Pistacchi, grammi 50.
Rossi d'uovo, n. 6.
I pistacchi sbucciateli coll'acqua calda e pestateli finissimi con una
cucchiaiata del detto zucchero, poi metteteli in una cazzaruola coi rossi d'uovo
e lo zucchero, rimestando il tutto ben bene. Aggiungete il latte e ponete il
composto al fuoco girando il mestolo, e quando sarà condensato come la crema
versatelo diaccio nella sorbettiera. Questa dose potrà bastare per otto persone.
Certuni usano di abbrustolire i pistacchi; io non lo approvo perché perdono il
loro gusto particolare.
Mi dicono che, per rinforzare a questo gelato il color verde dei pistacchi, si
usa di unirvi un poco di bietola lessata e passata dallo staccio.
768. GELATO DI TORRONE
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 250.
Zucca rossa candita, grammi 40.
Cedro candito, grammi 30-
Mandorle, grammi 30.
Pistacchi, grammi 20.
Rossi d'uovo, n. 4.
Odore di vainiglia.
Fate una crema col latte, lo zucchero e i rossi d'uovo, dandole l'odore della
vainiglia, e versatela nella sorbettiera. Quando sarà gelata mescolateci dentro
gl'ingredienti suddetti. I pistacchi e le mandorle sbucciateli nell'acqua calda;
quelli divideteli in tre parti e queste tritatele alla grossezza di una veccia e
tostatele. Il candito tagliatelo a laminette e la zucca a dadi grossetti, che
essendo rossi faranno più bella mostra.
Se il latte è buono, facendolo bollire per mezz'ora collo zucchero dentro, si
può far senza dei rossi d'uovo, ma il composto verrà allora di meno sapore.
Le mandorle in questo e in simili casi vengono meglio tostate nella seguente
maniera. Spellate e tritate che sieno mettetele al fuoco con una cucchiaiata del
detto zucchero e un gocciolo d'acqua, rimestatele continuamente e quando avranno
preso colore fermatele con un altro gocciolo di acqua; versatele quindi in un
colino sopra lo zucchero rimasto e servitevene.
769. GELATO DI MARRONI
È un gelato ordinario; ma piace, come per lo più piace a tutti il sapore della
castagna, e perciò lo descrivo.
Marroni, grammi 200.
Zucchero, grammi 150.
Latte, mezzo litro.
Odore di vainiglia.
Mettete a bollire i marroni nell'acqua come per farne delle ballotte. Ben cotti,
nettateli dalle due buccie e passate la polpa dallo staccio. Questa mettetela al
fuoco col latte e lo zucchero e fatela bollire adagio e a cazzaruola scoperta
per un quarto d'ora. Date al composto l'odore collo zucchero vanigliato e
versatelo nella sorbettiera. Mandatelo in tavola tutto in un pezzo e se dovesse
servire per nove o dieci persone raddoppiate la dose.
770. PONCE ALLA ROMANA
Per sei persone.
Questa specie di gelato è di uso recente ne' grandi pranzi e si suole servire
avanti all'arrosto perché aiuta la digestione e predispone lo stomaco a ricevere
senza nausea il restante dei cibi.
Zucchero, grammi 450.
Acqua, decilitri 5.
Aranci, n. 2.
Limoni, n. 2.
Chiare d'uovo, n. 2.
Rhum, un bicchierino.
Odore di vainiglia.
Fate bollire per cinque o sei minuti grammi 250 del detto zucchero in 4
decilitri della detta acqua, con un poco di scorza di limone e di arancio
dentro. Tolto dal fuoco, strizzate in questo siroppo il sugo degli aranci e dei
limoni, passatelo da un tovagliuolo e versatelo nella sorbettiera per gelarlo.
Mettete al fuoco i restanti grammi 200 di zucchero nel decilitro d'acqua
rimasto, dategli l'odore della vainiglia, e fatelo bollire fino al punto che
versandone una goccia in un piatto resti rotonda, e presa fra le dita faccia le
fila; ma prima avrete montate ben ferme le due chiare, sulle quali verserete lo
zucchero così a bollore, battendole, per formare una pasta unita che getterete,
quando sarà diaccia, fra il gelato già pronto, mescolando bene; sul punto di
servirlo aggiungete il rhum e mandatelo in tavola nei bicchierini.
771. SPUMONE DI THE
Panna montata, come quella che preparano i lattai, grammi 250.
Acqua, grammi 200.
Zucchero, grammi 100.
The del più buono, grammi 15.
Rossi d'uovo, n. 3.
Colla di pesce, fogli 3.
Versate l'acqua bollente sul the e tenetelo così infuso, in istato quasi di
ebollizione, per 40 minuti. Poi passatelo da un pannolino, strizzando forte per
estrarne tutto il sapore, e vedrete che apparirà nero come il caffè.
Con questo liquido, coi rossi d'uovo e con lo zucchero farete una crema come
quella del n. 753, e regolandovi nella stessa guisa, aggiungerete la colla, poi
unirete la crema alla panna montata mescolando adagio e, versato il composto in
una forma da gelati, la porrete fra il ghiaccio e il sale come il biscuít.
Potrà bastare per otto persone.
772. MACEDONIA
Ben venga la signora Macedonia, che io chiamerei con nome paesano Miscellanea di
frutta in gelo, la quale sarà gradita specialmente negl'infuocati mesi di luglio
e di agosto.
Per far questo dolce, se non potete servirvi di uno stampo da gelati, occorre un
vaso di bandone in forma di gamella o di tegamino, col suo coperchio che chiuda
ermeticamente.
Prendete molte varietà di frutta della stagione, matura e di buona qualità, e
cioè: ribes, fragole, lampone, ciliege, susine, albicocche, una pesca, una pera
e, cominciando dalle ciliege, tutte le dette frutta sbucciatele e tagliatele a
fettine piccole come i semi di zucca all'incirca, gettando via i torsoli e i
noccioli. Del ribes pochissimo perché ha semi troppo grossi e duri; invece
sarebbe bene unirvi un po' di popone odoroso.
Preparate le frutta in codesto modo, pesatele e, ammesso che sieno in tutto
grammi 500, spargeteci sopra grammi 100 di zucchero a velo e il sugo di un
limone di giardino. Mescolatele e lasciatele per mezz'ora in riposo.
Ponete un foglio di carta in fondo al detto vaso di bandone, riempitelo
distendendovi le frutta pigiate alquanto, chiudetelo e collocatelo in un
bigonciolo framezzo a ghiaccio e sale, che vi resti tutto coperto per diverse
ore. Se non si sforma naturalmente bagnatelo con acqua calda e servitelo che
vedrete farà bella mostra di sé come un pezzo duro gelato e marmorizzato.
Questa è una dose per quattro o cinque persone.
773. GELATO DI LATTE DI MANDORLE
Descrivo per voi, signore di gusto delicato e fine, il seguente gelato, nella
persuasione che lo aggradirete molto; ed avendo spesse volte rivolto a voi il
pensiero nel compor questi piatti, onde interpretare e sodisfare anche il gusto
vostro, così non posso distaccarmi da voi senza augurarvi che conserviate a
lungo gl'invidiabili pregi della florida salute e della bellezza.
Zucchero, grammi 200.
Mandorle dolci con 4 o 5 amare, grammi 150.
Acqua, decilitri 8.
Panna, decilitri 2.
Odore di acqua di fior d'arancio o di coriandoli.
Fate bollire lo zucchero nell'acqua per dieci minuti con entro i coriandoli,
come nel Latte alla portoghese, n. 693, se per l'odore vi servite di essi.
Sbucciate le mandorle, pestatele finissime nel mortaio diluendole con qualche
cucchiaiata del siroppo ottenuto e mescolatele al medesimo. Poi passatele da un
pannolino rado strizzando bene onde estrarre dalle mandorle tutta la sostanza
possibile, ripetendo più volte l'operazione del mortaio, se occorre. Unite la
panna al liquido spremuto, gelatelo nella sorbettiera e quando sarà ben sodo
servitelo in bicchierini.
Questa dose potrà bastare per nove o dieci persone.
774. ZORAMA
Se vi piacesse di fare un pezzo in gelo, marmorizzato di bianco e nero, eccovi
la maniera:
Primieramente mettete in molle nell'acqua fresca tre fogli di colla di pesce e
frattanto preparate una crema con:
Zucchero, grammi 100.
Cioccolata in polvere, grammi 80.
Rossi d'uovo, n. 3.
Latte, decilitri 3
Diaccia che sia uniteci le tre chiare montate e dopo grammi 150 di panna
montata, come quella che preparano i lattai, mescolando in modo che il bianco di
questa apparisca sparso qua e là. Poi sciogliete al fuoco in un gocciolo d'acqua
i detti tre fogli di colla di pesce e questo liquido così caldo spargetelo sul
composto mescolando. Indi versatelo nello stampo da gelati o in altro vaso
bagnato di rosolio e chiuso ermeticamente, tenendolo per tre o quattro ore
contornato e coperto con molto ghiaccio frammisto a sale.
Può bastare per otto persone.
775. CAFFÈ-LATTE GELATO
Nei grandi calori estivi si può gustar con piacere un caffè col latte condensato
a granita, nelle proporzioni seguenti:
Latte, un litro.
Caffè, mezzo litro.
Zucchero, grammi 300 che, messo nel latte, potete sciogliere al fuoco.
Versate il composto nella sorbettiera, come per i gelati in genere, e servitelo,
quando sarà assodato, in tazze o bicchierini.
COSE DIVERSE
776. CAFFÈ
V'è chi ritiene il caffè originario della Persia, chi dell'Etiopia e chi
dell'Arabia Felice; ma di qualunque posto sia, è certamente una pianta orientale
sotto forma di un arboscello sempre verde il cui fusto si innalza dai 4 ai 5
metri e non acquista per ordinario più di 5 ad 8 centimetri di diametro. Il
miglior caffè è pur sempre quello di Moka, il che potrebbe convalidare
l'opinione esser questo veramente il suo luogo nativo. Si dice che un prete
musulmano, a Yemen, avendo osservato che quelle capre le quali mangiavano le
bacche di una pianta di quelle contrade, erano più festevoli e più vivaci delle
altre, ne abbrustolì i semi, li macinò e fattane un'infusione scoprì il caffè
tal quale noi lo beviamo.
Questa preziosa bibita che diffonde per tutto il corpo un giocondo eccitamento,
fu chiamata la bevanda intellettuale, l'amica dei letterati, degli scienziati e
dei poeti perché, scuotendo i nervi, rischiara le idee, fa l'immaginazione più
viva e più rapido il pensiero.
La bontà del caffè mal si conosce senza provarlo, e il color verde, che molti
apprezzano, spesso gli vien dato artificialmente.
La tostatura merita un'attenzione speciale poiché, prescindendo dalla qualità
del caffè, dipende dalla medesima la più o meno buona riuscita della bibita.
Meglio è dargli il calore gradatamente e perciò è da preferirsi la legna al
carbone, perché meglio si può regolare. Quando il caffè comincia a crepitare e
far fumo, scuotete spesso il tostino e abbiate cura di levarlo appena ha preso
il color castagno-bruno e avanti che emetta l'olio; quindi non disapprovo l'uso
di Firenze, nella qual città, per arrestarne subito la combustione, lo si
distende all'aria; e pessima giudico l'usanza di chiuderlo tosto fra due piatti,
perché in codesto modo butta l'olio essenziale e l'aroma si sperde. Il caffè
perde nella tostatura il 20 per cento del suo peso, cosicché gr. 500 devono
tornare gr. 400.
Come diverse qualità di carne fanno il brodo migliore, così da diverse qualità
di caffè, tostate separatamente, si ottiene un aroma più grato. A me sembra di
ottenere una bibita gratissima con gr. 250 di Portorico, 100 di San Domingo e
150 di Moka. Anche gr. 300 di Portorico con 200 di moka danno un ottimo
resultato. Con gr. 15 di questa polvere si può fare una tazza di caffè
abbondante; ma quando si è in parecchi, possono bastare gr. 10 a testa per una
piccola tazza usuale. Tostatene poco per volta e conservatelo in vaso di metallo
ben chiuso, macinando via via quel tanto che solo abbisogna, perché perde
facilmente il profumo.
Coloro a cui l'uso del caffè cagiona troppo eccitamento ed insonnia, faranno
bene ad astenersene od usarne con moderazione; possono anche correggerne
l'efficacia con un po' di cicoria od orzo tostato. L'uso costante potrebbe
neutralizzare l'effetto, ma potrebbe anche nuocere, essendovi de' temperamenti
tanto eccitabili da non essere correggibili, e a questo proposito un medico mi
raccontava di un campagnuolo il quale, quelle rare volte che prendeva un caffè,
era colto da un'indisposizione che presentava tutti i sintomi di un
avvelenamento. Ai ragazzi poi l'uso del caffè sarebbe da vietarsi assolutamente.
Il caffè esercita un'azione meno eccitante ne' luoghi umidi e paludosi ed è
forse per questa ragione che i paesi ove se ne fa maggior consumo in Europa sono
il Belgio e l'Olanda. In Oriente, ove si usa di ridurlo in polvere finissima e
farlo all'antica per beverlo torbo, il bricco, nelle case private, è sempre sul
focolare.
Su quanto dice il prof. Mantegazza, cioè che il caffè non favorisce in modo
alcuno la digestione, io credo che sia necessario di fare una distinzione. Egli
forse dirà il vero per coloro a cui il caffè non eccita punto il sistema
nervoso; ma quelli a cui lo eccita e porta la sua azione anche sul nervo
pneumogastrico, è un fatto innegabile che digeriscono meglio, e l'uso invalso di
prendere una tazza di buon caffè dopo un lauto desinare n'è la conferma. Preso
poi la mattina a digiuno pare che sbarazzi lo stomaco dai residui di una
imperfetta digestione e lo predisponga a una colazione più appetitosa. Io, per
esempio, quando mi sento qualche imbarazzo allo stomaco non trovo di meglio, per
ismaltirlo, che andar bevendo del caffè leggermente indolcito ed allungato
coll'acqua, astenendomi dalla colazione.
E se noiosa ipocondria t'opprime
O troppo intorno alle vezzose membra
Adipe cresce, de' tuoi labbri onora
La nettarea bevanda ove abbronzato
Fuma ed arde il legume a te d'Aleppo
Giunto, e da Moka che di mille navi
Popolata mai sempre insuperbisce.
Venezia pe' suoi rapporti commerciali in Oriente fu la prima a far uso del caffè
in Italia, forse fin dal secolo XVI; ma le prime botteghe da caffè furono colà
aperte nel 1645; indi a Londra e poco dopo a Parigi ove una libbra di caffè si
pagava fino a 40 scudi.
L'uso si andò poi via via generalizzando e crescendo fino all'immenso consumo
che se ne fa oggigiorno; ma due secoli addietro il Redi nel suo Ditirambo
cantava:
Beverei prima il veleno
Che un bicchier che fosse pieno
Dell'amaro e reo caffè.
e un secolo fa, pare che l'uso in Italia ne fosse tuttora ristretto se a Firenze
non si chiamava ancora caffettiere, ma acquacedrataio colui che vendeva
cioccolata, caffè e altre bibite.
Goldoni, nella commedia La sposa persiana, dice per bocca di Curcuma, schiava:
Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato,
E dalle carovane in Ispaan portato.
L'arabo certamente sempre è il caffè migliore;
Mentre spunta da un lato, mette dall'altro il fiore.
Nasce in pingue terreno, vuol ombra, o poco sole.
Piantare ogni tre anni l'arboscel si suole.
Il frutto non è vero, ch'esser debba piccino,
Anzi dev'esser grosso, basta sia verdolino,
Usarlo indi conviene di fresco macinato,
in luogo caldo e asciutto, con gelosia guardato.
... A farlo vi vuol poco;
Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco.
Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto
Sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto.
777. THE
La coltivazione del the è quasi esclusiva della China e del Giappone ed è per
quegli Stati uno de' principali prodotti di esportazione. I the di Giava, delle
Indie e del Brasile sono giudicati di qualità assai inferiore.
Le sue foglioline, accartocciate e disseccate per esser messe in commercio, sono
il prodotto di un arbusto ramoso e sempre verde che non si eleva in altezza più
di due metri. La raccolta della foglia ha luogo tre volte all'anno: la prima
nell'aprile, la seconda al principio dell'estate e la terza verso la metà
dell'autunno.
Nella prima raccolta le foglie, essendo piccole e delicatissime, perché spuntate
da pochi giorni, danno il the imperiale, che rimane sul luogo per uso dei grandi
dell'impero; la terza raccolta in cui le foglie hanno preso il massimo sviluppo,
riesce di qualità inferiore.
Tutto il the che circola in commercio si divide in due grandi categorie: the
verde e the nero. Queste poi si suddividono in molte specie: ma le più usitate
sono il the perla, il souchong, e il pekoe a coda bianca il cui odore è il più
aromatico e il più grato. Il the verde essendo ottenuto con un'essiccazione più
rapida che impedisce la fermentazione, è più ricco di olio essenziale, quindi
più eccitante e però è bene astenersene o usarlo in piccola dose frammisto al
nero.
Nella China l'uso del the risale a molti secoli avanti l'êra cristiana; ma in
Europa fu introdotto dalla Compagnia olandese delle Indie orientali sul
principio del secolo XVI; Dumas padre dice che fu nel 1666 sotto il regno di
Luigi XIV che il the, dopo una opposizione non meno viva di quella sostenuta dal
caffè, s'introdusse in Francia.
Il the si fa per infusione e ritiensi che meglio riesca nelle theiere, di
metallo inglese. Un cucchiaino colmo è dose più che sufficiente per una tazza
comune. Gettatelo nella theiera, che avrete prima riscaldata con acqua a bollore
e versategli sopra tant'acqua bollente che lo ricopra soltanto e dopo cinque o
sei minuti, che bastano per sviluppare la foglia, versate il resto dell'acqua in
ebollizione, mescolate e dopo due o tre minuti l'infusione è fatta. Se la
lasciate lì troppo, diventa scura e di sapore aspretto perché si dà tempo a
sciogliere l'acido tannico delle foglie che è un astringente; però, se durante
la prima operazione avete modo di tener la theiera sopra il vapore dell'acqua
bollente, estrarrete dal the maggior profumo, ma se paresse troppo forte si può
allungare con acqua bollente.
L'uso del the in alcune provincie d'Italia, specie ne' piccoli paesi, è raro
tuttora. Non sono molti anni che io mandai un giovane mio servitore ai bagni
della Porretta per vedere se imparava qualche cosa dell'abile maestria dei
cuochi bolognesi; e se è vero quanto egli mi riferì, capitarono là alcuni
forestieri che chiesero il the; ma di tutto essendovi fuorché di questo, fu
subito ordinato a Bologna. Il the venne, ma i forestieri si lagnarono che
l'infusione non sapeva di nulla. O indovinate il perché? Si faceva soltanto
passar l'acqua bollente attraverso le foglie che si ponevano in un colino. Il
giovine, che tante volte lo aveva fatto in casa mia, corresse l'errore e allora
fu trovato come doveva essere.
Anche il the eccita i nervi e cagiona l'insonnia; ma la sua azione, nella
maggior parte de' casi, è meno efficace di quella del caffè e direi anche meno
poetica ne' suoi effetti perché a me sembra che il the deprima e il caffè
esalti. Però la foglia chinese ha questo di vantaggio sopra la grana d'Aleppo, e
cioè, che esercitando un'azione aperitiva sulla pelle, fa sopportare meglio il
freddo nel rigido inverno; per questo, chi può fare a meno di pasteggiar col
vino nella colazione alla forchetta, troverebbe forse nel the, solo o col latte,
una bevanda delle più deliziose. Io uso un the misto: metà Souchong e metà
Pekoe.
778. CIOCCOLATA
Non è facil cosa il contentar chiunque e meno che mai in questa materia, tanti e
sì vari essendo i gusti delle persone. Non avrei potuto supporre che un signore
avesse notato in questo mio libro una lacuna che il tormentava. “Come si fa -
diceva egli - a spender tante parole in lode del caffè e del the e non
rammentare il cibo degli Dei, la cioccolata che è la mia passione, la mia bibita
prediletta?”. Dirò a quel signore che dapprima non ne avevo parlato perché, se
avessi dovuto raccontarne la storia e le adulterazioni dei fabbricanti nel
manipolarla, troppo mi sarei dilungato e perché tutti, più o men bene, una
cioccolata a bere la sanno fare.
L'albero del cacao (Theobroma caccao) cresce naturalmente nell'America
meridionale, in particolare al Messico ove si utilizzavano i suoi frutti, come
cibo e come bevanda, da tempo immemorabile ed ove fu conosciuto dagli Spagnuoli
la prima volta che vi approdarono.
Le due qualità più stimate sono il cacao Caracca e il Marignone che mescolate
insieme nelle debite proporzioni, dànno una cioccolata migliore. Per garantirsi
sulla qualità non c'è che sfuggire l'infimo prezzo e dare la preferenza ai
fabbricanti più accreditati. Per una tazza abbondante non occorrono meno di
grammi 60 di cioccolata, sciolta in due decilitri di acqua; ma possono bastare
grammi 50 se la preferite leggera, e portar la dose fino a grammi 80 se la
desiderate molto consistente.
Gettatela a pezzetti nella cioccolatiera con l'acqua suddetta e quando comincia
ad esser calda rimuovetela onde non si attacchi e si sciolga bene. Appena alzato
il bollore ritiratela dal fuoco e per cinque minuti frullatela. Poi fate che
alzi di nuovo il bollore e servitela. Come alimento nervoso eccita anch'essa
l'intelligenza ed aumenta la sensibilità; ma, ricca d'albumina e di grasso
(burro di cacao), è molto nutritiva, esercita un'azione afrodisiaca e non è di
tanto facile digestione, perciò si usa aromatizzarla con cannella o vainiglia.
Chi ha lo stomaco da poterla tollerare “la cioccolata conviene - dice il
professor Mantegazza - ai vecchi, ai giovani deboli e sparuti, alle persone
prostrate da lunghe malattie e da abusi della vita”. Per chi lavora assai col
cervello e non può stancare il ventricolo di buon mattino con una succolenta
colazione, il cacao offre un eccellente cibo mattutino.
779. FRUTTA IN GUAZZO
A chi piace le frutta in guazzo, può riuscire gradito il seguente modo di
confezionarle.
Cominciate dalle prime che appariscono in primavera, cioè: dalle fragole, dal
ribes e dai lamponi, e ponetene in un vaso 50 o 100 grammi per sorta; copritele
con la metà del loro peso, di zucchero e tanta acquavite o cognac che le
sommerga. Poi proseguite con le ciliege, le susine, le albicocche, le pesche,
tutte private del nocciolo e, all'infuori delle ciliege, tagliatele a lettine,
aggiungendo sempre in proporzione zucchero ed acquavite.
Potete mettervi anche uva spina, uva salamanna e qualche pera gentile; ma poi
assaggiate il liquido per aggiungere zucchero od acquavite, a tenore del vostro
gusto.
Formato il vaso, lasciatelo in riposo per qualche mese prima di servirvene.
780. PESCHE NELLO SPIRITO
Pesche cotogne, non troppo mature, chilogrammi 1.
Zucchero bianco, grammi 440.
Acqua, un litro.
Cannella intera, un pezzo lungo un dito.
Alcuni chiodi di garofano.
Spirito di vino quanto basta.
Saprete che la pesca cotogna è quella rosso-giallo o semplicemente giallastra,
con la polpa attaccata al nocciolo.
Strofinatele con un canovaccio per levar loro la lanugine e bucatele in cinque o
sei punti con uno stecchino. Fate bollire per venti minuti lo zucchero
nell'acqua a cazzaruola scoperta e poi gettateci le pesche intere, rimovendole
spesso se il siroppo non le ricopre, e quando avranno bollito cinque minuti,
contando dal momento che hanno ripreso il bollore, levatele asciutte.
Allorché le pesche e il siroppo saranno diacci, o meglio il giorno appresso,
collocatele in un vaso di cristallo, oppure in uno di terra invetriato e nuovo,
versateci sopra il siroppo e tanto spirito di vino o cognac che le sommerga e le
dosi a giusta misura. Aggiungete gli aromi indicati e procurate che restino
sempre coperte dal liquido, versandone, occorrendo, dell'altro in appresso.
Tenete chiuso il vaso ermeticamente e cominciate a mangiarle non prima che sia
trascorso un mese.
781. PESCHE IN GHIACCIO
È l'unica ricetta di questa raccolta che non ho provato perché, quando una
signora inglese venne spontaneamente ad offrirmela, la stagione delle pesche era
passata e il tempo incalzava per la presente ristampa. La signora me la
raccomandò assicurandomi che era molto gradita ne' suoi paesi e perciò azzardo
di pubblicarla.
Si prendono pesche spicche, mature e sane, si gettano due alla volta, per un
minuto, nell'acqua bollente e, tolte dall'acqua, si sbucciano senza toccar la
polpa. Poi s'involtano molto e bene nello zucchero bianco in polvere e si
collocano in un bolo, ossia in un vaso fondo e decente; indi si prendono tanti
quadretti di zucchero quante sono le pesche, si strofinano sulla buccia di un
limone di giardino maturo, finché ogni quadretto siasi impregnato dell'essenza
del limone e si nascondono fra le pesche. Si lasciano così accomodate per due
ore almeno (il più non guasta) e prima di portare il vaso in tavola si tiene
tutto chiuso e coperto fra molto ghiaccio per due o tre ore. Ritornata la
stagione delle pesche non ho mancato di mettere in prova questa ricetta e posso
dirvi subito che essa ha del merito. Io mi sono servito di un vaso di metallo,
di zucchero a velo a buona misura ed ho sparso sale fra il ghiaccio.
782. CILIEGE VISCIOLE IN GUAZZO
Queste ciliege, così conciate, non hanno bisogno di spirito, che lo fanno da sé.
Ciliege visciole, chilogrammi l.
Zucchero bianco, grammi 300.
Un pezzetto di cannella.
Dalle suddette ciliege separatene grammi 200 delle più brutte o guaste,
estraetene il sugo e passatelo. Le altre, levato il gambo, mettetele a strati in
un vaso di cristallo: uno di esse e uno di zucchero, poi versateci sopra il
detto sugo. Levate le anime a una parte dei noccioli delle ciliege disfatte ed
anche queste e la cannella gettatele nel vaso, chiudetelo e non lo muovete per
due mesi almeno. Vedrete che lo zucchero a po' per volta si scioglierà e le
ciliege dapprima staranno a galla del liquido, poi questo convertendosi in
alcool le ciliege cadono al fondo e allora sono mangiabili e buone.
783. RIBES ALLA FRANCESE
Preparate una soluzione leggiera di gomma arabica in polvere sciolta nell'acqua.
Prendete su colle dita il ribes crudo nei suoi grappolini, tuffateli uno alla
volta nella soluzione e spolverizzateli di zucchero cristallino in polvere, ma
non a velo. Disposti poi in un piatto, quel fondo rosso brillantato farà di sé
bella mostra fra le frutta di un pranzo e sarà molto gustato dalle signore.
Potrete anche tramezzare il ribes rosso col bianco.
784. PONCE ALLA PARIGINA
Questo è un ponce corroborante che può venire opportuno quando, fra un pasto e
l'altro, vi sentiste mancar lo stomaco.
Prendete una tazza del contenuto di due decilitri circa; frullateci dentro un
rosso d'uovo con due cucchiaini di zucchero durando finché sia divenuto quasi
bianco. Aggiungete allora, dosandolo a piacere, due o tre cucchiaiate di cognac,
di rhum o di altro liquore che più vi gusti e riempite la tazza di acqua
bollente, versata poco per volta continuando a frullare per fargli fare la
spuma.
785. MANDORLE TOSTATE
Mandorle dolci, grammi 200.
Zucchero, grammi 200.
Le mandorle strofinatele con un canovaccio, poi mettete al fuoco in una
cazzaruola non istagnata il detto zucchero con due dita (di bicchiere) d'acqua e
allorché sarà sciolto versate le mandorle rimestandole continuamente e quando le
sentirete scoppiettare ritirate la cazzaruola sull'orlo del fornello e vedrete
che lo zucchero si rappiglia e divien sabbioso. Allora levatelo e separate le
mandorle dallo zucchero; poi la metà di questo zucchero rimettetelo al fuoco con
altre due dita d'acqua e quando getterà l'odore di caramella versateci le dette
mandorle, rimestate e, tirato che avranno lo zucchero, levatele. Poi mettete al
fuoco l'altra metà dello zucchero rimasto, con altre due dita d'acqua, e
ripetete per la terza volta l'operazione che sarà l'ultima. Versate le mandorle
in un piatto e separate quelle che si saranno attaccate insieme.
Sono buonissime anche senza nessun odore, ma piacendovi potete dar loro il
profumo della vainiglia con zucchero vanigliato, oppure il gusto della
cioccolata con grammi 30 di questa grattata; ma l'uno o l'altra sarà bene
versarli all'ultimo momento.
786. OLIVE IN SALAMOIA
Ci saranno forse metodi più recenti e migliori per fare le olive in salamoia; ma
quello che qui vi offro è praticato in Romagna con ottimo risultato.
Eccovi le proporzioni per ogni chilogrammo di olive:
Cenere, chilogrammi l.
Calce viva, grammi 80,
Sale, grammi 80.
Acqua per la salamoia, decilitri 8
Si dice viva la calce quando, dopo averla leggermente bagnata coll'acqua, in
forza di un'azione chimica, si screpola, si riscalda, fuma, si gonfia e cade in
polvere. È in quest'ultimo suo stato che dovete adoperarla mescolandola alla
cenere, poi coll'acqua formatene una poltiglia né troppo densa, né troppo
liquida. In essa immergete le olive in modo che, con qualche cosa che le prema,
restino tutte coperte e tenetecele dalle dodici alle quattordici ore, cioè fino
a tanto che si saranno rese alquanto morbide e perciò guardatele spesso
tastandole. Alcuni osservano se la polpa si distacca dal nocciolo; ma questa è
una norma talvolta fallace.
Levatele dalla poltiglia, lavatele a molte acque e lasciatele nell'acqua fresca
quattro o cinque giorni, ossia finché non renderanno l'acqua chiara perdendo
l'amaro, cambiando l'acqua tre volte al giorno. Quando saranno arrivate al
punto, mettete al fuoco gli otto decilitri di acqua col detto sale e con diversi
pezzetti di grossi gambi di finocchio selvatico, fate bollire per alcuni minuti
e con questa salamoia, versata fredda, conservate le olive in vaso di vetro o in
uno di terra invetriata.
La calce per bagnarla meglio immergetela con una mano per un momento (cinque o
sei secondi di minuto bastano) nell'acqua e ponetela sopra a un foglio di carta.
787. FUNGHI SOTT’OLIO
Scegliete funghi porcini, chiamati altrimenti morecci, i più piccoli che potete
trovare, e se ve ne fossero frammisti dei grossi quanto le noci, di questi
fatene due parti. Dopo averli nettati bene dalla terra e lavati, fateli bollire
per venticinque minuti nell'aceto bianco; ma se fosse molto forte correggetelo
con un po' d'acqua. Tolti dal fuoco asciugateli bene entro a un canovaccio e
lasciateli all'aria fino al giorno appresso. Allora collocateli in un vaso di
vetro o di terra invetriata coperti d'olio e con qualche odore che più vi
piaccia. Chi ci mette uno spicchio o due di aglio mondati, chi alcuni chiodi di
garofano e chi una foglia di alloro, che si può far bollire fra l'aceto. Si usa
mangiarli col lesso.
788. MOSTARDA ALL’USO TOSCANO
Uva dolce 1/3 nera e 2/3 bianca, oppure tutta bianca, come io la preferisco,
chilogrammi 2.
L'uva ammostatela come fareste pel vino, e dopo un giorno o due, quando avrà
alzato, spremetene il mosto.
Mele rose o reinettes, chilogrammi l.
Due pere grosse.
Vino bianco, meglio vin santo, grammi 240.
Cedro candito, grammi 120.
Senapa bianca in polvere, grammi 40.
Le mele e le pere sbucciatele e tagliatele a fette sottili, poi mettetele al
fuoco col detto vino e quando l'avranno tirato tutto versate il mosto. Rimestate
spesso e quando il composto sarà condensato alquanto più della conserva di
frutta lasciatelo freddare ed aggiungete la senapa, sciolta prima con un poco di
vino ben caldo, e il candito in minuti pezzetti. Conservatela in vasetti con
sopra un sottil velo di cannella in polvere. La senapa, per uso di tavola,
eccita l'appetito e favorisce la digestione.
789. CROSTA E MODO DI CROSTARE
Mi lo lecito di tradurre così i due francesismi comunemente usati di glassa,
glassare, lasciando ad altri la cura d'indicare termini italiani più speciali e
più propri. Parlo di quell'intonaco bianco o nero oppure di altro colore che si
suol fare sopra alcuni dei dolci in addietro descritti, come la bocca di dama,
il salame inglese, le torte tedesche e simili, per renderli più appariscenti.
Per crostare di nero prendete grammi 50 di cioccolata e grammi 100 di zucchero
in polvere. La cioccolata grattatela e mettetela al fuoco in una piccola
cazzaruola con tre cucchiaiate d'acqua. Sciolta che sia, aggiungete lo zucchero
e fate bollire a lento fuoco rimestando spesso. L'importante dell'operazione è
di cogliere il punto della cottura, il quale si conoscerà quando il composto si
stende a filo prendendone una goccia fra il pollice e l'indice; ma questo filo
non lo esigete più lungo di un centimetro, altrimenti il punto di cottura vi
passa. Levate allora la cazzaruola dal fuoco e ponetela nell'acqua fresca
rimestando sempre, e quando vedrete che il liquido diventa opaco alla superficie
come desse cenno di formare una tela, distendetelo sul dolce. Rimettete questo
in forno oppure sotto a un coperchio di ferro col fuoco sopra per due o tre
minuti e vedrete che la crosta prenderà un aspetto liscio, lucido e duro.
La crosta bianca si fa colla chiara d'uovo, lo zucchero a velo, l'agro di un
limone e il rosolio: piacendovi di colore roseo, invece di rosolio servitevi di
alkermes. Eccovi le proporzioni all'incirca per ognuno dei dolci descritti: La
chiara di un uovo, grammi 130 di zucchero, un quarto di limone, una cucchiaiata
di rosolio oppure tanto alkermes che dia il suddetto colore. Sbattete bene ogni
cosa insieme e quando il miscuglio è sodo in modo da scorrere leggermente,
distendetelo sul dolce, ed esso si seccherà da sé senza metterlo al fuoco.
Se poi invece di distendere la crosta bianca tutta unita, vi piacesse di ornare
il dolce a disegno, provvedetevi da chi vende simili oggetti per decorazione,
certi piccoli imbuti di latta incisi in cima che s'infilano entro a un sacchetto
apposito; cose tutte di questo genere che a nostra vergogna acquistiamo dalla
Francia. In mancanza di questi strumenti, potrete supplire alla meglio con
cartocci di carta a cornetto, Posto in essi il composto strizzate perché esca a
fili sottili dal piccolo buco del fondo. Se il composto della crosta bianca
riesce troppo liquido quando lo formate, aggiungete dello zucchero.
Un altro modo di crostare in bianco è quello praticato pel Dolce alla napoletana
n. 586, e poi andate a vedere i dolci n. 644 e 645.
790. SPEZIE FINI
Se volete usare nella vostra cucina delle spezie buone, eccovene la rìcetta:
Noci moscate, n. 2.
Cannella di Ceylan ossia della regina, grammi 50.
Pepe garofanato, grammi 30.
Chiodi di garofano, grammi 20.
Mandorle dolci, grammi 20.
Se vi aggiungete altre specie di droghe all'infuori del macis, cioè l'arillo
della noce moscata, che è ottimo, non farete nulla di veramente buono; vi
consiglio anche di non imitare i droghieri, i quali, invece della cannella di
Ceylan, adoperano la cassialinea ossia cannella di Goa e vi buttano coriandoli a
piene mani perché questi fanno volume e costano poco.
Pestate ogni cosa insieme in un mortaio di bronzo, passate le spezie da uno
staccino a velo di seta e conservatele in un vaso di vetro a tappo smerigliato,
oppure in una boccetta col turo di sughero, e vi si conserveranno anche per anni
colla stessa fragranza del primo giorno. Le spezie sono eccitanti, ma usate
parcamente aiutano lo stomaco a digerire.
APPENDICE
CUCINA PER GLI STOMACHI DEBOLI
Ora si sente spesso parlare della cucina per gli stomachi deboli, la quale pare
sia venuta di moda.
Bisognerà quindi dirne due parole senza pretendere co' miei precetti né di
rinforzare, né di appagare questi stomachi di carta. Non è facile indicare con
precisione scientifica quali siano i cibi che più convengono ad un individuo
indebolito dagli anni, dalle malattie, dagli stravizi o debole per natura,
perché abbiamo a competere con un viscere capriccioso qual' è lo stomaco, ed
anche perché ci sono alcuni che digeriscono con facilità ciò che ad altri è
indigesto.
Nonostante mi studierò indicare quei cibi che, a mio parere, più convengono ad
uno stomaco fiacco e di non facile digestione, e partendomi dal primo ed unico
alimento che la natura somministra ai mammiferi appena nati - il latte - ritengo
che di questo potete usare ed abusare a piacere se non vi produce disturbi
gastrici.
Poi, passando al brodo, che dev'essere ben digrassato, il più confacente è
quello di pollo, di castrato e di vitella; ma prima d'indicarvi i cibi solidi
che convengono meglio, sarà bene richiamare alla memoria ciò che ho detto nelle
poche norme d'igiene in merito alla masticazione; e cioè che se questa è fatta
accuratamente, avviene che, per merito della maggiore salivazione, il cibo si
digerisce e si assimila più facilmente; mentre chi mastica in fretta e
inghiottisce cibi mal triturati, forza lo stomaco ad una elaborazione più grave
e la digestione riesce laboriosa e pesante.
Giova inoltre avere le sue ore stabilite per la colazione e pel pranzo, il quale
fatto a mezzogiorno o al tocco sarà assai più igienico, perché vi dà campo di
farci sopra una passeggiata e un sonnellino di estate, stagione durante la quale
il cibo dev'essere più leggero e meno succulento che nell'inverno. Vi avverto
poi di non sbocconcellare fra giorno, e consiglio alle signore di non
debilitarsi lo stomaco coi continui dolciumi. Veramente non si dovrebbe
ricorrere al cibo se non quando lo stomaco chiede, con insistenza, soccorso, il
che si ottiene più specialmente con l'esercizio del corpo, perché questo e la
temperanza sono i due perni sui quali sta la salute.
MINESTRE
In quanto alle minestre, cominciando dai capellini o pastine, non usate mai
quelle di color giallo artificiale, ma soltanto quelle fatte col gran duro, le
quali non hanno bisogno di tinta perché recano con sé stesse quel colorino
naturale di cera, reggono alla cottura e serbano, dopo cotte, quel senso in
bocca di resistenza piacevole. Potrete fors'anche tollerare le paste d'uova, i
taglierini per esempio, purché tirati finissimi, e i malfattini di pangrattato.
Avete le zuppe semplici o con erbaggi non ventosi; la tapioca (che io detesto
per la sua mucosità), il riso legato con qualche rosso d'uovo e parmigiano.
La Zuppa alla spagnola n. 40, la Zuppa di zucca gialla n. 34, la Zuppa di
acetosa n. 37, la Zuppa di pane d'uovo n. 41, la Zuppa regina n. 39, la Zuppa
ripiena n. 32, la Zuppa santé n. 36, la Panata n. 11, la Minestra di pangrattato
n. 12, i Taglierini di semolino n. 13, le Minestre di semolino composte n. 15 e
16, la Minestra del Paradiso n. 18, quella di carne passata n. 19, quella di
nocciuole di semolino n. 23, quella di mille fanti n. 26, i Passatelli di
semolino n. 48, i Passatelli di pangrattato n. 20, sostituendo, se mai, al
midollo, 20 grammi di burro.
Per le minestre di magro non saprei indicare che i capellini o sopracapellini
conditi con cacio e burro o col sugo, il riso cotto nel latte, la farinata
gialla nel latte se non vi produce acidità allo stomaco, le Zuppe di pesce n.
65, 66 e 67, la Zuppa di ranocchi, escluse le uova dei medesimi che fanno
bruttura, n. 64.
In pari tempo bisognerà bandire dalla cucina tutti gli aromi o al più lasciarne
appena le tracce, visto che non sono nelle grazie delle nostre delicate signore
né di coloro di palato troppo sensibile.
PRINCIPII
Sandwiches n. 114. Crostini di burro e acciughe n. 113. Crostini di fegatini e
acciughe n. 115. Crostini fioriti n. 117. Prosciutto cotto, Sardine di Nantes
servite col burro.
SALSE
Salsa alla maître d'hôtel n. 123. Salsa bianca n. 124. Salsa majonese n. 126.
Salsa piccante I n. 127. Salsa gialla per pesce lesso n. 129. Salsa olandese n.
130. Salsa per pesce in gratella n. 131.
UOVA
Le uova fresche sono un buon nutrimento e facilmente assimilabile se ingerite né
crude, né troppo cotte. Se vi attenete alle frittate, preferite quelle miste con
erbaggi e tenute sottili, e non rivoltatele onde restino tenere. Sana è anche la
frittata di sparagi n. 145, come pure i Rossi d'uovo al canapè n. 142.
FRITTO
Alcuni trovano il fritto alquanto pesante allo stomaco per l'unto che assorbe in
padella; nonostante i più tollerabili sono quelli di cervello, animelle e
schienali, i fritti di semolino, il fegato di vitella di latte e, della
coratella d'agnello, il solo fegato. Inoltre, Pollo dorato I n. 205, Petti di
pollo alla scarlatta n. 207, Granelli n. 174, Frittelle di riso n. 179, Bombe e
pasta siringa n. 183, Cotolette imbottite n. 220, Bracioline di vitella di latte
all'uccelletto n. 221, Bocconi di pane ripieni n. 223, Arnioni per colazione n.
292, Crocchette di animelle n. 197, Crocchette di riso semplici n. 198, Fritto
composto alla bolognese n. 175, Saltimbocca alla romana n. 222, e diversi altri
consimili che trovate nell'elenco dei fritti.
LESSO
Il lesso si può servire impunemente con un contorno di spinaci al burro o al
sugo, ma tritati minutissimi; il cardone, gli zucchini, i talli di rapa, gli
sparagi sono gli erbaggi più sani ed anche i fagiolini in erba, se sono fini,
possono far parte del regime di un convalescente. Il lesso di pollo o di cappone
con un contorno di riso n. 245. Non dimenticate il lesso di castrato che, in
questo caso, è molto opportuno.
ERBAGGI
Oltre agli erbaggi mentovati nel precedente paragrafo, potete far uso dei
Carciofi ritti n. 418; Cotolette di carciofi n. 187; Sformati di cardoni,
spinaci, carciofi e finocchi n. 389, 390, 391 e 392. Petonciani fritti e in
umido n. 400 e 401. Sedani per contorno n. 412. Carciofi in salsa n. 416.
TRAMESSI
Gnocchi di semolino n. 230. Gnocchi alla romana n. 231. Carciofi in teglia n.
246.
RIFREDDI
Cappone in galantina n. 366. Cappone in vescica n. 367. Arista n. 369. Lingua
alla scarlatta n. 360. Pan di fegato n. 374.
UMIDI
Gli umidi più sani e delicati, a parer mio, sono i seguenti: Fricassea n. 256.
Cibreo n. 257. Soufflet di pollo n. 259. Braciole di manzo o di vitella alla
sauté n. 262. Lombata di castrato ripiena n. 296. Pollo in salsa d'uovo n. 266.
Petti di pollo alla sauté n. 269 con l'agro di limone. Girello alla brace n.
299. Scannello annegato n. 301. Scaloppine alla livornese n. 302. Cotolette di
vitella di latte in salsa d'uovo n. 311. Cotolette col prosciutto n. 313.
Quenelles n. 317. Vitella di latte in guazzetto n. 325. Filetto con la marsala
n. 340. Filetto alla parigina n. 341. Sformato della signora Adele n. 346. Umido
incassato n. 350. Pollo o Cappone in galantina n. 366, ed anche, come piatto
appetitoso, il Vitello tonnato n. 363.
PESCI
I pesci comuni più digeribili sono il nasello o merluzzo, specialmente se
lessato e condito coll'olio e l'agro del limone, ed anche in gratella; la
sogliola, il rombo, lo storione, l'ombrina, il ragno, il dentice, l'orata, il
palombo (Rotelle di palombo in salsa n. 464), ed anche le triglie fritte o in
gratella; ma escludete dalla vostra cucina tutte le specie dei pesci turchini
che sono i meno digeribili.
CARNI ARROSTITE
Le carni in genere, purché non dure o tigliose, son cibo omogeneo al corpo umano
e, se arrostite, di facile assimilazione. Fra queste è da preferirsi il pollame,
specialmente la Gallina di Faraone, n. 546, e la vitella di latte; può venire
anche opportuna la Bistecca alla fiorentina n. 556, specialmente se nel filetto,
la Bistecca nel tegame n. 557, la Braciuola di manzo alla sauté o in teglia n.
262 e il Rosbiffe n. 521 e 522. Poi avete le Costolette di vitella di latte alla
milanese n. 538 e le costolette di castrato che sono eccellenti. La Vitella di
latte arrosto n. 524, Arrostini di vitella di latte alla salvia n. 327, il
Cosciotto di castrato n. 530, il Cosciotto di capretto allo spiedo o arrosto
morto, le Quagliette n. 536, il Pollo alla Rudinì n. 544 e il Tacchinotto
trattato come la Gallina di Faraone n. 546. Eccellente l'arrosto morto n. 526
col contorno di piselli, se questi non vi disturbano. Le carni di piccione, di
tacchino adulto e degli uccelli sono giudicate molto nutrienti, ma calorose;
quindi adagio con queste per serbarle a tempo più opportuno.
INSALATA
Poche sono le insalate che posso indicarvi come salubri, ma nel caso vostro
preferirei le seguenti: il radicchio cotto misto colla barbabietola cotta in
forno se grossa o lessata se piccola; gli Sparagi n. 450, gli Zucchini n. 376,
377 e 378 e i Fagiolini in erba ben fini n.380, 381 e 382.
DOLCI
In quanto ai dolci lascio la scelta a voi che così, ad occhio e croce, potete
giudicare quelli che più vi convengono; però vi avverto che le paste frolle e le
paste sfoglie sono indigeste, come anche le paste senza lievito alcuno. Se
soffrite di stitichezza vi raccomando le mele e le pere cotte, le prugne
giulebbate, le albicocche e le pere in composta e qualora l'intromissione del
latte non v'imbarazzi lo stomaco potete giovarvi del Latte brûlé n. 692, del
Latte alla portoghese n. 693, nonché dei Latteruoli n. 694 e 695.
FRUTTA
Non fate uso che di frutta sana e ben matura a seconda della stagione.
Nell'inverno escludete le frutta secche, profittando di qualche dattero, di
qualche arancio o di qualche mandarino; ma tenete in gran conto la pera spina la
quale, se accompagnata da un pezzetto di formaggio a vostra scelta (ammesso che
lo stomaco possa sopportarlo) è, come tutti sanno, un piacevole tornagusto.
Nelle altre stagioni sceglierete fra le uve, la eccellente salamanna, il
moscatello e l'aleatico; fra le pere la spadona, che è tanto succosa, la susina
claudia, la pesca burrona, le ciliege more, le albicocche, le mele, se son
tenere. Ma fate un sacrificio alla ghiottoneria escludendo le fragole dalla
vostra tavola poiché, pei troppi loro semini, riescono nocive: più innocui forse
sono i fragoloni, ma meno fragranti.
GELATI
Si possono permettere i gelati, specialmente di frutta, alla fine del pranzo o
dopo compiuta la digestione.
VINI E LIQUORI
Il vino da pasteggiare più confacente agli stomachi deboli ritengo sia il bianco
asciutto e stimo ottimo, per la sua piacevolezza al gusto e perché molto
digeribile, quello di Orvieto, che può servire anche al dessert e per quest'uso
avete il vin santo, il vino d'Asti spumante, la malaga ed altri simili che sono
in commercio; ma di questi chi se ne fida? In quanto ai liquori farete bene ad
escluderne l'uso dal vostro regime anche perché dall'uso si può passare
all'abuso che sarebbe fatale; si può fare soltanto un'eccezione pel cognac,
senza abusarne, però. Qui pongo fine, e ripeto col poeta:
Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba.
COLAZIONI ALLA FORCHETTA
Qualcuno mi ha domandato che regola si debba tenere per le colazioni alla
forchetta. Se trattasi di colazioni semplici, come sono ordinariamente quelle
delle locande o delle tavole rotonde, la risposta è facile.
La base è sempre un piatto di carne, caldo ed abbondante, con un contorno; ma
questo dev'essere preceduto da una minestra asciutta o da principio. Se trattasi
di minestre, avete tutta la serie dei risotti e delle paste variamente condite;
se di principio, vengono opportune le frittate, le uova al burro, le uova
affogate con qualche salsa piccante; i rifreddi con gelatina; oltre a ciò,
l'affettato di salumi, il caviale e le sardine di Nantes, accompagnati dal
burro, oppure un fritto di pesce.
Per ultimo, frutta e formaggio, e se avrete conserve o gelatine di frutta,
queste saranno aggradite specialmente dalle signore; infine un buon caffè che
predispone al pranzo.
NOTE DI PRANZI
Poiché spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla
elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante
distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre
dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il
dessert poiché, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue
tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi
gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della
scelta.
CAPO D’ANNO
Minestra in brodo. Composto dei cappelletti di Romagna n. 7, senza sfoglia.
Fritto. Cotolette imbottite n. 220.
Umido. Bue alla brace n. 298, con carote, o Cotolette coi tartufi n. 312.
Rifreddo. Pasticcio di cacciagione n. 370.
Arrosto. Anatra domestica e Piccioni 528, con insalata.
Dolci. Gâteau à la noisette n. 564. - Dolce Torino n. 649.
GENNAIO
I
Minestra in brodo. Tortellini alla bolognese n. 9.
Lesso. Cappone con contorno di riso n. 245.
Fritto. Pasta siringa n. 183. - Crocchette di animelle n. 197.
Tramesso. Zampone o coteghino con Tortino di patate n. 446 o n. 447.
Erbaggi. Sedani al sugo n. 412.
Arrosto. Tordi n. 528, e insalata.
Dolci. Torta ricciolina n. 579. - Pudding Cesarino n. 671.
Frutta e formaggio. Pere, mele, aranci e frutta secca.
II
Minestra in brodo. Nocciuole di semolino n. 23 o Bomboline di patate n. 29.
Lesso. Un pesce con contorno n. 459.
Umido. Cignale dolce-forte o Lepre in dolce-forte n. 285.
Tramesso. Pasticcini di pasta sfoglia ripieni di carne n. 161.
Arrosto. Rosbiffe allo spiede, con patate e insalata n. 521 o 522.
Dolci. Pasta margherita n. 576. - Bianco mangiare n. 681.
Frutta e formaggio. Pere, mele, mandarini e frutte secche diverse.
FESTA DELLA BEFANA
Minestra in brodo. Zuppa alla spagnola n. 40.
Fritto. Animelle o cervello misto col Fritto alla Garisenda n. 224.
Lesso. Cappone, con sedani al sugo n. 412.
Umido. Sformato di riso col sugo guarnito di rigaglie n. 345.
Arrosto. Tordi n. 528, o Beccacce coi crostini n. 112.
Dolci. Sfogliata di marzapane n. 566. - Pasticcini di pasta beignet coperti di
cioccolata n. 647 o Dolce Roma n. 648.
BERLINGACCIO
Minestra asciutta. Pappardelle con la lepre n. 95, o Maccheroni alla bolognese
n. 87.
Principii. Crostini di tartufi n. 109.
Umidi. Budino alla genovese n. 347.
Tramesso. Zampone o Salame dal sugo di Ferrara n. 238, con Sauer-kraut n. 433.
Arrosto. Cappone con insalata, o Cappone tartufato n. 540.
Dolci. Dolce Torino n. 649, e Gelato di aranci n. 763.
FEBBRAIO
I
Minestra in brodo. Agnellotti n. 8.
Lesso. Pollo e vitella con Spinaci al sugo n. 448.
Rifreddo. Pane di lepre n. 373.
Tramesso. Telline o arselle in salsa d’uovo n. 498.
Umido. Cotolette di vitella di latte coi tartufi alla bolognese n. 312.
Arrosto. Uccelli e beccacce n. 528, con insalata.
Dolci. Savarin n. 563. - Crema alla francese n. 688.
Frutta e formaggio. Pere, mele e frutte secche diverse.
II
Minestra in brodo. Zuppa ripiena n. 32.
Principii. Crostini diversi n. 113.
Lesso. Pollastra con Passato di patate n. 443 o Cavolo verzotto n. 453.
Umido. Pasticcio di maccheroni n. 349.
Arrosto. Gallina di Faraone n. 546 e piccioni.
Dolci. Pizza alla napoletana n. 609. - Pezzo in gelo (Biscuit) n. 753.
Frutta e formaggio. Pere, mele, mandarini e frutta secca.
MARZO
I (Pranzo di magro)
Minestra. Zuppa di ranocchi n. 64 o Zuppa alla certosina n. 66.
Principii. Crostini di caviale e acciughe n. 113.
Tramesso. Pasticcio di magro n. 502 o Rotelle di palombo n. 464.
Erbaggi. Sformato di spinaci n. 390.
Arrosto. Pesce in gratella, con Salsa n. 131.
Dolci. Tortelli di ceci n. 624. - Crema montata n. 689.
Frutta. Pere, mele e frutta secca.
II
Minestra in brodo. Passatelli all’uso di Romagna n. 20.
Lesso. Un pesce grosso, con Salsa maionese n. 126.
Umido. Filetto alla finanziera n. 338.
Tramesso. Crostini di capperi n. 108.
Arrosto. Braciuola di manzo ripiena n. 537.
Dolci. Torta mantovana n. 577. - Gelato di crema n. 759 o Gelato di torrone n.
768.
Frutta e formaggio. Frutte diverse e Biscotti n. 571.
PRANZO DI QUARESIMA
Minestra. Zuppa nel brodo di pesce n. 65, o Zuppa alla certosina n. 66.
Principii. Baccalà montebianco n. 118, con Crostini di caviale n. 113.
Lesso. Pesce con Salsa genovese n. 134.
Tramesso. Gnocchi alla romana n. 231.
Umido. Pesce a taglio in umido n. 461.
Arrosto. Anguilla n. 491.
Dolci. Pasticcini di marzapane n. 628, e Gelato di pistacchi n. 767.
APRILE
I
Minestra in brodo. Mattoncini di ricotta n. 25.
Lesso. Vitella con sparagi in Salsa bianca n. 124.
Tramesso. Pagnottelle ripiene n. 239.
Erbaggi. Sformato di carciofi n. 391.
Arrosto. Vitella di latte con insalata.
Dolci. Panettone Marietta n. 604 - Latte brûlé n. 692, con Cialdoni n. 621.
Frutta e formaggio. Baccelli, càtere ossia mandorle tenere col guscio, e Pasta
Maddalena n. 608.
II
Minestra in brodo. Panata n. 11.
Fritto. Krapfen n. 182.
Umido. Pollo disossato ripieno n. 258, con piselli.
Tramesso. Gnocchi alla romana n. 231.
Arrosto. Agnello pasquale con insalata e uova sode.
Dolci. Dolce alla napoletana n. 586. - Gelato di cioccolata n. 761.
Frutta e formaggio. Frutta fresca di stagione e Stiacciata alla livornese n.
598.
MAGGIO.
I
Minestra in brodo. Zuppa alla spagnuola n. 40.
Principii. Crostini di fegatini di pollo n. 110.
Umido. Umido incassato n. 350.
Erbaggi. Piselli alla francese n. 424 o 425.
Arrosto. Braciuola di manzo ripiena n. 537, con patate novelline e insalata.
Dolci. Torta alla marengo n. 581. - Gelato di limone n. 754.
Frutta e formaggio. Frutte diverse e fragole lavate col Chianti o vino rosso e
aggraziate con zucchero a velo e marsala.
II
Minestra in brodo. Zuppa santé n. 36.
Fritto. Composto alla bolognese n. 175. - Carciofi n. 186. - Zucchini n. 188.
Umido. Timballo di piccioni n. 279.
Erbaggi. Sparagi al burro n. 450.
Arrosto. Vitella di latte, con contorno di Carciofi ritti n. 418.
Dolci. Offelle di marzapane n. 615. - Gelato di fragole n. 755.
Frutta e formaggio. Frutta di stagione, e Amaretti n. 626 o n. 627.
PASQUA D’UOVO
Minestra in brodo. Panata n. 11, o Minestra del Paradiso n. 18.
Fritto. Carciofi, animelle e Bocconi di pane ripieni n. 223.
Umido. Manicaretto di piccioni n. 278.
Tramesso. Soufflet di farina di patate n. 705, o Gnocchi alla romana n. 231.
Arrosto. Agnello e insalata.
Dolci. Latte alla portoghese n. 693. - Stiacciata alla livornese n. 598.
GIUGNO
I
Minestra in brodo. Strichetti alla bolognese n. 51.
Fritto. Fegato di vitella di latte, animelle, cervello e funghi.
Umido. Piccioni coi piselli n. 354.
Tramesso. Zucchini ripieni n. 377.
Arrosto. Galletti di primo canto e insalata.
Dolci. Bocca di dama n. 585. - Gelato di visciole n. 762.
Frutta e formaggio. Frutta di stagione e pasticcini di pasta beignet n. 631.
II
Minestra in brodo. Zuppa di purè di piselli n. 35.
Fritto. Cotolette di vitella di latte. - Crema n. 214. - Zucchini n. 188.
Lesso. Di vitella rifatto n. 355, con contorno di funghi.
Erbaggi. Sformato di fagiolini n. 386.
Arrosto. Galletti con Insalata maionese n. 251.
Dolci. Quattro quarti all’italiana n. 612. - Zuppa di visciole n. 678.
Frutta e formaggio. Frutta fresca di stagione.
LUGLIO
I
Minestra in brodo. Bomboline di farina n. 24.
Lesso. Pollastra ripiena n. 160.
Umido. Sformato di zucchini n. 451, ripieno di rigaglie e di bracioline di
vitella di latte.
Tramesso. Soufflet di Luisetta n. 704.
Arrosto. Vitella di latte, con Insalata russa n. 454.
Dolci. Biscotto alla sultana n. 574. - Gelatina di lampone in gelo n. 718.
Frutta e formaggio. Pesche, albicocche ed altre di stagione.
II
Minestra in brodo. Minestra di carne passata n. 19.
Principii. Fichi col prosciutto.
Umido. Pollo disossato ripieno n. 258.
Rifreddo. Vitello tonnato n. 363.
Tramesso. Pan di fegato n. 374.
Arrosto. Piccioni e pollastri con Insalata maionese n. 251.
Dolci. Plum-cake n. 673. - Croccante a bagno-maria in gelo n. 690.
Frutta e formaggio. Frutte diverse di stagione.
PASQUA DI ROSE
Minestra in brodo. Minestra di semolino composta n. 16, o di carne passata n.
19.
Lesso. Pollastra ingrassata, con Sparagi in salsa n. 124.
Umido. Vitella di latte in guazzetto n. 325, con Zucchini ripieni n. 377, o
Umido incassato n. 350.
Tramesso. Sformato di fagiuolini n. 386.
Arrosto. Quagliette n. 536, con Insalata maionese n. 251.
Dolci. Zuppa inglese n. 675, e Macedonia n. 772.
FESTA DELLO STATUTO
Minestra in brodo. Passatelli di semolino n. 48.
Fritto. Pollo dorato n. 205 o 206, con Perine di riso n. 202.
Umido. Timballo di piccioni n. 279.
Erbaggi. Fagiuolini con la balsamella n. 381.
Arrosto. Lombata di vitella di latte n. 524, con patate e insalata.
Dolci. Torta alla marengo n. 581. - Gelato di ribes n. 764.
Agosto
I
Minestra in brodo. Taglierini.
Principii. Popone col prosciutto e vino generoso perché giusta il proverbio:
Quando sole est in leone
Pone muliem in cantone
Bibe vinum cum sifone.
Lesso. Vitella, con Fagiuolini dall’occhio all’aretina n. 383, o con Fagiuolini
con la balsamella n. 381.
Tramesso. Vol-au-vent ripieno di rigaglie n. 161.
Umido. Cotolette di vitella di latte col prosciutto n. 311.
Arrosto. Tacchinotto n. 549, con insalata.
Dolci. Pere in composta n. 709. - Crema montata in gelo n. 689, oppure Bavarese
lombarda n. 674.
Frutta e formaggio. Frutte diverse di stagione.
II
Minestra in brodo. Zuppa regina n. 39.
Lesso. Arigusta con salsa maionese n. 476.
Umido. Petti di pollo alla sauté n. 269.
Erbaggi. Sformato di zucchini n. 451.
Arrosto. Anatra domestica, piccioni e insalata.
Dolci. Pesche ripiene n. 697. - Gelato di lampone n. 756.
Frutta e formaggio. Popone, fichi ed altre frutte di stagione.
QUINDICI AGOSTO
Minestra in brodo. Riso con le quaglie n. 44, o Minestra di semolino composta n.
16.
Fritto. Pasta siringa n. 183. - Fritto alla romana n. 176.
Umido. Bue alla moda n. 297, con Tortino di zucchini n. 445.
Tramesso. Pollo in salsa tonnata n. 365.
Arrosto. Pollastri giovani con insalata.
Dolci. Babà n. 565, o Dolce alla napoletana n. 586. - Spumone di the n. 771, o
Gelato di cioccolata n. 761.
SETTEMBRE
I
Minestra in brodo. Zuppa di ovoli n. 33.
Principii. Fichi con prosciutto e acciughe salate.
Fritto. Bocconi di pane n. 223, ripieni di animelle e cervello.
Tramesso. Sformato di funghi n. 452, ripieno di rigaglie.
Arrosto. Tacchinotto n. 549, con insalata, o Pollo alla Rudinì n. 544.
Dolci. Babà n. 565. Gelato di latte di mandorle n. 773, o Zorama n. 774.
Frutta e formaggio. Pesche, uva ed altre frutte di stagione.
II
Minestra in brodo. Minestra di semolino composta n. 15 o 16.
Fritto. Sogliole, totani e funghi fritti.
Umido. Anatra domestica con Pappardelle all’aretina n. 91.
Arrosto. Rosbiffe allo spiede con patate n. 521, e insalata.
Dolci. Crostata di conserva di frutta n. 616. - Budino di mandorle tostate n.
669.
Frutta e formaggio. Frutte diverse di stagione e cialdoni n. 621.
OTTO SETTEMBRE
Minestra in brodo. Risotto alla milanese III n. 80.
Fritto. Sogliole, totani e funghi.
Umido. Fricassea di muscolo di vitella di latte n. 256.
Tramesso. Crostini di capperi n. 108, o Soufflet di farina di patate n. 705.
Arrosto. Cosciotto di castrato n. 530.
Dolci. Torta coi pinoli n. 582. - Biscotto da servirsi con lo zabaione n. 683, o
Budino di cioccolata n. 667, coperto di panna montata.
OTTOBRE
I
Minestra in brodo. Gnocchi n. 14.
Lesso. Cappone con spinaci.
Rifreddo. Lingua alla scarlatta n. 360, con Gelatina n. 3.
Tramesso. Pasticcini di pasta sfoglia ripieni di carne n. 161.
Arrosto. Tordi con crostini n. 528 e insalata.
Dolci. Torta di zucca gialla n. 640. - Sformato di conserve n. 680.
Frutta e formaggio. Frutte diverse e mandarini.
II
Minestra in brodo. Bomboline di riso n. 30.
Fritto. Costolette di agnello vestite n. 236.
Tramesso. Triglie col prosciutto n. 468.
Umido. Uccelli in salmì n. 283.
Arrosto. Gallina di Faraone n. 546, e piccioni.
Dolci. Zuppa tartara n. 676. - Strudel n. 559, o Dolce alla napoletana n. 586.
Frutta e formaggio. Pere, mele, nespole, sorbe, uva.
GI
Minestra. Maccheroni alla francese n. 84, o Zuppa col sugo di carne n. 38.
Umido. Germano con contorno di lenticchie intere o cavolo nero n. 270.
Tramesso. Pane di lepre n. 373.
Erbaggi. Cavolfiore colla balsamella n. 431, o Sformato di cavolfiore n. 387.
Arrosto. Sfilettato tartufato n. 523.
Dolci. Sformato di savoiardi n. 684. - Gelatina di arancio in gelo n. 714.
Frutta e formaggio. Pere, mele, aranci e frutta secca.
II
Minestra in brodo. Tortellini di carne di piccione n. 10, o Zuppa di zucca
gialla n. 34.
Principii. Crostini di tartufi n. 109.
Lesso. Pollastra ripiena n. 160.
Umido. Coteghino fasciato n. 322.
Erbaggi. Sformato di spinaci n. 390, o di finocchi n. 392.
Arrosto. Pesce di maiale n. 552, e Uccelli n. 528.
Dolci. Presnitz n. 560. - Pasticcio a sorpresa n. 713, o Sformato di savoiardi
con lo zabaione n. 684.
Frutta e formaggio. Pere, mele, mandarini e frutta secca.
NATALE
Minestra in brodo. Cappelletti all’uso di Romagna n. 7.
Principii. Crostini di fegatini di pollo n. 110.
Lesso. Cappone, con uno Sformato di riso verde n. 245.
Rifreddo. Pasticcio di lepre n. 372.
Arrosto. Gallina di Faraone n. 546, e uccelli.
Dolci. Panforte di Siena. - Pane certosino di Bologna. - Gelato di mandorle
tostate n. 759.
DICEMBRE
I (Pranzo di magro)
Minestra. Tortelli n. 55, o Risotto colle telline n. 72.
Principii. Crostini col caviale, con acciughe, olio e agro di limone n. 113.
Fritto. Sogliole, totani e triglie.
Erbaggi. Cardoni colla balsamella n. 407, o Crescioni n. 195.
Arrosto. Anguilla od altro pesce.
Dolci. Croccante n. 617. - Mele in gelatina n. 696. - Aranci a fette, aggraziati
con zucchero a velo e alkermes.
Frutta. Pere, mele e frutta secca.
II
Minestra. Cappelletti all’uso di Romagna n. 7.
Umido. Sformato della signora Adele n. 346.
Rifreddo. Cappone in galantina n. 366, o Tordi disossati in gelatina n. 368.
Arrosto. Di lepre n. 531, o di beccaccia n. 112, e insalata.
Dolci. Panforte. - Torta di pane bruno alla tedesca n. 644. - Plum-pudding n.
672.
Frutta e formaggio. Pere, mele, mandarini e datteri.
SPIEGAZIONE DI VOCI CHE ESSENDO DEL VOLGARE TOSCANO
NON TUTTI INTENDEREBBERO
Bianchire. Vedi imbiancare.
Bietola. Erba comune per uso di cucina, a foglie grandi lanceolate, conosciuta
in alcuni luoghi col nome di erbe o erbette.
Caldana. Quella stanzetta sopra la volta del forno, dove i fornai mettono a
lievitare il pane.
Carnesecca. Pancetta del maiale salata.
Cipolla. Parlando di polli, vale ventriglio.
Costoletta. Braciuola colla costola, di vitella di latte, di agnello, di
castrato e simili.
Cotoletta. Parola francese di uso comune per indicare un pezzo di carne magra,
ordinariamente di vitella di latte, non più grande della palma di una mano,
battuta e stiacciata, panata e dorata.
Crema pasticcera. Crema con la farina onde riesca meno liquida.
Fagiuoli sgranati. Fagiuoli quasi giunti a maturazione e levati freschi dal
baccello.
Farina d'Ungheria. È farina di grano finissima che trovasi in commercio nelle
grandi città.
Filetto. Muscolo carnoso e tenero che resta sotto la groppa dei quadrupedi; ma
per estensione, dicesi anche della polpa dei pesci e dei volatili.
Frattagliaio. Venditore di frattaglie,
Frattaglie. Tutte le interiora e le cose minute dell'animale macellato.
Fumetto. Liquore cori estratto di anaci chiamato mistrò in alcune provincie
d'Italia.
Imbiancare. Lessare a metà.
Lardatoio. Arnese di cucina per lo più di ottone in forma di grosso punteruolo
per steccare la carne con lardone o prosciutto.
Lardo. Strutto di maiale che serve a vari usi, ma più che altro per friggere. (A
Napoli nzogna).
Lardone. Falda grassa e salata della schiena del maiale.
Lardo vergine. Lardo non ancora adoperato.
Lunetta o mezzaluna. Arnese di ferro tagliente dalla parte esteriore ad uso di
cucina per tritare carne, erbe o simili, fatto a foggia di mezza luna, con
manichi di legno alle due estremità.
Matterello. Legno lungo circa un metro e ben rotondo, col quale si spiana e si
assottiglia la pasta per far tagliatelle od altro.
Mestolo. Specie di cucchiaio di legno, pochissimo incavato e di lungo manico,
che serve a rimestar le vivande nei vasi da cucina.
Odori o mazzetto guarnito. Erbaggi odorosi, come carota, sedano, prezzemolo,
basilico, ecc. Il mazzetto si lega con un filo.
Panare. Involgere pezzetti di carne, come sarebbero le cotolette od altro, nel
pangrattato prima di cuocerli.
Pasto. Polmone dei quadrupedi.
Pietra. Rognone, arnione.
Sauté. Così chiamasi con nome francese quel vaso di rame in forma di cazzaruola
larga, ma assai più bassa, con manico lungo, che serve per friggere a fuoco
lento.
Scaloppe o scaloppine. Fette di carne magra di vitella piccole, ben battute e
cotte senza dorarle.
Spianatoia. Asse di abete larga e levigata sopra la quale si lavorano le paste.
In alcuni luoghi, fuori della Toscana, si chiama impropriamente tagliere; ma il
tagliere è quell'arnese di legno, grosso, quadrilatero e col manico, sul quale
si batte la carne, si trita il battuto, ecc.
Staccio. Lo staccio da passar sughi o carne pestata è di crino nero doppio o di
sottil filo di ferro e molto più rado degli stacci comuni.
Tagliere. Vedi Spianatoia.
Tritacarne. Ho adottato anch'io, nella mia cucina, questo strumento che
risparmia la fatica di tritare col coltello e pestar nel mortaio la carne.
Vassoio. Piatto di forma ovale sul quale si portano le vivande in tavola.
Vitella o carne di vitella. Carne di bestia grossa, non invecchiata nel lavoro.
Nell'uso comune la confondono col manzo.
Zucchero a velo. Zucchero bianco pestato fine e passato per uno staccio di velo.
Zucchero vanigliato. Zucchero biondo a cui è stato dato l'odore della vainiglia.
>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>> <<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<<
| |